Vladimir
Sergeevic
SOLOVIEV
Il
racconto dell'anticristo
(1900)
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Il
Signor Z (legge)
C’era in questo
tempo, tra i credenti spiritualisti, un uomo ragguardevole -
molti lo chiamavano
superuomo -, il quale era lontano dall'infanzia della
mente e dall'infanzia
del cuore. Egli era ancor giovane, ma grazie al suo
genio eccelso a
trentatré anni godeva fama di grande pensatore, di scrittore
e di riformatore
sociale. Cosciente di possedere in sé una grande forza
spirituale, era
sempre stato un convinto spiritualista e la sua vivida
intelligenza gli
aveva sempre indicato la verità di ciò a cui si deve credere:
il bene. Dio, il
Messia. Egli credeva in ciò, ma non amava che se stesso.
Credeva in Dio, ma
nel fondo dell'anima involontariamente e senza
rendersene conto
preferiva se stesso a Lui. Credeva nel Bene, ma l'Occhio
dell'Eternità, che
vede tutto, sapeva che quest'uomo si sarebbe inchinato
davanti alla potenza
del male, appena appena questa riuscisse a
corromperlo, non con
l'inganno dei sentimenti e delle basse passioni e
nemmeno con la
suprema attrattiva del potere, ma solleticando il suo
smisurato amor
proprio. Del resto questo amor proprio non era ne un
istinto incosciente
ne una folle pretesa. A parte il suo talento eccezionale,
la sua bellezza e la
sua nobiltà, anche le altissime dimostrazioni di
moderazione, di
disinteresse e di attiva beneficenza, parevano giustificare a
sufficienza lo
sconfinato amor proprio che nutriva per sé il grande
spiritualista,
l'asceta, il filantropo. Se gli si rinfacciava di essere così in
abbondanza fornito di
doni divini, egli vi scorgeva i segni particolari di una
eccezionale
benevolenza dall'alto verso di lui e si considerava come
secondo dopo Dio, il
figlio di Dio, unico nel suo genere. In una parola egli
riconosceva in sé
quelle che erano le caratteristiche del Cristo. Ma la
coscienza della sua
alta dignità all'atto pratico non prendeva in lui l'aspetto
di un obbligo morale
verso Dio e il mondo, ma piuttosto l'aspetto di un
diritto e di una
superiorità in rapporto agli altri e soprattutto in rapporto al
Cristo. Ma non aveva
per Cristo una ostilità di principio. Gli riconosceva
l'importanza e la
dignità di Messia; però con tutta sincerità vedeva in lui
soltanto il suo
augusto precursore. Per quella mente ottenebrata dall'amor
proprio erano
inconcepibili l'azione morale del Cristo e la Sua assoluta
unicità. Egli
ragionava così: "Cristo è venuto prima di me; io mi manifesto
per secondo, ma ciò
che viene dopo in ordine di tempo, in natura è primo.
Io giungo ultimo alla
fine della storia precisamente perché sono il salvatore
perfetto, definitivo.
Quel Cristo è il mio precursore. La sua missione era di
precedere e preparare
la mia apparizione". E in base a quest'idea, il grande
uomo del secolo XXI
applicava a se tutto ciò che è detto nel Vangelo circa
il secondo avvento,
spiegando questo avvento non come il ritorno di Cristo
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stesso, ma come la
sostituzione del Cristo precursore col Cristo definitivo,
cioè se stesso.
In questo stadio
«l'uomo del futuro» si presenta ancora in modo ben
definito e originale.
Considerava il suo rapporto con Cristo alla stessa
guisa di Maometto, un
uomo retto che non si può accusare di nessuna
cattiva intenzione.
La preferenza piena
di amor proprio, che egli fa di se stesso nei
confronti del Cristo,
verrà giustificata da quest' uomo con un ragionamento
di questo genere: «Il
Cristo è stato il riformatore dell'umanità, predicando e
manifestando il bene
morale nella sua vita, io invece sono chiamato ad
essere il benefattore
di questa umanità, in parte emendata e in parte
incorreggibile. Darò
a tutti gli uomini ciò che è loro necessario. Il Cristo,
come moralista ha
diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li
unirò con i benefici
che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi.
Sarò il vero
rappresentante di quel Dio che fa sorgere il suo sole e per
buoni e per i cattivi
e distribuisce la pioggia sui giusti e sugli ingiusti. Il
Cristo ha portato la
spada, io porterò la pace. Egli ha minacciato alla terra
il terribile ultimo
giudizio. Però l'ultimo giudizio sarò io e il mio giudizio
non sarà solo un
giudizio di giustizia ma anche un giudizio di clemenza. Ci
sarà anche la
giustizia ma non una giustizia compensatrice bensì una
giustizia
distributiva. Opererò una distinzione fra tutti e a ciascuno darò ciò
che gli è necessario. [!!!!]
E in questa magnifica
disposizione, egli attende un chiaro appello di
Dio che lo chiami
all'opera della nuova salvezza dell'umanità, una
testimonianza palese
e sorprendente che lo dichiari il figlio maggiore, il
primogenito diletto
da Dio. Attende e nutre il suo amor proprio con la
coscienza delle
proprie virtù e delle proprie doti sovraumane; infatti egli è,
come si dice, un uomo
di una moralità irreprensibile e di un genio
straordinario.
Questo giusto, pieno
di orgoglio, attende la suprema sanzione per
cominciare la propria
missione che porterà alla salvezza del l'umanità, ma
è stanco di
aspettare. Ha già compiuto trent'anni e altri tre anni trascorrono.
Ed ecco gli balena
nella mente un pensiero e con un brivido ardente gli
penetra fino al
midollo delle ossa: «E se?... E se non fossi io, ma
quell'altro... Il
Galileo... S'egli non fosse il mio precursore, ma il vero
primo ed ultimo? Però
in tal caso dovrebbe essere vivente... Dov'è dunque
Lui?... Se a un
tratto mi venisse incontro... in questo momento, qui... Che
Gli direi? Dovrei
inchinarmi davanti a lui come l'ultimo cristiano
scimunito e
borbottare stupidamente come un qualsiasi cittadino russo:
"Signore Gesù
Cristo abbi pietà di me peccatore", oppure prostrarmi a terra
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come una donnetta
polacca? Io che sono un genio luminoso, il superuomo.
No, mai! ». E a
questo punto al posto dell'antico ragionevole e freddo
rispetto per Dio e
per il Cristo, germoglia e si sviluppa nel suo cuore
dapprima una specie
di timore e poi l'invidia ardente che opprime e contrae
tutto il suo essere;
infine l'odio furioso si impadronisce della sua anima.
«Sono io, io, non
Lui! Lui non è tra i viventi e non lo sarà mai. Non è
risorto, non è
risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro,
come l'ultima...».
Con la schiuma alla
bocca, a balzi convulsi, si lancia fuori dalla sua
casa e dal suo
giardino e fugge nella notte fonda e buia per un sentiero
roccioso... Si placa
il suo furore e ad esso succede una disperazione arida e
pesante come quelle
rocce, oscura come quella notte. S'arresta sull'orlo di
un precipizio che
cade a picco e ode di lontano il confuso fragore di un
torrente che scorre
in basso fra le rocce. Un'angoscia intollerabile gli
opprime il cuore. A
un tratto qualcosa si agita dentro di lui. «Lo chiamerò
per chiedergli ciò
che debbo fare?». E nell'oscurità gli appare un volto
dolce e triste. «Egli
ha compassione di me... No, mai! Non è risorto, non è
risorto! ». E si
getta nell'abisso. Ma qualche cosa di elastico come una
colonna d'acqua, lo
trattiene sospeso nell'aria, egli si sente sconvolto come
da una scossa
elettrica, e una forza arcana lo ributta indietro. Per un istante
perde la conoscenza e
si risveglia, in ginocchio a qualche passo dal
precipizio. Davanti a
lui si stagliava una figura avvolta in un nebuloso
nimbo fosforescente e
due occhi gli trapassavano l'anima con un sottile
insopportabile
bagliore...
Vede quei due occhi
penetranti e senza darsi conto se provenga dal
suo intimo o
dall'esterno ode una strana voce sorda, perfettamente
contenuta e nello
stesso tempo netta, metallica e priva affatto di anima
come quella di un
fonografo. E questa voce gli dice: «Mio amato figlio, in
te è riposto tutto il
mio affetto... Perché non sei ricorso a me? Perché hai
onorato l'altro, il
cattivo e il padre suo! Io sono dio e padre tuo. Ma quel
mendicante, il
crocifisso è estraneo a me e a te. Non ho altri figli all'infuori
di te. Tu sei l'unico,
il solo generato, uguale a me. Io ti amo e non esigo
nulla da te. Così tu
sei bello, grande, possente. Compi la tua opera nel tuo
nome e non nel mio.
