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venerdì 1 gennaio 2016

Breve storia critica del Crocefisso nell’arte

La croce dell’informe – Breve storia critica del Crocefisso nell’arte 



Croce1
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Con quest’articolo continua la pubblicazione in varie puntate (qui la primaqui la secondaqui la terzaqui la quarta e qui la quinta) di una “Breve storia critica del Crocifisso nell’arte” a cura di Luca Fumagalli,  socio fondatore e membro storico di Radio Spada.
di Luca Fumagalli

La Croce nel XVII secolo
Il 1600 continua naturalmente l’evoluzione in atto nel secolo precedente. Alla crisi della maniera segue il grande periodo barocco caratterizzato dal fasto e dall’abbondanza che, specialmente nelle architetture, ha regalato notevoli esempi d’arte sacra. Coerentemente alle disposizioni del Concilio di Trento che, parlando della devozione al Cristo Redentore, vuole che si evidenzia vittoria e il trionfo sulla morte, i Crocifissi di quest’epoca sono rappresentati con lo splendore del volto che fuga le tenebre. Nasce un nuovo modello di Cristo trionfante che sconfigge non solo la morte ma che allontana, grazie alla benigna aurea luminosa del viso, l’errore e l’eresia.
Simili esempi sono riscontrabili nelle crocifissioni di Annibale Carracci (1560-1609), dove il Cristo è circondato da un aureola radiosa e da lampi di luce che si stagliano in tutto il loro fulgore vivacizzati da uno sfondo cupo e tenebroso. Precursori di questo nuovo modo di intendere la crocifissione nell’arte sono Tintoretto (1518-1594) e Veronese (1528-1588): in particolare il primo presenta sempre un Gesù agonizzante che emana dal corpo, nonostante la morte imminente, una luce molto intensa[1]. L’aureola lucente esalta nell’atroce sofferenza della Croce la rivincita del Redentore che sconfigge la morte come la luce fuga le tenebre sullo sfondo.

Listener
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El Greco (1541-1614), pittore con uno stile unico ed inconfondibile, riprende invece uno schema più spiccatamente michelangiolesco[2] identificabile dalla sobrietà della composizione (che presenta solo pochi personaggi essenziali) e dalla posizione plastica e sinuosa di Gesù che mostra un corpo levigato e pulito, illuminato da un’intensa luce bianca che ne risalta le forme e la centralità compositiva.


Listener (1)
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Una via di mezzo tra queste due linee pittoriche appena viste può essere quella spagnola (ma anche francese) incarnata da Velázquez (1599-1660) e dallo Zurbaran (1598-1664). In questi casi, alla semplicità dell’organizzazione scenica (Cristo è ritratto solo in Croce su un fondale nero) e alla cura anatomica delle parti, si aggiunge la luminosità emanata dal corpo di Gesù che staglia la sua figura sulla superficie e ne esalta ulteriormente le forme. Nell’impostazione del Cristo crocifisso(1631 ca.) di Velázquez, emerge inoltre un’eco classicheggiante derivato dai pittori italiani. L’opera è «nota non solo per la sua valenza emozionale ed estetica, ma anche per le leggende attorno alla sua origine […]: si narra che Filippo IV l’avesse fatta realizzare come ex voto di penitenza di un amore sacrilego provato per una giovane religiosa»[3]


Listener (2)
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Un ulteriore tipologia è quella inaugurata dal Gesù crocifisso di Guido Reni (1575-1642) «col viso estatico, il corpo privo di sofferenza, rilassato, con gli occhi aperti in atteggiamento orante verso l’alto»[4]. Il Crocifisso più famoso di Guido è sicuramente quello dipinto nel 1639 per l’oratorio detto del Sacramento e delle Cinque Piaghe di Reggio e da dove lo prelevò per il proprio museo personale il duca di Modena Francesco III. Il Redentore appeso al sacro legno «è tutto solo, sull’aspro Calvario, sul cielo tenebroso, ad attendere la morte liberatrice, il bel volto incorniciato di spine, gli occhi volti all’alto da cui viene la gran luce»[5]. Questo nuovo modo di intendere il Crocifisso avrà seguito nel corso del secolo come attestano artisti del calibro del Guercino (1591-1666), Alessandro Algardi (1598-1654) e Simon Vouet (1590-1649).

Listener (3)
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Nel XVII secolo parrebbero affacciarsi anche esempi del cosiddetto “Cristo giansenista”.  Di questi Crocifissi ce ne offrono molti il Girardon (1628-1715), Jordaens (1593-1678), Duquesnoy (1597-1674) e Giulio Carpioni (1613-1679). La peculiarità di questa tipologia è che Gesù non è raffigurato con le braccia completamente distese ma piuttosto riunite in alto. Questa sembrerebbe essere dunque la figurazione del notorio errore giansenista che vuole Nostro Signore morto per la salvezza non di tutta ma di una piccola parte dell’umanità. In realtà pare non ci sia alcun legame: la nuova figurazione è figlia delle stravaganze barocche come ad esempio quella di voler scolpire il Crocifisso in un solo pezzo di legno o avorio. Inoltre «A. Grazier cita vari Crocifissi stampati su libri di carattere assolutamente giansenista, i quali però hanno le braccia allargate secondo la forma ordinaria» [6].

