SAN PIO V
negli Atti Parlamentari della Repubblica Italiana di appena 10 anni fa
Atti Parlamentari - Camera dei Deputati - 6 ottobre 2003
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, approfitto del provvedimento riguardante l'assegnazione di risorse finanziarie a favore dell'Istituto «San Pio V», oggi all'esame
dell'Assemblea, per intervenire a titolo personale in merito alla figura di questo grande Papa santo.
Si tratta senza dubbio di uno dei più grandi Papi della storia della Chiesa. Un Papa padano, San Pio V, che nacque in Piemonte, a Bosco Marengo, nel 1504, da una nobile famiglia di origine bolognese, la famiglia Ghislieri. A 14 anni entrò nell'ordine domenicano, ordine che brillò nella
lotta contro le eresie di quel periodo, lo stesso ordine Mendicante di San Pietro da Verona e di San Tommaso D'Aquino. Lui stesso fu un grande inquisitore, Commissario generale del Santo Uffizio e poi Papa per soli sette anni, dal 1566 al 1572. Sette anni drammatici, epici, gloriosi, vissuti coraggiosamente, che rimarranno impressi per
sempre nella storia della nostra civiltà.
In questi sette anni di pontificato San Pio V arrestò l'eresia in Germania e in Francia, dove inviò un corpo di armati pontifici a combattere i protestanti, contribuendo alla deposizione della regina anglicana Elisabetta I di Inghilterra. Emanò inoltre il catechismo tridentino, che è alla base di tutti i
catechismi dell'orbe cattolico. Anni in cui confermò, decretò e rese perenne la Messa in latino in rito romano antico, anni in cui si batté contro l'islam e indisse la crociata contro i turchi, che vennero sconfitti nella più grande battaglia navale della storia a Lepanto il 7 ottobre 1571, consacrando quel
giorno, da allora in poi, alla Madonna del Rosario alla cui intercessione attribuì la vittoria.
Senza dubbio, dunque, un grande della storia, un Papa santo, giudicato oggi, da molti, scomodo, cui tutti, però, dobbiamo molto. Il Papa della tradizione, il Papa che combatté per difendere la nostra civiltà. Fu lui, come abbiamo detto, che preservò la liturgia cattolica dall'attacco dell'eresia protestante di Lutero.
Con la bolla Quo primum tempore del 1570 stabilì una volta per tutte la liturgia della Messa, quella stessa messa che fino a quarant'anni fa veniva celebrata in tutto il mondo cristiano. Mi permetto di citare alcuni passi di questa bolla, per far capire come fosse chiara e decisa la posizione di San Pio V su questo argomento: "La Messa non potrà essere celebrata in altro modo da quello prescritto dal Messale da noi pubblicato, da valere in perpetuo, e decretiamo e dichiariamo che in nessun tempo queste disposizioni potranno venire revocate o diminuite, ma stabili e sempre valide dovranno rimanere nel loro vigore. Nessuno dunque si permetta in nessun modo con temerario ardimento
di violare e trasgredire questo nostro documento, che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Pietro e Paolo".
Sappiamo tutti, invece, cosa é poi accaduto: quarant'anni fa le commissioni post-Concilio Vaticano II decisero di cambiare tutta la liturgia della Messa.
Il 3 aprile 1969 Paolo VI ruppe con la continuità di duemila anni di tradizione liturgica e promulgò la Costituzione apostolica Missale Romanum. Si trattava di
un cambiamento radicale, eseguito in spirito ecumenico; si «protestantizzò» la liturgia, si girarono gli altari, ma soprattutto si crearono i presupposti e si aprì la strada per un processo di riforma liturgica che ora permette a sacerdoti sempre più disorientati di celebrare messe con rappresentanti di altre religioni, di celebrare messe con la bandiera della pace sull'altare, di introdurre tamburi,
chitarre, ballerini nelle chiese, di servire la comunione non più in ginocchio in segno di riverenza ma in piedi o addirittura nelle mani, di fare confessioni comuni, cambiando talvolta il significato stesso della Messa da sacrificio redentivo a banchetto conviviale.
