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giovedì 25 luglio 2019

SAN GIACOMO il Maggiore

San Giacomo il Maggiore Apostolo
25 luglio
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Martire a Gerusalemme nel 42 d.C.

E’ detto “Maggiore” per distinguerlo dall’apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo. Lui e suo fratello Giovanni sono figli di Zebedeo, pescatore in Betsaida, sul lago di Tiberiade. Chiamati da Gesù (che ha già con sé i fratelli Simone e Andrea) anch’essi lo seguono (Matteo cap. 4). Nasce poi il collegio apostolico: "(Gesù) ne costituì Dodici che stessero con lui: (...) Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono" (Marco cap. 3). Con Pietro saranno testimoni della Trasfigurazione, della risurrezione della figlia di Giairo e della notte al Getsemani. Conosciamo anche la loro madre Salome, tra le cui virtù non sovrabbonda il tatto. Chiede infatti a Gesù posti speciali nel suo regno per i figli, che si dicono pronti a bere il calice che egli berrà. Così, ecco l’incidente: "Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono". E Gesù spiega che il Figlio dell’uomo "è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Matteo cap. 20).
E Giacomo berrà quel calice: è il primo apostolo martire, nella primavera dell’anno 42. "Il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni" (Atti cap. 12). Questo Erode è Agrippa I, a cui suo nonno Erode il Grande ha fatto uccidere il padre (e anche la nonna). A Roma è poi compagno di baldorie del giovane Caligola, che nel 37 sale al trono e lo manda in Palestina come re. Un re detestato, perché straniero e corrotto, che cerca popolarità colpendo i cristiani. L’ultima notizia del Nuovo Testamento su Giacomo il Maggiore è appunto questa: il suo martirio.

Secoli dopo, nascono su di lui tradizioni e leggende. Si dice che avrebbe predicato il Vangelo in Spagna. Quando poi quel Paese cade in mano araba (sec. IX), si afferma che il corpo di san Giacomo (Santiago, in spagnolo) è stato prodigiosamente portato nel nord-ovest spagnolo e seppellito nel luogo poi notissimo come Santiago de Compostela. Nell’angoscia dell’occupazione, gli si tributa un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il sostegno degli oppressi e addirittura un combattente invincibile, ben lontano dal Giacomo evangelico (a volte lo si mescola all’altro apostolo, Giacomo di Alfeo). La fede nella sua protezione è uno stimolo enorme in quelle prove durissime. E tutto questo ha un riverbero sull’Europa cristiana, che già nel X secolo inizia i pellegrinaggi a Compostela. Ciò che attrae non sono le antiche, incontrollabili tradizioni sul santo in Spagna, ma l’appassionata realtà di quella fede, di quella speranza tra il pianto, di cui il luogo resta da allora affascinante simbolo. Nel 1989 hanno fatto il “Cammino di Compostela” san Giovanni Paolo II e migliaia di giovani da tutto il mondo.

Patronato: Pellegrini, Cavalieri, Soldati, Malattie reumatiche
Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico
Emblema: Cappello da pellegrino, Conchiglia, Stendardo
Martirologio Romano: Festa di san Giacomo, Apostolo, che, figlio di Zebedeo e fratello di san Giovanni evangelista, fu insieme a Pietro e Giovanni testimone della trasfigurazione del Signore e della sua agonia. Decapitato da Erode Agrippa in prossimità della festa di Pasqua, ricevette, primo tra gli Apostoli, la corona del martirio. 

San Giacomo viene detto “Maggiore” per distinguerlo dall’apostolo omonimo, Giacomo di Alfeo (detto il Minore). La sua figura di pellegrino e primo degli  Apostoli a cadere martire, lo rende di primaria importanza nel seno dei Dodici e nella Chiesa.

Il suo profilo delineato nei Vangeli 


N
ato a Betsaida, sul lago di Tiberiade, era figlio di Zabedeo e di Salome (Mc 15,40; c Mt 27,56) e fratello di Giovanni l’evangelista. Col fratello fu chiamato fra i primi discepoli di Gesù e fu pronto a seguirlo (Mc 1,19s; Mt 4,21s; Lc 5,10). È sempre messo fra i primi tre Apostoli (Mc 3,17; Mt 10,2; Lc 6,14; Atti 1,13). Di carattere pronto e impetuoso, come il fratello, assieme a lui viene soprannominato da Gesù “Boànerghes” (figli del tuono) (Mc 3,17; Lc 9,52-56). E’ tra i prediletti discepoli di Gesù, assieme al fratello, a Pietro e ad Andrea. Con Pietro saranno testimoni della Trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor (Mt 17,1-8; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36), della risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,37-43; Lc 8,51-56); Assiste all’improvvisa guarigione della suocera di Pietro (Mc 1,29-31); con gli altri 3 apostoli interroga Gesù sui segni dei tempi premonitori della fine (Mc 13,1-8). Infine con Pietro e Giovanni è chiamato da Gesù a vegliare nel Getmsemani alla vigilia della Passione (Mc 14,33ss; Mt 27,37s).
Con zelo intempestivo, aveva chiesto di far scendere il fuoco sui Samaritani che non accoglievano Gesù, meritando un rimprovero (Lc 9,51-56). Ambiziosamente mirò ai primi posti nel regno, protestandosi pronto a tutto; e suscitò la reazione degli altri apostoli e il richiamo di Gesù a un altro primato: quello del servizio e del martirio (Mc 10,35-45; Mt 20,20-28). E Giacomo berrà quel calice: è il primo apostolo martire, nella primavera dell’anno 42. “Il re Erode (Agrippa I) cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni” (Atti 12,1-2.

Evangelizzatore della Spagna secondo la tradizione e la devozione 

Una tradizione risalente almeno a Isidoro di Siviglia narra che Giacomo andò in Spagna per diffondere il Vangelo.Ai tempi di Giacomo si svolgeva un intenso commercio di minerali come lo stagno, l’oro, il ferro ed il rame dalla Galizia alle coste della Palestina. Nei viaggi di ritorno venivano portati oggetti ornamentali, lastre di marmo, spezie ed altri prodotti comperati ad Alessandria ed in altri porti ancora più orientali, di grande importanza commerciale. Si pensa che l’Apostolo abbia realizzato il viaggio dalla Palestina alla Spagna in una di queste navi, sbarcando nelle coste dell’Andalusia, terra in cui cominciò la sua predicazione. 

Proseguì la sua missione evangelizzatrice a Coimbra e a Braga, passando, secondo la tradizione, attraverso Iria Flavia nel Finis Terrae ispanico, dove proseguì la predicazione. Nel Breviario degli Apostoli (fine del VI secolo) viene attribuita per la prima volta a San Giacomo l’evangelizzazione della “Hispania” e delle regioni occidentali, si sottolinea il suo ruolo di strumento straordinario per la diffusione della tradizione apostolica, così come si parla della sua sepoltura in Arca Marmárica. Successivamente, già nella seconda metà del VII secolo, un erudito monaco inglese chiamato il Venerabile Beda, cita di nuovo questo avvenimento nella sua opera, ed indica con sorprendente esattezza il luogo della Galizia dove si troverebbe il corpo dell’Apostolo.

L’Apparizione della Vergine Maria e il ritorno In Terra Santa


Il ritorno in Terra Santa, si svolse lungo la via romana di Lugo, attraverso la Penisola, passando per Astorga e Zaragoza, ove, sconfortato, Giacomo riceve la consolazione ed il conforto della Vergine, che gli appare (secondo la tradizione il 2 gennaio del 40), secondo la tradizione, sulle rive del fiume Ebro, in cima ad una colonna romana di quarzo, e gli chiede di costruire una chiesa in quel luogo. Questo avvenimento servì per spiegare la fondazione della Chiesa di Nuestra Señora del Pilar a Zaragoza, oggi basilica ed importante santuario mariano del cattolicesimo spagnolo. Da questa terra, attraverso l’Ebro, San Giacomo probabilmente si diresse a Valencia, per imbarcarsi poi in un porto della provincia di Murcia o in Andalusia e far ritorno in Palestina tra il 42 ed il 44 d.C..

Gli ultimi anni in Palestina


Oramai in Palestina, Giacomo, assieme al gruppo dei “Dodici”, entra a far parte delle colonne portanti della Chiesa Primitiva di Gerusalemme, ricoprendo un ruolo di grande importanza all’interno della comunità cristiana della Città Santa. In un clima di grande inquietudine religiosa, dove di giorno in giorno aumentava il desiderio di sradicare l’incipiente cristianesimo, sappiamo che fu proibito agli apostoli di predicare. Giacomo tuttavia, disprezzando tale divieto, annunciava il suo messaggio evangelizzatore a tutto il popolo, entrando nelle sinagoghe e discutendo la parola dei profeti. La sua gran capacità comunicativa, la sua dialettica e la sua attraente personalità, fecero di lui uno degli apostoli più seguiti nella sua missione evangelizzatrice. 


   Erode Agrippa I, re della Giudea, per placare le proteste delle autorità religiose, per compiacere i giudei ed assestare un duro colpo alla comunità cristiana, lo sceglie in quanto figura assai rappresentativa e lo condanna a morte per decapitazione. In questo modo diventa il PRIMO MARTIRE DEL COLLEGIO APOSTOLICO. Questa del martirio di San Giacomo il Maggiore è l’ultima notizia tratta dal Nuovo Testamento. Secondo la tradizione, lo scriba Josias, incaricato di condurre Giacomo al supplizio, è testimone del miracolo della guarigione di un paralitico che invoca il santo. Josias, turbato e pentito, si converte al cristianesimo e supplica il perdono dell’Apostolo: questi chiede come ultima grazia un recipiente pieno d’acqua e lo battezza. Ambedue verranno decapitati nell’anno 44.