Io non provo invidia nei tuoi confronti.
Ti amo e non richiedo
nulla da parte tua. L'altro, colui che tu consideravi
come dio, ha preteso
dal suo figlio obbedienza e una obbedienza illimitata
fino alla morte di
croce e sulla croce lui non lo ha soccorso. Io non esigo
nulla da te, ma
parimenti ti aiuterò. Per amor tuo, per il tuo merito, per la
tua eccellenza e per
il mio amore puro e disinteressato verso di te, io ti
aiuterò. Ricevi il
mio spirito. Come prima il mio spirito ti ha generato nella
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bellezza, così ora ti
genera nella forza». A queste parole dello sconosciuto,
le labbra del
superuomo si sono involontariamente socchiuse, due occhi
penetranti si sono
accostati vicinissimi al suo volto ed ha provato la
sensazione come se un
getto pungente e ghiacciato penetrasse in lui e
riempisse tutto il
suo essere. E nel medesimo tempo si è sentito pervaso da
una forza inaudita,
da un vigore, da una agilità e da un entusiasmo mai
provati. In quello
stesso istante sono scomparsi a un tratto il fantasma
luminoso e i due
occhi e qualcosa ha sollevato il superuomo sopra la terra
e d'un colpo lo ha
deposto nel suo giardino.
Il giorno dopo, non
solo i visitatori del grande uomo, ma perfino i
servitori furono
stupiti per il suo aspetto particolare, quasi ispirato. Ma
sarebbero rimasti
ancora più colpiti se avessero potuto vedere con quale
rapidità e facilità
soprannaturali, rinchiuso nel suo studio, egli scriveva la
sua celebre opera La
via aperta verso la pace e la prosperità universale.
I precedenti libri e
l'azione sociale del superuomo avevano
incontrato dei severi
critici, ancorché essi fossero per la maggior parte
soprattutto religiosi
e perciò privi di qualsiasi autorità; infatti quello di cui
parlo è il tempo
dell'Anticristo. E così, pochi erano stati coloro che
avevano potuto
ascoltare questi critici, quando indicavano in tutti gli scritti
e in tutti i discorsi
«dell'uomo del futuro» i segni di un amor proprio
assolutamente intenso
ed eccezionale ed esprimevano dubbi di fronte
all'assenza di una
vera semplicità, di rettitudine e di bontà di cuore.
Ma con questa sua
nuova opera egli riuscì ad attirare a sé perfino alcuni
che in precedenza
erano stati suoi critici ed avversari. Questo libro, scritto
dopo l'avventura
dell'abisso, manifesta in lui la potenza di un genio senza
precedenti. È
qualcosa che abbraccia insieme e mette d'accordo tutte le
contraddizioni. Vi si
uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli
antichi con un vaste
e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e
politiche, uni
sconfinata libertà di pensiero con la più profonda
comprensione di tutto
ciò che è mistico, l'assoluto individualismo con una
ardente dedizione al
bene comune, il più elevato idealismo in fatte di
principi direttivi
con la precisione completa e la vitalità delle soluzioni
pratiche. Tutto
questo risultava così unito e legato insieme con tale
genialità d'arte che
ogni singolo pensatore, ogni uomo d'azione, poteva
facilmente scorgere
ed accettare l'insieme soltanto sotto l'angolo
particolare del
proprio personale punto di vista. E questo senza nulla
sacrificare della
verità in se stessa, senza elevarsi per essa effettivamente al
di sopra del proprio
io, senza assolutamente rinunciare di fatto al loro
esclusivismo, senza
nulla correggere circa gli errori di opinione o di
tendenza, senza
colmare per nulla possibili lacune. Questo libro
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meraviglioso è subito
tradotto nelle lingue di tutte le nazioni progredite e
anche il alcune di
quelle arretrate. Per un anno intero, in tutte le parti del
mondo, migliaia di
giornali sono pieni zeppi della pubblicità degli editori e
dell'entusiasmo dei
critici. Edizioni economiche, col ritratto dell'autore, si
diffondono a milioni
di esemplari e l'intero mondo civile (a quell'epoca
cioè quasi tutto il
globo terrestre) si riempie della gloria dell'uomo
incomparabile,
grande, unico! Nessuno osa ribattere a questo libro che
appare a ciascuno
come rivelazione della verità integrale. Tutto il passato
vi è trattato con
così perfetta giustizia, tutto il presente apprezzato con
tanta imparzialità,
sotto tutti gli aspetti e il futuro migliore è accostato in
modo così evidente e
palpabile, che ciascuno dice: «Ecco qui ciò di cui
abbiamo bisogno; ecco
un ideale che non è utopia, ecco un progetto che
non è una chimera». E
il prodigioso scrittore non se lo trascina tutti, ma
ognuno lo trova
gradevole e in tal modo si compie la parola del Cristo.
«Sono venuto nel nome
del Padre mio e voi non mi accoglierete, un
altro verrà nel suo
proprio nome e voi l'accoglierete». Infatti per essere
accolto bisogna
essere piacevole.
Veramente alcune pie
persone, pur lodando con calore il libro, si
stanno a domandare
perché mai non vi sia nominato nemmeno una volta il
Cristo, ma altri
cristiani ribattono: «Sia lodato Iddio! Nei secoli passati
tutte le cose sacre
sono state rese logore da ogni sorta di zelatori senza
vocazione ed ora uno
scrittore profondamente religioso deve essere molto
circospetto. E visto
che il contenuto del libro è permeato dal vero spirito
cristiano, dall'amore
attivo e dalla benevolenza universale, che volete
ancora?».
Questa risposta fa
tornare l'accordo fra tutti. Poco dopo la
pubblicazione della V
i a a p e r t a , che fece del suo autore l'uomo più
popolare che fosse
mai comparso al mondo, si doveva tenere a Berlino
l'assemblea
costituente internazionale dell'Unione degli Stati Uniti
d'Europa. Questa
Unione, istituita dopo una serie di guerre esterne ed
interne, collegate
con la liberazione dal giogo dei Mongoli e che aveva
mutato in modo
considerevole la carta dell'Europa, questa Unione era
esposta al pericolo
di uno scontro, ora non più tra le nazioni, ma tra i partiti
politici e sociali. I
reggitori della politica generale europea, appartenenti
alla potente
confraternita dei framassoni, si rendevano conto della carenza
di una autorità
generale esecutiva. Raggiunta al prezzo di tanta fatica,
l'Unione europea era
ad ogni istante sul punto di disgregarsi. Nel consiglio
dell'Unione o
tribunale universale (Comité permanent universel) non si era
raggiunta
l'unanimità, perché i veri massoni, votati alla causa, non erano
riusciti a impadronirsi
di tutti i seggi. I membri indipendenti del Comitato
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stringevano fra loro
degli accordi separati e questo fatto prospettava la
minaccia di una nuova
guerra. Allora gli «adepti» decisero di rimettere il
potere esecutivo
nelle mani di una sola persona, munita dei pieni poteri
necessari. Il
principale candidato era un membro segreto dell'ordine,
«l'uomo del futuro».
Era l'unica personalità che godesse di una rinomanza
universale. Era per
professione scienziato nel ramo della balistica e per
posizione sociale un
ricco capitalista; per questo aveva potuto annodare
ovunque amichevoli
relazioni con uomini appartenenti alla finanza e
all'esercito. In
altri tempi meno civili si sarebbe levata contro di lui la
circostanza che la
sua origine era coperta da una densa nube di incertezza.
Sua madre, donna di
facili costumi, era largamente nota in tutti e due gli
emisferi, e troppi
uomini di diverse condizioni avevano uguale motivo di
ritenerlo loro
figlio. Queste circostanze non potevano certo avere alcuna
importanza in un
secolo così progredito che perfino gli era toccato in sorte
di essere l'ultimo. L’uomo
del futuro fu eletto presidente a vita degli Stati
Uniti d'Europa con la
quasi unanimità di suffragi e, quando comparve alla
tribuna in tutto lo
splendore della sua sovrumana giovanile bellezza e della
sua forza e con
eloquenza ispirata espose il suo programma universale,
l'assemblea sedotta
ed affascinata, in uno slancio di entusiasmo, decise di
conferirgli senza
votazione l'onore supremo: il titolo di imperatore romano.
