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martedì 14 maggio 2019

LA MESSA CATTOLICA - E L' "ALTER CHRISTUS"


Il testo del saluto di don Stefano Coggiola 
a don Alberto Secci
in occasione del suo XXV° di Sacerdozio

 Nella festa di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, quest'anno vi è per noi tutti un motivo particolare per esprimere la gratitudine al Signore e alla Vergine Maria: il XXV° di sacerdozio di don Alberto.

 Carissimo don Alberto, permettimi di rivolgerti alcune parole partendo dalla frase che hai scelto per l'immaginetta di questo tuo anniversario, immaginetta che distribuirai al termine della Messa ai cari fedeli qui presenti: 
...questo piccolo resto disprezzato possedeva un tesoro: la messa cattolica che è ciò che di più bello c'è al mondo. Sono commoventi e drammatiche parole prese da un libro che ti sconvolse anni fa, “La Riforma liturgica Anglicana” di M. Davies: dalla Riforma della Messa – si legge in quest'opera - entrò l'eresia nella Chiesa d'Inghilterra nel XVI secolo. Una straordinaria attualità; un testo, quello di Davies, che ti fu di grande aiuto, testo fondamentale, chiarissimo: l'ambiguità del rito porta all'eresia di fatto. Non è forse quello che è successo e che è sotto gli occhi di tutti, don Alberto? Non è forse per questo motivo che oggi tu, insieme a ciascuno di noi, sei grato al Signore per averti permesso di vivere la Tradizione della Chiesa?

 Venticinque anni fa nella Collegiata di Domodossola celebravi la tua prima Santa Messa. L'allora arciprete, don Mauro Botta, rivolgendoti un saluto lesse l'atto di Battesimo e le note marginali, in esso riportate, riguardanti la tua Cresima, l'ordinazione diaconale e quella sacerdotale.

 Così diceva: “ [...] Era l'anno del Signore 1963. Il 26 del mese di gennaio nella parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio, presso la cappella dell'Ospedale, è stato presentato alla Chiesa un fanciullo nato il 19 del mese di gennaio alle ore 18.15 figlio di Secci Francesco e di Carboni Anna cui si ministrò il Battesimo da don Giuseppe Pirazzi e si impose il nome Alberto... Le note marginali dicono: Secci Alberto cresimato a Sagliano Micca da mons. Vittorio Piola il 21.10.1973; ordinato diacono il 24.10.1987; ordinato sacerdote il 25.6.1988 da mons. Aldo Del Monte nella Cattedrale di Novara. [...]”.

 Un'anagrafe ecclesiale scarna sì, ma essenziale, dei doni di grazia che il Signore ti ha fatto e delle date precise in cui ti ha prediletto: dal dono della fede nel giorno del Battesimo a quello del Sacerdozio cattolico.

 Nel biellese, lo sappiamo bene, hai trascorso gli anni dell'infanzia in una buona parrocchia, guidata da un vecchio buon parroco con una fortissima devozione alla Madonna, lì sicuramente ci fu, e tu lo sai bene, il primo germe della vocazione: il servizio all'altare, il mese di maggio, il santuario di Oropa... accanto alla fedeltà della tua mamma al suo compito quotidiano, alla Messa, al senso del dovere e dell'ordine del papà e a tante altre cose che segnarono positivamente la tua infanzia cattolica.

 Un'intensa e agguerrita militanza cattolica, la preghiera, il rosario, la Messa quotidiana, l'amore alla Chiesa e alla sua storia, la lettura dei grandi autori spirituali ti portarono all'evidenza della vocazione Sacerdotale: Cristo è tutto, la Chiesa è il suo Corpo: come non dare la vita per questo?