La tradizione popolare e il culto delle sue reliquie


La tradizione popolare indica la presenza del corpo di San Giacomo nelle cime prossime alla valle di Padrón, ove esisteva il culto delle acque. Ambrosio de Morales nel XVI secolo, nella sua opera il Viaggio Santo dice:” Salendo sulla montagna, a metà del fianco, c’è una chiesa dove dicono che l’Apostolo pregasse e dicesse messa, e sotto l’altare maggiore si protende sin fuori della chiesa una sorgente ricca d’acqua , la più fredda e delicata che abbia provato in Galizia”. Questo luogo esiste attualmente ed ha ricevuto il nome affettuoso di “O Santiaguiño do Monte”. Uno degli autori dei sermoni raccolti nel Codice Calixtino, riferendosi alla predicazione di San Giacomo in Galizia, dice che ” colui che vanno a venerare le genti, Giacomo, figlio di Zebedeo, la terra della Galizia invia al cielo stellato”. 


      Dice la leggenda che due dei discepoli di San Giacomo, Attanasio e Teodoro, raccolsero il suo corpo e la testa e li trasportarono in nave da Gerusalemme fino in Galizia. Dopo sette giorni di navigazione giunsero sulle coste della Galizia, ad Iria Flavia, vicino l’attuale paese di nome Padrón. Nel racconto della sepoltura dei resti di San Giacomo, impregnato di leggenda, appare Lupa, una dama pagana ricca ed influente, che viveva allora nel castello Lupario o castello di Francos, a poca distanza dall’attuale Santiago. I discepoli, alla ricerca di un terreno dove seppellire il loro maestro, chiesero alla nobildonna il permesso di inumarlo nel suo feudo. Lupa li rimette alla decisione al governatore romano Filotro, che risiedeva a Dugium, vicino Finisterra. Ben lungi dall’intendere le loro ragioni, il governatore romano ordina la loro incarcerazione. 
   Secondo la tradizione, i discepoli furono liberati miracolosamente da un angelo e si dettero alla fuga inseguiti dai soldati romani. Giunti al ponte di Ons o Ponte Pías, sul fiume Tambre, ed attraversatolo, questo crollò provvidenzialmente permettendogli di fuggire. La regina Lupa, simulando un cambio di atteggiamento, li portò al Monte Iliciano, oggi noto col nome di Pico Sacro, e gli offrì dei buoi selvaggi che vivevano in libertà ed un carro per trasportare i resti dell’Apostolo da Padrón fino a Santiago. I discepoli si avvicinarono agli animali che, dinnanzi agli occhi esterrefatti di Lupa, si lasciarono porre di buon grado il giogo. La regina dopo quest’esperienza decide di abbandonare le sue credenze per convertirsi al cristianesimo. 
    Narra la leggenda che i buoi cominciarono il loro cammino senza ricevere nessuna guida, ad un certo punto si fermarono per la sete ed iniziarono a scavare con i loro zoccoli il terreno, facendone zampillare poco dopo dell’acqua. Si trattava dell’attuale sorgente del Franco, vicino al Collegio Fonseca, luogo dove posteriormente sarà edificata, in ricordo, la piccola cappella dell’Apostolo, nell’attuale “rua del Franco”. I buoi proseguirono il loro cammino e giunsero in un terreno di proprietà di Lupa, che lo donò per la costruzione del monumento funerario. In quel medesimo luogo, secoli dopo fu costruita la cattedrale, centro spirituale che presiede la città di Santiago.

Quando poi la Spagna cade in mano araba (sec. IX), nell’angoscia dell’occupazione, i cristiani spagnoli tributano a San Giacomo un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il sostegno degli oppressi e addirittura un combattente invincibile, ben lontano dal Giacomo evangelico (a volte lo si mescola all’altro apostolo, Giacomo di Alfeo). La fede nella sua protezione è uno stimolo enorme in quelle prove durissime. E tutto questo ha un riverbero sull’Europa cristiana, che già nel X secolo inizia i pellegrinaggi a Compostela. Ciò che attrae non sono le antiche, incontrollabili tradizioni sul santo in Spagna, ma l’appassionata realtà di quella fede, di quella speranza tra il pianto, di cui il luogo resta da allora affascinante simbolo. Nel 1989 Giovanni Paolo II va pellegrino a Santiago de Compostela e Benedetto XVI lo imita il 6 novembre 2010 in occasione, come il predecessore, dell’Anno Santo Compostellano che viene indetto ogni qualvolta il 25 luglio cade di domenica.

Patronati ed emblema


San Giacomo è patrono e protettore di numerose città e paesi, fra altri: Pisa, Pesaro, Pistoia, Compostela, Spagna, Portogallo, Guatemala. Considerato Patrono di pellegrini, viandanti e questuanti farmacisti, droghieri, cappellai e calzettai; va invocato contro i reumatismi e per il bel tempo. Il suo attributo principale è il bastone e la zucca, attributi secondari possono essere: otre e la borsa da pellegrino, vestito e cappello da pellegrino, conchiglia.


Autore: Don Luca Roveda

mercoledì 25 luglio 2018

SAN GIACOMO - SANTIAGO

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Giacomo, Galileo, figlio di Zebedeo e fratello germano dell'Apostolo Giovanni, chiamato col fratello tra i primi Apostoli, abbandonò il padre e le reti per seguire il Signore, e tutti due furono chiamati dallo stesso Gesù Boanerges, cioè figli del tuono. Egli fu uno dei tre Apostoli, che il Salvatore amò di più, e che volle avere come testimoni della sua trasfigurazione, del miracolo che fece allorché risuscitò la figlia del capo della sinagoga, e quando si ritirò sul monte degli Olivi per pregare il Padre, prima d'essere preso dai Giudei.

Dopo l'ascensione di Gesù al cielo, egli predicò la sua divinità nella Giudea e nella Samaria, convertendo moltissimi alla fede cristiana. Partito poi per la Spagna, vi convertì alcuni a Cristo; di questi in seguito san Pietro ne ordinò sette vescovi e li inviò per primi in Spagna. Quindi ritornato a Gerusalemme, avendo guadagnato, fra gli altri, alla verità della fede il mago Ermogene, e proclamando liberamente la divinità di Gesù Cristo, Erode Agrippa, divenuto re sotto l'imperatore Claudio, per conciliarsi i Giudei, condannò Giacomo alla pena capitale. Colui che l'aveva condotto al tribunale, vedendo il coraggio col quale andava al martirio, si dichiarò cristiano anche lui.

Mentre venivano portati al supplizio, egli chiese perdono a Giacomo; e Giacomo, baciandolo: «La pace sia con te» gli disse. Pertanto vennero tutti due decapitati; poco prima Giacomo aveva guarito un paralitico. Il suo corpo fu poi trasportato a Compostella, dove è in sommo onore, accorrendovi pellegrini da tutte le parti del mondo per motivo di pietà e di voti. Per celebrare la memoria del suo natale, la Chiesa ha scelto quest'oggi, ch'è il giorno della sua traslazione, perché fu verso la festa di Pasqua ch'egli, primo degli Apostoli, rese testimonianza a Gesù Cristo con l'effusione del suo sangue a Gerusalemme.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

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Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 20:20-23
In quell'occasione: Si accostò a Gesù la madre dei figli di Zebedeo coi suoi figli, prostrandosi per fargli una domanda. Eccetera.

Omelia di san Giovanni Crisostomo
Omelia 66 su Matteo


Nessuno si conturbi, se diciamo che gli Apostoli erano ancora tanto imperfetti; poiché il mistero della croce non era stato ancora consumato, né era stata ancora infusa nei loro cuori la grazia dello Spirito. Che se desideri conoscere la loro virtù, considera quali furono dopo ricevuta la grazia dello Spirito, e vedrai ch'essi superarono ogni malvagia inclinazione. Ed è per questo che si rivela ora la loro imperfezione, perché tu possa apprezzare meglio come furono d'un colpo trasformati dalla Grazia. Ch'essi non abbiano chiesto nulla di spirituale, né abbiano avuto alcun pensiero del regno celeste, è evidente. Tuttavia esaminiamo come s'accostano, e che cosa gli dicano: «Vogliamo, dicono, che tu ci conceda quanto ti domanderemo» Marc. 10, 35. Al che Cristo risponde: «Che volete?» non ignorandolo, certo, ma per obbligarli a spiegarsi, affine di scoprire la piaga e applicarvi così il rimedio.


Ma essi, arrossendo per la vergogna e confusi d'essere scesi a sentimenti umani, preso Cristo in disparte, gli fanno la domanda di nascosto dagli altri discepoli. Difatti essi camminarono avanti agli altri, dice l'Evangelista, per non essere intesi; e così espressero finalmente ciò che volevano . E volevano ottenere, com'io presumo, che, avendo udito come i discepoli si sarebbero assisi su dodici troni, occupassero essi i primi di questi troni: giacché sapevano certo di essere amati più degli altri; ma temendo che Pietro fosse loro preferito, osarono dire: «Ordina che seggano uno alla tua destra e l'altro alla sinistra» (Matth. 20, 22) E insistono dicendo: «Ordina». Ed egli che risponde? Per far intendere loro che non domandavano nulla di spirituale, e che non sapevano neppure cosa si domandassero, poiché non avrebbero osato domandarlo se l'avessero saputo: «Non sapete, dice, quel che domandate» Matth. 20, 22: non sapete quanto ciò sia grande, quanto meraviglioso, eccedente persino le più alte virtù del cielo.

