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mercoledì 13 febbraio 2019

PER RINFRESCARE LA MEMORIA

Risultati immagini per san Pio V
Papa san Pio V, nella bolla Quo Primum Tempore (14 luglio 1570), con la quale si promulgò la riforma di questo rito, scrisse:

In virtù dell’Autorità Apostolica, noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l’Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente, così che i Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta. (…) 

Nessuno dunque, e in nessun modo, si permettano con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro Documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo.”


Insomma, visto l’ostracismo che c’è nei confronti della Santa Messa in Rito Romano Antico, quelle di san Pio V sembrano proprio parole profetiche

Dio è Verità, Bontà e bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri

AMDG et DVM

giovedì 9 agosto 2018

QUESITI

Un sacerdote risponde

Altari e riforma della liturgia

      Quesito 

      Mi è capitato di partecipare alla Santa Messa in una Chiesa in cui c'è ancora il vecchio altare, quello che si usava prima della riforma, quando il sacerdote celebrava volgendo le spalle ai fedeli.
      Mossa da curiosità ho fatto chiedere al parroco come mai, è stato risposto che si è in attesa di costruire l'altare nuovo.
      E' necessaria una dispensa particolare per celebrare Messa cosi'? O la questione rientra nella diatriba sulla validità o meno del vecchio rito? ( cosa peraltro che mi è poco chiara, anzi se Padre Angelo fosse cosi' gentile da aprire un topic sull'argomento mi farebbe felice:) )
      Maria

      Ulteriore quesito 

      Ringrazio Maria perché ha preceduto la mia intenzione di intervenire su questo argomento.  Sarei oltremodo lieto che, per amore della verità, Padre Angelo facesse chiarezza su alcuni dubbi:
    
      La S. Messa celebrata secondo il rito introdotto dal papa S. Pio V è ancora valida? D'altro canto il nuovo rito introdotto da papa Paolo VI sostituisce l'antico rito oppure i due riti possono convivere liberamente? E ancora, il nuovo rito è valido?
    
      Per celebrare la S. Messa secondo il rito antico occorre una dispensa particolare oppure no? Perché tante volte viene negata la celebrazione secondo questo rito e nello stesso tempo vengono tollerati abusi durante la celebrazione eucaristica in chiaro contrasto con il Concilio stesso?
    
      I due riti sono espressione dell'Unica Chiesa Cattolica Apostolica Romana oppure solo uno dei due ne è il degno rappresentante?
    
      I seminari che formano sacerdoti in base alla Tradizione bimillenaria cattolica -penso ad es. all'Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote- sono riconosciuti dalla Santa Sede oppure no? I sacerdoti formati in questi istituti hanno "diritto di cittadinanza"? 

      Veritatem facientes in charitate


      Risposta del sacerdote 

      Carissimi Maria e "Veritatem facientes in charitate" 
      
      Le questioni sollevate sono molte. 
      Vedo di risolverle per punti. 
      
      1. La S. Messa celebrata secondo il rito introdotto dal papa S. Pio V è ancora valida? 
      Un conto è la validità e un altro è la liceità. 
      Perché la Messa sia valida è sufficiente che sia celebrata da un ministro ordinato (il presbitero) che abbia l’intenzione di celebrare e che pronunzi le parole consacratorie. 
      Per questo è valida anche la Messa celebrata da un prete apostata, scismatico, eretico, sospeso a divinis
      Perché sia lecita è necessario che il prete non abbia impedimenti canonici e che celebri secondo il rito approvato dalla Chiesa. 
      Ebbene, anche dopo la Riforma liturgica fu concesso ad alcuni preti anziani o infermi di celebrare secondo il vecchio rito, rivisto da Giovanni XXIII nel 1962 (p. Pio da Pietrelcina era tra questi). 
      Oggi, a certe condizioni, è concesso anche ad altri sacerdoti, secondo due indulti concessi da Giovanni Paolo II. 

[Ma la storia continua. In verità dopo il 14.settembre.2007 - per La Lettera Apostolica di sua Santità Benedetto XVI <MOTU PROPRIO DATA> "SUMMORUM PONTIFICUM"  del 7 luglio 2007 - "nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII del 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l'uno o l'altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario" (art.2). Occorrerà leggere tutti e 12 gli Articoli finali della  suddetta Lettera Apostolica di Papa Benedetto XVI.]
    
      2. Perchè tante volte viene negata la celebrazione secondo questo rito?
      Talvolta è stato negato il permesso di celebrare secondo il vecchio rito perché coloro che ne facevano la domanda erano portati a mettere in discussione il valore del magistero della Chiesa (quello del Concilio e quello del post Concilio).
      Ora il Magistero della Chiesa, lo sappiamo bene, ha avuto garanzie da parte di Gesù Cristo e pertanto non va mai messo in discussione.
      Sappiamo a priori che il Magistero non può sbagliare, mentre i singoli si possono sbagliare. Pertanto, quando uno trova il proprio pensiero discordante con quello della Chiesa, il minimo che si possa fare è di dubitare della propria opinione e di aderire fedelmente a quanto insegna la Chiesa.
    
      3. e nello stesso tempo vengono tollerati abusi durante la celebrazione eucaristica in chiaro contrasto con il Concilio stesso?
      La Chiesa è sempre intervenuta circa gli abusi. Anche di recente Giovanni Paolo II ha richiamato circa alcuni abusi con l’istruzione Redemptionis Sacramentum. Ma se i soggetti non vogliono emendarsi, che cosa si può fare?
      Coloro che commettono abusi, sbagliano e non possono essere approvati. Ma non mettono in discussione l’autorità del Magistero.
    
      4. I due riti sono espressione dell'Unica Chiesa Cattolica Apostolica Romana oppure solo uno dei due ne è il degno rappresentante? 
      La risposta è chiara: tutti e due sono espressione dell'Unica Chiesa Cattolica Apostolica Romana. La Chiesa ha celebrato con il primo rito dal 1500 ad oggi. E con il secondo dal 1965 in qua.
      Nella storia della Chiesa l’Eucaristia è stata celebrata e viene ancora oggi celebrata secondo una molteplicità di riti.
      Ma chi decide sulla liceità dei riti non è il singolo, ma l’Autorità della Chiesa.
      Con la nuova riforma liturgica la Chiesa aveva proibito di celebrare secondo il rito precedente, a meno che uno non chiedesse l’indulto. E il motivo era facile da capire: era necessaria una certa uniformità. Bisognava evitare che un prete dicesse: “io prendo il nuovo rito” e un altro facesse il contrario. Ne sarebbe venuta fuori una grande confusione tra i fedeli.
      La Chiesa ha optato per il nuovo rito perché lo ha trovato più espressivo del precedente. Non bisogna dimenticare che i sacramenti sono segni sacri. E i segni devono essere leggibili, comprensibili.
    
