mercoledì 23 ottobre 2013

La lingua




I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: La lingua

Data: Domenica, 04 maggio @ 09:56:14 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


1. La lingua è l'interprete dell'anima e del cuore
2. Stoltezza e pericolo del parlare troppo
3. Chi ciarla molto commette molti peccati.
4. Il parlare troppo porta confusione e fa perdere il tempo
5. Danni della cattiva lingua
6. Chi ha cattiva lingua manca di religione
7. È proibito profanare la lingua
8. Chi parla male dovrà sempre pentirsene
9. Ciascuno renderà conto delle sue parole
10. Castighi della lingua cattiva.
11. Le cattive lingue si devono fuggire
12. Ottima cosa è la lingua, quando se ne faccia buon uso
13. vantaggi che derivano dal buon uso della lingua.
14. Bisogna fare buon uso della lingua
15. Mezzi per ben servirsi della lingua
16. Bisogna osservare il silenzio.





1. LA LINGUA È L'INTERPRETE DELL'ANIMA E DEL CUORE, - Qual è il linguaggio, tale è il cuore... Volete voi conoscere l'anima di qualcuno? Ascoltate le sue parole, perché «la bocca riversa la pienezza del cuore, disse Gesù Cristo; perciò l'uomo buono trae dalla bontà del suo cuore buone parole, e l'uomo cattivo cava da un tesoro cattivo, cattive mercanzie» (MATTH. XII, 34-35; Ecco perché Socrate diceva a un giovane: «Parla, o ragazzo, perché io ti veda (De lingua)». La lingua è lo specchio dell'anima...

Quando si apre un vaso pieno d'immondizie, spande tutt'intorno un fetore pestilenziale e così il cuore malvagio, allorché si apre, esala per la bocca la corruzione di cui è pieno; macchia e avvelena coloro che conversano con esso. Dalla bocca, che racchiude un delizioso profumo, emana un odore soave; tale è la lingua che serve ad un cuore puro, ad un'anima innocente.
Ancora una volta: volete voi penetrare il segreto di un cuore? volete vederne l'anima, conoscerne l'interno? ascoltate quello che dice spesso e con compiacenza... Se incontrate uno che si diletti di parole vane e inutili, di discorsi sconci, di parole di superbia, d'invida, di maldicenza, di collera, sappiate che il cuore di lui è vano, superbo, curioso, collerico, geloso, corrotto... Se al contrario, una persona vi si mostra nel conversare riservata, morigerata, casta, se i suoi trattenimenti versano su oggetti seri, utili, pii, virtuosi, sappiate che l'anima sua è tempio dello Spirito Santo, che il suo cuore è puro, umile, caritatevole... Dall'odore che esala, voi giudicate se un vaso contenga vino, o aceto, o balsamo; lo stesso dite della Lingua riguardo a una persona; essa ne rivela l'anima.


«Essi sono del mondo, scrive S. Giovanni, perciò parlano del mondo, e il mondo li ascolta. Ma quanto a noi, siamo di Dio e chi conosce Dio ci ascolta. Chi, al contrario, non conosce Dio, non ci ascolta ed è questo il segno da cui discerniamo lo spirito di verità dallo spirito di errore». (I IOANN. IV, 5-6). L'uomo che ama occuparsi di fole, mostra uno spirito leggero, frivolo, imprudente... Se è proclive alle frasi sconvenienti, turpi, disoneste, lascia travedere che in fondo al suo cuore bolle la lussuria... Se è corrivo a dir male del prossimo, dà prova che l'anima sua non conosce né carità, né giustizia, né coscienza... Se parla volentieri di odio e di vendetta è segno che il suo cuore è agitato dalle passioni... «Un discorso vano manifesta una coscienza leggera», scrive S. Bernardo (Epist.).


Come ciascun uomo parla il linguaggio della sua nazione, casi chi ha un'anima spirituale e celeste, ama trattenersi di argomenti spirituali e celesti; chi ha il cuore alla terra, discorre di cose terrene... «L'uomo è ricco dei frutti che cadono dalla sua bocca» (Prov. XII, 14); «e la gola degli empi ribocca di malizia» (Ib. XV, 28), leggiamo nella sacra Scrittura; questo, dice Giobbe, perché «l'iniquità del cuore muove le labbra a parlare» (IOB. XV, 5); o, come s'esprime l'Ecclesiastico: «Il cuore degli insensati è su la loro lingua e la bocca del Savio è nel cuore» (Eccli. XXI, 29).


2. STOLTEZZA E PERICOLO DEL PARLARE TROPPO. - Il tuono fa udire lontano i suoi rombi e che cosa produce? Le tempeste rumoreggiano e quali ne sono gli effetti ? Ebbene, i ciarloni somigliano al tuono e alle tempeste, fanno gran rumore e sono pericolosi. Il vocabolo fatuus, fatuo, ha sua radice nel verbo fari, ciarlare; il che vuol dire che coloro i quali parlano molto ed a vanvera, sono stolti e dissennati. Perciò diceva Salone: «Lo stolto non sa tacere (Ita Stobaeus, serm. XXXIV)» Teocrito udendo discorrere di Anassimene, così lo qualificava: «Una goccia di buon senso, galleggiante in un fiume di parole (STOBAEUS, sermon. XXXIV)»; un antico padre del deserto chiamava « stalla senza uscio» l’uomo che non sa frenare la lingua (In Vit. Patr.).