 Alle date che abbiamo ascoltato poco fa mi permetto, non senza commozione, di aggiungere quella del 10 luglio 2007, un martedì, giorno a partire dal quale hai iniziato a celebrare esclusivamente la Santa Messa di sempre. 
   Tu stesso hai raccontato con semplicità quella decisione a chi ti domandò come avvenne l'incontro con la santa Messa tradizionale e cosa ti portò, nonostante le difficoltà, ad abbracciare in esclusiva questo rito:  
   “[La Messa tradizionale] È come se ci fosse sempre stata. Ricordo di non aver mai sopportato un certo modo di celebrare, di aver avvertito il ridicolo di molte liturgie, questo da sempre. Era come sapere che si era in un momento confuso, di guado drammatico, ma che si sarebbe tornati a casa. Tutto in chiesa ti parlava della liturgia antica, solo lei mancava, e si aspettava. Da vicario parrocchiale e più ancora da parroco feci tutto quello che al momento mi sembrava possibile: altare ad orientem, canto gregoriano con i fedeli, comunione in bocca, uso costante dell'abito talare, incontri di dottrina per gli adulti, catechismo tradizionale per i bambini. Ma non bastava, c'era il cuore della Messa in questione, ma come fare, ero già “inquisito” da anni per quel poco che avevo fatto! 
   Nel 2005 introdussi nella Messa di Paolo VI prima l'offertorio poi il canone della Messa di sempre. Aspettai con pazienza il più volte annunciato Motu Proprio, che sembrava non arrivare mai, e il 10 luglio 2007 iniziai, era un martedì, a celebrare solo la Messa di sempre. Devo dire che il colpo finale lo diede mio fratello: in una gita in montagna il giorno prima mi disse “non so cosa stai aspettando”... era il segno che dovevo iniziare”.

 La ricorrenza del tuo XXV° di sacerdozio, allora, carissimo don Alberto, è giusto che sia un mettere al centro la santa Messa di sempre, la sua unicità, la sua bellezza e, mettere al centro la santa Messa tradizionale significa mettere al centro Gesù Cristo, la sua Passione e la sua Morte redentrici.

 Non possiamo leggere senza emozione ciò che dice il concilio di Trento sul rito tradizionale della Messa: «E poiché le cose sante devono essere trattate santamente, e questo è il sacrificio più santo, la chiesa cattolica, perché esso potesse essere offerto e ricevuto degnamente e con riverenza, ha stabilito da molti secoli il sacro canone, talmente puro da ogni errore, da non contenere niente, che non profumi estremamente di santità e di pietà, e non innalzi a Dio la mente di quelli che lo offrono, formato com’è dalle parole stesse del Signore, da quanto hanno trasmesso gli apostoli e istituito piamente anche i santi pontefici».

 E' con questa certezza che possiamo affermare della Messa tradizionale che essa è “...ciò che di più bello c'è al mondo”! Quando cadrà sotto i nostri occhi l'immaginetta del tuo anniversario, immaginetta che conserverò gelosamente nel breviario, e che, sicuramente, verrà conservata dai fedeli nel messalino, rileggendo queste dolci parole, tornerò e torneremo con la mente e il cuore all'importante compito che la provvidenza ci ha assegnato: conservare la santa Messa, conservare, nonostante la nostra piccolezza, la santa Tradizione della Chiesa.

 Caro don Alberto rimani forte nella fede, fedele al vero sacrificio della Messa, al vero e santo sacerdozio di Nostro Signore, per il trionfo e la gloria di Gesù in cielo e in terra. Si degni Dio, per intercessione di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, di accordarti la grazia della fedeltà al sacerdozio che hai ricevuto e che desideri fortemente esercitare per l’onore di Dio, il trionfo della Chiesa e la salvezza delle anime.
AMEN!

giovedì 9 agosto 2018

QUESITI

Un sacerdote risponde

Altari e riforma della liturgia

      Quesito 

      Mi è capitato di partecipare alla Santa Messa in una Chiesa in cui c'è ancora il vecchio altare, quello che si usava prima della riforma, quando il sacerdote celebrava volgendo le spalle ai fedeli.
      Mossa da curiosità ho fatto chiedere al parroco come mai, è stato risposto che si è in attesa di costruire l'altare nuovo.
      E' necessaria una dispensa particolare per celebrare Messa cosi'? O la questione rientra nella diatriba sulla validità o meno del vecchio rito? ( cosa peraltro che mi è poco chiara, anzi se Padre Angelo fosse cosi' gentile da aprire un topic sull'argomento mi farebbe felice:) )
      Maria