Il congresso si
chiuse fra il tripudio generale e il grande eletto emanò un
proclama che
cominciava così: «Popoli della terra! Vi do la mia pace! » e
terminava con queste
parole: «Popoli della terra! Si sono compiute le
promesse! L'eterna
pace universale è assicurata! Ogni tentativo di turbarla
incontrerà
immediatamente una insuperabile resistenza. Giacché d'ora in
poi c'è sulla terra
una potenza centrale più forte di tutte le altre potenze, sia
prese separatamente
che prese insieme. Questa potenza, che nulla può
vincere e che prevale
su tutti, appartiene a me il plenipotenziario, l'eletto
dell'Europa,
l'imperatore di tutte le sue forze. Il diritto internazionale
possiede finalmente
quella sanzione che fino adesso gli mancava. E d'ora
innanzi nessuna
potenza oserà dire: guerra, quando io dico: pace. Popoli
della terra, la pace
sia con voi! ». Questo manifesto produsse l'effetto
desiderato. Ovunque
fuori dell'Europa, specialmente in America, sorsero
dei forti partiti
fautori dell'impero che costrinsero i loro governi ad unirsi, a
condizioni diverse,
con gli Stati Uniti di Europa, sotto l'autorità suprema
dell'imperatore
romano. Qua e là in Asia e in Africa rimanevano ancora
delle tribù e dei
sovrani indipendenti. L'imperatore, con un esercito poco
numeroso, ma scelto,
formato da truppe russe, tedesche, polacche,
ungheresi e turche,
compie una passeggiata militare dall'Asia orientale fino
al Marocco e senza
grande spargimento di sangue sottomette tutti i
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recalcitranti. In
tutte le regioni di queste due parti del mondo, egli nomina
dei governatori,
presi tra i magnati indigeni educati all'europea e a lui
devoti. In tutti i
paesi pagani, la popolazione, abbagliata ed affascinata, ne
fa una divinità
superiore. In un anno egli fonda la monarchia universale nel
senso vero e proprio
della parola. I germi della guerra vengono estirpati fin
dalla radice. La lega
universale della pace si riunisce per l'ultima volta,
pronuncia un
entusiastico panegirico per il grande fondatore della pace e
poi si scioglie, non
avendo più ragione di esistere. Nel secondo anno di
regno, l'imperatore
romano e universale emette un nuovo proclama:
«Popoli della terra!
Io vi ho promesso la pace e ve l'ho data. Ma la pace è
bella soltanto con la
prosperità. Colui che nella pace è minacciato dai mali
della miseria non ha
che una pace senza gioia. Venite dunque ora a me tutti
voi che avete fame e
freddo che io vi sazierò e vi riscalderò». E poi
annuncia la semplice
e completa riforma sociale che aveva già tracciata nel
suo libro e aveva
ormai affascinato tutti gli spiriti nobili e sensati. Ora
grazie alla
concentrazione nelle sue mani di tutte le finanze del mondo e di
colossali proprietà
fondiarie, egli poté realizzare questa riforma, venendo
incontro ai desideri
dei poveri, senza scontentare in modo sensibile i ricchi.
Ciascuno cominciò a
ricevere secondo le sue capacità.
Il nuovo padrone
della terra era anzitutto un filantropo, pieno di
compassione e non
solo amico degli uomini, ma anche amico degli
animali.
Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i
mattatoi a una severa
sorveglianza; le società protettrici degli animali
furono da lui
incoraggiate in tutti i modi. La più importante di queste sue
opere fu la solida
instaurazione in tutta l'umanità dell'uguaglianza che
risulta essere la più
essenziale: l'uguaglianza della sazietà generale. Questo
evento si compì nel
secondo anno del suo regno. La questione sociale,
economica, fu
definitivamente risolta. Ma se la sazietà costituisce il primo
interesse per chi ha
fame, per quelli che sono sazi sorge il desiderio di
qualche cosa d'altro.
Perfino gli animali,
quando sono sazi, vogliono di solito dormire, ma
anche divertirsi.
Tanto più l'umanità, che sempre post panem ha reclamato
circenses,
L'imperatore-superuomo
comprende bene che cosa occorre per le
moltitudini a lui
sottoposte. In quel tempo giunge in Roma a lui
dall'Estremo Oriente
un grande operatore di miracoli, circondato da una
fitta nube di strane
avventure e di bizzarri racconti fiabeschi.
Questo operatore di
miracoli si chiamava Apollonio; era senza alcun
dubbio un uomo di
genio, metà asiatico metà europeo, vescovo cattolico in
partibus
infidelium, riuniva in sé in modo meraviglioso il possesso delle
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conclusioni più
recenti e delle applicazioni tecniche della scienza
occidentale, con la
conoscenza e la capacità di servirsi di tutto ciò che è
veramente fondato e
importante nel misticismo dell'Oriente. Strabilianti
saranno i risultati
di una combinazione di tal genere! Apollonio giunge fra
l'altro all'arte
mezzo scientifica e mezzo magica di captare e di guidare a
propria volontà
l'elettricità dell'atmosfera, e fra il popolo si dice che egli fa
discendere il fuoco
dal cielo. Del resto, pur colpendo l'immaginazione
della folla con
svariati inauditi prodigi, non è sceso ancora ad abusare della
propria potenza per
scopi particolari. Così ecco che quest'uomo viene
incontro al grande
imperatore, lo saluta chiamandolo vero figlio di Dio; e
gli dichiara di aver
trovato nei libri segreti dell'Oriente predizioni che
designano
direttamente lui, l'imperatore, come ultimo salvatore che
giudicherà l'universo
e propone di mettere al suo servizio la propria
persona e tutta la
propria arte. Affascinato, l'imperatore lo accoglie come
un dono del cielo e,
dopo averlo decorato con titoli fastosi, non si separerà
mai più da lui. E
così i popoli della terra, colmati di benefici dal loro
signore, ottengono,
oltre la pace universale e la generale sazietà, anche la
possibilità di
dilettarsi costantemente con i prodigi e le apparizioni più
sorprendenti. Intanto
finisce il terzo anno di regno del superuomo.
Dopo la felice
soluzione del problema politico e sociale, viene alla
ribalta la questione
religiosa. Fu lo stesso imperatore a sollevarla,
affrontandola
anzitutto nei suoi rapporti col cristianesimo. Questa era la
situazione del
cristianesimo in quel tempo. Nonostante una fortissima
diminuzione del
numero dei suoi fedeli - su tutto il globo terrestre non
rimanevano più di
quarantacinque milioni di cristiani - esso si era elevato e
reso più compatto
moralmente, guadagnando in qualità ciò che aveva
perduto in numero.
Non si contavano ormai fra i cristiani degli individui
che non avessero più
per il cristianesimo alcun interesse spirituale. Le
diverse confessioni
religiose avevano subito una diminuzione abbastanza
similare nel numero
dei fedeli, cosicché si era approssimativamente
mantenuta fra di esse
la stessa proporzione numerica di prima; per quanto
concerne i loro
sentimenti reciproci, anche se all'inimicizia non era
subentrato un
ravvicinamento completo, quella si era notevolmente
addolcita e le
opposizioni avevano perduto la loro primitiva asprezza. Il
Papato da tempo era stato
scacciato da Roma e dopo lunghe peregrinazioni
aveva trovato un
asilo a Pietroburgo, alla condizione di non svolgere
propaganda nella
città e nell'interno del paese. Il Papato si era
notevolmente
semplificato in Russia. Senza modificare nella sostanza il
rigoroso ordinamento
dei suoi collegi e dei suoi uffici, aveva dovuto
rendere maggiormente
spirituale il carattere della loro attività e similmente
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ridurre al minimo la
fastosità del suo rituale e delle sue cerimonie. Molte
costumanze strane ed
allettanti, anche se non erano state abolite
formalmente, andarono
in disuso da sé. In tutti gli altri paesi, specialmente
nell'America del
Nord, la gerarchia cattolica possedeva ancora molti
rappresentanti di
forte volontà, di infaticabile energia e in una posizione
indipendente: questi
con maggior forza di prima stringevano in pugno
l'unità della Chiesa
cattolica e le conservavano il suo carattere
internazionale
cosmopolita. Per quanto concerne il protestantesimo, in
testa al quale
continuava a mantenersi la Germania, specie dopo che una
parte considerevole
della Chiesa anglicana si era riunita alla Chiesa
cattolica, esso si
era sbarazzato delle sue tendenze negatrici estreme, i cui
sostenitori erano
passati apertamente all'indifferentismo religioso e
all'incredulità.
Nella Chiesa evangelica erano rimasti soltanto i sinceri
credenti, in testa ai
quali stavano uomini che riunivano in sé una vasta
dottrina insieme ad
una profonda religiosità e che sempre più rafforzavano
in sé l'aspirazione a
riprodurre in se stessi la viva immagine del vero
cristianesimo
primitivo. L'ortodossia russa, dopo che gli avvenimenti
politici avevano
mutato la posizione ufficiale della Chiesa, aveva perduto
molti milioni di
sedicenti fedeli, adepti solo di nome; in compenso provava
la gioia di essere
unita alla parte migliore dei vecchi credenti e perfino ai
seguaci di molte
sette animate da uno spirito religioso positivo. Questa
Chiesa rinnovata,
senza aumentare di numero, prese a sviluppare le sue
forze spirituali, che
manifestava in particolar modo nella sua lotta interna
contro le sette
estremiste che si erano moltiplicate tra il popolo e nella
società e non esenti
da elementi demoniaci e satanici.