«Come l'acqua chiusa fra dighe ingrossa e si solleva, così l'anima chiusa al mondo si innalza fino alle regioni celesti» scrive San Gregorio, mentre se si divaga in bassi negozi, si snerva e perisce. Quanto più si sottrae dalla salutare disciplina del silenzio, tanto più, come per tanti rigagnoli, si spande fuor di sé; e così non ha più forza da ritornare in se stessa e avere cognizione del suo stato, perché il ciarlare la dissipa e le toglie ogni vigore di meditazione.


Ecco perché la Scrittura dice: L'uomo che non sa frenare le lingua, è come cittadella smantellata (Prov. XXV, 28). L'anima, che non è protetta dal muro del silenzio, sta esposta agli assalti del nemico. Per le sue parole ella si mette allo scoperto, si espone ai colpi del suo avversario il quale può tanto meglio abbatterla perché essa, col troppo ciarlare, combatte contro se stessa e aiuta alla propria disfatta (ad Monit. c. XV)».

«L'insensato moltiplica i suoi d scorsi» (Eccle. X, 14); «e le labbra degli imprudenti narreranno stoltezze» (Ib. XXI, 28); cioè i discorsi dello stolto, del ciarliero, sono di cose insipide, immodeste, arroganti, imprudenti... ma essi lo trarranno a rovina, dice l'Ecclesiaste (Eccle. X, 12). E l'autore dei proverbi ci assicura che vi è più da sperare della correzione di un pazzo che non di un uomo avventato nel parlare (Prov. XXIX, 20). E viceversa: «quelli che lasciano che il loro senso si depravi, sono leggeri, scrive S. Gregorio, e pronti a parlare senza regola, né misura (Moral. lib. V, c. XI)»; essi, come dice il Salmista, si perdono in frivoli discorsi (Psalm. XI, 3); e «la loro bocca versa stoltezza» (Prov. XV, 2).


Il chiacchierone somiglia a uno straniero il quale, non avendo né terra, né casa, va girando per vie sconosciute e regioni ignote, spesso sbaglia strada, più spesso ancora si mette per sentieri che lo allontanano dalla mèta e lo conducono tra rocce e precipizi. L'imprudente parla di ciò che non sa e giudica di quello che non conosce; va da uno sproposito all'altro; si allontana dalla verità, dal giusto e dall'onesto; salta di palo in frasca, prende granchi, cade nel falso e nel ridicolo, si dà a ciance sconce e nauseanti, il cui minore difetto è di riuscire insipide e inutili.


«Il moltiloquio, scrive un autore, è prova d'insipienza, strumento di menzogna; conduce alla scurrilità e alla leggerezza, tracanna a larghi sorsi la maldicenza, soffoca il pentimento, produce l'accidia, dissipa la divozione, rende difficile la preghiera, intepidisce il fervore della pietà, estingue la pace, distrugge ogni rettitudine (Henrici Harpii, lib. I, Cant. p. II, cap. XXXV)».


«Molto sonori sono i vasi vuoti, dice Ausonio; gli scemi sono bocche loquacissime (Ita Laertius, lib. VII)». «E siccome sono inutili gli edifizi senza uscio che ne difenda l’entrata, similmente, e più ancora, avverte Plutarco, non serve a nulla la bocca che non sa stare chiusa (Lib. de garrulit)». Anzi, come dice Teofrasto, «si può fare più a fidanza con un cavallo sbrigliato, che non con chi parla molto ed a sproposito (Ita Laert., lib. VII, c. V)».

3. CHI CIARLA MOLTO COMMETTE MOLTI PECCATI. - «Essi parlavano di cose vane, dice di costoro il Salmista, ed il cuore loro si è riempito d'iniquità» (Psalm. XL, 6). «Nella moltitudine delle parole, difficile è che non s'insinui il peccato», sentenzia il Savio (Prov. X, 19). «O quanto è vera, esclama qui S. Bernardo, questa sentenza, che è impossibile parlare molto e non peccare! (Serm. de Triplici custod.)».

L'abbondanza delle parole è una passione che signoreggia interamente l'uomo in cui si è introdotta; gli fa dire quello che gli converrebbe tacere; nella foga del ciarlare, egli cade facilmente nel peccato; perché quando la lingua è continuamente in moto, la memoria sbaglia, incespica e facilmente si confonde il vero col falso, l'utile col nocevole, il necessario con l’inutile. In mezzo al profluvio impetuoso delle parole chi baderà alla prudenza, alla circospezione? Perché noi vediamo i ciarloni intricarsi in uno spinaio d'imprudenze, offendere ora gli uni ora gli altri, schernire, affilare la lingua a maldicenze, non perdere nessuna occasione di eccitare l'odio, di fare affronti...

«Se disgraziatamente ci uscì di bocca parola men che ponderata, chiudiamo almeno la porta, avverte S. Ambrogio; affinché non v'entri la colpa. Ecco in qual modo entra il peccato nel cuore. Chi parla molto, dice la Scrittura, non si sottrae al peccato. Le parole uscirono e il peccato entrò; poiché quando si parla troppo, non si pesano le frasi, ma si gettano la alla sbadata; quindi si offende Iddio più o meno gravemente, quantunque l'eccedere nel parlare non comporti per sé peccato grave. Facciamo dunque tesoro dell’ammonimento che il medesimo santo ci dà poco dopo: «Lega la tua lingua affinché non trasmodi e non prorompa in discorsi osceni e col troppo parlare ti carichi di peccati. Frenala con dighe, sicché non straripi. Il fiume che esce di letto, porta la melma (De Cain et Abel. 1. I, c. IX)».