[1] A titolo d’esempio cfr. TINTORETTO, Crocifissione, 1565, Scuola Grande di S. Rocco, Venezia.
[2] P. GIGLIONI, La Croce e il Crocifisso nella tradizione e nell’arte, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2000, p. 38.
[3] M. A. ASTURIAS, Velázquez, Milano, Skira, 2003, p. 100 [“I classici dell’ arte”].
[4] GIGLIONI, La Croce e il Crocifisso, p. 38.
[5] F. MALAGUZZI VALERI, Guido Reni, Firenze, Le Monnier, 1929, p. 62.
[6] COSTANTINI, Il crocifisso nell’arte, p. 145. 

giovedì 5 marzo 2015

In hoc signo vinces


O Crux, ave, spes unica: 

dunque la Messa della Tradizione.



  Lo scorso mese, parlando della solennità del Corpus Domini, ricordavamo il pericolosissimo oblio del carattere sacrificale della Messa cattolica. Oblio che conduce lentamente ma inesorabilmente all'eresia. Su questo punto non dovremmo mai dimenticare il grande lavoro di Michael Davies sulla Riforma anglicana, che sottolinea il pericolo dei “taciuti” in liturgia: la riforma anglicana di Cranmer, togliendo dalla Messa tutti i riferimenti espliciti al Sacrificio propiziatorio, introdusse vincente, nel giro di una generazione, il Protestantesimo in Inghilterra, portandola definitivamente all'eresia.

  Ma nel mese scorso ci spingevamo più in là dicendo che, col dimenticare che la Messa è il Sacrificio di Cristo sulla Croce, si perde inesorabilmente la coscienza della Presenza sostanziale di Cristo nella Santissima Eucarestia: se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Gesù Cristo, perché Cristo si rende presente nell'Eucarestia come Vittima. Una Messa percepita sempre più come ricordo dell'Ultima Cena rischia veramente di non essere più la Messa cattolica. Innegabilmente l'ultima riforma della messa, quella del 1969, l'ha fatta assomigliare sempre più alla Santa Cena protestante, anglicana o luterana che sia.

  C'è però di più: una Messa sempre più protestantizzata, ha protestantizzato il popolo cristiano con la sua missione, tanto da farlo assomigliare ogni giorno di più ad un insieme di congregazioni protestanti impegnate nella loro presenza in mezzo al mondo.



  Se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Cristo. È vero per la Messa, per il Santissimo Sacramento, ma è vero anche per tutta l'opera della Chiesa. Se al centro di tutta la predicazione dottrinale, se al centro di tutta la pastorale della Chiesa non c'è più Cristo Crocifisso, tutta la missione della Chiesa rischia di essere spaventosamente vuota. Mai come in questi ultimi decenni si sono moltiplicati gli sforzi pastorali, si sono affinate le tecniche per un annuncio efficace, mai si è parlato come in questi ultimi cinquant'anni di missione, e si è raccolto quasi nulla. Si è andati verso il mondo annunciando e annunciando ancora, e si è registrata la sua inesorabile scristianizzazione.

  Chi avrebbe mai pensato, tra i Padri del Concilio, che la fede cattolica sarebbe quasi scomparsa nel giro di mezzo secolo? Chi avrebbe mai pensato, tra i vescovi del Vaticano II, all'avvento di una società così anti-cattolica e immorale come quella di oggi, dove ogni legge sembra fatta apposta per essere contro il disegno di Dio sull'uomo?

  Eppure, ed è innegabile, questo disastro è sotto i nostri occhi.

  Se non c'è più Gesù-Vittima, non c'è nemmeno più Gesù-presente.
  Sì, una Chiesa che entusiasticamente, a partire dagli anni '60, è andata incontro al mondo mettendo in secondo piano la Croce di Cristo, ha perso Cristo stesso e non ha portato nulla o quasi alla società. Sì perché, occorre dirlo con chiarezza, senza la centralità della Croce, senza la centralità di Cristo crocifisso, tu perdi Cristo stesso. È terribile l'illusione di chi vuol parlare di Gesù senza la sua Croce, senza anzi la centralità della sua Croce. Chi mette la Croce di Cristo “tra le tante cose” della vita di Gesù, ma non ne considera la centralità, in verità non parla nemmeno di Cristo. Parla di un Gesù “confezionato” apposta per il mondo moderno che, come i giudei e i gentili di San Paolo, giudicavano Cristo Crocifisso scandalo o stoltezza.

  Si è voluti andare al mondo per dialogare amichevolmente con esso, evitando le condanne della Chiesa del passato; per dialogare amichevolmente si sono dovuti “velare” o “nascondere” la Croce e il Sacrificio di Cristo, perché il dialogo con la società moderna, con le sue religioni, restasse sereno e amichevole; con il risultato doppiamente tragico di non aver portato nulla agli uomini del tempo e, peggio, di aver devastato il santuario della presenza di Dio che è la Chiesa.


  Non c'è niente da fare, per primi dobbiamo accettare e abbracciare lo scandalo della Croce, riconoscerlo come il contenuto centrale della dottrina, della vita e della missione della Chiesa, e allora, non calcolando gli esiti, ma fiduciosi nell'infinita potenza della grazia di Dio, andare verso il mondo, perché dalla Croce di Cristo sia convertito e sanato.

  Guai a quei Cristiani, guai a quella Chiesa che voglia portare un altro Gesù, senza la Croce, guai! Perderà la sua essenza, perderà la sua forza, perderà la sua anima, perderà l'efficacia unica della grazia. E risulterà sempre più inutile e insopportabile al quel mondo che voleva raggiungere. Odiosamente insopportabile al mondo è una Chiesa senza il Sacrificio e la Croce.
E il mondo, una Chiesa così vuota, è già pronto ad azzannarla.

  In hoc signo vinces, non è solo il ricordo di una storia passata, è la verità di ogni istante: la vittoria è della Croce e di chi, la Croce, la porta e la mostra al mondo, senza calcolo umano.

