mercoledì 18 gennaio 2017

IL DONO DELLA GRAZIA E DELLE BEATITUDINI




170. Secondo discorso della Montagna: il dono della Grazia e le beatitudini.

Gesù parla agli apostoli mettendoli ognuno al loro posto per dirigere e sorvegliare la folla, che sale fin dalle
prime ore del mattino con malati portati a braccio o in barella o trascinantisi sulle grucce. Fra la gente è
Stefano ed Erma. L'aria è tersa e un poco freschetta, ma il sole tempera presto questo frizzare di aria
montanina che, rendendo mite il sole, se ne avvantaggia però, facendosi di una purezza fresca ma non rigida.
La gente si siede sui sassi e pietroni che sono sparsi nella valletta fra le due cime, altri attendono che il sole
asciughi l'erba rugiadosa per sedersi sul suolo. E’ molta la gente e di tutte le plaghe palestinesi e di tutte le
condizioni. Gli apostoli si sperdono nella moltitudine ma, come api che vanno e vengono dai prati all'alveare,
ogni tanto tornano presso il Maestro per riferire, per chiedere, per il piacere di essere guardati da vicino dal
Maestro. Gesù sale un poco più in alto del prato che è il fondo della valletta, addossandosi alla parete, e
inizia a parlare.

«Molti mi hanno chiesto, durante un'annata di predicazione: "Ma Tu, che ti dici il Figlio di Dio, dicci cosa è
il Cielo, cosa il Regno, cosa è Dio. Perché noi abbiamo idee confuse. Sappiamo che vi è il Cielo con Dio e
con gli angeli. Ma nessuno è mai venuto a dirci come è, essendo chiuso ai giusti". Mi hanno chiesto anche
cosa è il Regno e cosa è Dio. Ed Io mi sono sforzato di spiegarvi cosa è il Regno e cosa è Dio. Sforzato non
perché mi fosse difficile a spiegarmi, ma perché è difficile, per un complesso di cose, farvi accettare la verità
che urta, per quanto è il Regno, contro tutto un edificio di idee venute nei secoli e, per quanto è Dio, contro
la sublimità della sua Natura. Altri ancora mi hanno chiesto: "Va bene. Questo è il Regno e questo è Dio. Ma
come si conquistano questo e quello?". Anche qui Io ho cercato di spiegarvi, senza stanchezze, l'anima vera
della Legge del Sinai. Chi fa sua quell'anima fa suo il Cielo. Ma per spiegarvi la Legge del Sinai bisogna
anche far sentire il tuono forte del Legislatore e del suo Profeta, i quali, se promettono benedizioni agli
osservanti, minacciano tremende pene e maledizioni ai disubbidienti. La epifania del Sinai fu tremenda e la
sua terribilità si riflette in tutta la Legge, si riflette su tutti i secoli, si riflette su tutte le anime. Ma Dio non è
solo Legislatore. Dio è Padre. E Padre di immensa bontà. Forse, e senza forse, le vostre anime, indebolite dal
peccato d'origine, dalle passioni, dai peccati, da molti egoismi vostri e altrui - facendovi gli altrui un'anima
irritata, i vostri un'anima chiusa - non possono elevarsi a contemplare le infinite perfezioni di Dio, meno di
ogni altra la bontà, perché è la virtù che con l'amore è meno dote dei mortali. La bontà! Oh! dolce essere
buoni, senza odio, senza invidie, senza superbie! Avere occhi che solo guardano per amare, e mani che si
tendono a gesto d'amore, e labbra che non profferiscono che parole d'amore, e cuore, cuore soprattutto che