E aggiunse: «Potete voi bere il calice che berrò io, e battezzarvi col battesimo onde son battezzato io?» Matth. 20, 22. Nota come li rimuove subito da questa speranza, ragionando loro di cose affatto opposte. Voi, dice, mi parlate di onori e di corone; e io vi parlo di lotte e di sudori. Non è questo il tempo delle ricompense, né cotesta mia gloria si manifesterà ora; adesso è tempo di persecuzione e di pericoli. Osserva poi come colla stessa interrogazione li esorta e alletta. Poiché non disse: Potete sostenere i cattivi trattamenti, potete versare il vostro sangue? ma solamente: «Potete voi bere il calice?». E per attirarli soggiunge: «Che berrò io?» affin di disporli meglio a soffrire colla stessa prospettiva di partecipare alle sue sofferenze.


V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


Le 15 cose da vedere a Santiago de Compostela

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1. Cattedrale

Dal XIII secolo la grandiosa Cattedrale sorge sul luogo dove secondo la tradizione è sepolto l'apostolo Giacomo, patrono di Spagna, e per questo è considerata il più sacro dei luoghi di culto cattolici in terra iberica. La maestosa facciata barocca dell'Obradoiro, sormontata dalla statua di San Giacomo, sembra progettata apposta per lasciare senza fiato i pellegrini, prima di accoglierli attraverso il sontuoso Portico della Gloria, vero capolavoro d'arte romanica di Maestro Mateo, decorato con 200 sculture di santi e personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento.
L'interno emana un fortissimo misticismo, ma prima della visita il rituale del pellegrino prevede che ci si metta in coda per abbracciare la statua di San Giacomo posta dietro l'altare maggiore e baciarne il mantello d'argento. Proprio sotto la Capela Major si trova la Cripta dell'Apostolo che custodisce il corpo del santo.
Cattedrale, Santiago de Compostela (by Itto Ogami - CC BY 3.0)
Cattedrale, Santiago de Compostela (by Itto Ogami - CC BY 3.0)

2. Museo della Cattedrale

Da visitare per conoscere nel dettaglio le varie fasi storiche di questo edificio quasi millenario, conoscerne le tecniche di costruzione, ammirarne la collezione di arazzi, dipinti e oggetti d'arte sacra che formano il ricco tesoro. Ma soprattutto la visita del museo vi consente di accedere al suggestivo chiostro cinquecentesco adiacente alla Cattedrale e a un'ala del vicino Palazzo di Gelmirez, l'antica sede vescovile.

3. Tetti della Cattedrale

La visita dei tetti della Cattedrale è una delle esperienze più suggestive che possiate fare nella città giacobea. Salendo per le torri si raggiunge la copertura della Basilica, da cui la vista spazia su tutta la città, sui monti che la circondano e sull'ultimo tratto del Cammino di Santiago. Seguendo il percorso perimetrale si incontra anche la Cruz dos Farrapos, la croce medievale dove per tradizione i pellegrini venivano a bruciare gli indumenti sdruciti usati nel Cammino in un rituale di purificazione.

4. Piazza dell'Obradoiro

Punto finale del Cammino di Santiago, è il cuore monumentale della città, circondata da alcuni degli edifici storici più importanti. Oltre alla facciata principale della Cattedrale, vi affacciano l'Hostal dos Reis Catolicos, fatto costruire dai monarchi cattolici nel XVI secolo; il settecentesco Palazzo de Raxoi, sede della municipalità; il Collegio di San Xerome.
Piazza dell'Obradoiro, Santiago de Compostela (by Luis Miguel Bugallo Sánchez - CC-BY-SA-3.0)
Piazza dell'Obradoiro, Santiago de Compostela (by Luis Miguel Bugallo Sánchez - CC-BY-SA-3.0)

5. Piazza della Quintana

Alle spalle della Cattedrale, è per dimensioni e importanza la seconda piazza della città. Si divide in Quintana de Vivos e Quintana de Mortos, chiamata così perché in passato era un luogo di sepoltura. Sull'angolo occidentale svetta la torre dell'orologio della Cattedrale, detta Berenguela. La principale attrazione è però la secentesca Porta Santa della Cattedrale, che viene aperta soltanto negli anni del Giubileo.

6. Piazza di Praterias

Sul lato meridionale della Cattedrale, la bella piazza degli Argentieri è ingentilita dalla Fuente de los Caballos, un'elegante fontana del 1825, e dalla magnifica facciata barocca della Casa del Cabildo, innalzata nel 1758 con funzione puramente ornamentale.
Piazza das Praterias, Santiago de Compostela (by Georges Jansoone - CC-BY-SA-3.0)
Piazza das Praterias, Santiago de Compostela (by Georges Jansoone - CC-BY-SA-3.0)

7. Museo dei Pellegrinaggi e di Santiago

Dove, se non qui, potrebbe trovarsi un museo dedicato ai pellegrinaggi? Il focus ovviamente è sul Cammino di Santiago e questo è il posto giusto per conoscere tutte le curiosità sulla sua storia nei secoli, sulla tradizione del culto del santo apostolo, sul ricco simbolismo legato all'itinerario giacobeo, ma anche sull'influenza giocata dai pellegrinaggi nello sviluppo urbanistico della città attraverso il ricco patrimonio architettonico religioso.

8. Parador Hostal dos Reis Catolicos

Oggi è un hotel di lusso, ma in origine il sontuoso palazzo in stile plateresco sul lato settentrionale della Piazza dell'Obradoiro fu fatto costruire dai re cattolici Ferdinando e Isabella per ospitare i pellegrini che già allora giungevano numerosi nella città giacobea. Fu completato alla fine del '400 ed è pertanto considerato l'albergo più antico del mondo.

9. Centro storico

Prendetevi il tempo per esplorare senza fretta il "Casco Historico", che ha mantenuto l'impianto medievale ed è stato dichiarato Patrimonio Mondiale dell'Umanità dall'Unesco. Perdetevi tra le stradine e le piazzette pedonali dove risuona il gorgoglio dell'acqua di antiche fontane. Fermatevi ad ammirare le facciate monumentali di chiese e monasteri e poi sostate nei numerosi locali e ristoranti per uno snack a base di tapas.
Centro storico, Santiago de Compostela (by Yearofthedragon - CC BY-SA 3.0)
Centro storico, Santiago de Compostela (by Yearofthedragon - CC BY-SA 3.0)

10. Mercato de Abastos

Se i mercati vi affascinano, fate un salto all'Abastos, il tradizionale mercato alimentare, e non rimarrete certo delusi. Tra centinaia di bancarelle, cercate quelle dei contadini dei dintorni con i prodotti freschissimi dei loro orti, ma anche gustosissime specialità local come il formaggio tetilla o le empanadas. E non perdetevi uno snack di pulpo à feira, polipo servito su taglieri di legno, specialità della Galizia.

11. Parco dell'Alameda

A breve distanza dai principali monumenti, l'elegante parco dell'Alameda è da sempre il luogo di passeggio preferito dagli abitanti di Santiago. L'ideale per una sosta o un picnic nel verde, all'ombra di alberi secolari, tra aiuole fiorite, statue e fontane, con una magnifica vista sulla Cattedrale e sul centro storico.

12. Centro Galiziano di Arte Contemporanea

Ospitato in un moderno edificio dell'architetto portoghese Alvaro Siza, a fianco dello storico Convento di Santo Domingo de Bonaval, il centro è dedicato alla valorizzazione dell'arte e della cultura galiziane, anche attraverso mostre ed eventi temporanei.

13. Città della Cultura

Questo complesso di edifici futuristici di pietra, vetro e acciaio, progettato dall'architetto americano Peter Eisenmann, merita una visita anche solo per ammirarne la spettacolare architettura. Vi si trovano un museo e una biblioteca che ospitano spesso interessanti mostre ed eventi culturali.
Ciudad de la Cultura, Santiago de Compostela (by By Luis Miguel Bugallo Sánchez - CC BY-SA 3.0)
Ciudad de la Cultura, Santiago de Compostela (by By Luis Miguel Bugallo Sánchez - CC BY-SA 3.0)

14. Museo del Popolo Galiziano

Ambientato nell'antico Convento di Santo Domingo de Bonaval, dove tra l'altro potete vedere anche una splendida scala elicoidale, l'interessante Museo do Pobo Galego offre una panoramica completa di ogni aspetto cultura popolare galiziana, tra cui territorio, musica, costumi, architettura tipica, oltre a sezioni dedicate all'archeologia e alle arti.

15. Monte de Gozo

I pellegrini lo chiamano "Monte della Gioia", perchè da questa altura a pochi chilometri dal centro di Santiago avvistano la Cattedrale, segno che la meta del loro lungo viaggio è ormai vicina. Vi sorge una cappella del XII ed è un luogo di sosta e ristoro molto popolare.

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Impazienti di unirivi ai sempre più numerosi pellegrini sul Cammino di Santiago? Ecco 10 consigli per vivere questa avventura al meglio.
Pellegrini accaniti o semplici amanti del trekking? Qualche consiglio, dettato dall'esperienza personale, per affrontare nella maniera più efficiente possibile il celeberrimo cammino di Santiago.