Durante i primi due
anni del nuovo regime, tutti i cristiani ancora
impauriti e stanchi
dalla serie di guerre e rivoluzioni precedenti,
dimostravano, nei
riguardi del nuovo sovrano e delle sue pacifiche riforme,
in parte una benevola
aspettativa, in parte una decisa simpatia e perfino un
ardente entusiasmo.
Ma, al terzo anno, con la comparsa del grande mago,
molti, ortodossi,
cattolici ed evangelici, cominciarono a provare serie
apprensioni e
antipatie. Ci si pose a leggere con maggiore attenzione e a
commentare con più
vivacità i testi evangelici e apostolici che parlavano
del principe di
questo mondo e dell'Anticristo. L'imperatore, subodorando
da certi indizi che
si stava addensando una tempesta, decise di mettere le
cose in chiaro al più
presto. Al principio del quarto anno di regno, egli
pubblicò un manifesto
indirizzato a tutti i fedeli cristiani di ogni
confessione,
invitandoli a scegliere o nominare dei rappresentanti muniti di
pieni poteri, in
vista di un concilio ecumenico da tenere sotto la sua
presidenza. La
residenza imperiale a quel tempo era stata trasferita da
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Roma a Gerusalemme.
La Palestina era allora una provincia autonoma,
abitata e governata
in prevalenza da Ebrei. Gerusalemme era una città
libera diventata in
seguito città imperiale. I luoghi sacri ai cristiani erano
rimasti intatti; ma
sulla vasta piattaforma di Haram-es-Scerif, partendo da
Birket-Israin e
dall'attuale caserma da un lato fino alla moschea di El-Aksa
e alle «Scuderie di
Salomone» dall'altro lato, s'innalzava un enorme
edificio che
comprendeva oltre a due piccole moschee antiche, uno
spazioso «tempio»
imperiale, destinato all'unione di tutti i culti, due fastosi
palazzi imperiali con
biblioteche, musei e dei locali particolari per
esperimenti ed
esercizi di magia. In questo edificio mezzo tempio e mezzo
palazzo, doveva
aprirsi, alla data del 14 settembre, il concilio ecumenico.
Poiché la confessione
evangelica non ha clero nel vero senso della parola, i
prelati cattolici e
ortodossi, per dare, conforme al desiderio dell'imperatore,
una certa omogeneità
alla rappresentanza di tutte le confessioni della
cristianità, decisero
di permettere che partecipasse al concilio un certo
numero di laici, noti
per la loro pietà e la loro dedizione agli interessi della
Chiesa; e una volta
ammessi i laici non si poteva escludere il basso clero,
secolare e regolare.
In tal modo il numero complessivo dei mèmbri del
concilio superò i
tremila, ma circa mezzo milione di pellegrini cristiani
invase Gerusalemme e
tutta la Palestina. Fra i mèmbri del concilio tre
erano posti in
particolare evidenza.
In primo luogo il
papa Pietro II che stava per diritto a capo della
sezione cattolica del
concilio. Il suo predecessore era morto mentre era in
viaggio per recarsi
al concilio e il conclave, riunitesi a Damasco, aveva
eletto all'unanimità
il cardinale Simone Barionini che aveva assunto il
nome di Pietro II.
Proveniva da una povera famiglia della provincia di
Napoli ed era
diventato famoso come predicatore dell'ordine dei
Carmelitani e inoltre
per aver reso grandi servizi nella lotta contro una setta
satanica, che si era
affermata a Pietroburgo e nei suoi dintorni pervertendo
non solo gli
ortodossi ma anche i cattolici. Divenuto arcivescovo di
Moghilev e in seguito
fatto cardinale, era già in anticipo designato alla
tiara. Era un uomo di
cinquant'anni di media statura, di costituzione
robusta, di colorito
rosso, naso adunco, folte sopracciglia. Era ardente e
impetuoso, parlava
con foga con ampi gesti e trascinava, più che non li
persuadesse, i suoi
uditori. Verso il padrone del mondo, il nuovo Papa
dimostrava diffidenza
e antipatia, specie dopo il fatto che il defunto
pontefice, mentre si
recava al concilio, aveva ceduto alle insistenze
dell'imperatore e
aveva nominato cardinale l'esotico vescovo Apollonio,
già cancelliere imperiale
e gran mago universale, che Pietro riteneva
dubbio cattolico, ma
autentico impostore. Capo effettivo degli ortodossi,
12
benché in forma non
ufficiale era lo starets Giovanni assai noto fra il
popolo russo. Benché
figurasse ufficialmente come vescovo «a riposo»
egli non viveva in
nessun monastero e andava sempre m giro da tutte le
parti. Sul suo conto
correvano varie leggende. Alcuni assicuravano che era
Fjodor Kuzmic
risorto, vale a dire l'imperatore Alessandro morto circa tre
secoli prima. Altri andavano
più avanti e affermavano che egli era il vero
starets
Giovanni, cioè l'apostolo Giovanni il Teologo che non era mai
morto e si era
manifestato apertamente negli ultimi tempi. Da parte sua egli
non diceva nulla
circa la sua origine e circa la sua giovinezza. Era adesso
un vecchio di molti
anni ma aitante, con la canizie dei capelli ricciuti e
della barba che
tirava ad una tinta giallastra e perfino verde; era di statura
alta e corpo magro,
ma aveva guance piene e leggermente rosee occhi vivi
e scintillanti e
un'espressione dolcemente bonaria ne!la faccia e nel modo
di parlare; portava
sempre una tunica bianca e un candido mantello. A capo
della delegazione
evangelica del concilio stava l'eruditissimo teologo
tedesco, professor
Ernst Pauli. Era un vecchietto di bassa statura, asciutto,
con fronte spaziosa
naso aguzzo, mento rasato e liscio. I suoi occhi
brillavano di una
particolare fiera bonomia. Ad ogni momento si
stropicciava le mani,
scuoteva la testa, aggrottava le ciglia in modo
terribile e spingeva
'in avanti le labbra; intanto con occhi sfavillanti
pronunciava con voce
cupa dei suoi interrotti: «So! Nun! Ja! So also!».
Indossava l'abito di
cerimonia: cravatta bianca, e lunga redingote da
pastore con alcune
decorazioni.
L'apertura del
concilio fu imponente. Per due terzi dell'immenso
tempio consacrato
«all'unione di tutti i culti» erano disposte panche e altri
sedili per i mèmbri
del concilio, l'altro terzo era occupato da un alto palco,
dove oltre al trono
dell'imperatore e ad un altro un po' più basso destinato
al gran mago - egli
era infatti cardinale cancelliere imperiale - si trovavano
più indietro file di
poltrone riservate ai ministri, ai dignitari di corte e ai
segretari di Stato.
Ai lati c'erano ancor più lunghe file di poltrone di cui
non si conosceva la
destinazione. Nelle tribune si trovavano delle orchestre
di musicanti e nella
piazza vicina erano schierati due reggimenti della
guardia e una
batteria per le salve d'onore. I membri del concilio avevano
già celebrato i loro
servizi divini nelle varie chiese in quanto l'apertura del
concilio doveva avere
un carattere completamente laico. Quando
l'imperatore fece il
suo ingresso insieme al gran mago ed al seguito, e
l'orchestra attaccò “la
marcia dell’umanità unita” che serviva da inno
imperiale e
internazionale, tutti i membri del concilio si alzarono in piedi e
agitando i loro
cappelli gridarono tre volte a gran voce: «Vivat! Urrah!
Hoch!».
L'imperatore, ritto in piedi accanto al trono, tese il braccio con
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maestosa affabilità e
disse con voce sonora e gradevole: «Cristiani di tutte
le confessioni! Miei
amatissimi sudditi e fratelli! Fin dagli inizi del mio
regno, che
l'Altissimo ha benedetto con opere così meravigliose e gloriose,
non una volta ho avuto
motivo di essere scontento di voi; voi avete sempre
fatto il vostro
dovere secondo fede e coscienza. Ma questo per me non
basta. Il sincero
amore ch'io provo per voi, fratelli amatissimi, anela di
essere ricambiato.
Voglio che non per senso di dovere, ma per un
sentimento di amore
che viene dal cuore, voi mi riconosciate per vostro
vero capo, in ogni
azione intrapresa per il bene dell'umanità. E così oltre
alle cose che faccio
per tutti, vorrei darvi un segno di particolare
benevolenza.
Cristiani, come potrei io rendervi felici? Che posso darvi non
come miei sudditi, ma
come miei correligionari, miei fratelli? Cristiani!