colmo unicamente d'amore sforza occhi, mani e labbra ad atti d'amore! I più dotti fra voi sanno di quali doni
Dio aveva fatto ricco Adamo, per sé e per i suoi discendenti. Anche i più ignoranti fra i figli d'Israele sanno
che in noi vi è lo spirito. Solo i poveri pagani lo ignorano questo ospite regale, questo soffio vitale, questa
luce celeste che santifica e vivifica il nostro corpo. Ma i più dotti sanno quali doni erano stati dati all'uomo,
allo spirito dell'uomo. Non fu meno munifico allo spirito che alla carne e al sangue della creatura da Lui fatta
con poco fango e col suo alito. E come dette i doni naturali di bellezza e integrità, di intelligenza e di
volontà, di capacità di amarsi e di amare, così dette i doni morali con la soggezione del senso alla ragione, di
modo che nella libertà e padronanza di sé e della propria volontà, di cui Dio aveva beneficato Adamo, non si
insinuava la malvagia prigionia dei sensi e delle passioni, ma libero era l'amarsi, libero il volere, libero il
godere in giustizia, senza quello che fa schiavi voi facendovi sentire il mordente di questo veleno che Satana
sparse e che rigurgita, portandovi fuor dell'alveo limpido su campi fangosi, in putrefacenti stagni, dove
fermentano le febbri dei sensi carnali e dei sensi morali. Perché sappiate che è senso anche la concupiscenza
del pensiero. Ed ebbero doni soprannaturali, ossia la Grazia santificante, il destino superiore, la visione di
Dio. La Grazia santificante: la vita dell'anima. Quella spiritualissima cosa deposta nella spirituale anima
nostra. La Grazia che ci fa figli di Dio perché ci preserva dalla morte del peccato, e chi morto non è "vive"
nella casa del Padre: il Paradiso; nel regno mio: il Cielo. Cosa è questa Grazia che santifica e che dà Vita e
Regno? Oh! non usate molte parole! La Grazia è amore. La Grazia è, perciò, Dio. E Dio che ammirando Se
stesso nella creatura creata perfetta si ama, si contempla, si desidera, si dà ciò che è suo per moltiplicare
questo suo avere, per bearsi di questo moltiplicarsi, per amarsi per quanti sono altri Se stesso. Oh! figli! Non
defraudate Dio di questo suo diritto! Non derubate Dio di questo suo avere! Non deludete Dio in questo suo
desiderio! Pensate che Egli opera per amore. Se anche voi non foste, Egli sarebbe sempre l'Infinito, né
sarebbe sminuita la sua potenza. Ma Egli, pur essendo completo nella sua misura infinita, immisurabile,
vuole non per Sé e in Sé - non lo potrebbe perché è già l'Infinito - ma per il Creato, sua creatura, Egli vuole
aumentare l'amore per quanto esso Creato di creature contiene, onde vi dà la Grazia: l'Amore, perché voi in
voi lo portiate alla perfezione dei santi, e riversiate questo tesoro, tratto dal tesoro che Dio vi ha dato con la
sua Grazia e aumentato di tutte le vostre opere sante, di tutta la vostra vita eroica di santi, nell'Oceano
infinito dove Dio è: nel Cielo. Divine, divine, divine cisterne dell'Amore! Voi siete, né vi è data al vostro
essere morte, perché siete eterne come Dio, dio essendo. Voi sarete, né vi sarà data al vostro essere termine,
perché immortali come gli spiriti santi che vi hanno supernutrite, tornando in voi arricchiti dei propri meriti.