      5. I seminari che formano sacerdoti in base alla Tradizione bimillenaria cattolica -penso ad es. all'Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote- sono riconosciuti dalla Santa Sede oppure no? I sacerdoti formati in questi istituti hanno "diritto di cittadinanza"?
      Accuso l’ignoranza: non so nulla dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote e non so, di conseguenza, se sia riconosciuto dalla Santa Sede.
      San Domenico, quando ha fondato il suo Ordine, si è preoccupato per bene di avere al più presto l’approvazione della Santa Sede.
      Se l’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote è riconosciuto, ha certamente diritto di cittadinanza, evidentemente secondo le condizioni sancite dalla Chiesa.
    
      6. Mi è capitato di partecipare alla Santa Messa in una Chiesa in cui c'è ancora il vecchio altare, quello che si usava prima della riforma, quando il sacerdote celebrava volgendo le spalle ai fedeli. Mossa da curiosità ho fatto chiedere al parroco come mai, è stato risposto che si è in attesa di costruire l'altare nuovo. E' necessaria una dispensa particolare per celebrare Messa cosi'?
    
      Non è necessario avere una dispensa per celebrare la Messa con l’altare fissato nel modo tradizionale. In tante chiese non è possibile voltare l’altare verso i fedeli: o perché non lo concedono le belle arti o per la ristrettezza del luogo o per altri mille motivi.
    
      7. O la questione rientra nella diatriba sulla validità o meno del vecchio rito? (cosa peraltro che mi è poco chiara, anzi se Padre Angelo fosse così gentile da aprire un topic sull'argomento mi farebbe felice).
    
      Non è necessario vedere dispute teologiche o liturgiche dappertutto. Il più delle volte l’altare non è stato girato per i motivi che ho esposto.
      Nella Basilica di San Domenico a Bologna, nella Cappella che custodisce i resti mortali di San Domenico, l’altare è un tutt’uno con l’Arca. Non si può girare e sarebbe un insulto al buon gusto girarlo. La stessa cosa per l’altare che forma un tutt’uno con il sarcofago che custodisce i resti di sant’Antonio a Padova o quelli di Sant’Agostino nella Chiesa in Ciel d’oro a Pavia.
    
      Con questa risposta mi auguro di aver reso felice la nostra Maria e sinceramente convinto anche colui che si è firmato Veritatem facientes in charitate.
      Vi accompagno con la mia preghiera e vi benedico. 

      Padre Angelo

      Ulteriore intervento 

      Ringrazio Padre Angelo per le risposte alle domande poste. Personalmente non ho mai messo in discussione il magistero della Chìesa o il Concilio Vaticano II, però ho voluto porre queste questioni per amore della chiarezza e della verità. Non capisco soltanto perché a gruppi che pure sono in comunione con la S. Sede ai quali l'amato Giovanni Paolo II aveva concesso l'indulto, di fatto i Vescovi delle singole diocesi molto spesso negano la possibilità di celebrare la S. Messsa in base al Messale del 1962; considerarato il fatto che nella promulgazione del Novus Ordo papa Paolo VI non ha mai abolito l'antico rito. Di recente, infatti, il Cardinale Medina Estèvez ha dichiarato che quando celebra la S.Messa secondo l'antico rito non chiede il permesso a nessuno in quanto questo rito non potrà mai essere abolito per ragioni giuridiche.Se non sbaglio con la promulgazione del Messale S. Pio V voleva fermare le spinte protestanti, scegliendo il rito romano tradizionale: la Messa quale era celebrata sostanzialmente uguale a Roma fin dai tempi apostolici. Mi sembra che l’antico rito sia più attento all'universalità,al cristocentrismo, a una certa definizione dei ruoli, a una maggiore compostezza, alla tradizione e progresso nella liturgia, al sacrificio della croce che non è una mera ripetizione simbolica. Questi sono pareri di un misero studente, quale sono io, che per quanto possibile si sente in dovere di difendere un patrimonio di fede e spiritualità in obbedienza alla S. Sede.
      _________________
      Veritatem facientes in charitate

      Risposta del sacerdote 

      Carissimo Veritatem facientes in caritate,
      i valori che hai sottolineato, e che emergevano dall’antico rito, sono valori della massima importanza. E la chiesa di oggi è ben consapevole che devono essere sempre tenuti vivi. La discussione dei Vescovi nell’Ultimo Sinodo sull’Eucaristia ne dà testimonianza.
      Sono certo che il documento che il papa consegnerà alla Chiesa probabilmente già nel prossimo anno li presenterà con nuova forza.
      Tra i valori che tu hai indicato io ne sottolineo due.
    
 *  Il primo valore riguarda quella realtà che tu chiami compostezza, e che io chiamerei “gravità” o “grandezza misteriosa” della celebrazione. C’è il pericolo, e non solo il pericolo, che le nostre liturgie eucaristiche siano buttate giù, nelle quali né il celebrante né i fedeli danno l’impressione di penetrare nel mistero.
      Il Concilio di Trento afferma che non vi è azione più sublime e più santa che celebrare l’Eucaristia: “Nullum aliud opus adeo sanctum a Christi fidelibus tractari posse quam hoc tremendum mysterium” (sessione 22).
      La compostezza o gravità nel partecipare all’Eucaristia non si improvvisa, ma va preparata. 

      Qui il discorso diventerebbe quanto mai ampio, perché c’è una preparazione remota e una preparazione prossima da compiere.
      Circa la preparazione remota mi limito ad osservare che il Concilio Vaticano II ha affermato in diversi punti che l’Eucaristia è la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana. Tutta la nostra vita dunque dovrebbe essere orientata all’eucaristia da celebrare e dovrebbe essere un proseguimento dell’Eucaristia celebrata. 

      Inoltre c’è la preparazione prossima. Giovanni Paolo II, di santa memoria, si preparava all’Eucaristia stando per mezz’ora prostrato per terra. Dopo l’attentato stava seduto. Ma c’era mezz’ora di preparazione.
      E i nostri sacerdoti? E i nostri fedeli? 
      Il Codice di Diritto canonico ricorda ai sacerdoti la necessità “di prepararsi diligentemente con la preghiera alla celebrazione del Sacrificio eucaristico, e, dopo averlo terminato, di rendere grazie a Dio” (can. 909).
      La stessa cosa va detta per i fedeli.
    