«Chi parla troppo, ferisce l'anima sua» (Eccli. XX, 8). Infatti, cedendo al prurito di cicalare, si esagera: 1° si va dall' utile al nocevole, dalla troppa dolcezza alla troppa severità, dalla carità alla maldicenza...; 2° si incorre nell'imprudenza...; 3° si tratta e si spazi a per mille cose che macchiano l'anima; si trascura la prudenza...; 4° si perde tempo e si fa sciupare agli uditori...; 5° si perde la divozione...; 6° l'anima si espone alle ferite del nemico, perché non è in guardia e si trova disarmata.

4. IL PARLARE TROPPO PORTA CONFUSIONE E FA PERDERE IL TEMPO. - «La lingua dell'insensato, troviamo nei Proverbi, conduce presto alla vergogna e alla confusione» (Prov. X, 14). I ciarloni hanno fama di leggeri, di vani, di mentitori, di maldicenti; chi li dice frasche e chi cornacchie; e questi titoli non danno certo troppo favorevole idea del credito in cui sono tenuti e li coprono di onta e di confusione in faccia al mondo medesimo... «I ciarloni, scrive Plutarco, sono vuoti di mente e pieni di rumore; né sono ascoltati; la loquacità è odiosa, pericolosa e ridicola (De garrulit.)»; come gia aveva avvertito il Savio, leggendosi nell’Ecclesiastico: «L'uomo diventa od oso per l'intemperanza delle sue parole» (Eccli. XX, 5).
Udite l'esortazione di S. Bernardo: «Nessuno di noi faccia poco conto del tempo che si perde in discorsi oziosi; perché il tempo è un dono che l’uomo ha ricevuto e giorni di salute sono i giorni che Dio gli concede. 
La parola fugge e non si può più riprendere; il tempo vola e più non torna indietro; perdendo queste due cose, l'insensato non avverte quello che perde. Non sarà lecito, dirà alcuno, il chiacchierare per passare un'ora? Che dite mai? passare un'ora! ammazzare il tempo! Passare inutilmente quell’ora che la misericordia divina vi concede per fare penitenza, per ottenere il perdono, per acquistare la grazia, per meritare la gloria! Perdere quel tempo che vi è dato affinché vi rendiate propizia la bontà divina, vi facciate degni di entrare nella società degli angeli, ricuperiate l’eredità perduta, aspiriate alla felicità che vi è promessa, rianimiate la volontà snervata, piangiate le colpe commesse! (Serm. de Triplici metod.)». Meditiamo con attenzione queste frasi piene di tanta verità e di tanto senno!...

5. DANNI DELLA CATTIVA LINGUA. - Chi non frena la lingua, principalmente in un atto di collera, costui, dice Iperichio, non sarà mai vittorioso delle passioni carnali (In Vit. Patr.). Né solamente a sé nuoce la cattiva lingua, ma anche agli altri, dicendo S. Gregorio, che l'intemperanza della lingua è la sorgente di ogni discordia (Moral. lib, V).
«Piccolo membro è la lingua, scrive S. Giacomo apostolo, eppure fa grandi cose. Vedete quanto piccola scintilla basta a mandare in fiamme una grandissima selva. E la lingua è un fuoco, un mondo d'iniquità. La lingua non è che uno dei nostri membri e macchia tutto il corpo; accesa dal demonio, accende la ruota del nostro vivere. Ogni genere di fiere e di uccelli e di mostri marini si domano e sono state domate dall'umana virtù. Ma la lingua nessun uomo basta a domarla; è male che non patisce freno, pieno di veleno mortale. Con essa benediciamo Iddio e il Padre; e con essa malediciamo gli uomini, che portano in sé l'immagine di Dio. Dalla stessa bocca esce la benedizione e la maledizione. Non dobbiamo fare così, fratelli miei» (IACOB. III, 6-10).


«La lingua, dice S. Gregario di Nazianzo, è piccola, ma, in quanto a forza, vince tutto (In Distich)». Perciò, secondo l'osservazione del Crisostomo, «benché il demonio usi tenderci agguati da ogni parte, più facilmente però e più frequentemente si serve di una lingua cattiva, di una bocca maldicente; nessuna cosa gli serve meglio di questa per uccidere l'anima e far commettere il peccato (Homil. ad Baptiz.)». S. Bernardo scrive: «Piccolo membro è la lingua, ma se non si sta attenti fa un gran male; accarezza con l adulazione, morde con la maldicenza, uccide con la menzogna. Essa lega e nessuno può legarla, guizza come anguilla, penetra come dardo, rompe l'amicizia, moltiplica i nemici, muove le risse, semina le discordie, d'un solo colpo percuote e ammazza molte persone; accarezza e soppianta, sempre pronta a fare il male. Noi diciamo: è poca cosa una parola; sì poca cosa è in verità una parola, perché presto vola, ma ferisce gravemente; passa veloce, ma brucia crude e; penetra con facilità nell'animo, ma con difficoltà n'esce; si lascia cadere alla sventata, ma riesce quasi impossibile il ritirarla; facilmente vola e perciò lacera la carità così frequentemente (Serm. ad Custod. linguae, etc.) ».


Per tagliare e abbattere più facilmente le legna, il boscaiolo prepara ed affila l'accetta; così i demoni, questi operai dell'inferno, preparano, aguzzano, temperano essi medesimi al furore e all’odio la lingua perfida, per abbattere la virtù degli uomini, per diffamarne i costumi, rapire loro l'onore, la fama, la vita medesima. Tale lingua lacera e sbrana il prossimo, accende gli odi, suscita le liti, spinge alla rapina, all'ingiustizia, alla vendetta, alla strage, mette sossopra le famiglie, le province, i regni. Essa è veramente, come la chiama S. Giacomo, artefice e arsenale di ogni iniquità; male inquieto, riboccante di veleno mortale, che nessuno può domare (Iacob. III, 6, 8).