Voi vivete e nutrite, voi vivete e arricchite, voi vivete e formate quella santissima cosa che è la Comunione
degli spiriti, da Dio, Spirito perfettissimo, al piccolo pargolo testé nato, che poppa per la prima volta il
materno seno. Non criticatemi in cuor vostro, o dotti! Non dite: "Costui è folle, Costui è menzognero! Perché
come folle parla dicendo la Grazia in noi, privi di essa per la Colpa. Perché mente dicendoci già uni con
Dio". Sì, la Colpa è; sì, la separazione è. Ma davanti al potere del Redentore, la Colpa, separazione crudele
sorta fra il Padre e i figli, crollerà come muraglia scossa dal nuovo Sansone; già Io l'ho afferrata e la scrollo
ed essa vacilla, e Satana trema d'ira e di impotenza non potendo nulla contro il mio potere e sentendosi
strappare tanta preda e farsi più difficile il trascinare l'uomo al peccato. Perché quando Io vi avrò, attraverso
di Me, portato al Padre mio, e nel filtrare dal mio Sangue e dal mio dolore voi sarete divenuti mondi e forti,
tornerà viva, desta, potente la Grazia in voi, e voi sarete i trionfatori, se lo vorrete. Non vi violenta Iddio nel
pensiero e neppure nella santificazione. Voi siete liberi. Ma vi rende la forza. Vi rende la libertà sull'impero
di Satana. A voi riporvi il giogo infernale o mettere all'anima le ali angeliche. Tutto a voi, con Me a fratello
per guidarvi e nutrirvi del cibo immortale. "Come si conquista Iddio e il suo Regno attraverso altra più dolce
via che non la severa del Sinai?" voi dite. Non vi è altra via. Quella è. Ma però guardiamola non attraverso il
colore della minaccia, ma attraverso il colore dell'amore. Non diciamo: "Guai se non farò questo!"
rimanendo tremanti in attesa di peccare, di non essere capaci di non peccare. Ma diciamo: "Beato me se farò
questo!" e con slancio di soprannaturale gioia, giubilando, lanciamoci verso queste beatitudini, nate
dall'osservanza della Legge come corolle di rose da un cespuglio di spine.

1-Beato me se sarò povero di spirito perché mio allora è il Regno dei Cieli!
2-Beato me se sarò mansueto perché erediterò la Terra!
3-Beato me se sarò capace di piangere senza ribellione perché sarò consolato!
4-Beato me se più del pane e del vino per saziare la carne avrò fame e sete di giustizia. La Giustizia mi
sazierà! Beato me se sarò misericordioso perché mi sarà usata divina misericordia!
5-Beato me se sarò puro di cuore perché Dio si piegherà sul mio cuore puro ed io lo vedrò!
6-Beato me se avrò spirito di pace perché sarò da Dio chiamato suo figlio, perché nella pace è l'amore, e Dio
è Amore che ama chi è simile a Lui!
7-Beato me se per fedeltà alla giustizia sarò perseguitato, perché a compensarmi delle terrene persecuzioni
Dio, mio Padre, mi darà il Regno dei Cieli!
8-Beato me se sarò oltraggiato e accusato bugiardamente per saper essere tuo figlio, o Dio! Non desolazione
ma gioia mi deve venire da questo, perché questo mi uguaglia ai tuoi servi migliori, ai Profeti, per la stessa
ragione perseguitati, e coi quali io credo fermamente di condividere la stessa ricompensa grande, eterna, nel
Cielo che è mio! Guardiamo così la via della salute. Attraverso la gioia dei santi.

