170. Secondo discorso della Montagna: il
dono della Grazia e le beatitudini.
Gesù parla agli
apostoli mettendoli ognuno al loro posto per dirigere e sorvegliare la folla,
che sale fin dalle
prime ore del
mattino con malati portati a braccio o in barella o trascinantisi sulle grucce.
Fra la gente è
Stefano ed Erma.
L'aria è tersa e un poco freschetta, ma il sole tempera presto questo frizzare
di aria
montanina che,
rendendo mite il sole, se ne avvantaggia però, facendosi di una purezza fresca
ma non rigida.
La gente si siede
sui sassi e pietroni che sono sparsi nella valletta fra le due cime, altri
attendono che il sole
asciughi l'erba
rugiadosa per sedersi sul suolo. E’ molta la gente e di tutte le plaghe
palestinesi e di tutte le
condizioni. Gli
apostoli si sperdono nella moltitudine ma, come api che vanno e vengono dai
prati all'alveare,
ogni tanto
tornano presso il Maestro per riferire, per chiedere, per il piacere di essere
guardati da vicino dal
Maestro. Gesù
sale un poco più in alto del prato che è il fondo della valletta, addossandosi
alla parete, e
inizia a parlare.
«Molti mi hanno
chiesto, durante un'annata di predicazione: "Ma Tu, che ti dici il Figlio
di Dio, dicci cosa è
il Cielo, cosa il
Regno, cosa è Dio. Perché noi abbiamo idee confuse. Sappiamo che vi è il Cielo
con Dio e
con gli angeli.
Ma nessuno è mai venuto a dirci come è, essendo chiuso ai giusti". Mi
hanno chiesto anche
cosa è il Regno e
cosa è Dio. Ed Io mi sono sforzato di spiegarvi cosa è il Regno e cosa è Dio.
Sforzato non
perché mi fosse
difficile a spiegarmi, ma perché è difficile, per un complesso di cose, farvi
accettare la verità
che urta, per
quanto è il Regno, contro tutto un edificio di idee venute nei secoli e, per
quanto è Dio, contro
la sublimità
della sua Natura. Altri ancora mi hanno chiesto: "Va bene. Questo è il
Regno e questo è Dio. Ma
come si
conquistano questo e quello?". Anche qui Io ho cercato di spiegarvi, senza
stanchezze, l'anima vera
della Legge del
Sinai. Chi fa sua quell'anima fa suo il Cielo. Ma per spiegarvi la Legge del
Sinai bisogna
anche far sentire
il tuono forte del Legislatore e del suo Profeta, i quali, se promettono
benedizioni agli
osservanti,
minacciano tremende pene e maledizioni ai disubbidienti. La epifania del Sinai
fu tremenda e la
sua terribilità
si riflette in tutta la Legge, si riflette su tutti i secoli, si riflette su
tutte le anime. Ma Dio non è
solo Legislatore.
Dio è Padre. E Padre di immensa bontà. Forse, e senza forse, le vostre anime,
indebolite dal
peccato
d'origine, dalle passioni, dai peccati, da molti egoismi vostri e altrui -
facendovi gli altrui un'anima
irritata, i
vostri un'anima chiusa - non possono elevarsi a contemplare le infinite
perfezioni di Dio, meno di
ogni altra la
bontà, perché è la virtù che con l'amore è meno dote dei mortali. La bontà! Oh!