   *   Il secondo valore, che tocca l’essenza stessa dell’Eucaristia, riguarda la perpetuazione del sacrificio della Croce sui nostri altari.
      Istituendo l’Eucaristia, Cristo ha inteso rendere contemporaneo a noi il sacrificio della croce
      San Paolo dice: “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11,26).
      Penso a tanti santi che durante la celebrazione dell’eucaristia si commuovono fino alle lacrime.
      Fu chiesto un giorno a p. Pio da Pietrelcina come mai ci mettesse così tanto tempo per celebrare la Santa Messa. Rispose: “E vi par poco vedere Gesù che muore?”.
      Secondo me è sempre valida la risposta data dal medesimo p. Pio a chi gli chiedeva che cosa fosse per lui la Messa. P. Pio disse: “La Messa è un appuntamento sul Calvario”.
      E a chi gli chiedeva con quali sentimenti si dovesse partecipare all’Eucaristia, rispondeva: “Con i sentimenti della Madonna e di San Giovanni ai piedi della croce”.
      Molto dipende dal celebrante. Secondo l’Istruzione del Messale Romano egli deve celebrare in modo da scomparire e da lasciare in tutti la netta sensazione che in mezzo a loro Cristo perpetua il suo sacrificio per mezzo del sacerdote. Ecco le precise parole: il celebrante “nel modo di comportarsi e di pronunciare le parole divine deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Gesù” (n. 93).
      E il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Tutti si riuniscono. I cristiani accorrono in uno stesso luogo per l’assemblea eucaristica. Li precede Cristo stesso, che è il protagonista principale dell’Eucaristia. E’ il grande sacerdote della Nuova Alleanza. E’ lui stesso che presiede in modo invisibile ogni celebrazione eucaristica. Proprio in quanto lo rappresenta, il vescovo o il presbitero (agendo « in persona Christi capitis » - nella persona di Cristo Capo) presiede l’assemblea, prende la parola dopo le letture, riceve le offerte e proclama la preghiera eucaristica” (CCC 1348).
      San Giovanni Crisostomo: “Nessuno partecipi a quegli inni sacri e mistici con un fervore rilassato. Ma ciascuno, sradicando dal proprio spirito tutto ciò che appartiene alla terra e trasferendosi tutto in cielo, come se si trovasse accanto al trono stesso della gloria e volasse insieme ai serafini, offra in questo modo l’inno santissimo al Dio della gloria e della magnificenza” (S. GIOVANNI CRISOSTOMO, De incomprehensibilitate Dei, 4,5)
    
      Invito tutti a partecipare all’Eucaristia tenendo sempre fisso lo sguardo su Gesù.
      Ringrazio Fabio per l’informazione data sull’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote.
    
      Seguo tutti con la mia preghiera e con un ricordo particolare per tutti i nostri amici e visitatori nella celebrazione della S. Messa.
      Vi benedico.
      Padre Angelo

      Ulteriore intervento 

      Posso confermare che l'istituto di Cristo Re, di cui si chiedeva nel post precedente, é in piena comunione con Roma. Esso ha un seminario a Griciliano in provincia di Firenze, avvallendosi dell'indulto concesso nel 1988 dal Santo Padre celebra tutte le liturgie coi libri liturgici antecedenti il 1962. Quest'anno sono entrati in seminario ben 18 nuovi seminaristi!!
      questo é il sito dell'istituto www.icrsp.com
      Consiglio a tutti gli amanti della bella liturgia di partecipare, almeno una volta, ad una Messa presso il seminario di Griciliano....
    
      cordialmente Fabio

Pubblicato 05.01.2006
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AMDG et DVM

martedì 19 gennaio 2016

I futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché ad utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia» (Sacramentum Caritatis, n. 62).

L'ATTEGGIAMENTO... SCISMATICO DEI SACERDOTI CHE CONDANNANO LA MESSA IN LATINO E GLI INSEGNAMENTI DEL PAPA

Benedetto XVI ribadì che "i seminaristi siano preparati a celebrare la santa Messa in latino e inoltre i semplici fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia" (da Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa). 

Il latino è senza dubbio la lingua più longeva della liturgia romana: la si utilizza infatti da più di sedici secoli, ossia da quando si perfezionò a Roma, sotto Papa Damaso († 384) il passaggio ad essa dal greco. I libri liturgici ufficiali del Rito Romano vengono pertanto a tutt'oggi pubblicati in latino (editio typica). 

Il Codice di Diritto Canonico, al can. 928, stabilisce: «La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua latina o in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati». Questo canone traduce in modo sintetico, e tenendo presente l'attuale situazione, l'insegnamento della Costituzione liturgica ...... del Concilio Vaticano II.
Al celebre n. 36, la Sacrosanctum Concilium stabilisce come principio: «L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini» (§ 1).
In questo senso, il Codice afferma innanzitutto: «La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua latina».
Nei successivi commi, la Sacrosanctum Concilium ammette la possibilità di utilizzare anche le lingue nazionali: «Dato però che, sia nella Messa che nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti» (§ 2)
«In base a queste norme, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22-2 (consultati anche, se è il caso, i vescovi delle regioni limitrofe della stessa lingua) decidere circa l'ammissione e l'estensione della lingua nazionale. Tali decisioni devono essere approvate ossia confermate dalla Sede Apostolica» (§ 3).
«La traduzione del testo latino in lingua nazionale da usarsi nella liturgia deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra» (§ 4).
In base a questi successivi commi, il Codice aggiunge: «... o in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati».
Come si vede, anche nelle attuali disposizioni normative, la lingua latina resta ancora al primo posto, come quella che la Chiesa preferisce in linea di principio, pur riconoscendo che la lingua nazionale può risultare utile per i fedeli. Nell'attuale situazione concreta, la celebrazione in latino è diventata piuttosto rara. Motivo in più perché nella liturgia pontificia (ma non solo in essa) il latino sia custodito come preziosa eredità della tradizione liturgica d'Occidente. 
Non a caso, il servo di Dio Giovanni Paolo II ha ricordato che:
«La Chiesa romana ha particolari obblighi verso il latino, la splendida lingua dell'antica Roma e deve manifestarli ogniqualvolta se ne presenti l'occasione» (Dominicae cenae, n. 10).
In continuità con il Magistero del suo Predecessore, Benedetto XVI, oltre ad auspicare un maggior utilizzo della lingua tradizionale nella celebrazione liturgica, in particolare in occasione di celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, ha scritto:
«Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché ad utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia» (Sacramentum Caritatis, n. 62).
Da non perdere il video con la conferenza del prof. Roberto De Mattei al Convegno dei Francescani dell'Immacolata "Il Vaticano II, un Concilio pastorale":
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=OgyhzlZLz0A


Titolo originale: "IL CONCILIO VATICANO II STABILIVA CHE LA LINGUA LATINA FOSSE CONSERVATA NELLA LITURGIA PER CUI ANCHE OGGI RESTA QUELLA CHE LA CHIESA PREFERISCE"



Integrazione a cura di Carlo Di Pietro



AVE MARIA!
AVE COR PURISSIMUM!

domenica 15 marzo 2015

15. La storia dell'Inghilterra, occorre studiarla e pregare... perché non diventi la nostra.

La Messa di San Pio V
la Messa di sempre


Da molti mesi aiutati dal testo mirabile di M.Davies siamo condotti ad analizzare come il più grande disastro per la fede cattolica sia l'incertezza, il dubbio, la confusione derivati da una cattiva riforma del rito della messa. Non ci stancheremo mai di dirlo e di scriverlo: la questione del rito della Messa è questione di fede.