Gli stessi cardinali Bacci e Ottaviani - allora prefetto del Sant'Uffizio - inviarono una lettera a Paolo VI, il 5 ottobre 1969, in cui affermavano che la nuova messa rappresenta sia nel suo insieme sia nei particolari un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica di sempre.
Dunque, un Papa (san PIO V) scomodo ai giorni nostri, sicuramente dal punto di vista della liturgia: non piace evidentemente a nessuno ricordare tali sue affermazioni.
Un Papa ancora più scomodo per la sua battaglia anti-islamica, in difesa della nostra civiltà: se oggi l'Europa non è islamica, molto lo si deve a San Pio V.
Domani ricorre il quattrocentotrentaduesimo anniversario della battaglia di Lepanto, in cui la flotta degli Stati cristiani voluta da San Pio V sconfisse quella ottomana. Mesi di
paziente lavoro diplomatico lo portarono alla costituzione della Lega santa, guidata dal giovane Giovanni d'Austria, figlio di Carlo V, cui partecipò in primis, con più della metà delle imbarcazioni - e da veneto lo dico con un certo orgoglio - la Serenissima Repubblica di Venezia, e poi la
cattolicissima Spagna di Filippo II, lo Stato pontificio, Genova, i Savoia, moltissimi volontari provenienti da tutta la cristianità.
Per merito di quel Papa, gli Stati cristiani del Mediterraneo si unirono per battere il nemico comune, un nemico sempre più feroce, un nemico sempre più pericoloso, il nemico islamico.
È chiaro dunque che questo Papa, forse più di tutti, impersona valori che in molti settori della nostra società oggi si vogliono cancellare. L'ideologia illuminista e relativista propria della nostra realtà, impostata su non valori, trema nel dover fare i conti con questo passato.
La Chiesa stessa, uscita dal Vaticano II, ha paura a confrontarsi con questo Papa e con ciò che ha rappresentato. Lo vogliono dimenticare e, spesso molti, lo dico anche con disagio, addirittura se ne vergognano.
È dunque doveroso oggi, in questa occasione, ricordare da parte mia ciò che molti vogliono dimenticare.
Anche questa Chiesa, dicevamo, con il Concilio Vaticano II si è trasformata: una nuova messa, una nuova teologia dei sacramenti, un nuovo catechismo, un nuovo diritto canonico, nuovi concordati, addirittura una nuova lettura della storia, quasi che qualcuno volesse farla diventare una nuova religione. Oggi sembra affermare cose che in passato apparentemente condannava. Pensiamo all'atteggiamento sulla libertà religiosa. Pensiamo alle condanne che vengono
emesse sul glorioso periodo delle crociate, dimenticando che le stesse crociate vennero indette, predicate e combattute da santi papi come - appunto - San Pio V, dal Beato Urbano II, da santi predicatori come Bernardo Chiaravalle, da santi re, uno su tutti San Luigi, re di Francia.
Pensiamo a figure di santi stravolte e riviste in chiave modernista, come quella di San Francesco, diventato il paladino della teologia della liberazione, il santo dei pacifisti.
Tutti dimenticano che San Francesco partecipò alla quinta crociata e incontrò anche il sultano Malik al Kamil, non certo per dialogare ma per tentare di convertirlo. Questa è storia.
In un interessante studio sulla figura di San Francesco, Guido Vignelli illustra le distorsioni della cultura laicista. E non solo. Anche Vittorio Messori, nel libro, Uomini, storia e fede, parla della figura di San Francesco e di come essa sia stata travisata in questi giorni. È interessante leggere
cosa dice Messori sulla figura di San Francesco: questo San Francesco che esercita un fascino unico su uomini di ogni razza, di ogni fede e di ogni incredulità; ma spesso il loro Francesco non è mai esistito. A lui credono di rifarsi adepti e proseliti di molte ideologie e utopie contemporanee,
sospette e, magari, dannose sotto le nobili apparenze. È nel suo nome che si parla di uno spirito di Assisi che ha spesso l'aria di uno spirito di pseudoecumenismo da 8 settembre, da tutti a casa. E Messori cita una dichiarazione di Franco Cardini, medievalista, che - anch'egli - si ribella al disegno
che è stato proposto di San Francesco. Dice Cardini che San Francesco non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso. Non era il precursore dei teologi della liberazione né tantomeno fu l'araldo di un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico e pacifista, del tipo di chi ride sempre, dello scemo del villaggio, di chi parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi.