      Ulteriore quesito 

      Ringrazio Maria perché ha preceduto la mia intenzione di intervenire su questo argomento.  Sarei oltremodo lieto che, per amore della verità, Padre Angelo facesse chiarezza su alcuni dubbi:
    
      La S. Messa celebrata secondo il rito introdotto dal papa S. Pio V è ancora valida? D'altro canto il nuovo rito introdotto da papa Paolo VI sostituisce l'antico rito oppure i due riti possono convivere liberamente? E ancora, il nuovo rito è valido?
    
      Per celebrare la S. Messa secondo il rito antico occorre una dispensa particolare oppure no? Perché tante volte viene negata la celebrazione secondo questo rito e nello stesso tempo vengono tollerati abusi durante la celebrazione eucaristica in chiaro contrasto con il Concilio stesso?
    
      I due riti sono espressione dell'Unica Chiesa Cattolica Apostolica Romana oppure solo uno dei due ne è il degno rappresentante?
    
      I seminari che formano sacerdoti in base alla Tradizione bimillenaria cattolica -penso ad es. all'Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote- sono riconosciuti dalla Santa Sede oppure no? I sacerdoti formati in questi istituti hanno "diritto di cittadinanza"? 

      Veritatem facientes in charitate


      Risposta del sacerdote 

      Carissimi Maria e "Veritatem facientes in charitate" 
      
      Le questioni sollevate sono molte. 
      Vedo di risolverle per punti. 
      
      1. La S. Messa celebrata secondo il rito introdotto dal papa S. Pio V è ancora valida? 
      Un conto è la validità e un altro è la liceità. 
      Perché la Messa sia valida è sufficiente che sia celebrata da un ministro ordinato (il presbitero) che abbia l’intenzione di celebrare e che pronunzi le parole consacratorie. 
      Per questo è valida anche la Messa celebrata da un prete apostata, scismatico, eretico, sospeso a divinis
      Perché sia lecita è necessario che il prete non abbia impedimenti canonici e che celebri secondo il rito approvato dalla Chiesa. 
      Ebbene, anche dopo la Riforma liturgica fu concesso ad alcuni preti anziani o infermi di celebrare secondo il vecchio rito, rivisto da Giovanni XXIII nel 1962 (p. Pio da Pietrelcina era tra questi). 
      Oggi, a certe condizioni, è concesso anche ad altri sacerdoti, secondo due indulti concessi da Giovanni Paolo II. 

[Ma la storia continua. In verità dopo il 14.settembre.2007 - per La Lettera Apostolica di sua Santità Benedetto XVI <MOTU PROPRIO DATA> "SUMMORUM PONTIFICUM"  del 7 luglio 2007 - "nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII del 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l'uno o l'altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario" (art.2). Occorrerà leggere tutti e 12 gli Articoli finali della  suddetta Lettera Apostolica di Papa Benedetto XVI.]
    
      2. Perchè tante volte viene negata la celebrazione secondo questo rito?
      Talvolta è stato negato il permesso di celebrare secondo il vecchio rito perché coloro che ne facevano la domanda erano portati a mettere in discussione il valore del magistero della Chiesa (quello del Concilio e quello del post Concilio).
      Ora il Magistero della Chiesa, lo sappiamo bene, ha avuto garanzie da parte di Gesù Cristo e pertanto non va mai messo in discussione.
      Sappiamo a priori che il Magistero non può sbagliare, mentre i singoli si possono sbagliare. Pertanto, quando uno trova il proprio pensiero discordante con quello della Chiesa, il minimo che si possa fare è di dubitare della propria opinione e di aderire fedelmente a quanto insegna la Chiesa.
    
      3. e nello stesso tempo vengono tollerati abusi durante la celebrazione eucaristica in chiaro contrasto con il Concilio stesso?
      La Chiesa è sempre intervenuta circa gli abusi. Anche di recente Giovanni Paolo II ha richiamato circa alcuni abusi con l’istruzione Redemptionis Sacramentum. Ma se i soggetti non vogliono emendarsi, che cosa si può fare?
      Coloro che commettono abusi, sbagliano e non possono essere approvati. Ma non mettono in discussione l’autorità del Magistero.
    