«L'uomo, scrive S. Agostino, doma le belve e non doma la lingua; incatena e domina il leone, non frena e domina la smania del parlare egli comanda, ma non comanda a se stesso; arriva a soggiogarci quello che gli incuteva spavento e per soggiogare se medesimo non teme quello che dovrebbe temere. Imparate dalle bestie che domiamo; né il cavallo, né il leone si mansuefanno da se stessi, ma per mansuefarli ci vuole l'uomo; così l'uomo non si doma da se stesso, ma per domarlo bisogna ricorrere a Dio (Serm. IV de verb. Dom. in Matth.)». No l'uomo, non si soggioga con le forze della natura, ma con l'influenza della grazia...testimonio Saulle..


Le citate frasi di S. Giacomo, ci rivelano dodici mali che derivano dalla lingua imprudente e cattiva. 1° Ella somiglia negli effetti ad un cavallo indomito; 2° solleva delle tempeste; 3° è scintilla che desta un vasto incendio; 4° è un'officina d'iniquità; 5° macchia il corpo; 6° devasta tutta la vita; 7° attinge il suo ardore al fuoco dell'inferno; 8° è più indomabile delle fiere e nessuno può signoreggiarla a talento; 9° è un male inquieto che mai non posa; 10° ribocca di veleno mortale; 11° maledice il prossimo; 12° è una fonte da cui scaturisce un'onda amara.


Al linguacciuto possono adattarsi quelle parole dell'Apocalisse: «Dalla sua bocca usciva una spada a due tagli» (Apoc. I, 16); perché col suo parlare fa male a sé ed agli altri. NeiProverbi occorrono queste due sentenze: «Dove abbondano le parole, là si trova miseria» (Prov. XIV, 23). «La lingua che non sa moderarsi, uccide lo spirito» (Id. XV, 4). Sì, la mala lingua danneggia e sé e gli altri e nell'anima e nel corpo, per causa della maldicenza e della calunnia, delle contese e delle liti che suscita, delle sciagure e delle uccisioni che cagiona. Essa è un principio di intrighi, di dispiaceri, di odii, di vendette, di disperazione, di perdite considerevoli. Chi non sa frenare la lingua, o è o diventa uomo collerico, superbo, geloso, invidioso, avido, curioso, ecc.


Nessuno meglio di Davide tracciò il quadro degli orrori che produce la lingua perversa: « La loro gola è un sepolcro scoperchiato; la lingua distilla la menzogna, le labbra sono gonfie del veleno dell'aspide. La loro bocca vomita maledizioni, parole amare ed ingannatrici che producono l'angoscia ed il dolore (Psalm. XIII, 3) e accumulano tesori d'iniquità nel cuore di chi le pronunzia» (XL, 6).


«Tranquillamente seduto tu parlavi contro tuo fratello e gettavi il disordine in capo al figlio di tua madre. La tua bocca si saziava di maldicenza e la lingua tua ordiva inganni. Ecco quello che tu hai fatto e perché io non ti ho fulminato su l'istante, tu mi hai stimato simile a te, o iniquo; ma io ti accuserò e ti farò vedere la tua laidezza. Bada, o bocca infernale, che dimentichi il Signore» (XLIX, 19-22).


«Perché mai andar fiero della tua cattiveria, o tu che sei potente nel delitto? la tua lingua si arrota continuamente su la cote dell'ingiustizia, è un rasoio affilato che tempra la frode. Hai preferito il male al bene, il linguaggio dell'iniquità alle parole di giustizia; hai amato i discorsi dannosi e desolanti. Ma l'Onnipotente ti distruggerà per sempre; ti strapperà dalla tua dimora e ti sradicherà dal suolo dei viventi » (LI, 3-7).


«La lingua dei malevoli è spada acuta (LVI, 6), ma la bocca degli iniqui sarà turata per sempre (LXII, 11). Essi aguzzarono come spada la loro lingua, la tesero come arco, per colpire coi dardi loro l'innocente (LXIII, 3-4). Le bugie dei perversi prevalsero ai miei danni; essi parlarono a mia ignominia e fecero di me il bersaglio dei loro motteggi (LXIV, 3; LXVIII, 13). Concepirono l’iniquità nel loro pensiero e partorirono la calunnia; parlarono contro l'Altissimo; posero la loro bocca in cielo, e la loro lingua serpeggiò su la terra (LXXII, 8-9). E fino a quando, o Signore, le lingue malediche trionferanno? fino a quando si abbandoneranno a discorsi ingiusti e colpevoli? Essi calpestano, o Signore, il vostro popolo e disertano la vostra eredità. Sventrano la vedova e lo straniero, strozzano l'orfano (XCII, 3, 5-6). Le frecce della mala lingua sono appuntate, divorano come fiamma (CIX, 4). Aguzzarono la loro lingua a foggia di serpente, dalle labbra schizzano il veleno dell'aspide» (CXXXIX, 3).
La lingua del serpente è triforcata, perciò il Salmista a lei paragona la lingua dei cattivi, perché anch'essa ha tre punte, delle quali una si volge contro Dio, l'altra si dirige verso il prossimo, la terza contro il medesimo parlatore. La lingua malèdica è un flagello pubblico: blandisce il vizio, fomenta le passioni, spande lo scandalo, riempie la società di errori e di scompiglio. 