Ditemi ciò che vi sta
più a cuore nel cristianesimo affinché io possa
dirigere i miei
sforzi in questa direzione». Egli si arrestò ed attese. Nel
tempio correva un
brusio soffocato. I mèmbri del concilio bisbigliavano tra
loro. Papa Pietro,
gesticolando con calore, spiegava qualcosa a quelli che
gli stavano attorno.
Il professor Pauli scuoteva la testa e faceva schioccare
le labbra con accanimento.
Lo starets Giovanni, piegandosi verso un
vescovo d'Oriente e
un cappuccino, suggeriva loro qualcosa con voce
sommessa. Dopo aver
atteso qualche minuto, l'imperatore si rivolse di
nuovo al concilio con
lo stesso tono affabile di prima, ma in cui risonava
appena
un'impercettibile nota di ironia: «Cari cristiani, disse, comprendo
come vi riesca
difficile darmi una risposta diretta. Voglio darvi una mano.
Disgraziatamente da
tempo così immemorabile voi vi siete frazionati in
sette e partiti
diversi che forse tra voi non c'è nemmeno un argomento che
susciti la vostra
comune simpatia. Ma se non siete capaci di mettervi
d'accordo tra voi,
spero di mettere d'accordo io tutte le parti, dimostrando a
tutti il medesimo
amore e la medesima sollecitudine per soddisfare la vera
aspirazione di
ciascuno. Cari cristiani! So che molti fra voi, e non gli
ultimi, hanno più
caro di tutto nel cristianesimo quell'autorità spirituale che
esso da ai suoi
legittimi rappresentanti e non per loro particolare vantaggio,
ma senza dubbio per
il bene comune, poiché su questa autorità si basa il
giusto ordine
spirituale, nonché la disciplina morale, indispensabile per
tutti. Cari fratelli
cattolici! Oh, come capisco il vostro modo di vedere e
come vorrei
appoggiare la mia potenza sull'autorità del vostro capo
spirituale! E perché
non crediate che si tratti di lusinghe e di vane parole,
noi dichiariamo
solennemente: per nostra autocratica volontà, il vescovo
supremo di tutti i
cattolici, il papa romano, da questo momento è
reintegrato nel suo
seggio di Roma, con tutti i diritti e le prerogative di un
tempo, inerenti a
questa condizione e a questa cattedra e che un giorno gli
14
furono conferiti dai
nostri predecessori a cominciare da Costantino il
Grande. Ma per
questo, fratelli cattolici, voglio soltanto che dall'intimo del
cuore riconosciate in
me il vostro unico difensore ed unico protettore.
Coloro che per
coscienza e sentimento mi riconoscono tale vengano qui
vicino a me». E
indicava i posti vuoti sul palco. Con esclamazioni di gioia
- «Gratis agimus!
Domine! salvum fac magnum imperatorem» - quasi tutti
i principi della
Chiesa cattolica, cardinali e vescovi, la maggior parte dei
credenti laici e più
della metà dei monaci salirono sul palco e dopo essersi
profondamente
inchinati davanti all'imperatore, andarono ad occupare le
poltrone loro
destinate. Ma giù, in mezzo all'assemblea, diritto e immobile
come una statua di
marmo, il papa Pietro II rimase al suo posto. Tutti
coloro che prima gli
stavano intorno ora si trovavano sul palco. Allora la
schiera ormai
diradata dei monaci e dei laici, che era rimasta in basso, si
spostò e si strinse
attorno a lui in un anello serrato da cui si udiva un
mormorio contenuto: «Non
praevalebunt, non praevalebunt portae inferi»
Guardando con
sorpresa il papa immobile, l'imperatore alzò di nuovo la
voce: «Cari fratelli!
So che fra voi ci sono di quelli per i quali le cose più
preziose del
cristianesimo sono la sua santa tradizione, i vecchi simboli, i
cantici e le
preghiere antiche, le icone e le cerimonie del culto. E in realtà
che cosa vi può
essere di più prezioso di questo per un'anima religiosa?
Sappiate dunque, miei
diletti, che oggi ho firmato lo statuto e fissata la
dotazione di larghi
mezzi per il museo universale dell'archeologia cristiana
che verrà fondato
nella nostra gloriosa città imperiale di Costantinopoli,
con lo scopo di
raccogliere, studiare e conservare tutti i monumenti
dell'antichità
ecclesiastica, principalmente quelli della Chiesa orientale; vi
prego poi che domani
eleggiate fra voi una commissione con l'incarico di
studiare con me le
misure da prendere per riavvicinare, quanto più
possibile, i costumi
e le usanze della vita attuale, alla tradizione e alle
istituzioni della
Santa Chiesa Ortodossa! Fratelli ortodossi! quelli che
hanno in cuore questa
mia volontà, quelli che per intimo sentimento mi
possono chiamare loro
vero capo e signore vengano qui sopra». E la
maggior parte dei
prelati dell'Oriente e del Nord, la metà dei vecchi
credenti e più della
metà dei preti, dei monaci e dei laici ortodossi salirono
sul palco e con grida
di gioia, dando uno sguardo di sfuggita ai cattolici
che già vi stavano assisi
con aria di importanza. Ma lo starets Giovanni
non si mosse e diede
un forte sospiro. E quando la folla attorno a lui si fu
alquanto diradata,
lasciò il suo banco e andò a sedersi vicino a papa Pietro
e al suo gruppo.
Dietro di lui si avviarono anche tutti gli altri ortodossi che
non erano saliti sul
palco. L'imperatore prese di nuovo a parlare: «Mi sono
noti fra voi, cari
cristiani, anche coloro che nel cristianesimo apprezzano
15
più di tutto la personale
sicurezza in fatto di verità e la libera ricerca
riguardo alla
Scrittura. Non occorre che mi diffonda su quello che ne penso
io. Voi sapete forse
che fin dalla mia prima giovinezza ho scritto sulla
critica biblica una
voluminosa opera, che a quel tempo ha fatto un certo
rumore e ha dato
inizio alla mia notorietà. Ed ecco che probabilmente in
ricordo di questo
fatto l'università di Tubinga in questi giorni mi ha rivolto
la richiesta di
accettare la sua laurea ad honorem di dottore in teologia. Ho
ordinato di
rispondere che accettavo con gioia e gratitudine. E oggi,
insieme al decreto
per la fondazione del museo d'archeologia cristiana, ho
firmato quello per la
creazione di un istituto universale per la libera ricerca
sulla Sacra Scrittura
in tutte le sue parti e da tutti i punti di vista, nonché
per lo studio di
tutte le scienze ausiliarie, con un bilancio annuale di un
milione e mezzo di
marchi. Quelli di voi che hanno a cuore queste mie
sincere disposizioni
e che con puro sentimento possono riconoscermi per
loro capo sovrano, li
prego di venire qui, accanto al nuovo dottore in
teologia». E le belle
labbra del grande uomo si allungarono lievemente in
uno strano sorriso.
Più della metà dei sapienti teologi si mosse verso il
palco, sia pure con
qualche indugio e qualche esitazione. Tutti volsero lo
sguardo verso il
professor Pauli che pareva abbarbicato al suo seggio. Egli
abbassava
profondamente il capo, curvandosi e contraendosi. I sapienti
teologi che erano
saliti sul palco rimasero confusi, anzi uno di essi a un
tratto agitò il
braccio e saltò giù direttamente in basso accanto alla scala e,
zoppicando un po',
corse a raggiungere il professor Pauli e la minoranza
rimasta con lui.
Pauli sollevò il capo, si alzò con un movimento un po'
indeciso, si diresse
verso i banchi rimasti vuoti e, accompagnato dai suoi
correligionari che
avevano tenuto fermo, venne con essi a sedersi accanto
allo starets Giovanni,
al papa Pietro e ai loro gruppi.
La grande maggioranza
dei mèmbri del concilio si trovava sul palco,
ivi compresa quasi
tutta la gerarchia dell'Oriente e dell'Occidente. In basso
erano rimasti
soltanto tre gruppi di uomini che si erano avvicinati gli uni
agli altri e che si
stringevano accanto allo starets Giovanni, al papa Pietro e
al professor Pauli.
Con accento di
tristezza, l'imperatore si rivolse a loro dicendo:«Che
cosa posso fare
ancora per voi? Strani uomini! Che volete da me? Io non lo
so. Ditemelo dunque
voi stessi, o cristiani abbandonati dalla maggioranza
dei vostri fratelli e
capi, condannati dal sentimento popolare; che cosa
avete di più caro nel
cristianesimo?». Allora simile a un cero candido si
alzò in piedi lo starets
Giovanni e rispose con dolcezza: «Grande sovrano!