  O Crux, ave, spes unica, salve o Croce, unica speranza: se non si tornerà a questa chiarezza in tutto, veramente in tutto nella Chiesa, il disastro sarà inevitabile.

  Ma questo ritorno inizia dal Santo Sacrificio della Messa.
  Se di fronte a questo quadro di devastante confusione ci sentiamo impotenti; se impotenti ci domandiamo cosa fare e soprattutto da dove iniziare, ricordiamoci che la riedificazione della Chiesa partirà sempre dal Santo Sacrificio della Messa. Non facciamo calcoli umani, non commettiamo l'errore degli anni '60, non andiamo al mondo, nemmeno per riedificare la Tradizione, con le nostre tecniche, ma ri-iniziamo dalla Messa.

  Torniamo subito alla Messa della Tradizione, lo diciamo ai sacerdoti prima e poi ai fedeli. Torniamo al corretto rito del Santo Sacrificio della Messa e da lì ripartiamo per un lavoro paziente di riedificazione della fede. Non commettiamo l'errore di fare l'inverso, prima il lavoro pastorale, poi il ritorno alla Messa di sempre, sarebbe in fondo un nascondere ancora la Croce di Cristo, attendendo tempi migliori, così come fecero gli illusi missionari degli anni post-conciliari.

  La verità invece è Cristo.

 La verità è invece il fatto del suo Sacrificio redentore, perpetuato dalla Messa cattolica. Primo compito dei sacerdoti è celebrarla. Primo compito di tutti è vivere di essa, perché la vita, quella vera, continui.

AMDG et BVM
Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VII n° 7 - Luglio 2014

giovedì 28 agosto 2014

Domenica 31 Agosto 2014, XXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 16,21-27.



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 31 Agosto 2014, XXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 16,21-27.
Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno.
Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». 
Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». 
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 
Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 
Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? 
Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni. 
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 346 pagina 327.

1Gesù deve avere lasciato la città di Cesarea di Filippo alle prime luci del mattino, perché ora essa è già lontana coi suoi monti e la pianura è di nuovo intorno a Gesù, che si dirige ver­so il lago di Meron per poi andare verso quello di Gennezaret. Sono con Lui gli apostoli e tutti i discepoli che erano a Cesarea. Ma che una carovana così numerosa sia per la via non fa stupo­re a nessuno, perché altre carovane si incontrano già, dirette a Gerusalemme, di israeliti o proseliti che vengono da tutti i luo­ghi della Diaspora e che desiderano sostare per qualche tempo nella Città Santa per sentire i rabbi e respirare a lungo l’aria del Tempio. 

Vanno lesti sotto un sole ormai alto ma che non da ancora noia, perché è un sole di primavera che scherza con le fronde novelle e con le ramaglie fiorite e suscita fiori, fiori, fiori da ogni parte. La pianura che precede il lago è tutta un tappeto fiorito e l’occhio, volgendosi ai colli che la circondano, li vede pezzati dei ciuffi candidi, tenuamente rosei, o rosa deciso, o ro­sa quasi rosso, degli svariati alberi da frutto, e, passando pres­so le rare case dei contadini o presso le mascalcie seminate per la via, la vista si rallegra sui primi rosai fioriti negli orti, lungo le siepi o contro i muri delle case. 

«I giardini di Giovanna devono essere tutti in fiore» osserva Simone Zelote. 
«Anche l’orto di Nazaret deve parere un cesto pieno di fiori. Maria ne è la dolce ape che va da roseto a roseto e da questi ai gelsomini che presto fioriranno, ai gigli che già hanno i bocci sullo stelo, e coglierà il ramo del mandorlo come sempre fa, anzi ora coglierà quello del pero o del melograno per metterlo nell’anfora nella sua stanzetta. Quando eravamo bambini le chiedevamo ogni anno: “Perché tieni sempre lì un ramo di albe­ro in fiore e non ci metti invece le prime rose?»; e Lei risponde­va: “Perché su quei petali io vedo scritto un ordine che mi ven­ne da Dio e sento l’odore puro dell’aura celeste”. Te lo ricordi, Giuda?» chiede Giacomo d’Alfeo al fratello. 
«Sì. Me lo ricordo. E ricordo che, divenuto uomo, io attende­vo con ansia la primavera per vedere Maria camminare per il suo orto sotto le nuvole dei suoi alberi in fiore e fra le siepi delle prime rose. Non vedevo mai spettacolo più bello di quella eterna fanciulla trasvolante fra i fiori, fra voli di colombi…». 

2«Oh! andiamoci presto a vederla. Signore! Che veda anche io tutto questo!» supplica Tommaso. 
«Non abbiamo che affrettare la marcia e sostare ben poco, nelle notti, per giungere a Nazaret in tempo» risponde Gesù. 
«Mi accontenti proprio, Signore?». 
«Sì, Tommaso. Andremo a Betsaida tutti, e poi a Cafarnao, e lì ci separeremo, noi andando con la barca a Tiberiade e poi a Nazaret. Così ognuno, meno voi giudei, prenderemo le vesti più leggere. L’inverno è finito». 
«Sì. E noi andiamo a dire alla Colomba: “Alzati, affrettati, o mia diletta, e vieni perché l’inverno è passato, la pioggia è finita, i fiori sono sulla terra… Sorgi, o mia amica, e vieni, colomba che stai nascosta, mostrami il tuo viso e fammi sentire la tua voce”». 
«E bravo Giovanni! Sembri un innamorato che canti la sua canzone alla sua bella!» dice Pietro. 
Lo sono. Di Maria lo sono. Non vedrò altre donne che sveglino il mio amore. Solo Maria, l’amata da tutto me stesso». 
«Lo dicevo anche io un mese fa. Vero, Signore?» dice Tommaso. 
«Io credo che siano tutti innamorati di Lei. Un amore così alto, così celestiale!… Quale solo quella Donna può ispirarlo. E l’anima ama completamente la sua anima, la mente ama e ammira il suo intelletto, l’occhio mira e si bea nella sua grazia pura che dà diletto senza dare fremito, così come si guarda un fiore… Maria, la Bellezza della terra e, credo, la Bellezza del Cielo…» dice Matteo. 
«È vero! È vero! Tutti vediamo in Maria quanto è di più dolce nella donna. E la fanciulla pura, e la madre dolcissima. E non si sa se la si ama più per l’una o l’altra grazia…» dice Filippo. 
«La si ama perché è “Maria”. Ecco! Sentenzia Pietro. 