6. CHI HA CATTIVA LINGUA MANCA DI RELIGIONE. - «Se alcuno di voi, dice S. Giacomo, si stima religioso, non frenando la sua lingua, ma pascendo d'illusione il suo cuore, la sua religione non vale nulla» (Iacob. I, 26). Chi non tiene a segno la propria lingua, non onora, né serve, né obbedisce Dio... Non porta amore né a Dio, né al prossimo, né a se stesso...
Come mai saprà governare gli occhi, le orecchie, le mani, i piedi, il cuore, l'anima, lo spirito suo, chi non sa governare la lingua? Tutto in lui va in disordine e il disordine distrugge la pietà... «Incatenate la lingua, predica S. Bernardo, se volete essere pii e divoti
cristiani, perché senza il freno della lingua, vana è la religione. Ben sanno gli uomini spirituali che ne ebbero esperienza, quanto indebolimento apporti alla pietà il troppo parlare, quanta divagazione porti alo spirito. A quel modo che un forno aperto non può trattenere il calore, così non può conservare la grazia del fervore quella persona la cui bocca non è chiusa dalla porta del silenzio (Tract. de Passion., c. XXVI)».


«La bocca dell'insensato lo trae alla perdita e le sue labbra si fanno la rovina dell'anima sua», dicono i Proverbi (XVIII, 7); e «basta una parola maliziosa a pervertire il cuore», dice l'Ecclesiastico (XXXVII, 21); e un cuore pervertito, o già più non ha, o perde ben presto ogni fondamento di verace pietà e sana religione.

7. E' PROIBITO PROFANARE LA LINGUA. - «Badate, scriveva S. Paolo egli Efesini, che non v'esca mai di bocca nessuna parola cattiva; perciò guardatevi, come si conviene ai santi, dal fare nelle vostre conversazioni il menomo cenno di cose attinenti a impurità od avarizia» (Eph. IV, 29), (Id. V, 3). «Né vi lasciate andare a scurrilità, a buffonerie, a inezie. Nessuno vi seduca con parole vane» (Ib. 4-6). Ai Corinzi poi raccomandava che non si lasciassero ingannare, perché le cattive conversazioni guastano i buoni costumi (I Cor XV, 33).

8. CHI PARLA MALE DOVRÀ SEMPRE PENTIRSENE. - «Mi accadde spesso di dovermi pentire per aver parlato, non mai di aver taciuto (Anton. in Meliss.)». Ciascuno può e deve far sua questa sentenza di Simonide. E’ infatti quasi impossibile che si possa conversare a lungo e di frequente senza che si inciampi in qualche cosa che ferisca, o la carità, o la purità, o la verità, o simili.


E poi come volete che uno non deva pentirsi di aver parlato troppo, mentre non si dà cosa tanto cattiva quanto la lingua male adoperata? «La bocca degli empi ricetta l’iniquità» (Prov. X, 11), dicono i Proverbi, e S. Giacomo dice che la lingua è un male inquieto, pieno di tossico mortale... Sì, la bocca dell'empio è una cloaca riboccante di melma avvelenata... Somiglia al lago di Asialtide, in cui stanno sepolte le sodomitiche città della Pentapoli... Il cuore dell'empio è così pieno dì malizia, che rigurgita per la bocca. E il cratere di un vulcano, dal quale si slancia a inondare dare le vicinanze, l'ardente lava delle passioni di cui il cuore è il focolare…

9. CIASCUNO RENDERÀ CONTO DELLE SUE PAROLE. - La sentenza di Gesù Cristo è perentoria: «Vi assicuro che nel giorno del giudizio gli uomini renderanno conto di una parola oziosa da essi pronunziata. Poiché la giustificazione o la condanna vostra dipenderà dai discorsi che avrete fatto» (MATTH. XII, 36-37). O Dio! che terribile conto avrà da rendere una lingua maledicente, calunniatrice, impura, scandalosa; una lingua che lancia bestemmie, imprecazioni, maledizioni!...
«Se una parola è dichiarata oziosa, commenta S. Bernardo; perché non si ha ragionevole motivo di proferirla; che ragione potremo dare delle parole che sono contrarie alla ragione, che la feriscono e la disonorano? (Serm. de custod. Ling.)».

10. CASTIGHI DELLA LINGUA CATTIVA. - «L'uomo che abusa della sua lingua non si assoderà su la terra; molti mali lo incoglieranno in punto di morte», dice il Salmista (Psalm. CXXXIX, 12). «Allo stolto faranno piaga le labbra», dice il Savio (Prov. X, 10). Sarà punito, in punto di morte e nell'eternità... Sarà condannato da Dio..., castigato da coloro che ha ferito od oltraggiato... L'uomo che impiega la sua lingua a servizio dell'iniquità prepara dolori e supplizi a sé ed agli altri. Lacera ed è lacerato; cade in abominio a Dio ed agli uomini, che è il più spaventevole dei castighi...


«La rovina corre verso il malvagio, a cagione dei peccati delle sue labbra», dice il Savio (Prov. XII, 13). Perde la pace del cuore, la grazia di Dio, condanna l'anima sua ad essere eternamente infelice. Può immaginarsi punizione più tremenda? Il Crisostomo dice che Adamo ed Eva furono cacciati dal paradiso terrestre perché non stettero abbastanza guardinghi su la loro lingua, ma si trattennero col serpente (Homil. ad baptiz.).