1 Allenamento

Per affrontare il cammino allenarsi non è strettamente necessario ma, se fate una vita molto sedentaria, nel mese precedente alla partenza prendetevi almeno qualche giornata per andare a camminare su un'altura nelle vicinanze. Se volete imitare le condizioni che vi aspettano, caricatevi uno zaino pieno sulle spalle!

2. Costo

Trenta euro al giorno dovrebbero bastarvi per dormire e rifocillarvi a dovere. Se decidete di usare le cucine pubbliche degli albergue per preparare i vostri pasti, potete risparmiare ancora qualcosa. Quando preparate il vostro budget, però, ricordatevi che non sempre avrete voglia di cucinare dopo 30 chilometri di camminata...
Credits: Shutterstock

3. Partenza

Nei primi giorni di cammino sarete euforici e pieni di energie, ma ricordatevi di non esagerare. La strada è lunga e il vostro fisico ha bisogno di abituarsi gradualmente. Dategli, e datevi, tempo. Farsi male nei primi giorni è il modo peggiore per rovinarsi l'avventura di una vita.

4. Dormire

Tra case privatealberghi e albergue le possibilità di dormire non mancano. Se siete ansiosi pianificatori, seguite i consigli di forum e guide e prenotate in anticipo ma sappiate che, anche se andate "all'avventura", troverete sempre una soluzione per riposare comodamente su un materasso.

5. Zaino

In cammino, lo zaino è il vostro migliore amico e, al tempo stesso, può trasformarsi nel vostro peggior nemico. Assicuratevi che sia comodo e soprattutto fate in modo che sia leggero (tra i 5 e 10 kg), inserendo solo lo stretto indispensabile (durante il cammino, ogni giorno dovrete lavare la roba sporca); camminare tutto il giorno con un macigno sulle spalle non fa bene né al vostro umore né al vostro fisico.
Credits: Getty Images

6. Scarpe

Lasciate a casa gli scarponcini da montagna e usate un paio di scarpe da ginnastica di buona qualità in cui vi sentite comodi. Se decidete di comprarne un paio apposta per l'occasione, fate in modo di usarle per un mese prima di partire, in modo da farle adattare al meglio al vostro piede.

7. Acqua

Non caricatevi di acqua come se doveste affrontare il deserto del Sahara! Una borraccia piena è più che sufficiente per affrontare la giornata; ad eccezione di alcune zone (mesetas in particolare), durante il cammino non mancano le possibilità di riempirla.

8. Sacco a pelo

Non serve! Specialmente d'estate un sacco lenzuolo è più che sufficiente e, in caso di necessità, gli albergue sono più che preparati a rifornirvi di coperte. Ancora una volta, evitate di portare peso in eccesso e le vostre spalle vi ringrazieranno.
Credits: Corbis

9. Tappi per le orecchie

Forse vi sembrerà un consiglio stupido, ma vi assicuro che, dormendo per un mese in stanza con un numero variabile di sconosciuti, finirete per sviluppare anche voi una relazione amorosa con i vostri tappi.

10. Ultimi 100 km

Negli ultimi chilometri, e specialmente d'estate, il numero di pellegrini aumenta in maniera esponenziale. Se volete evitare le grandi masse, usate le guide per evitare i grandi centri e cercate riparo nei piccoli villaggi circostanti.


mercoledì 23 ottobre 2013

La lingua




I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: La lingua

Data: Domenica, 04 maggio @ 09:56:14 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


1. La lingua è l'interprete dell'anima e del cuore
2. Stoltezza e pericolo del parlare troppo
3. Chi ciarla molto commette molti peccati.
4. Il parlare troppo porta confusione e fa perdere il tempo
5. Danni della cattiva lingua
6. Chi ha cattiva lingua manca di religione
7. È proibito profanare la lingua
8. Chi parla male dovrà sempre pentirsene
9. Ciascuno renderà conto delle sue parole
10. Castighi della lingua cattiva.
11. Le cattive lingue si devono fuggire
12. Ottima cosa è la lingua, quando se ne faccia buon uso
13. vantaggi che derivano dal buon uso della lingua.
14. Bisogna fare buon uso della lingua
15. Mezzi per ben servirsi della lingua
16. Bisogna osservare il silenzio.





1. LA LINGUA È L'INTERPRETE DELL'ANIMA E DEL CUORE, - Qual è il linguaggio, tale è il cuore... Volete voi conoscere l'anima di qualcuno? Ascoltate le sue parole, perché «la bocca riversa la pienezza del cuore, disse Gesù Cristo; perciò l'uomo buono trae dalla bontà del suo cuore buone parole, e l'uomo cattivo cava da un tesoro cattivo, cattive mercanzie» (MATTH. XII, 34-35; Ecco perché Socrate diceva a un giovane: «Parla, o ragazzo, perché io ti veda (De lingua)». La lingua è lo specchio dell'anima...

Quando si apre un vaso pieno d'immondizie, spande tutt'intorno un fetore pestilenziale e così il cuore malvagio, allorché si apre, esala per la bocca la corruzione di cui è pieno; macchia e avvelena coloro che conversano con esso. Dalla bocca, che racchiude un delizioso profumo, emana un odore soave; tale è la lingua che serve ad un cuore puro, ad un'anima innocente.
Ancora una volta: volete voi penetrare il segreto di un cuore? volete vederne l'anima, conoscerne l'interno? ascoltate quello che dice spesso e con compiacenza... Se incontrate uno che si diletti di parole vane e inutili, di discorsi sconci, di parole di superbia, d'invida, di maldicenza, di collera, sappiate che il cuore di lui è vano, superbo, curioso, collerico, geloso, corrotto... Se al contrario, una persona vi si mostra nel conversare riservata, morigerata, casta, se i suoi trattenimenti versano su oggetti seri, utili, pii, virtuosi, sappiate che l'anima sua è tempio dello Spirito Santo, che il suo cuore è puro, umile, caritatevole... Dall'odore che esala, voi giudicate se un vaso contenga vino, o aceto, o balsamo; lo stesso dite della Lingua riguardo a una persona; essa ne rivela l'anima.


«Essi sono del mondo, scrive S. Giovanni, perciò parlano del mondo, e il mondo li ascolta. Ma quanto a noi, siamo di Dio e chi conosce Dio ci ascolta. Chi, al contrario, non conosce Dio, non ci ascolta ed è questo il segno da cui discerniamo lo spirito di verità dallo spirito di errore». (I IOANN. IV, 5-6). L'uomo che ama occuparsi di fole, mostra uno spirito leggero, frivolo, imprudente... Se è proclive alle frasi sconvenienti, turpi, disoneste, lascia travedere che in fondo al suo cuore bolle la lussuria... Se è corrivo a dir male del prossimo, dà prova che l'anima sua non conosce né carità, né giustizia, né coscienza... Se parla volentieri di odio e di vendetta è segno che il suo cuore è agitato dalle passioni... «Un discorso vano manifesta una coscienza leggera», scrive S. Bernardo (Epist.).


Come ciascun uomo parla il linguaggio della sua nazione, casi chi ha un'anima spirituale e celeste, ama trattenersi di argomenti spirituali e celesti; chi ha il cuore alla terra, discorre di cose terrene... «L'uomo è ricco dei frutti che cadono dalla sua bocca» (Prov. XII, 14); «e la gola degli empi ribocca di malizia» (Ib. XV, 28), leggiamo nella sacra Scrittura; questo, dice Giobbe, perché «l'iniquità del cuore muove le labbra a parlare» (IOB. XV, 5); o, come s'esprime l'Ecclesiastico: «Il cuore degli insensati è su la loro lingua e la bocca del Savio è nel cuore» (Eccli. XXI, 29).


2. STOLTEZZA E PERICOLO DEL PARLARE TROPPO. - Il tuono fa udire lontano i suoi rombi e che cosa produce? Le tempeste rumoreggiano e quali ne sono gli effetti ? Ebbene, i ciarloni somigliano al tuono e alle tempeste, fanno gran rumore e sono pericolosi. Il vocabolo fatuus, fatuo, ha sua radice nel verbo fari, ciarlare; il che vuol dire che coloro i quali parlano molto ed a vanvera, sono stolti e dissennati. Perciò diceva Salone: «Lo stolto non sa tacere (Ita Stobaeus, serm. XXXIV)» Teocrito udendo discorrere di Anassimene, così lo qualificava: «Una goccia di buon senso, galleggiante in un fiume di parole (STOBAEUS, sermon. XXXIV)»; un antico padre del deserto chiamava « stalla senza uscio» l’uomo che non sa frenare la lingua (In Vit. Patr.).


«Come l'acqua chiusa fra dighe ingrossa e si solleva, così l'anima chiusa al mondo si innalza fino alle regioni celesti» scrive San Gregorio, mentre se si divaga in bassi negozi, si snerva e perisce. Quanto più si sottrae dalla salutare disciplina del silenzio, tanto più, come per tanti rigagnoli, si spande fuor di sé; e così non ha più forza da ritornare in se stessa e avere cognizione del suo stato, perché il ciarlare la dissipa e le toglie ogni vigore di meditazione.


Ecco perché la Scrittura dice: L'uomo che non sa frenare le lingua, è come cittadella smantellata (Prov. XXV, 28). L'anima, che non è protetta dal muro del silenzio, sta esposta agli assalti del nemico. Per le sue parole ella si mette allo scoperto, si espone ai colpi del suo avversario il quale può tanto meglio abbatterla perché essa, col troppo ciarlare, combatte contro se stessa e aiuta alla propria disfatta (ad Monit. c. XV)».