Lo sapeva bene il Papa S. Pio V che , all'indomani
del concilio di Trento, mise ordine nel rito della Messa, tanto che ancora oggi si usa parlare di Messa di San Pio V a riguardo del rito romano di sempre: non è corretto definirla così, ma è significativo, e cerchiamo di spiegare perché.

Il Concilio di Trento (1545-1563) dovette affrontare l'eresia protestante e per fare questo
mise chiarezza nella dottrina cattolica, riaffermando dogmi e comminando scomuniche.
Fece un'opera poderosa, per chiarezza Dottrinale.
Ma la Chiesa non si fermò alla dottrina. Accanto alla chiarezza dottrinale, iniziò un'opera di
riforma molto concreta del popolo cristiano, perché tornasse a una vita autenticamente cattolica:
sono i decreti di attuazione della riforma del concilio di Trento, che partono dal riformare la vita di chi è più in alto, vescovi e sacerdoti, per poi riformare la vita del popolo cristiano: il Concilio di Trento è ben consapevole che non si potrà vedere un popolo con una vita più autenticamente cristiana se non ci sarà una gerarchia e un sacerdozio più votati all'amore
di Dio e delle anime... è il grande realismo di Trento.
Ad esempio due decisioni molto concrete cambieranno il corso della Storia della Chiesa:
l'obbligo di residenza per i vescovi (per porre fine a tutta una serie di prelati che ricevuta la nomina, restavano lontani dalla diocesi, affidandola alle cure di un loro rappresentante e di fatto trascurando la cura del proprio “gregge”) e l'istituzione dei seminari, per dare una formazione
dottrinale, spirituale e ascetica ai futuri sacerdoti (per evitare l'ignoranza e la trascuratezza morale del clero, fonte di infiniti disastri per la vita cristiana).
Dentro questa concretezza della riforma tridentina, sta anche il riordino liturgico voluto dal concilio.

Leggiamo in Davies:
“Nel corso della diciottesima sessione, il concilio designò una commissione incaricata di
esaminare il messale, di revisionarlo, e di restaurarlo. “I membri della commissione compirono benissimo il loro lavoro”, commenta il padre Fortescue. “Non si trattava di fare un nuovo
messale, ma ‘di restaurare quello che esisteva’ secondo il costume e l’uso dei santi Padri”,
servendosi per fare questo dei migliori manoscritti e di altri documenti. 

Il 14 luglio 1570, con San Pio V la bolla Quo primum tempore, che è ancora stampata all’inizio del messale, il papa promulgava il messale riformato. 
Il titolo era Missale romanum ex decreto SS. Concilii Tridentini restitutum.
Non si trattava di fare un nuovo messale... ma di restaurare quello che esisteva.

Sempre in Davies leggiamo:
“Il messale del 1570 fu certo il risultato delle
direttive date durante il concilio di Trento,
ma fu, in effetti, per quanto riguarda l’ordinario,
il canone, il proprio del tempo, e ben altri punti, una replica del messale romano del 1474, che riprendeva a sua volta, su tutti i punti essenziali, la pratica della Chiesa romana all’epoca di Innocenzo III, che proveniva a sua volta dall’uso in vigore ai tempi di Gregorio il Grande e dei suoi successori nell’ VIII secolo. 
In breve, il messale del 1570 era, per l’essenziale, l’uso liturgico dominante dell’Europa medioevale.

Il Papa S. Pio V cosa fece per attuare il Concilio di Trento: abolì tutti i riti liturgici che non
potevano vantare più di due secoli di antichità.
Perché fece questo? Perché da tempo serpeggiavano errori dottrinali nella Chiesa, quelli
che avrebbero portato all'avvento dell'eresia protestante. Quindi c'era il grande sospetto che
le novità introdotte nel rito della Messa negli ultimi due secoli, fossero segnate almeno implicitamente, dal pericolo di eresia: andavano quindi abolite. 

Le confusioni, le ambiguità, ma
anche le trascuratezze liturgiche conducono, a lungo andare, il popolo e i sacerdoti verso la
perdita dell'autentica fede cattolica. 
Ecco perché S. Pio V è salutato come colui che è stato scelto da Dio “ad conterendos Ecclesiae hostes et ad divinum cultum reparandum”, “per ridurre i nemici della Chiesa e restaurare il culto divino”.

Così il santo Papa, salvò tutti i riti più antichi, e restituì nella sua purezza alla Chiesa latina
il Messale Romano, nelle parti essenziali la messa di sempre. Così facendo salvò la fede della Chiesa.

Non fu una riforma della Messa “fatta a tavolino”, ma la restaurazione del messale in uso da sempre nella chiesa Romana.
E diede alla Chiesa una grande stagione di stabilità attorno all'altare: dentro la confusione dei tempi, dentro a tutte le lotte interne o alle persecuzioni dei nemici, la Chiesa ritrovò continuamente
la sua stabilità nella Santa Messa, grazie alla precisione, all'ordine, alla chiarezza del rito. 

Fuori poteva esserci la tempesta e la confusione, ma dentro, nel cuore della Chiesa, che è la Santa Messa, i cristiani ritrovavano sempre la roccia sicura che è Cristo e la sua Grazia.

I continui cambiamenti del rito della messa invece non fanno mai bene alla vita cristianaanche quando in sé non sono pericolosi. 
Ma è il cambiare che snerva la preghiera cristiana,
che la rende troppo umana e poco divina, che disorienta nella dottrina e impoverisce la vita dei credenti. 


I continui cambiamenti fanno restare nella superficialità e nella banalità della distrazione. Non fanno pregare e non educano... e, ciò è più grave, non danno tempo per cercare e adorare Dio.

I continui cambiamenti rendono le anime facile preda di coloro che portano pericolose eresie
all'interno della Chiesa con la scusa di ringiovanirla.
É ciò che accadde nell'Inghilterra all'epoca in cui si preparava a colpi di continui cambiamenti la riforma:

“Intorno al 1559, apparve una generazione che non aveva mai conosciuto una vita cattolica normale come si era svolta tranquillamente durante i cinque secoli che separavano le guerre contro i Danesi dal regno di Enrico VIII;  quali che fossero i disaccordi tra preti e fedeli, tra re e vescovi, tra re e papa, tutte cose umane nate dai conflitti fra i desideri degli uomini, questa vita normale esisteva da più di cinquecento anni; vi si considerava come andante
da sé un unico corpo di dottrina su Dio e il suo progetto per l’uomo, un’unica Chiesa che insegnava questa dottrina, un rituale unico che comunicava la grazia, una sola regola della legge morale, tanto nella vita pubblica che privata … Un popolo che teneva per acquisita questa pace vide abbattersi su di sé, in meno anni di quanti ne conti un quarto della vita dell’uomo, più cambiamenti di quanti ne avevano conosciuti i mille anni che erano preceduti”.