dolce essere
buoni, senza
odio, senza invidie, senza superbie! Avere occhi che solo guardano per amare, e
mani che si
tendono a gesto
d'amore, e labbra che non profferiscono che parole d'amore, e cuore, cuore
soprattutto che
colmo unicamente
d'amore sforza occhi, mani e labbra ad atti d'amore! I più dotti fra voi sanno
di quali doni
Dio aveva fatto
ricco Adamo, per sé e per i suoi discendenti. Anche i più ignoranti fra i figli
d'Israele sanno
che in noi vi è
lo spirito. Solo i poveri pagani lo ignorano questo ospite regale, questo
soffio vitale, questa
luce celeste che
santifica e vivifica il nostro corpo. Ma i più dotti sanno quali doni erano
stati dati all'uomo,
allo spirito
dell'uomo. Non fu meno munifico allo spirito che alla carne e al sangue della
creatura da Lui fatta
con poco fango e
col suo alito. E come dette i doni naturali di bellezza e integrità, di
intelligenza e di
volontà, di
capacità di amarsi e di amare, così dette i doni morali con la soggezione del
senso alla ragione, di
modo che nella
libertà e padronanza di sé e della propria volontà, di cui Dio aveva beneficato
Adamo, non si
insinuava la
malvagia prigionia dei sensi e delle passioni, ma libero era l'amarsi, libero
il volere, libero il
godere in
giustizia, senza quello che fa schiavi voi facendovi sentire il mordente di
questo veleno che Satana
sparse e che
rigurgita, portandovi fuor dell'alveo limpido su campi fangosi, in putrefacenti
stagni, dove
fermentano le
febbri dei sensi carnali e dei sensi morali. Perché sappiate che è senso anche
la concupiscenza
del pensiero. Ed
ebbero doni soprannaturali, ossia la Grazia santificante, il destino superiore,
la visione di
Dio. La Grazia
santificante: la vita dell'anima. Quella spiritualissima cosa deposta nella
spirituale anima
nostra. La Grazia
che ci fa figli di Dio perché ci preserva dalla morte del peccato, e chi morto
non è "vive"
nella casa del
Padre: il Paradiso; nel regno mio: il Cielo. Cosa è questa Grazia che santifica
e che dà Vita e
Regno? Oh! non
usate molte parole! La Grazia è amore. La Grazia è, perciò, Dio. E Dio che
ammirando Se
stesso nella
creatura creata perfetta si ama, si contempla, si desidera, si dà ciò che è suo
per moltiplicare
questo suo avere,
per bearsi di questo moltiplicarsi, per amarsi per quanti sono altri Se stesso.
Oh! figli! Non
defraudate Dio di
questo suo diritto! Non derubate Dio di questo suo avere! Non deludete Dio in
questo suo
desiderio!
Pensate che Egli opera per amore. Se anche voi non foste, Egli sarebbe sempre
l'Infinito, né
sarebbe sminuita
la sua potenza. Ma Egli, pur essendo completo nella sua misura infinita,
immisurabile,
vuole non per Sé
e in Sé - non lo potrebbe perché è già l'Infinito - ma per il Creato, sua
creatura, Egli vuole
aumentare l'amore
per quanto esso Creato di creature contiene, onde vi dà la Grazia: l'Amore,
perché voi in
voi lo portiate
alla perfezione dei santi, e riversiate questo tesoro, tratto dal tesoro che
Dio vi ha dato con la
sua Grazia e
aumentato di tutte le vostre opere sante, di tutta la vostra vita eroica di
santi, nell'Oceano
infinito dove Dio
è: nel Cielo. Divine, divine, divine cisterne dell'Amore! Voi siete, né vi è
data al vostro
essere morte,
perché siete eterne come Dio, dio essendo. Voi sarete, né vi sarà data al
vostro essere termine,
perché immortali
come gli spiriti santi che vi hanno supernutrite, tornando in voi arricchiti dei
propri meriti.