      4. I due riti sono espressione dell'Unica Chiesa Cattolica Apostolica Romana oppure solo uno dei due ne è il degno rappresentante? 
      La risposta è chiara: tutti e due sono espressione dell'Unica Chiesa Cattolica Apostolica Romana. La Chiesa ha celebrato con il primo rito dal 1500 ad oggi. E con il secondo dal 1965 in qua.
      Nella storia della Chiesa l’Eucaristia è stata celebrata e viene ancora oggi celebrata secondo una molteplicità di riti.
      Ma chi decide sulla liceità dei riti non è il singolo, ma l’Autorità della Chiesa.
      Con la nuova riforma liturgica la Chiesa aveva proibito di celebrare secondo il rito precedente, a meno che uno non chiedesse l’indulto. E il motivo era facile da capire: era necessaria una certa uniformità. Bisognava evitare che un prete dicesse: “io prendo il nuovo rito” e un altro facesse il contrario. Ne sarebbe venuta fuori una grande confusione tra i fedeli.
      La Chiesa ha optato per il nuovo rito perché lo ha trovato più espressivo del precedente. Non bisogna dimenticare che i sacramenti sono segni sacri. E i segni devono essere leggibili, comprensibili.
    
      5. I seminari che formano sacerdoti in base alla Tradizione bimillenaria cattolica -penso ad es. all'Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote- sono riconosciuti dalla Santa Sede oppure no? I sacerdoti formati in questi istituti hanno "diritto di cittadinanza"?
      Accuso l’ignoranza: non so nulla dell’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote e non so, di conseguenza, se sia riconosciuto dalla Santa Sede.
      San Domenico, quando ha fondato il suo Ordine, si è preoccupato per bene di avere al più presto l’approvazione della Santa Sede.
      Se l’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote è riconosciuto, ha certamente diritto di cittadinanza, evidentemente secondo le condizioni sancite dalla Chiesa.
    
      6. Mi è capitato di partecipare alla Santa Messa in una Chiesa in cui c'è ancora il vecchio altare, quello che si usava prima della riforma, quando il sacerdote celebrava volgendo le spalle ai fedeli. Mossa da curiosità ho fatto chiedere al parroco come mai, è stato risposto che si è in attesa di costruire l'altare nuovo. E' necessaria una dispensa particolare per celebrare Messa cosi'?
    
      Non è necessario avere una dispensa per celebrare la Messa con l’altare fissato nel modo tradizionale. In tante chiese non è possibile voltare l’altare verso i fedeli: o perché non lo concedono le belle arti o per la ristrettezza del luogo o per altri mille motivi.
    
      7. O la questione rientra nella diatriba sulla validità o meno del vecchio rito? (cosa peraltro che mi è poco chiara, anzi se Padre Angelo fosse così gentile da aprire un topic sull'argomento mi farebbe felice).
    
      Non è necessario vedere dispute teologiche o liturgiche dappertutto. Il più delle volte l’altare non è stato girato per i motivi che ho esposto.
      Nella Basilica di San Domenico a Bologna, nella Cappella che custodisce i resti mortali di San Domenico, l’altare è un tutt’uno con l’Arca. Non si può girare e sarebbe un insulto al buon gusto girarlo. La stessa cosa per l’altare che forma un tutt’uno con il sarcofago che custodisce i resti di sant’Antonio a Padova o quelli di Sant’Agostino nella Chiesa in Ciel d’oro a Pavia.
    
      Con questa risposta mi auguro di aver reso felice la nostra Maria e sinceramente convinto anche colui che si è firmato Veritatem facientes in charitate.
      Vi accompagno con la mia preghiera e vi benedico. 