3Gesù li ha ascoltati parlare e dice: «Avete detto tutti bene. Benissimo ha detto Simon Pietro. Maria si ama perché è “Maria”. Vi ho detto, andando a Cesarea, che solo coloro che uniranno fede perfetta ad amore perfetto giungeranno a sapere il vero significato delle parole: “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo”. Ma ora vi dico che c’è un altro nome denso di significati. Ed è quello di mia Madre. Solo coloro che uniranno perfetta fede a perfetto amore giungeranno a sapere il vero significato del nome “Maria”, della Madre del Fi­glio di Dio. E il vero significato comincerà ad apparire chiaro ai veri credenti e ai veri amorosi in un’ora tremenda di strazio, quando la Genitrice sarà suppliziata col suo Nato, quando la Redentrice redimerà col Redentore, agli occhi di tutto il mondo e per tutti i secoli dei secoli». 
«Quando?» chiede Bartolomeo, mentre si sono fermati sulle sponde di un grosso ruscello nel quale bevono molti discepoli. 
«Fermiamoci qui a spartire il pane. Il sole è a mezzogiorno. A sera saremo al lago di Merom e potremo abbreviare la via con delle barchette» risponde Gesù evasivamente. 
Si siedono tutti sulla erbetta tenera e tiepida di sole delle ri­ve del ruscello, e Giovanni dice: «È un dolore sciupare questi fiorellini così gentili. Sembrano pezzettini di cielo caduti qui sui prati». Sono centinaia e centinaia di miosotis. 
«Rinasceranno più belli domani. Sono fioriti per fare, delle zolle, una sala di convito al loro Signore» lo consola Giacomo, suo fratello. 
Gesù offre e benedice il cibo e tutti si danno a mangiare al­legramente. I discepoli, come tanti girasoli, guardano tutti in direzione di Gesù, che è seduto al centro della fila dei suoi apo­stoli. 

4I1 pasto è presto finito, condito di serenità e di acqua pura. Ma, posto che Gesù resta seduto, nessuno si muove. Anzi i di­scepoli si spostano per venire più vicino, per sentire ciò che dice Gesù, che gli apostoli interrogano. E interrogano ancora su quanto ha detto prima di sua Madre. 

«Sì. Perché essermi madre per la carne sarebbe già grande cosa. Pensate che è ricordata Anna di Elcana come madre di Samuele. Ma egli non era che un profeta. Eppure la madre è ri­cordata per averlo generato. Perciò ricordata, e con lodi altissi­me, lo sarebbe Maria per avere dato al mondo Gesù il Salvato­re. Ma sarebbe poco, rispetto al tanto che Dio esige da Lei per completare la misura richiesta per la redenzione del mondo. Maria non deluderà il desiderio di Dio. Non lo ha mai deluso. Dalle richieste di amore totale a quelle di sacrificio totale, Ella si è data e si darà. E quando avrà consumato il massimo sacri­ficio, con Me, per Me, e per il mondo, allora i veri fedeli e i veri amorosi capiranno il vero significato del suo Nome. E nei secoli dei secoli, ad ogni vero fedele, ad ogni vero amoroso, sarà con­cesso di saperlo. Il Nome della Grande Madre, della Santa Nutrice, che allatterà nei secoli dei secoli i pueri di Cristo col suo pianto per crescerli alla Vita dei Cieli». 
«Pianto, Signore? Deve piangere tua Madre?» chiede l’Iscariota. 
«Ogni madre piange. E la mia piangerà più di ogni altra». 
«Ma perché? Io ho fatto piangere la mia qualche volta, per­ché non sono sempre un buon figlio. Ma Tu! Tu non dài mai do­lore a tua Madre». 
«No. Io non le do infatti dolore come Figlio suo. Ma gliene darò tanto come Redentore. Due saranno quelli che faranno piangere di un pianto senza fine la Madre mia: Io per salvare l’Umanità, e l’Umanità col suo continuo peccare. Ogni uomo vissuto, vivente, o che vivrà, costa lacrime a Maria». 
«Ma perché?» chiede stupito Giacomo di Zebedeo. 
«Perché ogni uomo costa torture a Me per redimerlo». 
«Ma come puoi dire questo di quelli già morti o non ancora nati? Ti faranno soffrire quelli viventi, gli scribi, i farisei, i sad­ducei, con le loro accuse, le loro gelosie, le loro malignità. Ma non più di così» asserisce sicuro Bartolomeo. 
«Giovanni Battista fu anche ucciso... e non è il solo profeta che Israele abbia ucciso e il solo sacerdote, del Volere eterno, ucciso perché inviso ai disubbidienti a Dio». 
«Ma Tu sei da più di un profeta e dello stesso Battista, tuo Precursore. Tu sei il Verbo di Dio. La mano d’Israele non si al­zerà su di Te» dice Giuda Taddeo. 
«Lo credi, fratello? Sei in errore» gli risponde Gesù. 
«No. Non può essere! Non può avvenire! Dio non lo permet­terà! Sarebbe un avvilire per sempre il suo Cristo!». Giuda Taddeo è tanto agitato che si alza in piedi. 
Anche Gesù lo imita e lo guarda fisso nel volto impallidito, negli occhi sinceri. Dice lentamente: «Eppure sarà», e abbassa il braccio destro, che aveva alto, come se giurasse. 