Voi vivete e
nutrite, voi vivete e arricchite, voi vivete e formate quella santissima cosa
che è la Comunione
degli spiriti, da
Dio, Spirito perfettissimo, al piccolo pargolo testé nato, che poppa per la
prima volta il
materno seno. Non
criticatemi in cuor vostro, o dotti! Non dite: "Costui è folle, Costui è
menzognero! Perché
come folle parla
dicendo la Grazia in noi, privi di essa per la Colpa. Perché mente dicendoci
già uni con
Dio". Sì, la
Colpa è; sì, la separazione è. Ma davanti al potere del Redentore, la Colpa,
separazione crudele
sorta fra il
Padre e i figli, crollerà come muraglia scossa dal nuovo Sansone; già Io l'ho
afferrata e la scrollo
ed essa vacilla,
e Satana trema d'ira e di impotenza non potendo nulla contro il mio potere e
sentendosi
strappare tanta
preda e farsi più difficile il trascinare l'uomo al peccato. Perché quando Io
vi avrò, attraverso
di Me, portato al
Padre mio, e nel filtrare dal mio Sangue e dal mio dolore voi sarete divenuti
mondi e forti,
tornerà viva, desta,
potente la Grazia in voi, e voi sarete i trionfatori, se lo vorrete. Non vi
violenta Iddio nel
pensiero e
neppure nella santificazione. Voi siete liberi. Ma vi rende la forza. Vi rende
la libertà sull'impero
di Satana. A voi
riporvi il giogo infernale o mettere all'anima le ali angeliche. Tutto a voi,
con Me a fratello
per guidarvi e
nutrirvi del cibo immortale. "Come si conquista Iddio e il suo Regno
attraverso altra più dolce
via che non la
severa del Sinai?" voi dite. Non vi è altra via. Quella è. Ma però
guardiamola non attraverso il
colore della
minaccia, ma attraverso il colore dell'amore. Non diciamo: "Guai se non
farò questo!"
rimanendo
tremanti in attesa di peccare, di non essere capaci di non peccare. Ma diciamo:
"Beato me se farò
questo!" e con
slancio di soprannaturale gioia, giubilando, lanciamoci verso queste
beatitudini, nate
dall'osservanza
della Legge come corolle di rose da un cespuglio di spine.
1-Beato me se
sarò povero di spirito perché mio allora è il Regno dei Cieli!
2-Beato me se sarò
mansueto perché erediterò la Terra!
3-Beato me se
sarò capace di piangere senza ribellione perché sarò consolato!
4-Beato me se più
del pane e del vino per saziare la carne avrò fame e sete di giustizia. La
Giustizia mi
sazierà! Beato me
se sarò misericordioso perché mi sarà usata divina misericordia!
5-Beato me se
sarò puro di cuore perché Dio si piegherà sul mio cuore puro ed io lo vedrò!
6-Beato me se
avrò spirito di pace perché sarò da Dio chiamato suo figlio, perché nella pace
è l'amore, e Dio
è Amore che ama
chi è simile a Lui!
7-Beato me se per
fedeltà alla giustizia sarò perseguitato, perché a compensarmi delle terrene
persecuzioni
Dio, mio Padre,
mi darà il Regno dei Cieli!
8-Beato me se
sarò oltraggiato e accusato bugiardamente per saper essere tuo figlio, o Dio!
Non desolazione
ma gioia mi deve
venire da questo, perché questo mi uguaglia ai tuoi servi migliori, ai Profeti,
per la stessa
ragione
perseguitati, e coi quali io credo fermamente di condividere la stessa
ricompensa grande, eterna, nel
Cielo che è mio!
Guardiamo così la via della salute. Attraverso la gioia dei santi.
(1) Beato me se
sarò povero di spirito Oh! delle ricchezze, arsura satanica, a quanti deliri tu
porti! Nei ricchi,
nei poveri. Il
ricco che vive per il suo oro: l'idolo infame del suo spirito rovinato. Il
povero che vive dell'odio
al ricco perché
egli ha l'oro, e se anche non fa materiale omicidio lancia i suoi anatema sul
capo dei ricchi,
desiderando loro
male d'ogni sorta. Il male non basta non farlo, bisogna anche non desiderare di
farlo. Colui
che maledice
augurando sciagure e morti non è molto dissimile da colui che materialmente
uccide, poiché ha
in lui il
desiderio di veder perire colui che odia. In verità vi dico che il desiderio
non è che un atto trattenuto,
come un concepito
da ventre già formato ma non ancora espulso. Il desiderio malvagio avvelena e
guasta,
poiché permane
più a lungo dell'atto violento, più in profondità dell'atto stesso. Il povero
di spirito se è ricco
non pecca per
l'oro, ma del suo oro fa la sua santificazione poiché ne fa amore. Amato e
benedetto, egli è
simile a quelle
sorgive che salvano nei deserti e che si danno, senza avarizia, liete di
potersi dare per
sollevare le disperazioni.