      Padre Angelo

      Ulteriore intervento 

      Ringrazio Padre Angelo per le risposte alle domande poste. Personalmente non ho mai messo in discussione il magistero della Chìesa o il Concilio Vaticano II, però ho voluto porre queste questioni per amore della chiarezza e della verità. Non capisco soltanto perché a gruppi che pure sono in comunione con la S. Sede ai quali l'amato Giovanni Paolo II aveva concesso l'indulto, di fatto i Vescovi delle singole diocesi molto spesso negano la possibilità di celebrare la S. Messsa in base al Messale del 1962; considerarato il fatto che nella promulgazione del Novus Ordo papa Paolo VI non ha mai abolito l'antico rito. Di recente, infatti, il Cardinale Medina Estèvez ha dichiarato che quando celebra la S.Messa secondo l'antico rito non chiede il permesso a nessuno in quanto questo rito non potrà mai essere abolito per ragioni giuridiche.Se non sbaglio con la promulgazione del Messale S. Pio V voleva fermare le spinte protestanti, scegliendo il rito romano tradizionale: la Messa quale era celebrata sostanzialmente uguale a Roma fin dai tempi apostolici. Mi sembra che l’antico rito sia più attento all'universalità,al cristocentrismo, a una certa definizione dei ruoli, a una maggiore compostezza, alla tradizione e progresso nella liturgia, al sacrificio della croce che non è una mera ripetizione simbolica. Questi sono pareri di un misero studente, quale sono io, che per quanto possibile si sente in dovere di difendere un patrimonio di fede e spiritualità in obbedienza alla S. Sede.
      _________________
      Veritatem facientes in charitate

      Risposta del sacerdote 

      Carissimo Veritatem facientes in caritate,
      i valori che hai sottolineato, e che emergevano dall’antico rito, sono valori della massima importanza. E la chiesa di oggi è ben consapevole che devono essere sempre tenuti vivi. La discussione dei Vescovi nell’Ultimo Sinodo sull’Eucaristia ne dà testimonianza.
      Sono certo che il documento che il papa consegnerà alla Chiesa probabilmente già nel prossimo anno li presenterà con nuova forza.
      Tra i valori che tu hai indicato io ne sottolineo due.
    
 *  Il primo valore riguarda quella realtà che tu chiami compostezza, e che io chiamerei “gravità” o “grandezza misteriosa” della celebrazione. C’è il pericolo, e non solo il pericolo, che le nostre liturgie eucaristiche siano buttate giù, nelle quali né il celebrante né i fedeli danno l’impressione di penetrare nel mistero.
      Il Concilio di Trento afferma che non vi è azione più sublime e più santa che celebrare l’Eucaristia: “Nullum aliud opus adeo sanctum a Christi fidelibus tractari posse quam hoc tremendum mysterium” (sessione 22).
      La compostezza o gravità nel partecipare all’Eucaristia non si improvvisa, ma va preparata. 

      Qui il discorso diventerebbe quanto mai ampio, perché c’è una preparazione remota e una preparazione prossima da compiere.
      Circa la preparazione remota mi limito ad osservare che il Concilio Vaticano II ha affermato in diversi punti che l’Eucaristia è la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana. Tutta la nostra vita dunque dovrebbe essere orientata all’eucaristia da celebrare e dovrebbe essere un proseguimento dell’Eucaristia celebrata. 

      Inoltre c’è la preparazione prossima. Giovanni Paolo II, di santa memoria, si preparava all’Eucaristia stando per mezz’ora prostrato per terra. Dopo l’attentato stava seduto. Ma c’era mezz’ora di preparazione.
      E i nostri sacerdoti? E i nostri fedeli? 
      Il Codice di Diritto canonico ricorda ai sacerdoti la necessità “di prepararsi diligentemente con la preghiera alla celebrazione del Sacrificio eucaristico, e, dopo averlo terminato, di rendere grazie a Dio” (can. 909).
      La stessa cosa va detta per i fedeli.
    