5Tutti si alzano e si stringono più ancora intorno a Lui - una corona di visi addolorati ma più ancora increduli - e mormorii vanno per il gruppo: 
«Certo... se così fosse... il Taddeo avrebbe ragione». 
«Quello che avvenne del Battista è male. Ma ha esaltato l’uomo, eroico fino alla fine. Se ciò avvenisse al Cristo sarebbe uno sminuirlo». 
«Cristo può essere perseguitato, ma non avvilito». 
«L’unzione di Dio è su di Lui». 
«Chi potrebbe più credere se ti vedessero in balìa degli uomini?». 
«Noi non lo permetteremo». 
L’unico che tace è Giacomo di Alfeo. 
Suo fratello lo investe: «Tu non parli? Non ti muovi? Non senti? Difendi il Cristo contro Se stesso!». 
Giacomo, per tutta risposta, si porta le mani al viso e si sco­sta alquanto, piangendo. 
«È uno stolto!» sentenzia suo fratello. 
«Forse meno di quanto lo credi» gli risponde Ermasteo. E continua: «Ieri, spiegando la profezia, il Maestro ha parlato di un corpo disfatto che si reintegra e di uno che da sé si resusci­ta. Io penso che uno non può risorgere se prima non è morto». 
«Ma può essere morto di morte naturale, di vecchiaia. Ed è già molto ciò per il Cristo!» ribatte il Taddeo, e molti gli danno ragione. 
«Sì, ma allora non sarebbe un segno dato a questa genera­zione che è molto più vecchia di Lui» osserva Simone Zelote. 
«Già. Ma non è detto che parli di Se stesso» ribatte il Tad­deo, ostinato nel suo amore e nel suo rispetto. 
«Nessuno che non sia il Figlio di Dio può da Se stesso risu­scitarsi, così come nessuno che non sia il Figlio di Dio può esse­re nato come Egli è nato. Io lo dico. Io che ho visto la sua gloria natale» dice Isacco con sicura testimonianza. 

Gesù, con le braccia conserte, li ha ascoltati parlare guar­dandoli a turno. Ora fa Lui cenno di parlare e dice: «Il Figlio dell’uomo sarà dato in mano degli uomini perché Egli è il Figlio di Dio ma è anche il Redentore dell’uomo. E non c’è redenzione senza sofferenza. La mia sofferenza sarà del corpo, della carne e del sangue, per riparare i peccati della carne e del sangue. Sarà morale per riparare ai peccati della mente e delle passio­ni. Sarà spirituale per riparare alle colpe dello spirito. Comple­ta sarà. Perciò all’ora fissata Io sarò preso, in Gerusalemme, e dopo molto avere già sofferto per colpa degli Anziani e dei Som­mi Sacerdoti, degli scribi e dei farisei, sarò condannato a morte infamante. E Dio lascerà fare perché così deve essere, essendo Io l’Agnello di espiazione per i peccati di tutto il mondo. E in un mare di angoscia, condivisa da mia Madre e da poche altre per­sone, morirò sul patibolo, e tre giorni dopo, per mio solo volere divino, risusciterò a vita eterna e gloriosa come Uomo e tornerò ad essere Dio in Cielo col Padre e con lo Spirito. Ma prima dovrò patire ogni obbrobrio ed avere il cuore trafitto dalla Menzo­gna e dall’Odio». 

6Un coro di grida scandalizzate si leva per l’aria tiepida e profumata di primavera. 

Pietro, con un viso sgomento, e scandalizzato lui pure, pren­de Gesù per un braccio e lo tira un poco da parte dicendogli piano all’orecchio: «Ohibò, Signore! Non dire questo. Non sta bene. Tu vedi? Essi si scandalizzano. Tu decadi dal loro concet­to. Per nessuna cosa al mondo Tu devi permettere questo; ma già una simile cosa non ti avverrà mai. Perché dunque prospet­tarla come vera? Tu devi salire sempre più nel concetto degli uomini, se ti vuoi affermare, e devi terminare magari con un ultimo miracolo, quale quello di incenerire i tuoi nemici. Ma mai avvilirti a renderti uguale ad un malfattore punito». E Pietro pare un maestro o un padre afflitto che rimproveri, amo­revolmente affannato, un figlio che ha detto una stoltezza. 

Gesù, che era un poco curvo per ascoltare il bisbiglio di Pie­tro, si alza severo, con dei raggi negli occhi, ma raggi di corruc­cio, e grida forte, che tutti sentano e la lezione serva per tutti: «Va’ lontano da Me, tu che in questo momento sei un satana che mi consigli a venir meno all’ubbidienza del Padre mio! Per questo Io sono venuto! Non per gli onori! Tu, col consigliarmi alla superbia, alla disubbidienza e al rigore senza carità, tenti sedurmi al Male. Va’! Mi sei scandalo! Tu non capisci che la grandezza sta non negli onori ma nel sacrificio e che nulla è ap­parire un verme agli uomini se Dio ci giudica angeli? Tu, uomo stolto, non capisci ciò che è grandezza di Dio e ragione di Dio e vedi, giudichi, senti, parli, con quel che è dell’uomo». 
Il povero Pietro resta annichilito sotto il rimprovero severo; si scansa mortificato e piange... E non è il pianto gioioso di po­chi giorni prima. Ma un pianto desolato di chi capisce di avere peccato e di avere addolorato chi ama. 