Quello che noi
abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui
Stesso e tutto ciò
che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui
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dimora corporalmente
tutta la pienezza della Divinità. Da te, o sovrano, noi
siamo pronti a
ricevere ogni bene, ma soltanto se nella tua mano generosa
noi possiamo riconoscere
la santa mano di Cristo. E alla tua domanda che
puoi tu fare per noi,
eccoti la nostra precisa risposta: confessa, qui ora
davanti a noi, Gesù
Cristo Figlio di Dio che si è incarnato, che è resuscitato
e che verrà di nuovo;
confessalo e noi ti accoglieremo con amore, come il
vero precursore del
suo secondo glorioso avvento». Egli tacque e piantò lo
sguardo nel volto
dell'imperatore. In costui avveniva qualche cosa di
tremendo. Nel suo
intimo si stava scatenando una tempesta infernale,
simile a quella che
aveva provato nella notte fatale. Aveva perduto
interamente il suo
equilibrio interiore e tutti i suoi pensieri si
concentravano nel
tentativo di non perdere la padronanza di se stesso
anche nelle apparenze
esteriori e di non svelare se stesso prima del tempo.
Fece degli sforzi
sovrumani per non gettarsi con urla selvagge sull'uomo
che gli aveva parlato
e sbranarlo coi denti. A un tratto sentì la voce
ultraterrena a lui
ben nota che gli diceva: "Taci e non temere nulla". Egli
rimase in silenzio.
Pero il suo volto, rabbuiato e col pallore della morte, era
divenuto convulso,
mentre i suoi occhi sprizzavano scintille. Frattanto
durante il discorso
dello starets Giovanni il gran mago che stava seduto
tutto ravvolto nel
suo ampio mantello tricolore che ne nascondeva la
porpora cardinalizia,
sembrava occupato a compiere sotto di esso arcane
manipolazioni, i suoi
occhi dallo sguardo concentrato scintillavano e le sue
labbra si movevano.
Dalle finestre aperte del tempio si scorgeva
avvicinarsi un'enorme
nuvola nera. Lo starets Giovanni che non staccava i
suoi occhi sbigottiti
e spaventati dal volto dell'imperatore rimasto
ammutolito a un
tratto diede un sussulto per lo spavento e voltandosi
indietro gridò con
voce strozzata: «Figlioli, è l'Anticristo!». Nel tempio
scoppiò un tremendo
colpo di tuono e simultaneamente si vide saettare una
folgore enorme a
forma di cerchio che avviluppò il vegliardo. Per un
istante tutti
rimasero come annichiliti e quando i cristiani si furono ripresi
dallo stordimento, lo
starets Giovanni giaceva a terra cadavere.
L'imperatore, pallido
ma calmo, si rivolse all'assemblea dicendo:
«Voi avete veduto il
giudizio di Dio. Io non volevo la morte di alcuno, ma
il mio Padre celeste
vendica il suo figlio prediletto. La questione è risolta.
Chi oserà contestare
i voleri dell'Altissimo? Segretari! Scrivete: il concilio
ecumenico di tutti i
cristiani, dopo che il fuoco venuto dal cielo ebbe
folgorato un
insensato avversario della maestà divina, riconosce
all'unanimità il
regnante imperatore di Roma, come suo capo e supremo
sovrano».
17
A un tratto una
parola squillante e distinta si propagò per il tempio:
«Contradicitur».
Il papa Pietro II si alzò in piedi e col volto imporporato,
tutto tremante di
collera, sollevò il pastorale in direzione dell'imperatore:
«Nostro unico Sovrano
è Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente. Ma ciò che
tu sei l'hai sentito.
Vattene da noi Caino fratricida! Via da noi, vaso del
demonio! Per
l'autorità di Cristo, io, servo dei servi di Dio, ti scaccio per
sempre dal recinto
divino, cane schifoso, e ti consegno al padre tuo,
Satana! Anatema,
anatema, anatema!».
Mentre egli parlava,
il gran mago si agitava inquieto sotto il suo
mantello: più
fragoroso dell'ultimo anatema rimbombò un colpo di tuono e
l'ultimo papa cadde a
terra inanimato. «Così per mano del padre mio
periscono i miei
nemici», disse l'imperatore. «Pereant, pereant!», si misero
a gridare tremanti i
principi della Chiesa. Egli si volse e, appoggiandosi
alla spalla del gran
mago uscì lentamente dalla porta che stava dietro il
palco, accompagnato
dalla folla dei suoi seguaci. Nel tempio eran rimasti i
due cadaveri e un
cerchio ristretto di cristiani mezzo morti dalla paura.
L'unico che non aveva
perduto il suo sangue freddo era il professor Pauli.
Il terrore generale
pareva stimolare tutte le forze del suo spirito.
Era mutato anche nel
suo aspetto esteriore e aveva assunto un'aria
maestosa e ispirata.
Con passo risoluto, salì sul palco e, sedutosi su uno dei
seggi lasciati liberi
dai segretari di stato, prese un foglio di carta e si mise a
scrivere. Quando ebbe
terminato, si alzò in piedi e a voce alta lesse: «Alla
gloria del nostro
unico Salvatore Gesù Cristo. Il concilio ecumenico delle
chiese di Dio,
riunito a Gerusalemme, poiché il nostro beatissimo fratello
Giovanni,
rappresentante della cristianità orientale, ha convinto il grande
impostore e nemico di
Dio di essere l'autentico Anticristo, predetto dalla
Sacra Scrittura e
poiché il nostro beatissimo padre Pietro, rappresentante
della cristianità
occidentale, con la scomunica lo ha secondo legge e
giustizia scacciato
per sempre dalla Chiesa di Dio oggi davanti ai corpi di
questi due martiri
della verità, testimoni di Cristo, delibera: di rompere
ogni rapporto con lo
scomunicato e la sua esecrabile accozzaglia, di
ritirarsi nel deserto
e attendere l'immancabile venuta del nostro vero
sovrano Gesù Cristo»
Una grande animazione s'impadronì della folla ed
echeggiarono voci
possenti che dicevano: «Adveniat, adveniat cito! Komm,
Herr
Jesu, Komm!».
Il professor Pauli
aggiunse ancora un poscritto e poi lesse.
«Approvando
all'unanimità questo primo ed ultimo atto dell'ultimo
concilio ecumenico,
apponiamo le nostre firme» e fece un gesto d'invito
all'assemblea. Tutti
si affrettarono a salire sul palco e a firmare. Alla fine
lui pure firmò a
grossi caratteri gotici: Duroum defunctorum testium locum
18
tenens Ernst Pauli.
«Ora andiamocene con la nostra arca dell'alleanza
dell'ultimo
Testamento!», disse indicando i due cadaveri.
I corpi furono issati
su barelle. Lentamente al canto di inni in latino
in tedesco e in
slavonico ecclesiastico, i cristiani si avviarono alla porta di
Haram-es-Scerif. Qui
il corteo fu fermato da un messo dell'imperatore, un
segretario di stato,
accompagnato da un ufficiale con un plotone della
guardia. I soldati si
schierarono presso la porta e da un podio il segretario
di stato lesse quanto
segue: «Ordine di sua maestà divina: per istruire il
popolo cristiano e
metterlo in guardia contro uomini malintenzionati
fomentatori di
discordie e di scandali, abbiamo ritenuto opportuno disporre
che i corpi dei due
sediziosi, uccisi dal fuoco del cielo, siano esposti in
pubblico nella strada
dei Cristiani (Haret-en-Nazàra) vicino alla porta
principale del tempio
di questa religione chiamata Santo Sepolcro o
altrimenti
Resurrezione, perché tutti possano persuadersi della realtà della
loro morte.
I loro ostinati
partigiani, poiché malignamente respingono ogni
nostro beneficio e da
insensati chiudono gli occhi davanti alle evidenti
manifestazioni della
Divinità stessa, grazie alla nostra misericordia e alla
nostra intercessione
presso il Padre celeste, sono esenti dalla pena di morte,
mediante il fuoco del
cielo, che si sono meritata e rimangono in completa
libertà, con l'unica
proibizione per il bene comune, di abitare nelle città e
negli altri luoghi
popolati affinché non possano sviare e sedurre con le loro
malvagie invenzioni
la gente ingenua e semplice». Quando ebbe finito,
otto soldati a un
cenno dell'ufficiale si avvicinarono alle barelle dove
giacevano i corpi.