   *   Il secondo valore, che tocca l’essenza stessa dell’Eucaristia, riguarda la perpetuazione del sacrificio della Croce sui nostri altari.
      Istituendo l’Eucaristia, Cristo ha inteso rendere contemporaneo a noi il sacrificio della croce
      San Paolo dice: “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11,26).
      Penso a tanti santi che durante la celebrazione dell’eucaristia si commuovono fino alle lacrime.
      Fu chiesto un giorno a p. Pio da Pietrelcina come mai ci mettesse così tanto tempo per celebrare la Santa Messa. Rispose: “E vi par poco vedere Gesù che muore?”.
      Secondo me è sempre valida la risposta data dal medesimo p. Pio a chi gli chiedeva che cosa fosse per lui la Messa. P. Pio disse: “La Messa è un appuntamento sul Calvario”.
      E a chi gli chiedeva con quali sentimenti si dovesse partecipare all’Eucaristia, rispondeva: “Con i sentimenti della Madonna e di San Giovanni ai piedi della croce”.
      Molto dipende dal celebrante. Secondo l’Istruzione del Messale Romano egli deve celebrare in modo da scomparire e da lasciare in tutti la netta sensazione che in mezzo a loro Cristo perpetua il suo sacrificio per mezzo del sacerdote. Ecco le precise parole: il celebrante “nel modo di comportarsi e di pronunciare le parole divine deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Gesù” (n. 93).
      E il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Tutti si riuniscono. I cristiani accorrono in uno stesso luogo per l’assemblea eucaristica. Li precede Cristo stesso, che è il protagonista principale dell’Eucaristia. E’ il grande sacerdote della Nuova Alleanza. E’ lui stesso che presiede in modo invisibile ogni celebrazione eucaristica. Proprio in quanto lo rappresenta, il vescovo o il presbitero (agendo « in persona Christi capitis » - nella persona di Cristo Capo) presiede l’assemblea, prende la parola dopo le letture, riceve le offerte e proclama la preghiera eucaristica” (CCC 1348).
      San Giovanni Crisostomo: “Nessuno partecipi a quegli inni sacri e mistici con un fervore rilassato. Ma ciascuno, sradicando dal proprio spirito tutto ciò che appartiene alla terra e trasferendosi tutto in cielo, come se si trovasse accanto al trono stesso della gloria e volasse insieme ai serafini, offra in questo modo l’inno santissimo al Dio della gloria e della magnificenza” (S. GIOVANNI CRISOSTOMO, De incomprehensibilitate Dei, 4,5)
    
      Invito tutti a partecipare all’Eucaristia tenendo sempre fisso lo sguardo su Gesù.
      Ringrazio Fabio per l’informazione data sull’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote.
    
      Seguo tutti con la mia preghiera e con un ricordo particolare per tutti i nostri amici e visitatori nella celebrazione della S. Messa.
      Vi benedico.
      Padre Angelo

      Ulteriore intervento 

      Posso confermare che l'istituto di Cristo Re, di cui si chiedeva nel post precedente, é in piena comunione con Roma. Esso ha un seminario a Griciliano in provincia di Firenze, avvallendosi dell'indulto concesso nel 1988 dal Santo Padre celebra tutte le liturgie coi libri liturgici antecedenti il 1962. Quest'anno sono entrati in seminario ben 18 nuovi seminaristi!!
      questo é il sito dell'istituto www.icrsp.com
      Consiglio a tutti gli amanti della bella liturgia di partecipare, almeno una volta, ad una Messa presso il seminario di Griciliano....
    
      cordialmente Fabio

Pubblicato 05.01.2006
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AMDG et DVM

sabato 4 novembre 2017

Abusos en nombre de un pretendido "espiritu conciliar"

 14 de septiembre de 2017


14 DE SEPTIEMBRE "SUMMORUM PONTIFICUM" VUELVE CON TODA SU DIGNIDAD LA MISA TRIDENTINA, LA MISA ANTERIOR A 1962, PARA LOS FIELES QUE ASÍ LO SOLICITEN, S.S. PAPA BENEDICTO XVI




El Concilio Ecuménico* Vaticano II, De sentido pastoral, NO DOGMÁTICO, convocado por el papa Juan XXIII, quien lo anunció el 25 de enero de 1959, y clausurado por el Siervo de Dios, S.S. papa Pablo VI, fue el acontecimiento religioso más importante del siglo XX. 
Se propuso actualizar la vida de la Iglesia sin definir ningún dogma.
La característica del Concilio Vaticano II, fue: Renovación y Tradición.