Se è povero, è lieto nella sua povertà, e mangia il suo pane dolce della
ilarità del
libero
dall'arsione dell'oro, e dorme il suo sonno scevro da incubi, e sorge riposato
al suo sereno lavoro che
pare sempre
leggero se viene fatto senza avidità e invidia. Le cose che fanno ricco l'uomo
sono l'oro come
materia, gli
affetti come morale. Nell'oro sono comprese non solo le monete ma anche le
case, i campi, i
gioielli, i
mobili, le mandre, tutto quanto insomma fa materialmente doviziosa la vita.
Nelle affezioni: i
legami di sangue
o di coniugio, le amicizie, le dovizie intellettuali, le cariche pubbliche.
Come vedete, se per
la prima
categoria il povero può dire: " Oh! per me! Basta che io non invidi chi ha
e poi sono a posto perché
io sono povero e
perciò a posto per forza ", per la seconda anche il povero ha da
sorvegliarsi, potendo, anche
il più miserabile
fra gli uomini, divenire peccaminosamente ricco di spirito. Colui che si
affeziona
smoderatamente ad
una cosa, ecco che pecca. Voi direte: "Ma allora dobbiamo odiare il bene
che Dio ci ha
concesso? Ma
allora perché comanda di amare il padre e la madre, la sposa, i figli, e dice:
'Amerai il tuo
prossimo come te
stesso? Distinguete. Amare dobbiamo il padre e la madre e la sposa e il
prossimo, ma nella
misura che Dio ha
dato: " come noi stessi ". Mentre Dio va amato sopra ogni cosa e con
tutti noi stessi. Non
amare Dio come
amiamo fra il prossimo i più cari, questa perché ci ha allattato, l'altra
perché dorme sul
nostro petto e ci
procrea i figli, ma amarlo con tutti noi stessi, ossia con tutta la capacità di
amare che è
nell'uomo: amore
di figlio, amore di sposo, amore di amico e, oh! non vi scandalizzate! e amore
di padre. Sì,
per l'interesse
di Dio dobbiamo avere la stessa cura che un padre ha per la sua prole, per la
quale con amore
tutela le
sostanze e le accresce, e si occupa e preoccupa della sua crescita fisica e
culturale e della sua riuscita
nel mondo.
L'amore non è un male e non lo deve divenire. Le grazie che Dio ci concede non
sono un male e
non lo devono
divenire. Amore sono. Per amore sono date. Occorre con amore usarne di queste
ricchezze
che Dio ci
concede in affetti e in bene. E solo chi non se ne fa degli idoli ma dei mezzi
per servire in santità
Dio, mostra di
non avere un attaccamento peccaminoso ad esse. Pratica allora la santa povertà
dello spirito,
che di tutto si
spoglia per essere più libero di conquistare Iddio santo, suprema Ricchezza.
Conquistare Dio,
ossia avere il
Regno dei Cieli.
(2) Beato me se
sarò mansueto. Ciò può parere in contrasto con gli esempi della vita
giornaliera. I non
mansueti sembrano
trionfare nelle famiglie, nelle città, nelle nazioni. Ma è vero trionfo? No. E’
paura che
tiene
apparentemente proni i soverchiati dal despota, ma che in realtà non è che velo
messo sul ribollire di
ribellione contro
il tiranno. Non possiedono i cuori dei famigliari, né dei concittadini, né dei
sudditi, coloro
che sono iracondi
e prepotenti. Non piegano intelletti e spiriti alle loro dottrine quei maestri
del "ho detto e
ho detto".