«L'insensato moltiplica i suoi d scorsi» (Eccle. X, 14); «e le labbra degli imprudenti narreranno stoltezze» (Ib. XXI, 28); cioè i discorsi dello stolto, del ciarliero, sono di cose insipide, immodeste, arroganti, imprudenti... ma essi lo trarranno a rovina, dice l'Ecclesiaste (Eccle. X, 12). E l'autore dei proverbi ci assicura che vi è più da sperare della correzione di un pazzo che non di un uomo avventato nel parlare (Prov. XXIX, 20). E viceversa: «quelli che lasciano che il loro senso si depravi, sono leggeri, scrive S. Gregorio, e pronti a parlare senza regola, né misura (Moral. lib. V, c. XI)»; essi, come dice il Salmista, si perdono in frivoli discorsi (Psalm. XI, 3); e «la loro bocca versa stoltezza» (Prov. XV, 2).


Il chiacchierone somiglia a uno straniero il quale, non avendo né terra, né casa, va girando per vie sconosciute e regioni ignote, spesso sbaglia strada, più spesso ancora si mette per sentieri che lo allontanano dalla mèta e lo conducono tra rocce e precipizi. L'imprudente parla di ciò che non sa e giudica di quello che non conosce; va da uno sproposito all'altro; si allontana dalla verità, dal giusto e dall'onesto; salta di palo in frasca, prende granchi, cade nel falso e nel ridicolo, si dà a ciance sconce e nauseanti, il cui minore difetto è di riuscire insipide e inutili.


«Il moltiloquio, scrive un autore, è prova d'insipienza, strumento di menzogna; conduce alla scurrilità e alla leggerezza, tracanna a larghi sorsi la maldicenza, soffoca il pentimento, produce l'accidia, dissipa la divozione, rende difficile la preghiera, intepidisce il fervore della pietà, estingue la pace, distrugge ogni rettitudine (Henrici Harpii, lib. I, Cant. p. II, cap. XXXV)».


«Molto sonori sono i vasi vuoti, dice Ausonio; gli scemi sono bocche loquacissime (Ita Laertius, lib. VII)». «E siccome sono inutili gli edifizi senza uscio che ne difenda l’entrata, similmente, e più ancora, avverte Plutarco, non serve a nulla la bocca che non sa stare chiusa (Lib. de garrulit)». Anzi, come dice Teofrasto, «si può fare più a fidanza con un cavallo sbrigliato, che non con chi parla molto ed a sproposito (Ita Laert., lib. VII, c. V)».

3. CHI CIARLA MOLTO COMMETTE MOLTI PECCATI. - «Essi parlavano di cose vane, dice di costoro il Salmista, ed il cuore loro si è riempito d'iniquità» (Psalm. XL, 6). «Nella moltitudine delle parole, difficile è che non s'insinui il peccato», sentenzia il Savio (Prov. X, 19). «O quanto è vera, esclama qui S. Bernardo, questa sentenza, che è impossibile parlare molto e non peccare! (Serm. de Triplici custod.)».

L'abbondanza delle parole è una passione che signoreggia interamente l'uomo in cui si è introdotta; gli fa dire quello che gli converrebbe tacere; nella foga del ciarlare, egli cade facilmente nel peccato; perché quando la lingua è continuamente in moto, la memoria sbaglia, incespica e facilmente si confonde il vero col falso, l'utile col nocevole, il necessario con l’inutile. In mezzo al profluvio impetuoso delle parole chi baderà alla prudenza, alla circospezione? Perché noi vediamo i ciarloni intricarsi in uno spinaio d'imprudenze, offendere ora gli uni ora gli altri, schernire, affilare la lingua a maldicenze, non perdere nessuna occasione di eccitare l'odio, di fare affronti...

«Se disgraziatamente ci uscì di bocca parola men che ponderata, chiudiamo almeno la porta, avverte S. Ambrogio; affinché non v'entri la colpa. Ecco in qual modo entra il peccato nel cuore. Chi parla molto, dice la Scrittura, non si sottrae al peccato. Le parole uscirono e il peccato entrò; poiché quando si parla troppo, non si pesano le frasi, ma si gettano la alla sbadata; quindi si offende Iddio più o meno gravemente, quantunque l'eccedere nel parlare non comporti per sé peccato grave. Facciamo dunque tesoro dell’ammonimento che il medesimo santo ci dà poco dopo: «Lega la tua lingua affinché non trasmodi e non prorompa in discorsi osceni e col troppo parlare ti carichi di peccati. Frenala con dighe, sicché non straripi. Il fiume che esce di letto, porta la melma (De Cain et Abel. 1. I, c. IX)».

«Chi parla troppo, ferisce l'anima sua» (Eccli. XX, 8). Infatti, cedendo al prurito di cicalare, si esagera: 1° si va dall' utile al nocevole, dalla troppa dolcezza alla troppa severità, dalla carità alla maldicenza...; 2° si incorre nell'imprudenza...; 3° si tratta e si spazi a per mille cose che macchiano l'anima; si trascura la prudenza...; 4° si perde tempo e si fa sciupare agli uditori...; 5° si perde la divozione...; 6° l'anima si espone alle ferite del nemico, perché non è in guardia e si trova disarmata.

4. IL PARLARE TROPPO PORTA CONFUSIONE E FA PERDERE IL TEMPO. - «La lingua dell'insensato, troviamo nei Proverbi, conduce presto alla vergogna e alla confusione» (Prov. X, 14). I ciarloni hanno fama di leggeri, di vani, di mentitori, di maldicenti; chi li dice frasche e chi cornacchie; e questi titoli non danno certo troppo favorevole idea del credito in cui sono tenuti e li coprono di onta e di confusione in faccia al mondo medesimo... «I ciarloni, scrive Plutarco, sono vuoti di mente e pieni di rumore; né sono ascoltati; la loquacità è odiosa, pericolosa e ridicola (De garrulit.)»; come gia aveva avvertito il Savio, leggendosi nell’Ecclesiastico: «L'uomo diventa od oso per l'intemperanza delle sue parole» (Eccli. XX, 5).
Udite l'esortazione di S. Bernardo: «Nessuno di noi faccia poco conto del tempo che si perde in discorsi oziosi; perché il tempo è un dono che l’uomo ha ricevuto e giorni di salute sono i giorni che Dio gli concede. 
La parola fugge e non si può più riprendere; il tempo vola e più non torna indietro; perdendo queste due cose, l'insensato non avverte quello che perde. Non sarà lecito, dirà alcuno, il chiacchierare per passare un'ora? Che dite mai? passare un'ora! ammazzare il tempo! Passare inutilmente quell’ora che la misericordia divina vi concede per fare penitenza, per ottenere il perdono, per acquistare la grazia, per meritare la gloria! Perdere quel tempo che vi è dato affinché vi rendiate propizia la bontà divina, vi facciate degni di entrare nella società degli angeli, ricuperiate l’eredità perduta, aspiriate alla felicità che vi è promessa, rianimiate la volontà snervata, piangiate le colpe commesse! (Serm. de Triplici metod.)». Meditiamo con attenzione queste frasi piene di tanta verità e di tanto senno!...

5. DANNI DELLA CATTIVA LINGUA. - Chi non frena la lingua, principalmente in un atto di collera, costui, dice Iperichio, non sarà mai vittorioso delle passioni carnali (In Vit. Patr.). Né solamente a sé nuoce la cattiva lingua, ma anche agli altri, dicendo S. Gregorio, che l'intemperanza della lingua è la sorgente di ogni discordia (Moral. lib, V).
«Piccolo membro è la lingua, scrive S. Giacomo apostolo, eppure fa grandi cose. Vedete quanto piccola scintilla basta a mandare in fiamme una grandissima selva. E la lingua è un fuoco, un mondo d'iniquità. La lingua non è che uno dei nostri membri e macchia tutto il corpo; accesa dal demonio, accende la ruota del nostro vivere. Ogni genere di fiere e di uccelli e di mostri marini si domano e sono state domate dall'umana virtù. Ma la lingua nessun uomo basta a domarla; è male che non patisce freno, pieno di veleno mortale. Con essa benediciamo Iddio e il Padre; e con essa malediciamo gli uomini, che portano in sé l'immagine di Dio. Dalla stessa bocca esce la benedizione e la maledizione. Non dobbiamo fare così, fratelli miei» (IACOB. III, 6-10).


«La lingua, dice S. Gregario di Nazianzo, è piccola, ma, in quanto a forza, vince tutto (In Distich)». Perciò, secondo l'osservazione del Crisostomo, «benché il demonio usi tenderci agguati da ogni parte, più facilmente però e più frequentemente si serve di una lingua cattiva, di una bocca maldicente; nessuna cosa gli serve meglio di questa per uccidere l'anima e far commettere il peccato (Homil. ad Baptiz.)». S. Bernardo scrive: «Piccolo membro è la lingua, ma se non si sta attenti fa un gran male; accarezza con l adulazione, morde con la maldicenza, uccide con la menzogna. Essa lega e nessuno può legarla, guizza come anguilla, penetra come dardo, rompe l'amicizia, moltiplica i nemici, muove le risse, semina le discordie, d'un solo colpo percuote e ammazza molte persone; accarezza e soppianta, sempre pronta a fare il male. Noi diciamo: è poca cosa una parola; sì poca cosa è in verità una parola, perché presto vola, ma ferisce gravemente; passa veloce, ma brucia crude e; penetra con facilità nell'animo, ma con difficoltà n'esce; si lascia cadere alla sventata, ma riesce quasi impossibile il ritirarla; facilmente vola e perciò lacera la carità così frequentemente (Serm. ad Custod. linguae, etc.) ».