Videro abbattersi su di sé tutti questi cambiamenti... nel rito e nell'insegnamento della fede.
Ne furono così indeboliti che, tranne pochi, non riuscirono a custodire la retta fede cattolica e finirono nell'eresia. È la storia dell'Inghilterra, occorre studiarla e pregare ... perché non diventi la nostra.

AMDG et BVM

giovedì 5 marzo 2015

In hoc signo vinces


O Crux, ave, spes unica: 

dunque la Messa della Tradizione.



  Lo scorso mese, parlando della solennità del Corpus Domini, ricordavamo il pericolosissimo oblio del carattere sacrificale della Messa cattolica. Oblio che conduce lentamente ma inesorabilmente all'eresia. Su questo punto non dovremmo mai dimenticare il grande lavoro di Michael Davies sulla Riforma anglicana, che sottolinea il pericolo dei “taciuti” in liturgia: la riforma anglicana di Cranmer, togliendo dalla Messa tutti i riferimenti espliciti al Sacrificio propiziatorio, introdusse vincente, nel giro di una generazione, il Protestantesimo in Inghilterra, portandola definitivamente all'eresia.

  Ma nel mese scorso ci spingevamo più in là dicendo che, col dimenticare che la Messa è il Sacrificio di Cristo sulla Croce, si perde inesorabilmente la coscienza della Presenza sostanziale di Cristo nella Santissima Eucarestia: se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Gesù Cristo, perché Cristo si rende presente nell'Eucarestia come Vittima. Una Messa percepita sempre più come ricordo dell'Ultima Cena rischia veramente di non essere più la Messa cattolica. Innegabilmente l'ultima riforma della messa, quella del 1969, l'ha fatta assomigliare sempre più alla Santa Cena protestante, anglicana o luterana che sia.

  C'è però di più: una Messa sempre più protestantizzata, ha protestantizzato il popolo cristiano con la sua missione, tanto da farlo assomigliare ogni giorno di più ad un insieme di congregazioni protestanti impegnate nella loro presenza in mezzo al mondo.



  Se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Cristo. È vero per la Messa, per il Santissimo Sacramento, ma è vero anche per tutta l'opera della Chiesa. Se al centro di tutta la predicazione dottrinale, se al centro di tutta la pastorale della Chiesa non c'è più Cristo Crocifisso, tutta la missione della Chiesa rischia di essere spaventosamente vuota. Mai come in questi ultimi decenni si sono moltiplicati gli sforzi pastorali, si sono affinate le tecniche per un annuncio efficace, mai si è parlato come in questi ultimi cinquant'anni di missione, e si è raccolto quasi nulla. Si è andati verso il mondo annunciando e annunciando ancora, e si è registrata la sua inesorabile scristianizzazione.

  Chi avrebbe mai pensato, tra i Padri del Concilio, che la fede cattolica sarebbe quasi scomparsa nel giro di mezzo secolo? Chi avrebbe mai pensato, tra i vescovi del Vaticano II, all'avvento di una società così anti-cattolica e immorale come quella di oggi, dove ogni legge sembra fatta apposta per essere contro il disegno di Dio sull'uomo?

  Eppure, ed è innegabile, questo disastro è sotto i nostri occhi.

  Se non c'è più Gesù-Vittima, non c'è nemmeno più Gesù-presente.
  Sì, una Chiesa che entusiasticamente, a partire dagli anni '60, è andata incontro al mondo mettendo in secondo piano la Croce di Cristo, ha perso Cristo stesso e non ha portato nulla o quasi alla società. Sì perché, occorre dirlo con chiarezza, senza la centralità della Croce, senza la centralità di Cristo crocifisso, tu perdi Cristo stesso. È terribile l'illusione di chi vuol parlare di Gesù senza la sua Croce, senza anzi la centralità della sua Croce. Chi mette la Croce di Cristo “tra le tante cose” della vita di Gesù, ma non ne considera la centralità, in verità non parla nemmeno di Cristo. Parla di un Gesù “confezionato” apposta per il mondo moderno che, come i giudei e i gentili di San Paolo, giudicavano Cristo Crocifisso scandalo o stoltezza.

  Si è voluti andare al mondo per dialogare amichevolmente con esso, evitando le condanne della Chiesa del passato; per dialogare amichevolmente si sono dovuti “velare” o “nascondere” la Croce e il Sacrificio di Cristo, perché il dialogo con la società moderna, con le sue religioni, restasse sereno e amichevole; con il risultato doppiamente tragico di non aver portato nulla agli uomini del tempo e, peggio, di aver devastato il santuario della presenza di Dio che è la Chiesa.


  Non c'è niente da fare, per primi dobbiamo accettare e abbracciare lo scandalo della Croce, riconoscerlo come il contenuto centrale della dottrina, della vita e della missione della Chiesa, e allora, non calcolando gli esiti, ma fiduciosi nell'infinita potenza della grazia di Dio, andare verso il mondo, perché dalla Croce di Cristo sia convertito e sanato.

  Guai a quei Cristiani, guai a quella Chiesa che voglia portare un altro Gesù, senza la Croce, guai! Perderà la sua essenza, perderà la sua forza, perderà la sua anima, perderà l'efficacia unica della grazia. E risulterà sempre più inutile e insopportabile al quel mondo che voleva raggiungere. Odiosamente insopportabile al mondo è una Chiesa senza il Sacrificio e la Croce.
E il mondo, una Chiesa così vuota, è già pronto ad azzannarla.

  In hoc signo vinces, non è solo il ricordo di una storia passata, è la verità di ogni istante: la vittoria è della Croce e di chi, la Croce, la porta e la mostra al mondo, senza calcolo umano.

  O Crux, ave, spes unica, salve o Croce, unica speranza: se non si tornerà a questa chiarezza in tutto, veramente in tutto nella Chiesa, il disastro sarà inevitabile.

  Ma questo ritorno inizia dal Santo Sacrificio della Messa.
  Se di fronte a questo quadro di devastante confusione ci sentiamo impotenti; se impotenti ci domandiamo cosa fare e soprattutto da dove iniziare, ricordiamoci che la riedificazione della Chiesa partirà sempre dal Santo Sacrificio della Messa. Non facciamo calcoli umani, non commettiamo l'errore degli anni '60, non andiamo al mondo, nemmeno per riedificare la Tradizione, con le nostre tecniche, ma ri-iniziamo dalla Messa.

  Torniamo subito alla Messa della Tradizione, lo diciamo ai sacerdoti prima e poi ai fedeli. Torniamo al corretto rito del Santo Sacrificio della Messa e da lì ripartiamo per un lavoro paziente di riedificazione della fede. Non commettiamo l'errore di fare l'inverso, prima il lavoro pastorale, poi il ritorno alla Messa di sempre, sarebbe in fondo un nascondere ancora la Croce di Cristo, attendendo tempi migliori, così come fecero gli illusi missionari degli anni post-conciliari.