Ma solo creano degli autodidatti, dei ricercatori di una chiave atta ad aprire
le porte chiuse di una
sapienza o di una
scienza che essi sentono essere e che è opposta a quella che viene loro
imposta. Non
portano a Dio
quei sacerdoti che non vanno alla conquista degli spiriti con la dolcezza
paziente, umile,
amorosa, ma
sembrano guerrieri armati che si lancino ad un assalto feroce tanto marciano
con irruenza e
intransigenza
contro le anime... Oh! povere anime! Se fossero sante non avrebbero bisogno di
voi, sacerdoti,
per raggiungere
la Luce. L'avrebbero già in sé. Se fossero giusti non avrebbero bisogno di voi
giudici per
essere tenuti nel
freno della giustizia, l'avrebbero già in se. Se fossero sani non avrebbero
bisogno di chi cura.
Siate dunque
mansueti. Non mettete in fuga le anime. Attiratele con l'amore. Perché la
mansuetudine è
amore, così come
lo è la povertà di spirito. Se tali sarete erediterete la Terra e porterete a
Dio questo luogo,
già prima di
Satana, perché la vostra mansuetudine, che oltre che amore è umiltà, avrà vinto
l'odio e la
superbia
uccidendo negli animi il re abbietto della superbia e dell'odio, e il mondo
sarà vostro, ossia di Dio,
perché voi sarete
giusti che riconoscerete Dio come Padrone assoluto del creato, al Quale va dato
lode e
benedizione e
reso tutto quanto è suo.
(3) Beato me se
saprò piangere senza ribellione. Il dolore è sulla terra. E il dolore strappa
lacrime all'uomo. Il
dolore non era.
Ma l'uomo lo mise sulla terra e per una depravazione del suo intelletto si
studia di sempre più
aumentarlo, con
tutti i modi. Oltre le malattie e le sventure conseguenti da fulmini, tempeste,
valanghe,
terremoti, ecco
che l'uomo per soffrire, e per far soffrire soprattutto - perché vorremmo solo
che gli altri
soffrissero, e
non noi, dei mezzi studiati per far soffrire - ecco che l'uomo escogita le armi
micidiali sempre
più tremende e le
durezze morali sempre più astute. Quante lacrime l'uomo trae all'uomo per
istigazione del
suo segreto re
che è Satana! Eppure in verità vi dico che queste lacrime non sono una
menomazione ma una
perfezione
dell'uomo. L'uomo è uno svagato bambino, è uno spensierato superficiale, è un
nato di tardivo
intelletto finché
il pianto non lo fa adulto, riflessivo, intelligente. Solo coloro che piangono,
o che hanno
pianto, sanno
amare e capire. Amare i fratelli ugualmente piangenti, capirli nei loro dolori,
aiutarli colla loro
bontà, esperta di
come fa male essere soli nel pianto. E sanno amare Dio perché hanno compreso
che tutto è
dolore fuorché
Dio, perché hanno compreso che il dolore si placa se pianto sul cuore di Dio,
perché hanno
compreso che il
pianto rassegnato che non spezza la fede, che non inaridisce la preghiera, che
è vergine di
ribellione, muta
natura, e da dolore diviene consolazione. Sì. Coloro che piangono amando il
Signore
saranno
consolati.
(4) Beato me se
avrò fame e sete di giustizia. Dal momento che nasce al momento che muore
l'uomo tende
avido al cibo.
Apre la bocca alla nascita per afferrare il capezzolo, apre le labbra per
inghiottire ristoro nelle
strette
dell'agonia. Lavora per nutrirsi. Fa della terra un enorme capezzolo dal quale
insaziabilmente succhia,
succhia per ciò
che muore. Ma che è l'uomo? Un animale? No, è un figlio di Dio. In esilio per
pochi o molti
anni. Ma non
cessa la sua vita col mutare della sua dimora. Vi è una vita nella vita così
come in una noce vi è
il gheriglio. Non
è il guscio la noce, ma è l'interno gheriglio che è la noce. Se seminate un
guscio di noce non
nasce nulla, ma
se seminate il guscio con la polpa nasce grande albero. Così è l'uomo. Non è la
carne che
diviene
immortale, è l'anima. E va nutrita per portarla all'immortalità, alla quale,
per amore, essa poi porterà
la carne nella
risurrezione beata. Nutrimento dell'anima è la Sapienza, è la Giustizia. Come
liquido e cibo
esse vengono
aspirate e corroborano, e più se ne gusta e più cresce la santa avidità del
possedere la Sapienza
e di conoscere la
Giustizia. Ma verrà pure un giorno in cui l'anima insaziabile di questa santa
fame sarà
saziata. Verrà.