«Si compia ciò che è
scritto», disse il professor Pauli, e i cristiani
che portavano le
barelle le cedettero senza una parola ai soldati i quali si
allontanarono dalla
porta di nord-ovest; dal canto loro i cristiani, uscendo
dalla porta di
nord-est, si diressero rapidamente dalla città verso Gerico,
passando accanto al
monte degli Ulivi, per la strada che i gendarmi e due
reggimenti di
cavalleria avevano in precedenza sgombrato dalla folla del
popolo. Essi decisero
di aspettare alcuni giorni, sulle colline deserte vicino
a Gerico. L'indomani
mattina giunsero da Gerusalemme dei pellegrini
cristiani loro amici
e raccontarono ciò che era accaduto a Sion. Dopo il
pranzo di corte,
tutti i mèmbri del concilio erano stati convocati
nell'immensa sala del
trono (dove si supponeva sorgesse il trono di
Salomone) e
l'imperatore, rivolgendosi ai rappresentanti della gerarchia
cattolica, aveva
dichiarato che il bene della Chiesa esigeva da essi
l'immediata elezione
di un degno successore dell'apostolo Pietro, ma che
nelle presenti
circostanze di tempo l'elezione doveva avvenire con
19
procedura sommaria.
La presenza di lui, l'imperatore, capo e
rappresentante di
tutto il mondo cristiano, valeva largamente a compensare
l'omissione delle
formalità rituali, e che in nome di tutti i cristiani, egli
proponeva al Sacro
Collegio di eleggere il suo diletto amico e fratello
Apollonio, affinché
lo stretto legame esistente fra loro rendesse duratura e
indissolubile
l'unione della Chiesa con lo Stato per il bene comune. Il
Sacro Collegio si
ritirò in una camera particolare per il conclave e dopo
un'ora e mezzo
ritornò col nuovo papa Apollonio. Frattanto mentre si
procedeva
all'elezione, l'imperatore con parole piene di dolcezza, saggezza
ed eloquenza, cercava
di persuadere i rappresentanti degli ortodossi e degli
evangelici a mettere
fine ai vecchi dissidi in vista di una nuova grande
epoca storica del
cristianesimo, rendendosi garante con la sua parola che
Apollonio avrebbe
saputo abolire una volta per sempre gli abusi storici del
potere papale.
Convinti da queste sue parole, i rappresentanti
dell'ortodossia e del
protestantesimo avevano steso l'atto di unione delle
Chiese e quando
Apollonio comparve nella sala con i cardinali tra le grida
di giubilo di tutta
l'assemblea, un vescovo greco e un pastore evangelico gli
presentarono il loro
documento. «Accipio et approbo et laetificatur cor
meum»,
disse Apollonio apponendo la sua firma. «Io sono del pari un vero
ortodosso e un vero
evangelico, come sono un vero cattolico» - aggiunse
egli, scambiando un
amichevole abbraccio col Greco e col Tedesco. Poi si
avvicinò
all'imperatore, il quale lo abbracciò e lo tenne a lungo tra le
braccia. In quel
momento dei puntini luminosi cominciarono a volteggiare
in tutte le direzioni
nel palazzo e nel tempio; essi ingrandirono e si
mutarono in ombre
luminose di esseri strani; fiori mai veduti sulla terra
cadevano dall'alto,
riempiendo l'aria di un profumo arcano. Si
diffondevano
dall'alto deliziosi suoni di strumenti musicali fino allora
sconosciuti che
andavan dritto all'anima e afferravano il cuore, mentre voci
angeliche di
invisibili cantori glorificavano i nuovi sovrani del cielo e della
terra. Frattanto uno
spaventoso rumore sotterraneo echeggiava nell'angolo
nord-ovest del
palazzo centrale, sotto il kubbet-el-aruach vale a dire sotto
la cupola delle
anime, dove secondo la tradizione musulmana, si trova
l'entrata dell'inferno.
Quando gli astanti, su invito dell'imperatore, si
mossero verso quella
parte, tutti intesero chiaramente innumerevoli voci
acute e penetranti -
mezzo fanciullesche e mezzo diaboliche - che
esclamavano: «È
giunta l'ora, liberateci o salvatori, o salvatori!». Ma
quando Apollonio
stringendosi verso la rupe, per tre volte gridò verso il
basso qualcosa in una
lingua sconosciuta, le voci tacquero e il rumore
s'interruppe.
Frattanto una folla immensa di popolo proveniente da tutte le
parti, aveva
circondato Haram-es-Scerif. Al calar della notte l'imperatore,
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col nuovo papa, aveva
fatto la sua apparizione sulla gradinata orientale,
sollevando «una
tempesta di entusiasmo». Egli salutò affabilmente in tutte
le direzioni, mentre
Apollonio traeva da grandi canestri, postigli innanzi
dai cardinali
segretari, e lanciava in aria senza interruzione magnifiche
candele romane, razzi
e fontane di fuoco che accendendosi al tocco delle
sue mani si
trasformavano in perle fosforescenti e in luminosi arcobaleni;
tutto questo toccando
terra si mutava in innumerevoli fogli di carta di vari
colori, con
indulgenze plenarie senza condizioni per tutti i peccati passati,
presenti e futuri.
L'esultanza popolare sorpassò ogni limite. A dire il vero
alcuni affermavano di
aver visti coi propri occhi quei fogli d'indulgenza
trasformarsi in rospi
e serpenti estremamente schifosi. Nondimeno
l'enorme maggioranza
della gente andava in visibilio e la festa popolare si
protrasse ancora
alcuni giorni; durante questo tempo il nuovo papataumaturgo
arrivò a compiere dei
prodigi così sbalorditivi e incredibili che
sarebbe del tutto
inutile darne una narrazione. Nello stesso tempo sulle
alture deserte di
Gerico i cristiani si dedicavano al digiuno e alla preghiera.
La sera del quarto
giorno sull'imbrunire, il professor Pauli e nove
compagni, cavalcando
degli asini e trainando una carretta, penetrarono in
Gerusalemme; passando
per vie traverse, vicino a Haram-es-Scerif,
sboccarono a
Haret-en-Nazàra e raggiunsero l'entrata del tempio della
Resurrezione, dove
sul pavimento giacevano i corpi di papa Pietro e dello
starets
Giovanni. A quell'ora la via era deserta: tutta la città al
completo si
era riversata a
Haram-es-Scerif. I soldati di guardia erano immersi in un
sonno profondo. I
nuovi arrivati trovarono che i corpi non erano stati
toccati dal processo
di decomposizione e addirittura non erano diventati
rigidi e grevi. Li
issarono su barelle, li ricoprirono con mantelli che
avevano E portato con
sé e, percorrendo le stesse vie traverse, ritornarono
dai loro fratelli, ma
non appena ebbero posate a terra le barelle lo spirito
della vita rientrò
nei due morti. Essi si agitarono, cercando di sbarazzarsi
dei mantelli che li
avviluppavano. Tutti presero ad aiutarli con grida di
gioia e ben presto i
due resuscitati si alzarono in piedi sani e salvi. E il
redivivo starets Giovanni
prese così a parlare: «Ecco dunque, figlioli miei,
che noi non ci siamo
lasciati. Ed ecco ciò che vi dirò adesso: l'ora è giunta
che si adempia
l'ultima preghiera di Cristo per i suoi discepoli: che essi
siano uno, come Lui
stesso col Padre è uno. Così per questa unità in Cristo,
figlioli miei,
veneriamo il nostro carissimo fratello Pietro. Gli sia concesso
finalmente di pascere
le pecore di Cristo. Proprio così, fratello! ». Ed egli
abbracciò Pietro. A
questo punto si avvicinò il professor Pauli: «Tu es
Petrus!» -
disse rivolto al papa - «Jetzt ist es ja gründlich erwiesen und
ausser
jeden Zweifel gesetzt». Gli strinse forte la mano con la destra,
21
mentre tendeva la
sinistra allo starets Giovanni, dicendogli: «So also,
Väterchen,
nun sind wir ja Eins in Christo». Così si compì l'unione
delle
Chiese nel cuore di
una notte oscura, su un'altura solitaria. Ma l'oscurità
della notte venne a
un tratto squarciata da un vivido splendore e in cielo
apparve il grande
segno: una donna vestita di sole, con la luna sotto i piedi
e sul capo una corona
di dodici stelle. L'apparizione restò per qualche
tempo immobile, poi
si mosse lentamente verso sud. Il papa Pietro alzando
il pastorale,
esclamò: «Ecco la nostra insegna! Andiamo sulle sue orme!».
Ed egli si incamminò
nella direzione indicata dall'apparizione insieme ai
due vegliardi e a
tutta la folla dei cristiani, verso il monte di Dio, verso il
Sinai...
(A questo punto il
lettore si ferma).
La
Dama
Perché dunque non
continuate?
Il
Signor Z
Il manoscritto non va
più avanti. Il padre Pansofio non ha potuto
portare a termine il
suo racconto. Già ammalato mi narrava ciò che aveva
in mente di scrivere
in seguito - «non appena sarò guarito» - diceva. Ma
non guarì e la parte
finale del suo racconto è sepolta con lui nel monastero
di Danilovo.
La
Dama.
Ma voi ricorderete
certamente quello che vi ha narrato:
raccontatecelo
dunque.
Il
Signor Z.