  La verità invece è Cristo.

 La verità è invece il fatto del suo Sacrificio redentore, perpetuato dalla Messa cattolica. Primo compito dei sacerdoti è celebrarla. Primo compito di tutti è vivere di essa, perché la vita, quella vera, continui.

AMDG et BVM
Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VII n° 7 - Luglio 2014

domenica 1 febbraio 2015

«Messa in latino: nella fantasia, e nella realtà»


«Messa in latino: nella fantasia, e nella realtà»
Maurizio Blondet, su Effedieffe 23 luglio 2008
La realtà supera sempre la fantasia, nel nuovo mondo clericale. E' in Francia sopratutto...
Codex Sinaiticus - IV Secolo
Mary Higgins Clark, nata a New York (nel 1927) da famiglia irlandese, è la fortunata autrice di 24 romanzi-thriller, tutti divenuti best-seller; uno dei suoi libri («Where are the children?»), è alla settantacinquesima edizione.

Il suo ultimo romanzo, uscito quest’anno, «Where are you now?» (Dove sei adesso?), contiene un passo significativo: «... Da quando Papa Benedetto XVI aveva dichiarato che ogni parroco poteva celebrare la Messa in latino, padre Devon aveva annunciato che da ora in poi la Messa domenicale delle 11 sarebbe state celebrata in questa lingua tradizionale della Chiesa, che lui parlava correntemente. La reazione dei parrocchiani lo stupì. La chiesa si riempiva da scoppiare a quell’ora, non solo di anziani ma di adolescenti e giovani adulti che rispondevano con ardore Deo gratias anzichè “Sia ringraziato il Signore”, e recitavano il Pater Noster anzichè il Padre Nostro» (1).

Questo avviene nel mondo della fantasia, o se preferite, della fiction. Nella realtà, ecco cosa si legge nell’editoriale postato sul sito della diocesi francese di Arras, a firma dell’abate Emile Hennart: «... Nel campo religioso, si potrà sottolineare l’apertura del dialogo con l’Islam intrapresa da Papa Benedetto XVI o l’avvicinamento alla Cina. Si potrà per contro spiacersi per i favori accordati ad una liturgia ereditata dal Medio Evo, che sembra ignorare la pratica dei primi secoli della Chiesa, quella dei Padri in special modo».

Che dire? Come sempre, la realtà supera la fantasia. Di molte lunghezze. La diocesi di Arras crede che la Messa in latino venga dal Medio Evo, mentre se mai viene dalla Controriforma (parliamo del 1600, non del 1200); e conferma che la volontà dei «progressisti» nella liturgia è in realtà una sete (archeologica?) di arcaismo: fa riferimento a più o meno fantasiose «pratiche dei primi secoli», specificamente «dei Padri della Chiesa». Quasi che il banale «scambiatevi un segno di pace» (a cui seguono grandi strette di mano) fosse una pratica dei primi cristiani.

Forse, a forza di arcaicismi, i progressisti vogliono arrivare ad una congetturale o fantomatica messa in ebraico; lo suggerisce l’enorme spazio dato alla Torah, a «Israele» e ai Salmi nella liturgia post-conciliare.

Ma chi volesse appurare di prima mano come la pensassero i Padri della Chiesa, e cosa praticavano i cristiani «dei primi secoli», potrà adesso vedere su internet il Codex Sinaiticus. Lo ha messo in linea la biblioteca universitaria di Lipsia, con l’intento di unire ed offrire alla lettura degli specialisti e dei colti l’intero Codex, che è disperso in mezzo mondo: 43 pagine sono appunto a Lipsia, 67 alla British Library, altre sono a San Pietroburgo e a Santa Caterina del Sinai. Per ora, sono in linea oltre 100 pagine; entro il 2009, l’intera opera dovrebbe essere consultabile.

Sui media che si sono dati la pena di dare la notizia, questa è chiamata «la più antica Bibbia del mondo». In realtà è una delle due più antiche, insieme al Codex Vaticanum, che è integralmente conservato in Vaticano. Si tratta di due codici della metà del quarto secolo. Forse due delle 50 copie della Bibbia che Eusebio di Cesarea mandò all’imperatore Costantino da poco passato alla fede in Cristo.

Eusebio, vescovo palestinese, nacque nel 264 e morì verso il 340; Costantino abbracciò pubblicamente il cristianesimo nel 313 (Editto di Milano). Dovrebbe essere dunque una «arcaicità» soddisfacente per i progressisti ansiosi di recuperare le pratiche della prima Chiesa, supposta giudaizzante.

Ebbene: anzitutto, si può constatare che il codex è scritto in greco (caratteri unciali) e non in ebraico; com’è ovvio, dato che già un paio di secoli prima di Cristo gli stessi ebrei di Alessandria - la più grande comunità, più numerosa di quella palestinese - leggevano la Bibbia in greco, non comprendendo più l’ebraico. Solo un paio di secoli «dopo» Cristo, in odio alla Chiesa, abbandonarono la loro Bibbia greca dei Settanta (era il testo che avevano in comune con i cristiani, ed identificava troppo bene il Messia) per ricostruirsi una Torah fatta incollando vari testi ebraico-aramaici (i testi masoretici).

Fatto ancor più significativo: il Codex Sinaiticus contiene tutto il Nuovo Testamento, ma solo un estratto dell’Antico Testamento. Ognuno ne tragga le conclusioni che vuole: ma a quanto sembra, Eusebio di Cesarea, palestinese, pare essere stato tutt’altro che giudaizzante. Non sembra che i primi cristiani fossero avidi di trarre ispirazione dal Deuteronomio o dai Numeri e dal Levitico, ma solo dai passi che nell’Antico Testamento annunciavano il Cristo. Vale la pena di ricordare che la Chiesa pre-conciliare scoraggiava la lettura privata dell’Antico Testamento ai fedeli non preparati.

In ogni caso, il testo del Sinai, come quello Vaticano, dimostrano che il canone delle Scritture era già perfettamente stabilito prima del 340 dopo Cristo. Nel Codex Sinaiticus, i libri dei Vangeli sono esattamente nell’ordine che conosciamo oggi.
Naturalmente, queste osservazioni non intaccheranno la fede giudaica dei progressisti. Né le loro liturgie fanta-archeologiche. In cui peraltro sono possibili inserzioni di tutt’altro genere: un lettore di un sito cattolico francese (2) segnala che nella sua chiesa, il giorno della festività dei Santi Pietro e Paolo, il giovane sacerdote ha celebrato ostentando, sui paramenti, un adesivo con il simbolo del Gay Pride (un’altra celebrazione che era in corso a Parigi di quel giorno).