(1) Beato me se sarò povero di spirito Oh! delle ricchezze, arsura satanica, a quanti deliri tu porti! Nei ricchi,
nei poveri. Il ricco che vive per il suo oro: l'idolo infame del suo spirito rovinato. Il povero che vive dell'odio
al ricco perché egli ha l'oro, e se anche non fa materiale omicidio lancia i suoi anatema sul capo dei ricchi,
desiderando loro male d'ogni sorta. Il male non basta non farlo, bisogna anche non desiderare di farlo. Colui
che maledice augurando sciagure e morti non è molto dissimile da colui che materialmente uccide, poiché ha
in lui il desiderio di veder perire colui che odia. In verità vi dico che il desiderio non è che un atto trattenuto,
come un concepito da ventre già formato ma non ancora espulso. Il desiderio malvagio avvelena e guasta,
poiché permane più a lungo dell'atto violento, più in profondità dell'atto stesso. Il povero di spirito se è ricco
non pecca per l'oro, ma del suo oro fa la sua santificazione poiché ne fa amore. Amato e benedetto, egli è
simile a quelle sorgive che salvano nei deserti e che si danno, senza avarizia, liete di potersi dare per
sollevare le disperazioni. Se è povero, è lieto nella sua povertà, e mangia il suo pane dolce della ilarità del
libero dall'arsione dell'oro, e dorme il suo sonno scevro da incubi, e sorge riposato al suo sereno lavoro che
pare sempre leggero se viene fatto senza avidità e invidia. Le cose che fanno ricco l'uomo sono l'oro come
materia, gli affetti come morale. Nell'oro sono comprese non solo le monete ma anche le case, i campi, i
gioielli, i mobili, le mandre, tutto quanto insomma fa materialmente doviziosa la vita. Nelle affezioni: i
legami di sangue o di coniugio, le amicizie, le dovizie intellettuali, le cariche pubbliche. Come vedete, se per
la prima categoria il povero può dire: " Oh! per me! Basta che io non invidi chi ha e poi sono a posto perché
io sono povero e perciò a posto per forza ", per la seconda anche il povero ha da sorvegliarsi, potendo, anche
il più miserabile fra gli uomini, divenire peccaminosamente ricco di spirito. Colui che si affeziona

smoderatamente ad una cosa, ecco che pecca. Voi direte: "Ma allora dobbiamo odiare il bene che Dio ci ha
concesso? Ma allora perché comanda di amare il padre e la madre, la sposa, i figli, e dice: 'Amerai il tuo
prossimo come te stesso? Distinguete. Amare dobbiamo il padre e la madre e la sposa e il prossimo, ma nella
misura che Dio ha dato: " come noi stessi ". Mentre Dio va amato sopra ogni cosa e con tutti noi stessi. Non
amare Dio come amiamo fra il prossimo i più cari, questa perché ci ha allattato, l'altra perché dorme sul
nostro petto e ci procrea i figli, ma amarlo con tutti noi stessi, ossia con tutta la capacità di amare che è
nell'uomo: amore di figlio, amore di sposo, amore di amico e, oh! non vi scandalizzate! e amore di padre. Sì,
per l'interesse di Dio dobbiamo avere la stessa cura che un padre ha per la sua prole, per la quale con amore
tutela le sostanze e le accresce, e si occupa e preoccupa della sua crescita fisica e culturale e della sua riuscita
nel mondo. L'amore non è un male e non lo deve divenire. Le grazie che Dio ci concede non sono un male e
non lo devono divenire. Amore sono. Per amore sono date. Occorre con amore usarne di queste ricchezze
che Dio ci concede in affetti e in bene. E solo chi non se ne fa degli idoli ma dei mezzi per servire in santità
Dio, mostra di non avere un attaccamento peccaminoso ad esse. Pratica allora la santa povertà dello spirito,
che di tutto si spoglia per essere più libero di conquistare Iddio santo, suprema Ricchezza. Conquistare Dio,
ossia avere il Regno dei Cieli.

(2) Beato me se sarò mansueto. Ciò può parere in contrasto con gli esempi della vita giornaliera. I non
mansueti sembrano trionfare nelle famiglie, nelle città, nelle nazioni. Ma è vero trionfo? No. E’ paura che
tiene apparentemente proni i soverchiati dal despota, ma che in realtà non è che velo messo sul ribollire di
ribellione contro il tiranno. Non possiedono i cuori dei famigliari, né dei concittadini, né dei sudditi, coloro
che sono iracondi e prepotenti. Non piegano intelletti e spiriti alle loro dottrine quei maestri del "ho detto e
ho detto". Ma solo creano degli autodidatti, dei ricercatori di una chiave atta ad aprire le porte chiuse di una
sapienza o di una scienza che essi sentono essere e che è opposta a quella che viene loro imposta. Non
portano a Dio quei sacerdoti che non vanno alla conquista degli spiriti con la dolcezza paziente, umile,
amorosa, ma sembrano guerrieri armati che si lancino ad un assalto feroce tanto marciano con irruenza e
intransigenza contro le anime... Oh! povere anime! Se fossero sante non avrebbero bisogno di voi, sacerdoti,
per raggiungere la Luce. L'avrebbero già in sé. Se fossero giusti non avrebbero bisogno di voi giudici per
essere tenuti nel freno della giustizia, l'avrebbero già in se. Se fossero sani non avrebbero bisogno di chi cura.