Francesco era un'altra cosa. Ecco, questi sono alcuni esempi sui quali, purtroppo, ci dobbiamo confrontare in questo momento.
Ora, invece, dobbiamo prendere atto che molti sacerdoti non cercano più di convertire come facevano nel passato ma, anzi, si arrendono, attraverso il dialogo ecumenico, di fronte al dilagare delle altre religioni. Dunque, siamo costretti ad assistere, ogni giorno di più, a situazioni che sarebbero state giudicate impossibili, incredibili e inaccettabili fino a pochi anni fa: incontri di preghiera sincretistici; preti che si vergognano di vestirsi da preti; sacerdoti che sfilano nei gay
pride e che manifestano nelle piazze con i violenti dei centri sociali, che affermano che non serve credere nella Chiesa per salvarsi, che vogliono sposarsi, che vivono il loro sacerdozio come un lavoro e non come una missione.
La crisi della Chiesa nasce, evidentemente, dal Concilio Vaticano II. Si è arrivati al punto che, in molte chiese, i vescovi negano ai loro fedeli la messa tridentina, che, per altro, è autorizzata dal Vaticano, e allo stesso tempo concedono le loro chiese o i locali delle loro parrocchie ai
rappresentanti di altre religioni, tra cui agli islamici, magari per festeggiare la fine del Ramadan. La gente, i fedeli stessi sono sempre più confusi: non hanno esempi su cui basarsi né certezze in cui credere e si stanno creando una propria religione, una religione soggettivista.
Il venerabile Pio XII
pronunciò queste parole che oggi, forse, sembrano profetiche: verrà un giorno in cui il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, in cui la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato; sarà tentata di credere che l'uomo è diventato Dio e che suo figlio non è che un simbolo, una filosofia
come tante altre. Forse, quel giorno sta per arrivare, purtroppo. Comunque, è certo che i presupposti di quell'avvento nascono, sicuramente, nel Concilio Vaticano II, di cui, evidentemente, non si potrà parlare mai sufficientemente male per i danni che dalla sua
interpretazione sono derivati, causando una crisi della Chiesa che sembra inarrestabile.
Confido in un ripensamento, in un ritorno alla tradizione. È l'unica ancora di salvezza di fronte alle tenebre di questa società moderna, impostata ormai sull'unico valore del dio denaro. San Pio V è l'esempio della tradizione, è l'esempio che molti, nella Chiesa cattolica di oggi, dovrebbero seguire.
Dobbiamo difendere la nostra identità. Molti non si rendono neanche conto dell'eredità a cui stiamo rinunciando: 2 mila anni di storia che pian piano saranno cancellati.
Il mondo moderno, le multinazionali e i grandi interessi hanno, evidentemente, bisogno di masse senza personalità e senza identità, da guidare e a cui imporre le proprie regole. E l'identità religiosa che, comunque, ti lega al territorio e alle sue tradizioni diventa un ostacolo. Ed è chiaro che faranno di tutto per abbattere questo ostacolo. Dunque, è indispensabile muoversi, agire e combattere e certo non conformarsi al pensiero unico, contro i nemici della tradizione, della nostra storia, della nostra cultura e della nostra identità.
Per chi crede in questa battaglia, il santo giusto a cui votarsi è sicuramente San Pio V, il papa di Lepanto.
Io spero che questo istituto, visto che è intitolato a San Pio V, al papa di Lepanto, porti avanti nella sua azione questi valori che, abbiamo visto, si vogliono dimenticare, si vogliono cancellare. Questi valori sono scomodi, ma comunque rappresentano la nostra storia e noi pensiamo sia importante farli ricordare a tutti.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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