Dio si darà al suo nato, se lo attaccherà direttamente al seno e il nato al
Paradiso si sazierà
della Madre
ammirabile che è Dio stesso, e non conoscerà mai più fame, ma si riposerà beato
sul seno
divino. Nessuna
scienza umana equivale a questa divina. La curiosità della mente può essere
appagata, ma la
necessità dello
spirito no. Anzi nella diversità del sapore lo spirito prova disgusto e torce
la bocca dall'amaro
capezzolo,
preferendo soffrire la fame all'empirsi di un cibo che non sia venuto da Dio.
Non abbiate timore, o
sitibondi, o
affamati di Dio! Siate fedeli e sarete saziati da Colui che vi ama.
(5) Beato me se
sarò misericordioso. Chi fra gli uomini può dire: "Io non ho bisogno di
misericordia "?
Nessuno. Ora se
anche nell'antica Legge è detto: "Occhio per occhio e dente per dente
", perché non deve
dirsi nella
nuova: " Chi sarà stato misericordioso troverà misericordia"? Tutti
hanno bisogno di perdono.
Ebbene, non è la
formula e la forma di un rito, figure esterne concesse per la opaca mentalità
umana, quelle
che ottengono
perdono. Ma è il rito interno dell'amore, ossia ancora della misericordia. Che
se fu imposto il
sacrificio di un
capro o di un agnello e l'offerta di qualche moneta, ciò fu fatto perché a base
di ogni male
ancora si trovano
sempre due radici: l'avidità e la superbia. L'avidità è punita con la spesa
dell'acquisto
dell'offerta, la
superbia con la palese confessione di quel rito: "Io celebro questo
sacrificio perché ho
peccato". E
fatto anche per precorrere i tempi e i segni dei tempi, e nel sangue che si sparge
è la figura del
Sangue che sarà
sparso per cancellare i peccati degli uomini. Beato dunque colui che sa essere
misericordioso
agli affamati, ai nudi, ai senza tetto, ai miseri delle ancor più grandi
miserie che sono quelle
del possedere
cattivi caratteri che fanno soffrire chi li ha e chi con loro convive. Abbiate
misericordia.
Perdonate,
compatite, soccorrete, istruite, sorreggete. Non chiudetevi in una torre di
cristallo dicendo: "Io
sono puro e non
scendo fra i peccatori" Non dite: "Io sono ricco e felice, e non
voglio udire le miserie altrui".
Badate che più
rapido di fumo dissipato da gran vento può dileguarsi la vostra ricchezza, la
vostra salute, il
vostro benessere
famigliare. E ricordate che il cristallo fa da lente, e ciò che mescolandovi
fra la folla
sarebbe passato
inosservato, mettendovi in una torre di cristallo, unici, separati, illuminati
da ogni parte, non
potete più
tenerlo nascosto. Misericordia per compiere un segreto, continuo, santo
sacrificio di espiazione e
ottenere
misericordia.
(6) Beato me se
sarò puro di cuore. Dio è Purezza. Il Paradiso è regno di Purezza. Niente di
impuro può
entrare in Cielo
dove è Dio. Perciò se sarete impuri non potrete entrare nel Regno di Dio. Ma,
oh! gioia!
Anticipata gioia
che il Padre concede ai figli! Colui che è puro ha dalla terra un principio di
Cielo, perché
Dio si curva sul
puro e l'uomo dalla terra vede il suo Dio. Non conosce sapore di amori umani,
ma gusta, fino
all'estasi, il
sapore dell'amore divino, e può dire: "Io sono con Te e Tu in me, onde io
ti possiedo e conosco
come sposo
amabilissimo dell'anima mia". E, credetelo, che chi ha Dio ha
inspiegabili, anche a se stesso,
mutamenti
sostanziali per cui diviene santo, sapiente, forte, e sul suo labbro fioriscono
parole, e i suoi atti
assumono potenze
che non sono, no, della creatura, ma di Dio che vive in essa. Cosa è la vita di
colui che
vede Dio?