Per tagliare e abbattere più facilmente le legna, il boscaiolo prepara ed affila l'accetta; così i demoni, questi operai dell'inferno, preparano, aguzzano, temperano essi medesimi al furore e all’odio la lingua perfida, per abbattere la virtù degli uomini, per diffamarne i costumi, rapire loro l'onore, la fama, la vita medesima. Tale lingua lacera e sbrana il prossimo, accende gli odi, suscita le liti, spinge alla rapina, all'ingiustizia, alla vendetta, alla strage, mette sossopra le famiglie, le province, i regni. Essa è veramente, come la chiama S. Giacomo, artefice e arsenale di ogni iniquità; male inquieto, riboccante di veleno mortale, che nessuno può domare (Iacob. III, 6, 8).


«L'uomo, scrive S. Agostino, doma le belve e non doma la lingua; incatena e domina il leone, non frena e domina la smania del parlare egli comanda, ma non comanda a se stesso; arriva a soggiogarci quello che gli incuteva spavento e per soggiogare se medesimo non teme quello che dovrebbe temere. Imparate dalle bestie che domiamo; né il cavallo, né il leone si mansuefanno da se stessi, ma per mansuefarli ci vuole l'uomo; così l'uomo non si doma da se stesso, ma per domarlo bisogna ricorrere a Dio (Serm. IV de verb. Dom. in Matth.)». No l'uomo, non si soggioga con le forze della natura, ma con l'influenza della grazia...testimonio Saulle..


Le citate frasi di S. Giacomo, ci rivelano dodici mali che derivano dalla lingua imprudente e cattiva. 1° Ella somiglia negli effetti ad un cavallo indomito; 2° solleva delle tempeste; 3° è scintilla che desta un vasto incendio; 4° è un'officina d'iniquità; 5° macchia il corpo; 6° devasta tutta la vita; 7° attinge il suo ardore al fuoco dell'inferno; 8° è più indomabile delle fiere e nessuno può signoreggiarla a talento; 9° è un male inquieto che mai non posa; 10° ribocca di veleno mortale; 11° maledice il prossimo; 12° è una fonte da cui scaturisce un'onda amara.


Al linguacciuto possono adattarsi quelle parole dell'Apocalisse: «Dalla sua bocca usciva una spada a due tagli» (Apoc. I, 16); perché col suo parlare fa male a sé ed agli altri. NeiProverbi occorrono queste due sentenze: «Dove abbondano le parole, là si trova miseria» (Prov. XIV, 23). «La lingua che non sa moderarsi, uccide lo spirito» (Id. XV, 4). Sì, la mala lingua danneggia e sé e gli altri e nell'anima e nel corpo, per causa della maldicenza e della calunnia, delle contese e delle liti che suscita, delle sciagure e delle uccisioni che cagiona. Essa è un principio di intrighi, di dispiaceri, di odii, di vendette, di disperazione, di perdite considerevoli. Chi non sa frenare la lingua, o è o diventa uomo collerico, superbo, geloso, invidioso, avido, curioso, ecc.


Nessuno meglio di Davide tracciò il quadro degli orrori che produce la lingua perversa: « La loro gola è un sepolcro scoperchiato; la lingua distilla la menzogna, le labbra sono gonfie del veleno dell'aspide. La loro bocca vomita maledizioni, parole amare ed ingannatrici che producono l'angoscia ed il dolore (Psalm. XIII, 3) e accumulano tesori d'iniquità nel cuore di chi le pronunzia» (XL, 6).


«Tranquillamente seduto tu parlavi contro tuo fratello e gettavi il disordine in capo al figlio di tua madre. La tua bocca si saziava di maldicenza e la lingua tua ordiva inganni. Ecco quello che tu hai fatto e perché io non ti ho fulminato su l'istante, tu mi hai stimato simile a te, o iniquo; ma io ti accuserò e ti farò vedere la tua laidezza. Bada, o bocca infernale, che dimentichi il Signore» (XLIX, 19-22).


«Perché mai andar fiero della tua cattiveria, o tu che sei potente nel delitto? la tua lingua si arrota continuamente su la cote dell'ingiustizia, è un rasoio affilato che tempra la frode. Hai preferito il male al bene, il linguaggio dell'iniquità alle parole di giustizia; hai amato i discorsi dannosi e desolanti. Ma l'Onnipotente ti distruggerà per sempre; ti strapperà dalla tua dimora e ti sradicherà dal suolo dei viventi » (LI, 3-7).


«La lingua dei malevoli è spada acuta (LVI, 6), ma la bocca degli iniqui sarà turata per sempre (LXII, 11). Essi aguzzarono come spada la loro lingua, la tesero come arco, per colpire coi dardi loro l'innocente (LXIII, 3-4). Le bugie dei perversi prevalsero ai miei danni; essi parlarono a mia ignominia e fecero di me il bersaglio dei loro motteggi (LXIV, 3; LXVIII, 13). Concepirono l’iniquità nel loro pensiero e partorirono la calunnia; parlarono contro l'Altissimo; posero la loro bocca in cielo, e la loro lingua serpeggiò su la terra (LXXII, 8-9). E fino a quando, o Signore, le lingue malediche trionferanno? fino a quando si abbandoneranno a discorsi ingiusti e colpevoli? Essi calpestano, o Signore, il vostro popolo e disertano la vostra eredità. Sventrano la vedova e lo straniero, strozzano l'orfano (XCII, 3, 5-6). Le frecce della mala lingua sono appuntate, divorano come fiamma (CIX, 4). Aguzzarono la loro lingua a foggia di serpente, dalle labbra schizzano il veleno dell'aspide» (CXXXIX, 3).
La lingua del serpente è triforcata, perciò il Salmista a lei paragona la lingua dei cattivi, perché anch'essa ha tre punte, delle quali una si volge contro Dio, l'altra si dirige verso il prossimo, la terza contro il medesimo parlatore. La lingua malèdica è un flagello pubblico: blandisce il vizio, fomenta le passioni, spande lo scandalo, riempie la società di errori e di scompiglio. 

6. CHI HA CATTIVA LINGUA MANCA DI RELIGIONE. - «Se alcuno di voi, dice S. Giacomo, si stima religioso, non frenando la sua lingua, ma pascendo d'illusione il suo cuore, la sua religione non vale nulla» (Iacob. I, 26). Chi non tiene a segno la propria lingua, non onora, né serve, né obbedisce Dio... Non porta amore né a Dio, né al prossimo, né a se stesso...
Come mai saprà governare gli occhi, le orecchie, le mani, i piedi, il cuore, l'anima, lo spirito suo, chi non sa governare la lingua? Tutto in lui va in disordine e il disordine distrugge la pietà... «Incatenate la lingua, predica S. Bernardo, se volete essere pii e divoti
cristiani, perché senza il freno della lingua, vana è la religione. Ben sanno gli uomini spirituali che ne ebbero esperienza, quanto indebolimento apporti alla pietà il troppo parlare, quanta divagazione porti alo spirito. A quel modo che un forno aperto non può trattenere il calore, così non può conservare la grazia del fervore quella persona la cui bocca non è chiusa dalla porta del silenzio (Tract. de Passion., c. XXVI)».


«La bocca dell'insensato lo trae alla perdita e le sue labbra si fanno la rovina dell'anima sua», dicono i Proverbi (XVIII, 7); e «basta una parola maliziosa a pervertire il cuore», dice l'Ecclesiastico (XXXVII, 21); e un cuore pervertito, o già più non ha, o perde ben presto ogni fondamento di verace pietà e sana religione.

7. E' PROIBITO PROFANARE LA LINGUA. - «Badate, scriveva S. Paolo egli Efesini, che non v'esca mai di bocca nessuna parola cattiva; perciò guardatevi, come si conviene ai santi, dal fare nelle vostre conversazioni il menomo cenno di cose attinenti a impurità od avarizia» (Eph. IV, 29), (Id. V, 3). «Né vi lasciate andare a scurrilità, a buffonerie, a inezie. Nessuno vi seduca con parole vane» (Ib. 4-6). Ai Corinzi poi raccomandava che non si lasciassero ingannare, perché le cattive conversazioni guastano i buoni costumi (I Cor XV, 33).

8. CHI PARLA MALE DOVRÀ SEMPRE PENTIRSENE. - «Mi accadde spesso di dovermi pentire per aver parlato, non mai di aver taciuto (Anton. in Meliss.)». Ciascuno può e deve far sua questa sentenza di Simonide. E’ infatti quasi impossibile che si possa conversare a lungo e di frequente senza che si inciampi in qualche cosa che ferisca, o la carità, o la purità, o la verità, o simili.