Ne ricordo soltanto i
tratti principali. Dopo che i capi spirituali e i
rappresentanti della
cristianità si furono ritirati nel deserto dell'Arabia,
dove da ogni parte
affluirono a loro folle di fedeli zelatori della verità, il
nuovo papa poté senza
alcun ostacolo corrompere, attraverso i suoi prodigi
e miracoli, tutto il
resto dei cristiani superficiali che non si erano ricreduti
circa l'Anticristo.
Egli dichiarò che, con la potenza delle sue chiavi, aveva
aperto le porte fra
il mondo terrestre e quello d'oltretomba e in effetti
divenne un fenomeno
abituale la comunicazione dei vivi coi morti e anche
degli uomini coi
demoni; inoltre si svilupparono nuove forme inaudite di
orgia mistica e di
demonolatria. Ma non appena l'imperatore cominciò a
credere di essere
saldamente sistemato in campo religioso e dopo che sotto
22
la pressante
suggestione della misteriosa voce «paterna» ebbe a dichiararsi
unica e vera
incarnazione della divinità suprema universale, gli capitò una
disgrazia nuova da
parte di chi nessuno si sarebbe aspettato: si erano
ribellati gli Ebrei.
Questo popolo, il cui numero aveva raggiunto a quel
tempo i trenta
milioni di individui, non era del tutto estraneo alla
preparazione e
all'affermazione dei successi universali del superuomo.
Quando si era
trasferito a Gerusalemme, aveva fatto segretamente correre
la voce nei circoli
ebraici che il suo obiettivo principale era di stabilire il
dominio di Israele su
tutto il mondo; e allora gli Ebrei lo avevano
riconosciuto come il
Messia e la loro entusiastica dedizione per lui non
ebbe limiti.
All'improvviso si erano ribellati spirando collera e vendetta.
Questo brusco
voltafaccia, senza dubbio predetto e dalla Scrittura e dalla
tradizione, è
presentato da padre Pansofio forse con eccessiva semplicità e
soverchio realismo.
Il fatto si è che gli Ebrei, i quali ritenevano
l'imperatore come un
perfetto israelita per razza, avevano scoperto per caso
che egli non era
nemmeno circonciso. Quello stesso giorno a Gerusalemme
e l'indomani in tutta
la Palestina scoppiò la rivolta. La dedizione ardente e
senza limiti verso il
salvatore di Israele e il Messia annunciato si tramutò in
un odio altrettanto
ardente e senza limiti nei confronti dell'astuto truffatore
e dello sfrontato
impostore. Tutto l'ebraismo si sollevò come un solo uomo
e i suoi nemici
scopersero con sorpresa che l'anima di Israele nel suo fondo
non vive di calcoli e
delle bramosie di Mammona, ma della forza di un
sentimento sincero,
nella speranza ed il corruccio della sua eterna fede
messianica.
L'imperatore che non si aspettava una simile esplosione così
all'improvviso,
perdette la padronanza di se stesso ed emanò un decreto
che condannava a |
morte tutti i ribelli ebrei e cristiani. Molte migliaia e
decine di migliaia di
uomini che non avevano fatto in tempo ad armarsi,
furono spietatamente
massacrati. Ma ben presto un esercito di un milione
di Ebrei si impadronì
di Gerusalemme e costrinse l'Anticristo a
rinchiudersi in
Haram-es-Scerif.
Questi non aveva a
sua disposizione che una parte della guardia e
non poteva spuntarla
contro la massa dei nemici. Mediante le arti magiche
del suo papa,
l'imperatore riuscì a filtrare attraverso le linee degli
assedianti e ben
presto egli ricomparve in Siria, alla testa di uno sterminato
esercito di pagani di
varie razze. Gli Ebrei, anche se le probabilità di
vittoria erano
scarse, gli mossero incontro. Ma non appena le avanguardie
dei due eserciti
ebbero iniziato il combattimento, ecco che si produsse un
terremoto di inaudita
violenza; sotto il Mar Morto, presso il quale si erano
schierate le truppe
imperiali, si aperse il cratere di un enorme vulcano e
torrenti di fuoco,
fusi insieme in un lago di fiamme, inghiottirono lo stesso
23
imperatore, tutte le
sue innumerevoli schiere ed il suo inseparabile
compagno, il papa
Apollonio, cui la magia non recò alcun soccorso.
Frattanto gli Ebrei
corsero a Gerusalemme, spaventati e tremanti,
invocando la salvezza
del Dio di Israele. Quando la santa città apparve ai
loro occhi, un grande
baleno squarciò il cielo da oriente a occidente ed essi
videro il Cristo che
scendeva loro incontro, in veste regale, con le piaghe
dei chiodi sulle mani
distese. Intanto dal Sinai si mosse verso Sion la folla
dei cristiani guidati
da Pietro, Giovanni e Paolo, mentre da altre parti
accorrevano altre
folle entusiaste: erano tutti gli Ebrei e tutti i cristiani
mandati a morte
dall'Anticristo. Erano risuscitati e si accingevano a vivere
con Cristo per mille
anni.
È con questa visione
che il padre Pansofio voleva finire il suo
racconto che aveva
per soggetto non già la catastrofe dell'universo, ma
soltanto la
conclusione della nostra evoluzione storica: l'apparizione,
l'apoteosi e la
rovina dell'Anticristo.
L’Uomo
Politico.
E voi pensate che
questa conclusione sia tanto prossima?
Il
Signor Z.
Be', sulla scena vi
saranno ancora molte chiacchiere e vanità, ma il
dramma è già stato
scritto interamente da un pezzo sino alla fine e non è
permesso né agli
spettatori né agli attori di apportarvi alcun mutamento.
La
Dama.
Ma in definitiva
quale è il senso di questo dramma? Non capisco
infatti perché il
vostro Anticristo nutra tanto odio verso Dio, mentre in
fondo è buono e non
cattivo!
Il
Signor Z.
Il fatto è che m
fondo non è buono. E in questo sta tutto il senso del
dramma. Io ritiro le
parole che ho detto in precedenza e cioè «che
l'Anticristo non si
spiega coi soli proverbi». Per spiegarlo integralmente
basta un solo
proverbio e per di più di un'estrema semplicità: «Non è tutto
oro
ciò che luccica». Lo splendore di un bene artefatto non ha nessuna
forza.
Il
Generale.
Vogliate però notare
su quale evento cala il sipario di questo
dramma storico: sulla
guerra, sullo scontro di due eserciti! Ed ecco che il
24
termine del nostro
colloquio si è rifatto all'inizio. Che ve ne pare
principe?... Santi
del cielo! ma dov'è il principe
L’Uomo
Politico
Ma non avete
osservato? Se n'è andato alla chetichella nel momento
patetico, quando lo starets
Giovanni metteva l'Anticristo con le spalle al
muro. Allora non ho
voluto interrompere il racconto e in seguito mi è
passato di mente.
Il
Generale.
Quanto è vero Iddio è
scappato per la seconda volta. Ha saputo
dominarsi. Però non ha saputo resistere.
Ah, Dio mio!
***********************************
Il Cardinale Biffi aveva le idee chiare: O NOI O LORO
“Dobbiamo salvare l’identità della Nazione dall’annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà (…) Io non ho nessuna paura dell’Islam, ho paura della straordinaria imprevidenza dei responsabili della nostra vita pubblica. Ho paura dell’inconsistenza dei nostri opinionisti. (…) Sorprendente che gli opinionisti laici non si accorgano di questi pericoli. (…) Ho paura soprattutto dell’insipienza di molti cattolici. (…) I cristiani devono piantarla di dire che bisogna andare d’accordo con tutte le idee. (…) Il mio compito è di evangelizzare i musulmani. È un gravissimo errore rinunciare all’evangelizzazione. (…)
“Oggi è in atto una delle più gravi e ampie aggressioni al cristianesimo che la storia ricordi. Tutta l’eredità del Vangelo viene progressivamente ripudiata dalle legislazioni, irrisa dai ‘signori dell’opinione’, scalzata dalle coscienze specialmente giovanili. Di tale ostilità, a volta violenta a volte subdola, non abbiamo ragione di stupirci né di aver troppa paura, dal momento che il Signore ce l’ha ripetutamente preannunciato: ‘Non meravigliatevi se il mondo vi odia’. Ci si può meravigliare invece degli uomini di Chiesa che non sanno o vogliono prenderne atto. (…)
“L’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la ‘cultura del niente’, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale.
“Questa cultura del niente non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà. Solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.
“Purtroppo né i ‘laici’ né i ‘cattolici’ pare si siano resi conto del dramma che si sta profilando. I ‘laici’, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità. I ‘cattolici’, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta, e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice ‘dialogo’ ad ogni costo, inconsciamente preparano la propria estinzione”.
AMDG et DVM
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