Siate dunque mansueti. Non mettete in fuga le anime. Attiratele con l'amore. Perché la mansuetudine è
amore, così come lo è la povertà di spirito. Se tali sarete erediterete la Terra e porterete a Dio questo luogo,
già prima di Satana, perché la vostra mansuetudine, che oltre che amore è umiltà, avrà vinto l'odio e la
superbia uccidendo negli animi il re abbietto della superbia e dell'odio, e il mondo sarà vostro, ossia di Dio,
perché voi sarete giusti che riconoscerete Dio come Padrone assoluto del creato, al Quale va dato lode e
benedizione e reso tutto quanto è suo.

(3) Beato me se saprò piangere senza ribellione. Il dolore è sulla terra. E il dolore strappa lacrime all'uomo. Il
dolore non era. Ma l'uomo lo mise sulla terra e per una depravazione del suo intelletto si studia di sempre più
aumentarlo, con tutti i modi. Oltre le malattie e le sventure conseguenti da fulmini, tempeste, valanghe,
terremoti, ecco che l'uomo per soffrire, e per far soffrire soprattutto - perché vorremmo solo che gli altri
soffrissero, e non noi, dei mezzi studiati per far soffrire - ecco che l'uomo escogita le armi micidiali sempre
più tremende e le durezze morali sempre più astute. Quante lacrime l'uomo trae all'uomo per istigazione del
suo segreto re che è Satana! Eppure in verità vi dico che queste lacrime non sono una menomazione ma una
perfezione dell'uomo. L'uomo è uno svagato bambino, è uno spensierato superficiale, è un nato di tardivo
intelletto finché il pianto non lo fa adulto, riflessivo, intelligente. Solo coloro che piangono, o che hanno
pianto, sanno amare e capire. Amare i fratelli ugualmente piangenti, capirli nei loro dolori, aiutarli colla loro
bontà, esperta di come fa male essere soli nel pianto. E sanno amare Dio perché hanno compreso che tutto è
dolore fuorché Dio, perché hanno compreso che il dolore si placa se pianto sul cuore di Dio, perché hanno
compreso che il pianto rassegnato che non spezza la fede, che non inaridisce la preghiera, che è vergine di
ribellione, muta natura, e da dolore diviene consolazione. Sì. Coloro che piangono amando il Signore
saranno consolati.