E poi come volete che uno non deva pentirsi di aver parlato troppo, mentre non si dà cosa tanto cattiva quanto la lingua male adoperata? «La bocca degli empi ricetta l’iniquità» (Prov. X, 11), dicono i Proverbi, e S. Giacomo dice che la lingua è un male inquieto, pieno di tossico mortale... Sì, la bocca dell'empio è una cloaca riboccante di melma avvelenata... Somiglia al lago di Asialtide, in cui stanno sepolte le sodomitiche città della Pentapoli... Il cuore dell'empio è così pieno dì malizia, che rigurgita per la bocca. E il cratere di un vulcano, dal quale si slancia a inondare dare le vicinanze, l'ardente lava delle passioni di cui il cuore è il focolare…

9. CIASCUNO RENDERÀ CONTO DELLE SUE PAROLE. - La sentenza di Gesù Cristo è perentoria: «Vi assicuro che nel giorno del giudizio gli uomini renderanno conto di una parola oziosa da essi pronunziata. Poiché la giustificazione o la condanna vostra dipenderà dai discorsi che avrete fatto» (MATTH. XII, 36-37). O Dio! che terribile conto avrà da rendere una lingua maledicente, calunniatrice, impura, scandalosa; una lingua che lancia bestemmie, imprecazioni, maledizioni!...
«Se una parola è dichiarata oziosa, commenta S. Bernardo; perché non si ha ragionevole motivo di proferirla; che ragione potremo dare delle parole che sono contrarie alla ragione, che la feriscono e la disonorano? (Serm. de custod. Ling.)».

10. CASTIGHI DELLA LINGUA CATTIVA. - «L'uomo che abusa della sua lingua non si assoderà su la terra; molti mali lo incoglieranno in punto di morte», dice il Salmista (Psalm. CXXXIX, 12). «Allo stolto faranno piaga le labbra», dice il Savio (Prov. X, 10). Sarà punito, in punto di morte e nell'eternità... Sarà condannato da Dio..., castigato da coloro che ha ferito od oltraggiato... L'uomo che impiega la sua lingua a servizio dell'iniquità prepara dolori e supplizi a sé ed agli altri. Lacera ed è lacerato; cade in abominio a Dio ed agli uomini, che è il più spaventevole dei castighi...


«La rovina corre verso il malvagio, a cagione dei peccati delle sue labbra», dice il Savio (Prov. XII, 13). Perde la pace del cuore, la grazia di Dio, condanna l'anima sua ad essere eternamente infelice. Può immaginarsi punizione più tremenda? Il Crisostomo dice che Adamo ed Eva furono cacciati dal paradiso terrestre perché non stettero abbastanza guardinghi su la loro lingua, ma si trattennero col serpente (Homil. ad baptiz.).


Chi non vigila su la sua lingua e la macchia si attira molti castighi tra cui i seguenti: il rimorso della coscienza; il rammarico di aver detto qualche parola imprudente e nocevole; il dispiacere di aver fatto nascere inimicizie, rancori, liti, vendette, ingiustizie; il dolore di essersi meritata la prigione, o incontrato l'infamia; l'obbligo di risarcire il prossimo della riputazione ingiustamente tolta; la necessità di riparare i danni cagionati dalla maldicenza, dalle calunnie, dai cattivi consigli; la vendetta di Dio; la prospettiva del giudizio e della dannazione... Tutti questi castighi sono per il linguacciuto come tanti strali ardenti che lo feriscono, lo straziano, lo tormentano...

11. LE CATTIVE LINGUE SI DEVONO FUGGIRE. - «Nessuno vi seduca con discorsi vani, ammoniva S. Paolo gli Efesini, perché a cagione di tali cose cade la collera di Dio sui figli della disubbidienza. Non praticate dunque con tale gente» (Eph. V, 6-7). Davide pregava Dio: «Liberate, Signore, l'anima mia dalle labbra inique e dalla lingua ingannatrice» (Psalm. CXIX, 2).

12. OTTIMA COSA È LA LINGUA, QUANDO SE NE FACCIA BUON USO. - Abbiamo parlato dei mali che cagiona la lingua, se è male adoperata; ora vediamo i grandi beni che ne derivano, quando si adopera secondo Dio, la sana ragione e la coscienza.
«La bocca del giusto è il canale della vita» (Prov. X, 11), dicono i Proverbi; perché il giusto si serve della lingua per discorrere di cose giuste, utili, edificanti, feconde in bene e che apportano a quelli che le ascoltano, la vita della grazia. «La lingua dell'uomo retto, leggiamo ancora nei Proverbi, somiglia l'argento puro» (X, 20). Cinque affinità si possono notare tra l'argento e la lingua del giusto: L'argento puro ha per sue qualità la bianchezza, il valore, la solidità, la purezza, il tintinnio sonoro; la lingua prudente e riservata riveste tutte queste qualità...


«Considerate, dice il Crisostomo, che la lingua è uno strumento con cui noi preghiamo Dio, lo benediciamo e parliamo con lui. Questo è il membro per mezzo del quale noi riceviamo il venerabile ed augustissimo Sacramento in virtù della potente lingua del sacerdote sacrificante, Gesù Cristo discende su l'altare. La lingua degli apostoli illuminò e convertì rimi verso pagano. La lingua dei giusti ha salvato il mondo in tutti i secoli. La lingua serve da mediatore tra Dio e gli uomini; stabilisce la pace su la terra; unisce per mezzo della carità gli uomini tra di loro; inebria i cuori delle grazie e dolcezze divine; immenso, preziosissimo dono di Dio è una lingua saggia, pia, persuasiva. Quello che forma una lingua pura e zelante è l'amor di Dio e del prossimo, nato dalla grazia interiore» (In Psalm. CXL).

13. VANTAGGI CHE DERIVANO DAL BUON USO DELLA LINGUA. - «Chi non pecca nel parlare, dice S. Giacomo, è un uomo perfetto e può governare col freno tutto il suo corpo» (IACOB. III, 2). Come l'uomo, quando ha messo il freno alla bocca del cavallo, lo domina e lo guida a suo talento, così chi sa frenare la lingua, sa ancora signoreggiare le concupiscenze, le passioni sue...Egli è dolce, buono, modesto, ecc...


«Chi governa la sua bocca, preserva l'anima sua», leggiamo néi Proverbi (Prov. XIII, 3). Preserva l'anima sua: 1° dalla tepidezza...; 2° da una folla di colpe che si commettono con la lingua...; 3° da molti dispiaceri e dai pericoli, frutti dell'inimicizia e dell'odio...; 4° dai rimorsi...
Il Savio paragona la lingua prudente e dolce all'albero della vita (PROV. XV, 4); perché i beni che reca una tale lingua somigliano un po' ai frutti che produceva l'albero della vita: 1° Essa conserva e prolunga la sanità tanto dell’anima quanto del corpo, poiché preserva dai turbamenti, dalle collere, dai litigi, dalle risse. 2° conserva l'uomo in una pace, in una serenità, in una gioia continua. 3° Tempera e regola tutte le facoltà, i sensi, le affezioni dell'uomo. 4° Lenisce e cura i dolori e le ambasce del prossimo. L'albero della vita guariva tutte le alterazioni del corpo; la lingua saggia e dolce calma i collerici, riconcilia i nemici e i gelosi, incoraggia i timidi, rende umili i superbi, ecc... .


Quanto è piena di verità la sentenza dello Spirito Santo: «Chi guarda la sua bocca e la sua lingua, preserva l'anima sua dalle angosce» (PROV. XXI, 2-5). Guarda l’anima sua da mille nemici: dall'ingiustizia di nuocere, dalla collera di Dio, dall'Inferno. E in grazia al cielo e alla terra, vive contento, muore della morte dei giusti, assicura la sua salvezza, orna la sua corona per l’eternità...
Facciamo ancora tesoro di questi due avvertimenti dell'Ecclesiastco: «Chi è nemico del ciarlare soffoca il male; e chi saggiamente adopera la sua lingua si rende amabile e caro» (XIX, 5); (XX, 13).

14. BISOGNA FARE BUON USO DELLA LINGUA. - «Schiva le ciance sciocche e da vecchierelle» - scriveva S. Paolo a Timoteo (I, IV, 7); e ai Filippesi raccomandava, che nelle loro conversazioni tenessero un linguaggio degno del Vangelo (Philipp. I, 27). S. Pietro tra i suoi ammonimenti inculcava anche questo, che i cristiani santamente si diportassero in ogni loro trattenimento e tenessero tra di loro discorsi edificanti (I PETR. I, 15), (Id. II, 12).
Le parole pronunziate a tempo e luogo sono frutti d'oro in vaso d'argento, dicono i Proverbi (XV, 11). Volesse Dio, che tutti i cristiani potessero ripetere quel che in punto di morte diceva l'abate Pambo: «Fino a questo punto non ricordo di avere proferito parola di cui abbia da pentirmi» (Pallad. in Hist. Laus., c. X).


« Siano le vostre parole condite sempre col sale della grazia, dice S. Paolo, affinché sappiate come rispondere a ciascuno» (Coloss. IV, 6). «Il sale rende gli alimenti saporiti, scrive S. Anselmo, e la carne ben salata non imputridisce; e cosi sia del vostro linguaggio, dimodochè quelli che l'odono lo gustino come saporita vivanda. Non lo renda scipito la mancanza di saggezza, non nauseante la libidine, non corruttore la menzogna; ma io condisca sempre il sale della spirituale sapienza, l'integrità della verità lo renda incorruttibile, esali l'odore di celeste profumo (In Monolog)».