E Gesù lo lascia piangere. Si scalza, rialza le vesti e passa a guado il ruscello. Gli altri lo imitano in silenzio. Nessuno osa dire una parola. In coda a tutti è il povero Pietro, invano conso­lato da Isacco e dallo Zelote. 

Andrea si volge più di una volta a guardarlo e poi mormora qualcosa a Giovanni, che è tutto afflitto. Ma Giovanni scuote il capo con cenni di diniego. Allora Andrea si decide. Corre avan­ti. Raggiunge Gesù. Chiama piano, con apparente tremore: «Maestro! Maestro!...». 
Gesù lo lascia chiamare più volte. Infine si volge severo e chiede: «Che vuoi?». 
«Maestro, mio fratello è afflitto... piange...». 
«Se lo è meritato». 
«È vero, Signore. Ma egli è sempre un uomo... Non può sem­pre parlare bene». 
«Infatti oggi ha parlato molto male» risponde Gesù. Ma è già meno severo e una scintilla di sorriso gli molce l’occhio divino. 
Andrea si rinfranca e aumenta la sua perorazione a pro del fratello. «Ma Tu sei giusto e sai che amore di Te lo fece erra­re...». 
«L’amore deve essere luce, non tenebre. Egli lo ha fatto tene­bre e se ne è fasciato lo spirito». 
«È vero, Signore. Ma le fasce si possono levare quando si vo­glia. Non è come avere lo spirito stesso tenebroso. Le fasce sono l’esterno. Lo spirito è l’interno, il nucleo vivo... L’interno di mio fratello è buono». 
«Si levi allora le fasce che vi ha messo». 
«Certamente che lo farà, Signore! Lo sta già facendo. Volgiti a guardarlo come è sfigurato dal pianto che Tu non consoli. Perché severo così con lui?». 
«Perché egli ha il dovere di essere “il primo” così come Io gli ho dato l’onore di esserlo. Chi molto riceve molto deve dare...». 
«Oh! Signore! È vero, sì. Ma non ti ricordi di Maria di Laz­zaro? Di Giovanni di Endor? Di Aglae? Della Bella di Corozim? Di Levi? A questi Tu hai tutto dato... ed essi non ti avevano da­to ancora che l’intenzione di redimersi... Signore!... Tu mi hai ascoltato per la Bella di Corozim e per Aglae... Non mi ascolte­resti per il tuo e mio Simone, che peccò per amore di Te?». 
Gesù abbassa gli occhi sul mite che si fa audace e pressante in favore del fratello come lo fu, silenziosamente, per Aglae e la Bella di Corozim, e il suo viso splende di luce: «Va’ a chiamar­mi tuo fratello» dice, «e portamelo qui». 
«Oh! grazie, mio Signore! Vado...», e corre via, lesto come una rondine. 

8 «Vieni, Simone. Il Maestro non è più in collera con te. Vie­ni, ché te lo vuole dire». 
«No, no. Io mi vergogno... Da troppo poco tempo mi ha rim­proverato... Deve volermi per rimproverarmi ancora...». 
«Come lo conosci male! Su, vieni! Ti pare che io ti porterei ad un’altra sofferenza? Se non fossi certo che ti attende là una gioia, non insisterei. Vieni». 
«Ma che gli dirò mai?» dice Pietro, avviandosi un poco re­calcitrante, frenato dalla sua umanità, spronato dal suo spirito che non può stare senza la condiscendenza di Gesù e senza il suo amore. «Che gli dirò?» continua a chiedere. 
«Ma nulla! Mostragli il tuo volto e basterà» lo rincuora il fratello. 
Tutti i discepoli, man mano che i due li sorpassano, guarda­no i due fratelli e sorridono, comprendendo ciò che avviene. 
Gesù è raggiunto. Ma Pietro si arresta all’ultimo momento. Andrea non fa storie. Con una energica spinta, uso quelle che dà alla barca per spingerla al largo, lo butta avanti. Gesù si ferma... Pietro alza il viso... Gesù abbassa il viso... Si guarda­no... Due lacrimoni rotolano giù per le guance arrossate di Pie­tro... 
«Qui, grande bambino irriflessivo, che ti faccia da padre asciugando questo pianto» dice Gesù e alza la mano, sulla qua­le è ancora ben visibile il segno della sassata di Giscala, e asciuga con le sue dita quelle due lacrime. 
«Oh! Signore! Mi hai perdonato?» chiede Pietro tremebon­do, afferrando la mano di Gesù fra le sue e guardandolo con due occhi di cane fedele che vuole farsi perdonare dal padrone inquieto. 
«Non ti ho mai colpito di condanna...». 
«Ma prima...». 
«Ti ho amato. È amore non permettere che in te prendano radice deviazioni di sentimento e di sapienza. Devi essere il pri­mo in tutto, Simon Pietro». 
«Allora... allora Tu mi vuoi bene ancora? Tu mi vuoi anco­ra? Non che io voglia il primo posto, sai? Mi basta anche l’ulti­mo, ma essere con Te, al tuo servizio... e morirci al tuo servizio, Signore, mio Dio!». 
Gesù gli passa il braccio sulle spalle e se lo stringe al fianco. 
Allora Simone, che non ha mai lasciato andare l’altra mano di Gesù, la copre di baci... felice. E mormora: «Quanto ho sof­ferto!... Grazie, Gesù». 
«Ringrazia tuo fratello, piuttosto. E sappi in futuro portare il tuo peso con giustizia ed eroismo. 
9Attendiamo gli altri. Dove sono?». 