In Francia, il laicismo al potere ha vietato «l’esibizione ostentatoria dei segni di appartenenza religiosa», una norma contro il velo delle musulmane (ma anche della kippà); ora, è chiaro che invece in chiesa si può ostentare l’adesione ad una perversione, promossa ad «identità sessuale».

Si potrebbe chiedere a quale testo masoretico il prete francese si sia ispirato per questa sua celebrazione liturgica della propria omosessualità; sarebbe gradita la citazione originale in ebraico (o aramaico, se del caso) che autorizza la finocchieria. Ci pare infatti che questa «pratica» fosse punita da Mosè con pene atroci. Ma possiamo sbagliare. La realtà supera sempre la fantasia, nel nuovo mondo clericale.


1) Padre Devon è uno dei personaggi del romanzo; è zio del protagonista, il 21 enne Charles che, dieci anni fa, ha lasciato il suo appartamento di Manhattan e gli studi alla Columbia University, ed è sparito nel nulla. Salvo che ogni anno, alla festa della mamma, chiama sua madre al telefono, la dice che sta bene, e riattacca. Nemmeno la morte di suo padre nella strage dell’11 settembre lo fa tornare a casa. Sua sorella Carolyn, 26 anni, si mette alla sua ricerca. Troverà le tracce di suo fratello ma anche quelle di un serial killer che uccide giovani donne... Insomma un thriller alla Mary Higgins Clark. Porterà a milioni di lettori la nostalgia per la Messa di sempre.
2) «Le blog d’Yves Daoudal», http://yvesdaoudal.hautetfort.com/ luglio 2008.

sabato 12 ottobre 2013

SAN PIO V


 SAN PIO V
negli Atti Parlamentari della Repubblica Italiana di appena 10 anni fa 

Atti Parlamentari - Camera dei Deputati - 6 ottobre 2003

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, approfitto del provvedimento riguardante l'assegnazione di risorse finanziarie a favore dell'Istituto «San Pio V», oggi all'esame 
dell'Assemblea, per intervenire a titolo personale in merito alla figura di questo grande Papa santo. 

Si tratta senza dubbio di uno dei più grandi Papi della storia della Chiesa. Un Papa padano, San Pio V, che nacque in Piemonte, a Bosco Marengo, nel 1504, da una nobile famiglia di origine bolognese, la famiglia Ghislieri. A 14 anni entrò nell'ordine domenicano, ordine che brillò nella 
lotta contro le eresie di quel periodo, lo stesso ordine Mendicante di San Pietro da Verona e di San Tommaso D'Aquino. Lui stesso fu un grande inquisitore, Commissario generale del Santo Uffizio e poi Papa per soli sette anni, dal 1566 al 1572. Sette anni drammatici, epici, gloriosi, vissuti coraggiosamente, che rimarranno impressi per 
sempre nella storia della nostra civiltà. 

In questi sette anni di pontificato San Pio V arrestò l'eresia in Germania e in Francia, dove inviò un corpo di armati pontifici a combattere i protestanti, contribuendo alla deposizione della regina anglicana Elisabetta I di Inghilterra. Emanò inoltre il catechismo tridentino, che è alla base di tutti i 
catechismi dell'orbe cattolico. Anni in cui confermò, decretò e rese perenne la Messa in latino in rito romano antico, anni in cui si batté contro l'islam e indisse la crociata contro i turchi, che vennero sconfitti nella più grande battaglia navale della storia a Lepanto il 7 ottobre 1571, consacrando quel 
giorno, da allora in poi, alla Madonna del Rosario alla cui intercessione attribuì la vittoria. 

Senza dubbio, dunque, un grande della storia, un Papa santo, giudicato oggi, da molti, scomodo, cui tutti, però, dobbiamo molto. Il Papa della tradizione, il Papa che combatté per difendere la nostra civiltà. Fu lui, come abbiamo detto, che preservò la liturgia cattolica dall'attacco dell'eresia protestante di Lutero. 

Con la bolla Quo primum tempore del 1570 stabilì una volta per tutte la liturgia della Messa, quella stessa messa che fino a quarant'anni fa veniva celebrata in tutto il mondo cristiano. Mi permetto di citare alcuni passi di questa bolla, per far capire come fosse chiara e decisa la posizione di San Pio V su questo argomento: "La Messa non potrà essere celebrata in altro modo da quello prescritto dal Messale da noi pubblicato, da valere in perpetuo, e decretiamo e dichiariamo che in nessun tempo queste disposizioni potranno venire revocate  o diminuite, ma stabili e sempre valide dovranno rimanere nel loro vigore. Nessuno dunque si permetta in nessun modo con temerario ardimento 
di violare e trasgredire questo nostro documento, che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Pietro e Paolo". 

Sappiamo tutti, invece, cosa é poi accaduto: quarant'anni fa le commissioni post-Concilio Vaticano II decisero di cambiare tutta la liturgia della Messa. 
Il 3 aprile 1969 Paolo VI ruppe con la continuità di duemila anni di tradizione liturgica e promulgò la Costituzione apostolica Missale Romanum. Si trattava di 
un cambiamento radicale, eseguito in spirito ecumenico; si «protestantizzò» la liturgia, si girarono gli altari, ma soprattutto si crearono i presupposti e si aprì la strada per un processo di riforma liturgica che ora permette a sacerdoti sempre più disorientati di celebrare messe con rappresentanti di altre religioni, di celebrare messe con la bandiera della pace sull'altare, di introdurre tamburi, 
chitarre, ballerini nelle chiese, di servire la comunione non più in ginocchio in segno di riverenza ma in piedi o addirittura nelle mani, di fare confessioni comuni, cambiando talvolta il significato stesso della Messa da sacrificio redentivo a banchetto conviviale. 

Gli stessi cardinali Bacci e Ottaviani - allora prefetto del Sant'Uffizio - inviarono una lettera a Paolo  VI, il 5 ottobre 1969, in cui affermavano che la nuova messa rappresenta sia nel suo insieme sia nei particolari un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica di sempre.

Dunque, un Papa (san PIO V) scomodo ai giorni nostri, sicuramente dal punto di vista della liturgia: non piace evidentemente a nessuno ricordare tali sue affermazioni. 
Un Papa ancora più scomodo per la sua battaglia anti-islamica, in difesa della nostra civiltà: se oggi l'Europa non è islamica, molto lo si deve a San Pio V. 

Domani ricorre il quattrocentotrentaduesimo anniversario della battaglia di Lepanto, in cui la flotta degli Stati cristiani voluta da San Pio V sconfisse quella ottomana. Mesi di 
paziente lavoro diplomatico lo portarono alla costituzione della Lega santa, guidata dal giovane Giovanni d'Austria, figlio di Carlo V, cui partecipò in primis, con più della metà delle imbarcazioni - e da veneto lo dico con un certo orgoglio - la Serenissima Repubblica di Venezia, e poi la 
cattolicissima Spagna di Filippo II, lo Stato pontificio, Genova, i Savoia, moltissimi volontari provenienti da tutta la cristianità. 