(4) Beato me se avrò fame e sete di giustizia. Dal momento che nasce al momento che muore l'uomo tende
avido al cibo. Apre la bocca alla nascita per afferrare il capezzolo, apre le labbra per inghiottire ristoro nelle
strette dell'agonia. Lavora per nutrirsi. Fa della terra un enorme capezzolo dal quale insaziabilmente succhia,
succhia per ciò che muore. Ma che è l'uomo? Un animale? No, è un figlio di Dio. In esilio per pochi o molti
anni. Ma non cessa la sua vita col mutare della sua dimora. Vi è una vita nella vita così come in una noce vi è
il gheriglio. Non è il guscio la noce, ma è l'interno gheriglio che è la noce. Se seminate un guscio di noce non
nasce nulla, ma se seminate il guscio con la polpa nasce grande albero. Così è l'uomo. Non è la carne che
diviene immortale, è l'anima. E va nutrita per portarla all'immortalità, alla quale, per amore, essa poi porterà
la carne nella risurrezione beata. Nutrimento dell'anima è la Sapienza, è la Giustizia. Come liquido e cibo
esse vengono aspirate e corroborano, e più se ne gusta e più cresce la santa avidità del possedere la Sapienza
e di conoscere la Giustizia. Ma verrà pure un giorno in cui l'anima insaziabile di questa santa fame sarà
saziata. Verrà. Dio si darà al suo nato, se lo attaccherà direttamente al seno e il nato al Paradiso si sazierà
della Madre ammirabile che è Dio stesso, e non conoscerà mai più fame, ma si riposerà beato sul seno
divino. Nessuna scienza umana equivale a questa divina. La curiosità della mente può essere appagata, ma la
necessità dello spirito no. Anzi nella diversità del sapore lo spirito prova disgusto e torce la bocca dall'amaro
capezzolo, preferendo soffrire la fame all'empirsi di un cibo che non sia venuto da Dio. Non abbiate timore, o
sitibondi, o affamati di Dio! Siate fedeli e sarete saziati da Colui che vi ama.
(5) Beato me se sarò misericordioso. Chi fra gli uomini può dire: "Io non ho bisogno di misericordia "?
Nessuno. Ora se anche nell'antica Legge è detto: "Occhio per occhio e dente per dente ", perché non deve
dirsi nella nuova: " Chi sarà stato misericordioso troverà misericordia"? Tutti hanno bisogno di perdono.
Ebbene, non è la formula e la forma di un rito, figure esterne concesse per la opaca mentalità umana, quelle
che ottengono perdono. Ma è il rito interno dell'amore, ossia ancora della misericordia. Che se fu imposto il
sacrificio di un capro o di un agnello e l'offerta di qualche moneta, ciò fu fatto perché a base di ogni male
ancora si trovano sempre due radici: l'avidità e la superbia. L'avidità è punita con la spesa dell'acquisto
dell'offerta, la superbia con la palese confessione di quel rito: "Io celebro questo sacrificio perché ho
peccato". E fatto anche per precorrere i tempi e i segni dei tempi, e nel sangue che si sparge è la figura del
Sangue che sarà sparso per cancellare i peccati degli uomini. Beato dunque colui che sa essere
misericordioso agli affamati, ai nudi, ai senza tetto, ai miseri delle ancor più grandi miserie che sono quelle
del possedere cattivi caratteri che fanno soffrire chi li ha e chi con loro convive. Abbiate misericordia.
Perdonate, compatite, soccorrete, istruite, sorreggete. Non chiudetevi in una torre di cristallo dicendo: "Io
sono puro e non scendo fra i peccatori" Non dite: "Io sono ricco e felice, e non voglio udire le miserie altrui".
Badate che più rapido di fumo dissipato da gran vento può dileguarsi la vostra ricchezza, la vostra salute, il
vostro benessere famigliare. E ricordate che il cristallo fa da lente, e ciò che mescolandovi fra la folla
sarebbe passato inosservato, mettendovi in una torre di cristallo, unici, separati, illuminati da ogni parte, non
potete più tenerlo nascosto. Misericordia per compiere un segreto, continuo, santo sacrificio di espiazione e
ottenere misericordia.
(6) Beato me se sarò puro di cuore. Dio è Purezza. Il Paradiso è regno di Purezza. Niente di impuro può
entrare in Cielo dove è Dio. Perciò se sarete impuri non potrete entrare nel Regno di Dio. Ma, oh! gioia!
Anticipata gioia che il Padre concede ai figli! Colui che è puro ha dalla terra un principio di Cielo, perché
Dio si curva sul puro e l'uomo dalla terra vede il suo Dio. Non conosce sapore di amori umani, ma gusta, fino
all'estasi, il sapore dell'amore divino, e può dire: "Io sono con Te e Tu in me, onde io ti possiedo e conosco
come sposo amabilissimo dell'anima mia". E, credetelo, che chi ha Dio ha inspiegabili, anche a se stesso,
mutamenti sostanziali per cui diviene santo, sapiente, forte, e sul suo labbro fioriscono parole, e i suoi atti
assumono potenze che non sono, no, della creatura, ma di Dio che vive in essa. Cosa è la vita di colui che
vede Dio? Beatitudine. E vorreste privarvi di simile dono per fetide impurità?