Chi non vigila su la sua lingua e la macchia si attira molti castighi tra cui i seguenti: il rimorso della coscienza; il rammarico di aver detto qualche parola imprudente e nocevole; il dispiacere di aver fatto nascere inimicizie, rancori, liti, vendette, ingiustizie; il dolore di essersi meritata la prigione, o incontrato l'infamia; l'obbligo di risarcire il prossimo della riputazione ingiustamente tolta; la necessità di riparare i danni cagionati dalla maldicenza, dalle calunnie, dai cattivi consigli; la vendetta di Dio; la prospettiva del giudizio e della dannazione... Tutti questi castighi sono per il linguacciuto come tanti strali ardenti che lo feriscono, lo straziano, lo tormentano...

11. LE CATTIVE LINGUE SI DEVONO FUGGIRE. - «Nessuno vi seduca con discorsi vani, ammoniva S. Paolo gli Efesini, perché a cagione di tali cose cade la collera di Dio sui figli della disubbidienza. Non praticate dunque con tale gente» (Eph. V, 6-7). Davide pregava Dio: «Liberate, Signore, l'anima mia dalle labbra inique e dalla lingua ingannatrice» (Psalm. CXIX, 2).

12. OTTIMA COSA È LA LINGUA, QUANDO SE NE FACCIA BUON USO. - Abbiamo parlato dei mali che cagiona la lingua, se è male adoperata; ora vediamo i grandi beni che ne derivano, quando si adopera secondo Dio, la sana ragione e la coscienza.
«La bocca del giusto è il canale della vita» (Prov. X, 11), dicono i Proverbi; perché il giusto si serve della lingua per discorrere di cose giuste, utili, edificanti, feconde in bene e che apportano a quelli che le ascoltano, la vita della grazia. «La lingua dell'uomo retto, leggiamo ancora nei Proverbi, somiglia l'argento puro» (X, 20). Cinque affinità si possono notare tra l'argento e la lingua del giusto: L'argento puro ha per sue qualità la bianchezza, il valore, la solidità, la purezza, il tintinnio sonoro; la lingua prudente e riservata riveste tutte queste qualità...


«Considerate, dice il Crisostomo, che la lingua è uno strumento con cui noi preghiamo Dio, lo benediciamo e parliamo con lui. Questo è il membro per mezzo del quale noi riceviamo il venerabile ed augustissimo Sacramento in virtù della potente lingua del sacerdote sacrificante, Gesù Cristo discende su l'altare. La lingua degli apostoli illuminò e convertì rimi verso pagano. La lingua dei giusti ha salvato il mondo in tutti i secoli. La lingua serve da mediatore tra Dio e gli uomini; stabilisce la pace su la terra; unisce per mezzo della carità gli uomini tra di loro; inebria i cuori delle grazie e dolcezze divine; immenso, preziosissimo dono di Dio è una lingua saggia, pia, persuasiva. Quello che forma una lingua pura e zelante è l'amor di Dio e del prossimo, nato dalla grazia interiore» (In Psalm. CXL).

13. VANTAGGI CHE DERIVANO DAL BUON USO DELLA LINGUA. - «Chi non pecca nel parlare, dice S. Giacomo, è un uomo perfetto e può governare col freno tutto il suo corpo» (IACOB. III, 2). Come l'uomo, quando ha messo il freno alla bocca del cavallo, lo domina e lo guida a suo talento, così chi sa frenare la lingua, sa ancora signoreggiare le concupiscenze, le passioni sue...Egli è dolce, buono, modesto, ecc...


«Chi governa la sua bocca, preserva l'anima sua», leggiamo néi Proverbi (Prov. XIII, 3). Preserva l'anima sua: 1° dalla tepidezza...; 2° da una folla di colpe che si commettono con la lingua...; 3° da molti dispiaceri e dai pericoli, frutti dell'inimicizia e dell'odio...; 4° dai rimorsi...
Il Savio paragona la lingua prudente e dolce all'albero della vita (PROV. XV, 4); perché i beni che reca una tale lingua somigliano un po' ai frutti che produceva l'albero della vita: 1° Essa conserva e prolunga la sanità tanto dell’anima quanto del corpo, poiché preserva dai turbamenti, dalle collere, dai litigi, dalle risse. 2° conserva l'uomo in una pace, in una serenità, in una gioia continua. 3° Tempera e regola tutte le facoltà, i sensi, le affezioni dell'uomo. 4° Lenisce e cura i dolori e le ambasce del prossimo. L'albero della vita guariva tutte le alterazioni del corpo; la lingua saggia e dolce calma i collerici, riconcilia i nemici e i gelosi, incoraggia i timidi, rende umili i superbi, ecc... .


Quanto è piena di verità la sentenza dello Spirito Santo: «Chi guarda la sua bocca e la sua lingua, preserva l'anima sua dalle angosce» (PROV. XXI, 2-5). Guarda l’anima sua da mille nemici: dall'ingiustizia di nuocere, dalla collera di Dio, dall'Inferno. E in grazia al cielo e alla terra, vive contento, muore della morte dei giusti, assicura la sua salvezza, orna la sua corona per l’eternità...
Facciamo ancora tesoro di questi due avvertimenti dell'Ecclesiastco: «Chi è nemico del ciarlare soffoca il male; e chi saggiamente adopera la sua lingua si rende amabile e caro» (XIX, 5); (XX, 13).