*Ecuménico o Ecuménismo: UNIÓN DE TODAS LAS RELIGIONES







LA MISA TRADICIONAL DE SIEMPRE (TRIDENTINA, GREGORIANA, APOSTÓLICA) ES A PERPETUIDAD, ESTO QUIERE DECIR QUE NO PUEDE SER CAMBIADA.

A raíz de algunos cambios dados por el Concilio Vaticano II, la secta masónica infiltrada en la iglesia, aprovechó audazmente para realizar gradualmente un sinfín de cambios en la liturgia de la Santa misa y en toda la doctrina, la cual tampoco puede ser cambiada ya que LA SANTA IGLESIA ES GUARDA Y CUSTODIA DEL DEPÓSITO DE LA FE, TAL COMO LA DEJO NUESTRO SEÑOR JESUCRISTO Y DEBE PERMANECER INTACTA HASTA QUE EL REGRESE.

POR TANTO LA DOCTRINA DE SIEMPRE Y LA MISA DE SIEMPRE  NO PUEDEN CAMBIAR AL CAPRICHO DE NADIE.

NUESTRO SEÑOR DEJO SU DOCTRINA PARA TODAS LAS GENERACIONES.

Y ES EL MUNDO QUIEN DEBE ADAPTARSE A LA IGLESIA,  NO LA IGLESIA AL MUNDO.

LA IGLESIA ES PARA LOS QUE ESTÁN BUSCANDO LA SANTIDAD,  POR LO TANTO NO DEBE ACEPTAR LAS MULTITUDES  REBELDES QUE SÓLO DAÑAN

DEBE RESCATAR A LOS PECADORES QUE ESTÁN DISPUESTOS A ACEPTAR A CRISTO CON UN CAMBIO DE VIDA. (DEJAR EL PECADO).











En el año 1969 entro en desuso el Misal Romano de la misa tradicional apostólica y se publicó en el año 1970 el nuevo Missale Romanum, para poner en marcha las propuestas del Concilio.






Y aquí con más fuerza el engaño de la masonería infiltrada, ya que EL MISAL ROMANO CON LA MISA TRADICIONAL APOSTÓLICA NO FUE PROHIBIDO, NO PODÍA LEGALMENTE SERLO,   ya que la santa misa tradicional es a perpetuidad, no puede ser cambiada.  

Pero los demoledores de la Iglesia comenzaron una cacería contra todo lo santo, todo lo tradicional, y prohibieron la santa misa tradicional.


Todo esto sucedió porque nuestro señor advirtió 
que pondría a prueba a su iglesia









Hoy podemos decir: ¿Esto como fue posible?¿ como se dejaron engañar?, pero es exactamente igual a lo que esta sucediendo hoy en la iglesia, por ejemplo:

- Con el concilio II, la santa comunión no fue cambiada en la forma tradicional de recibirla, de rodillas, en la boca y de manos del sacerdote. Sin embargo la mayoría de los sacerdotes prohíben recibirla de rodillas y le niegan la comunión al que no quiera recibirla del ministro.








- Los mal llamados ministros de la eucaristía tampoco fueron aprobados por el concilio tal como los vemos ahora, tampoco ha sido costumbre y tradición de la iglesia.




- Mujeres en el altar, tampoco fueron aprobados por el concilio II, mucho menos tocar las sagradas especies (eucaristía) y así, etc.

"Este modo de distribuir la santa comunión (en la boca), considerando en su conjunto el estado actual de la Iglesia, debe ser conservado no solamente porque se apoya en un uso tradicional de muchos siglos, sino, principalmente, porque significa la reverencia de los fieles cristianos hacia la Eucaristía. [...]" (Memoriale Domini, Pablo VI)



Pablo VI, de nombre secular Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini (Concesio, cerca de Brescia, Lombardía; 26 de septiembre de 1897-Castel Gandolfo; 6 de agosto de 1978), fue el papa 262.º de la Iglesia católica y soberano de la Ciudad del Vaticano desde el 21 de junio de 1963 hasta su muerte el 6 de agosto de 1978.