Beatitudine. E vorreste privarvi di simile dono per fetide impurità?
(7) Beato me se
avrò spirito di pace. La pace è una delle caratteristiche di Dio. Dio non è che
nella pace.
Perché la pace è
amore, mentre la guerra è odio. Satana è Odio. Dio è Pace. Non può uno dirsi
figlio di Dio,
né può Dio dire
figlio suo un uomo se costui ha spirito irascibile sempre pronto a scatenare
tempeste. Non
solo. Ma neppure
può dirsi figlio di Dio colui che, pur non essendo di proprio scatenatore delle
stesse, non
contribuisce con
la sua grande pace a calmare le tempeste suscitate da altri. Colui che è
pacifico effonde la
pace anche senza
parole. Padrone di sé e, oso dire, padrone di Dio, egli lo porta come una
lampada porta il
suo lume, come un
incensiere sprigiona il suo profumo, come un otre porta il suo liquido, e si fa
luce fra le
nebbie fumiganti
dei rancori, e si purifica l'aria dai miasmi dei livori e si calmano le onde
infuriate delle liti,
per quest'olio
soave che è lo spirito di pace emanato dai figli di Dio. Fate che Dio e gli
uomini vi possano
chiamare così.
(8) Beato me se
sarò perseguitato per amore della giustizia. L'uomo è tanto insatanassato che
odia il bene
ovunque si trovi,
che odia il buono, quasi che chi è buono, anche se tace, lo accusi e rampogni.
Infatti la
bontà di uno fa
apparire ancor più nera la malvagità del malvagio. Infatti la fede del credente
vero fa apparire
ancora più viva
la ipocrisia del falso credente. Infatti non può non essere odiato dagli
ingiusti colui che col
suo modo di
vivere è un continuo testimoniare la giustizia. E allora, ecco, che si
infierisce sugli amanti della
giustizia. Anche
qui è come per le guerre. L'uomo progredisce nell'arte satanica del
perseguitare più che non
progredisca
nell'arte santa dell'amare. Ma non può che perseguitare ciò che ha breve vita.
L'eterno che è
nell'uomo sfugge
all'insidia, e anzi acquista una vitalità ancor più vigorosa dalla
persecuzione. La vita fugge
dalle ferite che
aprono le vene o per gli stenti che consumano il perseguitato. Ma il sangue fa
la porpora del
re futuro e gli
stenti sono tanti scalini per montare sui troni che il Padre ha preparato per i
suoi martiri, ai
quali sono
serbati i seggi regali del Regno dei Cieli.
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(9) Beato se sarò
oltraggiato e calunniato. Fate solo che di voi possa essere scritto il nome nei
libri celesti, là
dove non sono
segnati i nomi secondo le menzogne umane nel lodare i meno meritevoli di lode.
Ma dove
però, con
giustizia e amore, sono scritte le opere dei buoni per dare ad essi il premio
promesso ai benedetti
da Dio. Prima di
ora furono calunniati ed oltraggiati i Profeti. Ma quando si apriranno le porte
dei Cieli,
come imponenti
re, essi entreranno nella Città di Dio, e li inchineranno gli angeli, cantando
di gioia. Pure
voi, pure voi,
oltraggiati e calunniati per essere stati di Dio, avrete il trionfo celeste, e
quando il tempo sarà
finito e completo
sarà il Paradiso, ecco che allora ogni lacrima vi sarà cara, perché per essa
avrete
conquistato
questa gloria eterna che in nome del Padre Io vi prometto.
Andate. Domani vi
parlerò ancora. Restino ora solo i malati acciò li soccorra nelle loro pene. La
pace sia con
voi e la meditazione della salvezza,
attraverso all'amore, vi instradi sulla via la cui fine è il Cielo».