Sono fermi dove erano quando Pietro aveva raggiunto Gesù, per lasciare libero il Maestro di parlare al suo apostolo mortifi­cato. Gesù accenna loro di venire avanti. E con loro sono un branchetto di contadini che avevano lasciato di lavorare nei campi per venire ad interrogare i discepoli. 




Gesù, tenendo sempre la mano sulla spalla di Pietro, dice: 

«Da quanto è avvenuto voi avete compreso che è cosa severa essere al mio servizio. L’ho dato a lui il rimprovero. Ma era per tutti. Perché gli stessi pensieri erano nella maggioranza dei cuori, o ben formati o solo in seme. Così Io ve li ho stroncati, e chi ancora li coltiva mostra di non capire la mia Dottrina, la mia Missione, la mia Persona. 

Io sono venuto per essere Via, Verità e Vita. Vi dò la Verità con ciò che insegno. Vi spiano la Via col mio sacrificio, ve la traccio, ve la indico. Ma la Vita ve la dò con la mia Morte. E ri­cordate che chiunque risponde alla mia chiamata e si mette nelle mie file per cooperare alla redenzione del mondo deve es­sere pronto a morire per dare ad altri la Vita. Perciò chiunque voglia venire dietro a Me deve essere pronto a rinnegare se stesso, il vecchio se stesso con le sue passioni, tendenze, usi, tradizioni, pensieri, e seguirmi col suo nuovo se stesso. 

Prenda ognuno la sua croce come Io la prenderò. La prenda se anche gli sembra troppo infamante. Lasci che il peso della sua croce stritoli il suo se stesso umano per liberare il se stesso spirituale, al quale la croce non fa orrore ma anzi è oggetto di appoggio e di venerazione perché lo spirito sa e ricorda. E con la sua croce mi segua. Lo attenderà alla fine della via la morte ignominiosa come Me attende? Non importa. Non si affligga, ma anzi giubili, perché l’ignominia della terra si muterà in grande gloria in Cielo, mentre sarà disonore l’essere vili di fronte agli eroismi spirituali. 

Voi sempre dite di volermi seguire fino alla morte. Seguite­mi allora, e vi condurrò al Regno per una via aspra ma santa e gloriosa, al termine della quale conquisterete la Vita senza mu­tazione in eterno. Questo sarà “vivere”. Seguire, invece, le vie del mondo e della carne è “morire”. Di modo che se uno vorrà salvare la sua vita sulla terra la perderà, mentre colui che per­derà la vita sulla terra per causa mia e per amore al mio Van­gelo la salverà. Ma considerate: che gioverà all’uomo guada­gnare tutto il mondo se poi perde la sua anima? 

10E ancora guardatevi bene, ora e in futuro, di vergognarvi delle mie parole e delle mie azioni. Anche questo sarebbe “morire”. Perché chi si vergognerà di Me e delle mie parole in mez­zo alla generazione stolta, adultera e peccatrice, di cui ho par­lato, e sperando averne protezione e vantaggio la adulerà rin­negando Me e la mia Dottrina e gettando le perle avute nelle gole immonde dei porci e dei cani per averne in compenso escrementi al posto di monete, sarà giudicato dal Figlio dell’uo­mo quando verrà nella gloria del Padre suo e cogli angeli e i santi a giudicare il mondo. Egli allora si vergognerà di questi adulteri e fornicatori, di questi vili e di questi usurai e li caccerà dal suo Regno, perché non c’è posto nella Gerusalemme celeste per gli adulteri, i vili, i fornicatori, bestemmiatori e ladri. E in verità vi dico che ci sono alcuni dei presenti fra i miei discepoli e discepole che non gusteranno la morte prima di avere veduto il Regno di Dio fondarsi, col suo Re incoronato e unto». 

Riprendono ad andare parlando animatamente, mentre il sole cala lentamente nel cielo... 

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 

sabato 14 settembre 2013

Oggi vi invito a guardare alla Croce


GESU' CROCEFISSO E' LA VOSTRA SALVEZZA
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- Gesù Crocefisso è la salvezza per la Chiesa, suo mistico corpo, che vive ora le stesse vicende della sua passione e della sua immolazione.

È nella sua Chiesa che Gesù rinnova il Sacrificio della Redenzione, comunica il dono della sua Grazia e toglie, col suo perdono, tutto il peccato ed il male del mondo.

È nella sua Chiesa crocefissa che Gesù diventa salvezza per l'umanità di questi ultimi tempi della purificazione e della grande tribolazione.

Per questo sarete chiamati sempre più a soffrire, a salire con Gesù il Calvario della vostra sacerdotale immolazione, per la vita del mondo.


- Gesù Crocefisso è salvezza per tutti voi, miei figli, esposti a così grandi pericoli di perdervi.

Il suo Sacrificio che si rinnova in ogni momento, dal sorgere al tramonto del sole, dona sempre al Padre una giusta riparazione, fa scendere ovunque la rugiada della sua divina Grazia, comunica nel suo Spirito il fuoco dell'amore, rinnova i cuori e le anime di tutti.

Gesù Crocefisso diventa, sopratutto in questi ultimi tempi, segno di speranza e di sicura vittoria.

La sua Croce luminosa, che si distenderà nel cielo dall'oriente all'occidente, indicherà a tutti voi il ritorno di Gesù nella gloria.

Per questo oggi vi invito a guardare alla Croce, ove Gesù viene innalzato, per attirare a sé tutte le genti.

Mio piccolo bambino, va senza paura in questo tuo nuovo viaggio (in ben sessanta diocesi di tutto il Brasile).