14. BISOGNA FARE BUON USO DELLA LINGUA. - «Schiva le ciance sciocche e da vecchierelle» - scriveva S. Paolo a Timoteo (I, IV, 7); e ai Filippesi raccomandava, che nelle loro conversazioni tenessero un linguaggio degno del Vangelo (Philipp. I, 27). S. Pietro tra i suoi ammonimenti inculcava anche questo, che i cristiani santamente si diportassero in ogni loro trattenimento e tenessero tra di loro discorsi edificanti (I PETR. I, 15), (Id. II, 12).
Le parole pronunziate a tempo e luogo sono frutti d'oro in vaso d'argento, dicono i Proverbi (XV, 11). Volesse Dio, che tutti i cristiani potessero ripetere quel che in punto di morte diceva l'abate Pambo: «Fino a questo punto non ricordo di avere proferito parola di cui abbia da pentirmi» (Pallad. in Hist. Laus., c. X).


« Siano le vostre parole condite sempre col sale della grazia, dice S. Paolo, affinché sappiate come rispondere a ciascuno» (Coloss. IV, 6). «Il sale rende gli alimenti saporiti, scrive S. Anselmo, e la carne ben salata non imputridisce; e cosi sia del vostro linguaggio, dimodochè quelli che l'odono lo gustino come saporita vivanda. Non lo renda scipito la mancanza di saggezza, non nauseante la libidine, non corruttore la menzogna; ma io condisca sempre il sale della spirituale sapienza, l'integrità della verità lo renda incorruttibile, esali l'odore di celeste profumo (In Monolog)».


«Sei tu stato vilipeso, oltraggiato? non aprire bocca, consiglia S. Giovanni Crisostomo, se no, tu soffi nella tempesta. Prendi esempio da quello che avviene in una camera dove siano di l'incontro due porte aperte: se vedi che si levi il vento, ti affretti a chiuderne una e così riduci all’impotenza il vento; lo stesso si deve dire quando ti trovi in faccia ad un uomo agitato dalle furie; anche qui si trovano dirimpetto due porte, la bocca tua e la bocca sua (Homil. II in 1.a ad Thess.)». In altro luogo il medesimo dottore, così parla: «Se voi difettate dell'olio della saggezza, o se non chiudete le porte o le finestre del vostro cuore, la vita dell'anima vostra si spegnerà, come si smorza una lampada o per mancanza d'olio, o per una folata di vento (Homil. XI in 1.a ad Thess.) ». Le finestre del cuore sono gli occhi e gli orecchi; la bocca è la porta.


Solo, tra gli animali, l'uomo ha la parola, perché egli solo è dotato di ragione; quando parla, deve adunque servirsi della ragione... Perché abbiamo noi una sola lingua chiusa e difesa da due barriere, i denti e le labbra? Certamente, per insegnarci a parlare poco e con prudenza... La lingua è un cavallo indomito che bisogna governare col freno della ragione e della prudenza... Si obbligano le navi a sottostare alla quarantena, obblighiamovi anche la nostra lingua... «Voi scegliete quello che volete mangiare, dice S. Agostino, scegliete anche quello che avete da dire; parlate piuttosto colle opere che colle parole (In Psalm. LI)». S. Bernardo ci suggerisce di ritoccare col pensiero due volte le nostre frasi, prima di avventurarle una volta alla lingua. La riflessione cura il pensiero, governa l'affetto, dirige le azioni, corregge gli eccessi, forma i costumi, ordina la vita e la rende onesta (De Perfect.).


Ciascuno deve studiare ad adattare le sue parole al luogo, al tempo, all'età, alle persone, per timore che il suo linguaggio non riesca pungente... Siamo tutti naturalmente inclinati a lodare gli uni, a biasimare gli altri, ad adulare, a dissimulare, a ingannare a mentire, a favoleggiare: ora la prudenza ci salva da tutti questi difetti. E questa prudenza di parole appunto domandava il profeta a Dio: «Poni, o Signore, una guardia alla mia bocca, ed una porta di circospezione alle mie labbra» (Psalm. CXL, 3). A ragione S. Ambrogio ci assegna per regola di misurare e pesare nelle bilance della giustizia i nostri discorsi, affinché ne sia serio l'argomento, temperata l'espressione, conveniente la forma (Offic. 1. I, c. 3). Questa cosa è certamente difficilissima né si può ottenere senza il soccorso della grazia. Interrogato Aristotile qual fosse la cosa più difficile all'uomo, rispose: «Tacere quello che non si deve dire (Apud Stobaeum)».



«Una porta, scrive S. Bernardo, non si tiene sempre chiusa, né sempre aperta; così la nostra bocca, porta del nostro cuore, dev'essere aperta quando la prudenza e l'utilità lo esigono; ma deve stare accuratamente chiusa alle parole malvagie che provengono da un cuore corrotto (De pass. Dom. c. XCVI)». Lo Spirito Santo batte spesso su la necessità di guardare la propria lingua. Bisogna vigilarla con quella cura con cui si vigila una città assediata; come una fortezza è difesa da soldati, da munizioni, da bastioni, da torri, così la lingua ha ricevuto da Dio per sua difesa il palato, i denti, le labbra. Come su le vedette di un castello stanno appostate sentinelle e attorno le mura di una piazza da guerra si fa la ronda giorno e notte per tenere d'occhio. il nemico e guardare la fortezza, così bisogna che l'intelligenza e la ragione siano sentinelle vigilanti alla porta della bocca, affinché - né vi entri né vi esca cosa nocevole all'uomo. E come il palato gusta e i denti masticano gli alimenti prima che passino allo stomaco, così tutte le parole devono essere saggiate, triturate, ruminate prima che sia permesso alla lingua di darle fuori... 