Per merito di quel Papa, gli Stati cristiani del Mediterraneo si unirono per battere il nemico comune, un nemico sempre più feroce, un nemico sempre più pericoloso, il nemico islamico. 
È chiaro dunque che questo Papa, forse più di tutti, impersona valori che in molti settori della nostra società oggi si vogliono cancellare. L'ideologia illuminista e relativista propria della nostra realtà, impostata su non valori, trema nel dover fare i conti con questo passato. 

La Chiesa stessa, uscita dal Vaticano II, ha paura a confrontarsi con questo Papa e con ciò che ha rappresentato. Lo vogliono dimenticare e, spesso molti, lo dico anche con disagio, addirittura se ne vergognano. 
È dunque doveroso oggi, in questa occasione, ricordare da parte mia ciò che molti vogliono dimenticare. 

Anche questa Chiesa, dicevamo, con il Concilio Vaticano II si è trasformata: una nuova messa, una nuova teologia dei sacramenti, un nuovo catechismo, un nuovo diritto canonico, nuovi concordati, addirittura una nuova lettura della storia, quasi che qualcuno volesse farla diventare una nuova religione. Oggi sembra affermare cose che in passato apparentemente condannava. Pensiamo all'atteggiamento sulla libertà religiosa. Pensiamo alle condanne che vengono 
emesse sul glorioso periodo delle crociate, dimenticando che le stesse crociate vennero indette, predicate e combattute da santi papi come - appunto - San Pio V, dal Beato Urbano II, da santi predicatori come Bernardo Chiaravalle, da santi re, uno su tutti San Luigi, re di Francia. 

Pensiamo a figure di santi stravolte e riviste in chiave modernista, come quella di San Francescodiventato il paladino della teologia della liberazione, il santo dei pacifisti. 
Tutti dimenticano che San Francesco partecipò alla quinta crociata e incontrò anche il sultano Malik al Kamil, non certo per dialogare ma per tentare di convertirlo. Questa è storia. 

In un interessante studio sulla figura di San Francesco, Guido Vignelli illustra le distorsioni della cultura laicista. E non solo. Anche Vittorio Messori, nel libro, Uomini, storia e fede, parla della figura di San Francesco e di come essa sia stata travisata in questi giorni. È interessante leggere 
cosa dice Messori sulla figura di San Francesco: questo San Francesco che esercita un fascino unico su uomini di ogni razza, di ogni fede e di ogni incredulità; ma spesso il loro Francesco non è mai esistito. A lui credono di rifarsi adepti e proseliti di molte ideologie e utopie contemporanee, 
sospette e, magari, dannose sotto le nobili apparenze. È nel suo nome che si parla di uno spirito di Assisi che ha spesso l'aria di uno spirito di pseudoecumenismo da 8 settembre, da tutti a casa.Messori cita una dichiarazione di Franco Cardini, medievalista, che - anch'egli - si ribella al disegno 
che è stato proposto di San Francesco. Dice Cardini che San Francesco non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso. Non era il precursore dei teologi della liberazione né tantomeno fu l'araldo di un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico e pacifista, del tipo di chi ride sempre, dello scemo del villaggio, di chi parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi. 
Francesco era un'altra cosa. Ecco, questi sono alcuni esempi sui quali, purtroppo, ci dobbiamo confrontare in questo momento. 

Ora, invece, dobbiamo prendere atto che molti sacerdoti non cercano più di convertire come facevano nel passato ma, anzi, si arrendono, attraverso il dialogo ecumenico, di fronte al dilagare delle altre religioni. Dunque, siamo costretti ad assistere, ogni giorno di più, a situazioni che sarebbero state giudicate impossibili, incredibili e inaccettabili fino a pochi anni fa: incontri di preghiera sincretistici; preti che si vergognano di vestirsi da preti; sacerdoti che sfilano nei gay 
pride e che manifestano nelle piazze con i violenti dei centri sociali, che affermano che non serve credere nella Chiesa per salvarsi, che vogliono sposarsi, che vivono il loro sacerdozio come un lavoro e non come una missione. 

La crisi della Chiesa nasce, evidentemente, dal Concilio Vaticano II. Si è arrivati al punto che, in molte chiese, i vescovi negano ai loro fedeli la messa tridentina, che, per altro, è autorizzata dal Vaticano, e allo stesso tempo concedono le loro chiese o i locali delle loro parrocchie ai 
rappresentanti di altre religioni, tra cui agli islamici, magari per festeggiare la fine del Ramadan. La gente, i fedeli stessi sono sempre più confusi: non hanno esempi su cui basarsi né certezze in cui credere e si stanno creando una propria religione, una religione soggettivista. 

Il venerabile Pio XII 
pronunciò queste parole che oggi, forse, sembrano profetiche: verrà un giorno in cui il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, in cui la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato; sarà tentata di credere che l'uomo è diventato Dio e che suo figlio non è che un simbolo, una filosofia 
come tante altre. Forse, quel giorno sta per arrivare, purtroppo. Comunque, è certo che i presupposti di quell'avvento nascono, sicuramente, nel Concilio Vaticano II, di cui, evidentemente, non si potrà parlare mai sufficientemente male per i danni che dalla sua 
interpretazione sono derivati, causando  una crisi della Chiesa che sembra inarrestabile. 

Confido in un ripensamento, in un ritorno alla tradizione. È l'unica ancora di salvezza di fronte alle tenebre di questa società moderna, impostata ormai sull'unico valore del dio denaro. San Pio V è l'esempio della tradizione, è l'esempio che molti, nella Chiesa cattolica di oggi, dovrebbero seguire. 
Dobbiamo difendere la nostra identità. Molti non si rendono neanche conto dell'eredità a cui stiamo rinunciando: 2 mila anni di storia che pian piano saranno cancellati. 

Il mondo moderno, le multinazionali e i grandi interessi hanno, evidentemente, bisogno di masse senza personalità e senza identità, da guidare e a cui imporre le proprie regole. E l'identità religiosa che, comunque, ti lega al territorio e alle sue tradizioni diventa un ostacolo. Ed è chiaro che faranno di tutto per abbattere questo ostacolo. Dunque, è indispensabile muoversi, agire e combattere e certo non conformarsi al pensiero unico, contro i nemici della tradizione, della nostra storia, della nostra cultura e della nostra identità. 

Per chi crede in questa battaglia, il santo giusto a cui votarsi è sicuramente San Pio V, il papa di Lepanto. 
Io spero che questo istituto, visto che è intitolato a San Pio V, al papa di Lepanto, porti avanti nella sua azione questi valori che, abbiamo visto, si vogliono dimenticare, si vogliono cancellare. Questi valori sono scomodi, ma comunque rappresentano la nostra storia e noi pensiamo sia importante farli ricordare a tutti. 

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.