(7) Beato me se avrò spirito di pace. La pace è una delle caratteristiche di Dio. Dio non è che nella pace.
Perché la pace è amore, mentre la guerra è odio. Satana è Odio. Dio è Pace. Non può uno dirsi figlio di Dio,
né può Dio dire figlio suo un uomo se costui ha spirito irascibile sempre pronto a scatenare tempeste. Non
solo. Ma neppure può dirsi figlio di Dio colui che, pur non essendo di proprio scatenatore delle stesse, non
contribuisce con la sua grande pace a calmare le tempeste suscitate da altri. Colui che è pacifico effonde la
pace anche senza parole. Padrone di sé e, oso dire, padrone di Dio, egli lo porta come una lampada porta il
suo lume, come un incensiere sprigiona il suo profumo, come un otre porta il suo liquido, e si fa luce fra le
nebbie fumiganti dei rancori, e si purifica l'aria dai miasmi dei livori e si calmano le onde infuriate delle liti,
per quest'olio soave che è lo spirito di pace emanato dai figli di Dio. Fate che Dio e gli uomini vi possano
chiamare così.
(8) Beato me se sarò perseguitato per amore della giustizia. L'uomo è tanto insatanassato che odia il bene
ovunque si trovi, che odia il buono, quasi che chi è buono, anche se tace, lo accusi e rampogni. Infatti la
bontà di uno fa apparire ancor più nera la malvagità del malvagio. Infatti la fede del credente vero fa apparire
ancora più viva la ipocrisia del falso credente. Infatti non può non essere odiato dagli ingiusti colui che col
suo modo di vivere è un continuo testimoniare la giustizia. E allora, ecco, che si infierisce sugli amanti della
giustizia. Anche qui è come per le guerre. L'uomo progredisce nell'arte satanica del perseguitare più che non
progredisca nell'arte santa dell'amare. Ma non può che perseguitare ciò che ha breve vita. L'eterno che è
nell'uomo sfugge all'insidia, e anzi acquista una vitalità ancor più vigorosa dalla persecuzione. La vita fugge
dalle ferite che aprono le vene o per gli stenti che consumano il perseguitato. Ma il sangue fa la porpora del
re futuro e gli stenti sono tanti scalini per montare sui troni che il Padre ha preparato per i suoi martiri, ai
quali sono serbati i seggi regali del Regno dei Cieli.
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(9) Beato se sarò oltraggiato e calunniato. Fate solo che di voi possa essere scritto il nome nei libri celesti, là
dove non sono segnati i nomi secondo le menzogne umane nel lodare i meno meritevoli di lode. Ma dove
però, con giustizia e amore, sono scritte le opere dei buoni per dare ad essi il premio promesso ai benedetti
da Dio. Prima di ora furono calunniati ed oltraggiati i Profeti. Ma quando si apriranno le porte dei Cieli,
come imponenti re, essi entreranno nella Città di Dio, e li inchineranno gli angeli, cantando di gioia. Pure
voi, pure voi, oltraggiati e calunniati per essere stati di Dio, avrete il trionfo celeste, e quando il tempo sarà
finito e completo sarà il Paradiso, ecco che allora ogni lacrima vi sarà cara, perché per essa avrete
conquistato questa gloria eterna che in nome del Padre Io vi prometto.
Andate. Domani vi parlerò ancora. Restino ora solo i malati acciò li soccorra nelle loro pene. La pace sia con
voi e la meditazione della salvezza, attraverso all'amore, vi instradi sulla via la cui fine è il Cielo».

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