«L'uomo prudente, dice S. Ambrogio, prima di aprir bocca, bada a molte cose: cioè, a quello che debba dire, a chi, in qual luogo, in qual tempo debba parlare (Offic. 1. I, c. X)» . Egli avrà sempre dinanzi agli occhi l'avviso del Crisostomo, che per regola generale tutti i nostri discorsi debbono volgere a un fine onesto, utile, ragionevole (In Psalm. XXXVIII). E infatti, essendo l'uomo fornito di ragione e avendo il dono della fede, non è naturale, non è giusto che parli con senno, che diriga ogni parola a Dio? La lingua ci è stata data perché preghiamo e lodiamo Dio, serviamo il prossimo e santifichiamo noi medesimi.. .

Ascoltate ciò che dice il Savio: «Le labbra degli imprudenti pronunzieranno discorsi insipidi ma le parole dell'uomo sensato usciranno dalla sua bocca in peso e misura» (Eccli. XXI, 28). «Chi ciarla molto difficilmente è senza colpa; ma chi tempera le sue labbra avrà lode di prudentissimo» (Prov. X, 19): «Perciò, non parlare a casaccio e con precipitazione ma sii anzi ritenuto prodigo nelle parole» (Eccli. V, 1).


Ecco perché Davide diceva: «Veglierò su la mia condotta per non mancare nelle mie parole; e quando l'empio mi malmenava affrontandomi, ho posto una guardia alla mia bocca» (Psalm. XXXVIII, 1). E l'Ecclesiastico dice: «Chi porrà una guardia alla mia bocca ed un suggello inviolabile su le mie labbra, affinché non mi si facciano cagione d'inciampo e di ruina?» (Eccli. XXII, 33).

15. MEZZI PER BEN SERVIRSI DELLA LINGUA. - Per questo bisogna: 1° pesare le proprie parole...; 2° parlare poco e dire sempre cose utili...; 3° esaminare sovente la propria coscienza...; 4° offrire a Dio il mattino le parole della giornata...; 5° si purifica e santifica la lingua col fuoco della preghiera... Questo fuoco è l'amore di Gesù Cristo e la sua grazia; esso viene dallo Spirito Santo che purifica il cuore e la lingua dei giusti, che li governa, li inspira affinché non dicano altro che cose vere, utili, edificanti, sante...


Qual è la serratura della bocca? è la ragione, la legge, il timor di Dio... Vi sono molti cibi, dice il Venerabile Beda, che non si possono mangiare se non conditi con sale; così le virtù valgono poco, se non sono accompagnate dalla carità (Prov.). Ora dove trovare la carità, senza la saviezza e la prudenza della lingua?

16. BISOGNA OSSERVARE IL SILENZIO. - Qualcuno disse che la parola lingua deriva da ligare: Lingua a ligando; perciò il profeta Michea ci avverte di custodire il chiostro della nostra bocca (VII, 5); il Savio ci raccomanda di aprire raramente la bocca (Eccli. V, 1); S. Giacomo inculca a tutti di avere sempre l'orecchio teso per udire, ma tarda la lingua al parlare (IACOB. I, 19). Davide dice di sé che ha osservato il silenzio (Psalm. XXXVIII, 2). Raramente ha parlato Iddio...; poco parlava Gesù Cristo; quasi nulla la B. V. Maria... I cieli annunziano la gloria di Dio, ma con la calma del silenzio... L'universo canta le lodi del suo Fattore, ma col sublime concento del silenzio... Soltanto il tuono e la tempesta parlano e fortemente, ma che cosa produce il loro strepito?



«Parlino le vostre opere, dice S. Agostino, ma taccia la vostra lingua (Serm. XXX in Evang. S. Lucae)». Non si dà migliore custodia della lingua fuori del silenzio. Se volete imparare a parlare, tacete e nel vostro silenzio pensate a quello che bisogna dire e come dirlo. Ascoltate, esaminate, tacete, se vi sta a cuore di vivere in pace... Arsenio ricevette dalla bocca medesima di un angelo questo ammaestramento: «Fuggi, taci, quieta: questo è il fondamento e il cammino della salute (In vit. Patr.)».


L'abate Agatone tenne per tre anni un sassolino in bocca per avvezzarsi ad osservare il silenzio (Vit. Patr.), Guardate il silenzio, diceva l’abate Doroteo; perché il troppo parlare soffoca nel cuore i buoni e celesti sentimenti (Doctr. XXVI de Compunct.). Una fornace mantiene il suo calore finché se ne tiene turata la bocca; così il cuore conserva l'amor di Dio quando l’uomo non apre troppo spesso le labbra al parlare. «Bisogna custodire la lingua, dice il Crisostomo, se vogliamo ricuperare per quanto si può, la felicità celeste che Adamo perdette parlando (Homil. ad Baptiz.)».


L'eccellenza e l'utilità del silenzio non sfuggì all'occhio sagace dei più assennati pagani. Interrogato Demostene, perché mai l'uomo avesse due orecchie ed una sola lingua, rispose: «Perché deve ascoltare due volte prima di parlare una sola (Ita Stobaeus)». Seneca dice che non sa parlare chi non sa tacere (In Prov.); Catone avverte che l'avere taciuto non nocque mai a nessuno, ma che a molti poté nuocere l'aver parlato (Ita Laert. 1. VII, v. I)
È massima di Epaminonda, che l'uomo dev'essere più sollecito di udire che di parlare; perché dall'udire si raccoglie scienza; dal parlare pentimento (Ita Maximus). Così diceva anche Apollonio: «La loquacità ci espone a molti errori, il silenzio ce ne tiene preservati (Ita Laert.)»; quindi Simonide confessava che si era molte volte pentito di aver parlato, non mai di aver taciuto (Ita Maximus).


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