Gli Angeli di luce del mio Cuore, ai miei ordini, disporranno per te ogni cosa. Tu cammina ancora su tutte le strade del mondo, per portare a tutti l'annuncio del trionfo del mio Cuore Immacolato».
MSM: Milano 14 sett., 1995

Veggenti di Fatima, Pregate per noi

lunedì 9 settembre 2013

Geniale






*Geniale commento al Vangelo del 1° settembre 2013 //  Vangelo di Luca (14, 1.7-14) Gesù dice: “Va’ a metterti all’ultimo posto… perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”, e: “Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti”.
*

Ognuno nella vita vuole trovare il suo posto buono. Ma qual è veramente il posto giusto? L’omelia di Benedetto XVI nella messa celebrata in occasione dell’incontro dei suoi ex-allievi è, in fondo, una risposta a questa domanda e parte dal Vangelo di oggi, nel quale Gesù invita a prendere l’ultimo posto.
“Un posto che può sembrare molto buono può rivelarsi per essere un posto molto brutto”, nota il papa emerito facendo riferimento a quanto accaduto già in questo mondo, anche negli ultimi decenni, dove vediamo come “i primi” sono stati rovesciati e improvvisamente sono diventati “ultimi” e quel posto che sembrava buono era invece “sbagliato”. 
Anche nei discorsi che si tennero durante l’Ultima Cena, i discepoli si litigano i posti migliori. Gesù si presenta invece come Colui che serve. Lui “nato nella stalla” e “morto sulla Croce” ci dice – afferma Benedetto XVI – che il posto giusto è quello vicino a Lui, “il posto secondo la sua misura”. E l’apostolo, in quanto inviato di Cristo “è l’ultimo nell’opinione del mondo”, e proprio per questo è vicino a Gesù:
“Chi, in questo mondo e in questa Storia forse viene spinto in avanti e arriva ai primi posti, deve sapere di essere in pericolo; deve guardare ancora di più al Signore, misurarsi a Lui, misurarsi alla responsabilità per l’altro, deve diventare colui che serve, quello che nella realtà è seduto ai piedi dell’altro, e così benedice e a sua volta diventa benedetto”.

E, dunque, qualunque sia il posto che la Storia vorrà assegnarci, quello che è determinante – sottolinea il papa emerito – è “la responsabilità davanti a Lui, e la responsabilità per l’amore, per la giustizia e per la verità”. Nel Vangelo di oggi il Signore ricorda che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. E Benedetto XVI fa notare che “Cristo, il Figlio di Dio, scende per servire noi e questo fa l’essenza di Dio” che “consiste nel piegarsi verso di noi: l’amore, il ‘sì’ ai sofferenti, l’elevazione dall’umiliazione”:
“Noi ci troviamo sulla via di Cristo, sulla giusta via se in Sua vece e come Lui proviamo a diventare persone che ’scendono’ per entrare nella vera grandezza, nella grandezza di Dio che è la grandezza dell’amore”.

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Benedetto XVI fa dunque nell’omelia una catechesi sul senso dell’abbassamento di Cristo e sull’essenza dell’amore di Dio. “La Croce, nella Storia, è l’ultimo posto” e il “Crocifisso non ha nessun posto, è un ‘non-posto’”, è stato spogliato, “è un nessuno” eppure – nota Benedetto XVI – Giovanni nel Vangelo vede “questa umiliazione estrema” come “la vera esaltazione”:
“Così, Gesù è più alto; sì, è all’altezza di Dio perché l’altezza della Croce è l’altezza dell’amore di Dio, l’altezza della rinuncia di se stesso e la dedizione agli altri. Così, questo è il posto divino, e noi vogliamo pregare Dio che ci doni di comprendere questo sempre di più e di accettare con umiltà, ciascuno a modo proprio, questo mistero dell’esaltazione e dell’umiliazione”.

*

Infine il Papa emerito ricorda che Gesù esorta a “invitare” a prescindere dai vantaggi, cioè a invitare i paralitici, gli storpi, i poveri perché Lui stesso lo ha fatto invitando “noi alla mensa di Dio”, e in questo modo mostrandoci cosa sia la gratuità. Giustamente l’economia si poggia sulla “giustizia commutativa”, sul “do ut des”, ma perfino in questo ambito rimane qualcosa di gratuito, ricorda Benedetto XVI sottolineando che “senza la gratuità del perdono nessuna società può crescere”, tanto è vero che le più grandi cose della vita, cioè “l’amore, l’amicizia, la bontà, il perdono”, “non le possiamo pagare”, “sono gratis, nello stesso modo che in cui Dio ci dona a titolo gratuito”:
“Così, pur nella lotta per la giustizia nel mondo, non dobbiamo mai dimenticare la ‘gratuità’ di Dio, il continuo dare e ricevere, e dobbiamo costruire sul fatto che il Signore dona a noi, che ci sono persone buone che ci donano ‘gratis’ la loro bontà, che ci sopportano a titolo gratuito, ci amano e sono buone con noi ‘gratis’; e poi, a nostra volta, donare questa ‘gratuità’ per avvicinare così il mondo a Dio, per diventare simili a Lui, per aprirci a Lui”.
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Quindi Benedetto XVI si sofferma sulla liturgia, sull’umiltà della liturgia cristiana che è insieme “incommensurabilmente grande” perché ci si unisce alle schiere degli angeli e dei santi nella festosa gioia di Dio. E il sangue di Cristo, che è al centro dell’Eucaristia, significa proprio “entrare nello splendore del raduno gioioso di Dio”. “Questo Sangue è il suo amore”, conclude Benedetto XVI. “È il Monte di Dio e ci apre alla gloria di Dio”.(Papa Benedetto XVI)

Beato Pier Giorgio Frassati p.p.n.