«Sei tu stato vilipeso, oltraggiato? non aprire bocca, consiglia S. Giovanni Crisostomo, se no, tu soffi nella tempesta. Prendi esempio da quello che avviene in una camera dove siano di l'incontro due porte aperte: se vedi che si levi il vento, ti affretti a chiuderne una e così riduci all’impotenza il vento; lo stesso si deve dire quando ti trovi in faccia ad un uomo agitato dalle furie; anche qui si trovano dirimpetto due porte, la bocca tua e la bocca sua (Homil. II in 1.a ad Thess.)». In altro luogo il medesimo dottore, così parla: «Se voi difettate dell'olio della saggezza, o se non chiudete le porte o le finestre del vostro cuore, la vita dell'anima vostra si spegnerà, come si smorza una lampada o per mancanza d'olio, o per una folata di vento (Homil. XI in 1.a ad Thess.) ». Le finestre del cuore sono gli occhi e gli orecchi; la bocca è la porta.


Solo, tra gli animali, l'uomo ha la parola, perché egli solo è dotato di ragione; quando parla, deve adunque servirsi della ragione... Perché abbiamo noi una sola lingua chiusa e difesa da due barriere, i denti e le labbra? Certamente, per insegnarci a parlare poco e con prudenza... La lingua è un cavallo indomito che bisogna governare col freno della ragione e della prudenza... Si obbligano le navi a sottostare alla quarantena, obblighiamovi anche la nostra lingua... «Voi scegliete quello che volete mangiare, dice S. Agostino, scegliete anche quello che avete da dire; parlate piuttosto colle opere che colle parole (In Psalm. LI)». S. Bernardo ci suggerisce di ritoccare col pensiero due volte le nostre frasi, prima di avventurarle una volta alla lingua. La riflessione cura il pensiero, governa l'affetto, dirige le azioni, corregge gli eccessi, forma i costumi, ordina la vita e la rende onesta (De Perfect.).


Ciascuno deve studiare ad adattare le sue parole al luogo, al tempo, all'età, alle persone, per timore che il suo linguaggio non riesca pungente... Siamo tutti naturalmente inclinati a lodare gli uni, a biasimare gli altri, ad adulare, a dissimulare, a ingannare a mentire, a favoleggiare: ora la prudenza ci salva da tutti questi difetti. E questa prudenza di parole appunto domandava il profeta a Dio: «Poni, o Signore, una guardia alla mia bocca, ed una porta di circospezione alle mie labbra» (Psalm. CXL, 3). A ragione S. Ambrogio ci assegna per regola di misurare e pesare nelle bilance della giustizia i nostri discorsi, affinché ne sia serio l'argomento, temperata l'espressione, conveniente la forma (Offic. 1. I, c. 3). Questa cosa è certamente difficilissima né si può ottenere senza il soccorso della grazia. Interrogato Aristotile qual fosse la cosa più difficile all'uomo, rispose: «Tacere quello che non si deve dire (Apud Stobaeum)».



«Una porta, scrive S. Bernardo, non si tiene sempre chiusa, né sempre aperta; così la nostra bocca, porta del nostro cuore, dev'essere aperta quando la prudenza e l'utilità lo esigono; ma deve stare accuratamente chiusa alle parole malvagie che provengono da un cuore corrotto (De pass. Dom. c. XCVI)». Lo Spirito Santo batte spesso su la necessità di guardare la propria lingua. Bisogna vigilarla con quella cura con cui si vigila una città assediata; come una fortezza è difesa da soldati, da munizioni, da bastioni, da torri, così la lingua ha ricevuto da Dio per sua difesa il palato, i denti, le labbra. Come su le vedette di un castello stanno appostate sentinelle e attorno le mura di una piazza da guerra si fa la ronda giorno e notte per tenere d'occhio. il nemico e guardare la fortezza, così bisogna che l'intelligenza e la ragione siano sentinelle vigilanti alla porta della bocca, affinché - né vi entri né vi esca cosa nocevole all'uomo. E come il palato gusta e i denti masticano gli alimenti prima che passino allo stomaco, così tutte le parole devono essere saggiate, triturate, ruminate prima che sia permesso alla lingua di darle fuori... 

«L'uomo prudente, dice S. Ambrogio, prima di aprir bocca, bada a molte cose: cioè, a quello che debba dire, a chi, in qual luogo, in qual tempo debba parlare (Offic. 1. I, c. X)» . Egli avrà sempre dinanzi agli occhi l'avviso del Crisostomo, che per regola generale tutti i nostri discorsi debbono volgere a un fine onesto, utile, ragionevole (In Psalm. XXXVIII). E infatti, essendo l'uomo fornito di ragione e avendo il dono della fede, non è naturale, non è giusto che parli con senno, che diriga ogni parola a Dio? La lingua ci è stata data perché preghiamo e lodiamo Dio, serviamo il prossimo e santifichiamo noi medesimi.. .

Ascoltate ciò che dice il Savio: «Le labbra degli imprudenti pronunzieranno discorsi insipidi ma le parole dell'uomo sensato usciranno dalla sua bocca in peso e misura» (Eccli. XXI, 28). «Chi ciarla molto difficilmente è senza colpa; ma chi tempera le sue labbra avrà lode di prudentissimo» (Prov. X, 19): «Perciò, non parlare a casaccio e con precipitazione ma sii anzi ritenuto prodigo nelle parole» (Eccli. V, 1).


Ecco perché Davide diceva: «Veglierò su la mia condotta per non mancare nelle mie parole; e quando l'empio mi malmenava affrontandomi, ho posto una guardia alla mia bocca» (Psalm. XXXVIII, 1). E l'Ecclesiastico dice: «Chi porrà una guardia alla mia bocca ed un suggello inviolabile su le mie labbra, affinché non mi si facciano cagione d'inciampo e di ruina?» (Eccli. XXII, 33).

15. MEZZI PER BEN SERVIRSI DELLA LINGUA. - Per questo bisogna: 1° pesare le proprie parole...; 2° parlare poco e dire sempre cose utili...; 3° esaminare sovente la propria coscienza...; 4° offrire a Dio il mattino le parole della giornata...; 5° si purifica e santifica la lingua col fuoco della preghiera... Questo fuoco è l'amore di Gesù Cristo e la sua grazia; esso viene dallo Spirito Santo che purifica il cuore e la lingua dei giusti, che li governa, li inspira affinché non dicano altro che cose vere, utili, edificanti, sante...


Qual è la serratura della bocca? è la ragione, la legge, il timor di Dio... Vi sono molti cibi, dice il Venerabile Beda, che non si possono mangiare se non conditi con sale; così le virtù valgono poco, se non sono accompagnate dalla carità (Prov.). Ora dove trovare la carità, senza la saviezza e la prudenza della lingua?

16. BISOGNA OSSERVARE IL SILENZIO. - Qualcuno disse che la parola lingua deriva da ligare: Lingua a ligando; perciò il profeta Michea ci avverte di custodire il chiostro della nostra bocca (VII, 5); il Savio ci raccomanda di aprire raramente la bocca (Eccli. V, 1); S. Giacomo inculca a tutti di avere sempre l'orecchio teso per udire, ma tarda la lingua al parlare (IACOB. I, 19). Davide dice di sé che ha osservato il silenzio (Psalm. XXXVIII, 2). Raramente ha parlato Iddio...; poco parlava Gesù Cristo; quasi nulla la B. V. Maria... I cieli annunziano la gloria di Dio, ma con la calma del silenzio... L'universo canta le lodi del suo Fattore, ma col sublime concento del silenzio... Soltanto il tuono e la tempesta parlano e fortemente, ma che cosa produce il loro strepito?



«Parlino le vostre opere, dice S. Agostino, ma taccia la vostra lingua (Serm. XXX in Evang. S. Lucae)». Non si dà migliore custodia della lingua fuori del silenzio. Se volete imparare a parlare, tacete e nel vostro silenzio pensate a quello che bisogna dire e come dirlo. Ascoltate, esaminate, tacete, se vi sta a cuore di vivere in pace... Arsenio ricevette dalla bocca medesima di un angelo questo ammaestramento: «Fuggi, taci, quieta: questo è il fondamento e il cammino della salute (In vit. Patr.)».


L'abate Agatone tenne per tre anni un sassolino in bocca per avvezzarsi ad osservare il silenzio (Vit. Patr.), Guardate il silenzio, diceva l’abate Doroteo; perché il troppo parlare soffoca nel cuore i buoni e celesti sentimenti (Doctr. XXVI de Compunct.). Una fornace mantiene il suo calore finché se ne tiene turata la bocca; così il cuore conserva l'amor di Dio quando l’uomo non apre troppo spesso le labbra al parlare. «Bisogna custodire la lingua, dice il Crisostomo, se vogliamo ricuperare per quanto si può, la felicità celeste che Adamo perdette parlando (Homil. ad Baptiz.)».


L'eccellenza e l'utilità del silenzio non sfuggì all'occhio sagace dei più assennati pagani. Interrogato Demostene, perché mai l'uomo avesse due orecchie ed una sola lingua, rispose: «Perché deve ascoltare due volte prima di parlare una sola (Ita Stobaeus)». Seneca dice che non sa parlare chi non sa tacere (In Prov.); Catone avverte che l'avere taciuto non nocque mai a nessuno, ma che a molti poté nuocere l'aver parlato (Ita Laert. 1. VII, v. I)
È massima di Epaminonda, che l'uomo dev'essere più sollecito di udire che di parlare; perché dall'udire si raccoglie scienza; dal parlare pentimento (Ita Maximus). Così diceva anche Apollonio: «La loquacità ci espone a molti errori, il silenzio ce ne tiene preservati (Ita Laert.)»; quindi Simonide confessava che si era molte volte pentito di aver parlato, non mai di aver taciuto (Ita Maximus).