Sucediendo a Juan XXIII, decidió continuar con el Concilio Vaticano II, la gran obra del pontífice anterior.



El Concilio de Zaragoza: (a.380) "Excomúlguese a cualquiera que ose recibir la Sagrada Comunión en la mano." El Sínodo de Toledo: Confirma esta sentencia.


El sexto Concilio Ecuménico en Constantinopla: (680-681) "Prohíbase a los creyentes tomar la Sagrada Hostia en sus manos, excomulgando a los transgresores".


Concilio de Trento: (1545-1565): "El hecho de que sólo el sacerdote da la sagrada Comunión con sus manos consagradas es una Tradición Apostólica".








DAR CLICK EN EL ENLACE












Todos los santos papas después del concilio vat.II han hecho los más grandes esfuerzos por recuperar la tradición, hasta llegar al martirio.


Siervo de Dios S.S. PAPA Juan Pablo I
(El papa de la sonrisa)

El papa Juan Pablo I, tuvo un pontificado que solo duro 33 días, ya que fue asesinado, después de que un periodista le reveló y entregó una lista con los nombres de los sacerdotes masones infiltrados en la iglesia, el papa se había propuesto destituirlos, encontraron su cuerpo con esta lista de nombres en sus manos.




Juan Pablo I, de nombre secular Albino Luciani (Canale d'Agordo, 17 de octubre de 1912-Ciudad del Vaticano, 28 de septiembre de 1978) fue el papa número 263.º de la Iglesia católica y soberano de la Ciudad del Vaticano desde el 26 de agosto de 1978 hasta su muerte, ocurrida 33 días después. Su pontificado fue uno de los más breves de la historia, dando lugar al más reciente año de los tres papas.

 Fue el primer papa nacido en el siglo XX y también el último en morir en dicho siglo.

Fue el primer papa en ser elegido con dos nombres, en honor a sus dos predecesores (Juan XXIII y Pablo VI).


El papa Juan Pablo II, tomo su nombre en honor del papa Juan Pablo I.


El 29 de septiembre a sus 65 años, había sido hallado el Papa sin vida en la cama dentro de su apartamento del Palacio Apostólico por la hermana Vincenza. Desesperada, salió a avisar al secretario John Magee, quien constató la muerte y llamó a un cardenal.

Acompañado por el médico, el cardenal examinó el cadáver y llamaron a los embalsamadores. El cuerpo tenía en sus manos unos papeles considerados importantes.


El comunicado oficial informó que falleció de un infarto:

Esta mañana, 29 de septiembre de 1978, alrededor de las 05:30 a.m., el secretario particular del papa, sin haberle encontrado en la capilla como es su costumbre, le buscó en su habitación y le ha encontrado muerto en la cama, con la luz prendida, como si todavía leyese.

 El médico Renato Buzzonetti, que acudió inmediatamente, ha constatado su muerte, acaecida probablemente hacia las 23:00 p.m. del día anterior a causa de un infarto agudo de miocardio.

Fue embalsamado, pero sin extraerle sangre ni extirparle las vísceras, mediante inyección de líquidos antipútridos. 


En cuanto a los papeles, eran sobre la reorganización y el cambio del poder en el Vaticano.

Además, se afirma que la leve sonrisa con la que falleció no corresponde al dolor previo producido por un infarto.

El cuerpo de Luciani nunca pasó por una autopsia. Directamente, tuvo un funeral correspondiente al de un pontífice y fue depositado en las grutas vaticanas.

lunedì 18 settembre 2017

Giovedì 14 settembre 2017


14 DE SEPTIEMBRE "SUMMORUM PONTIFICUM" : VUELVE CON TODA SU DIGNIDAD LA MISA TRIDENTINA, LA MISA ANTERIOR A 1962, PARA LOS FIELES QUE ASÍ LO SOLICITEN, 
S.S. PAPA BENEDICTO XVI

LAUDETUR JESUS CHRISTUS



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AMDG et BVM

venerdì 4 agosto 2017

Roma felix et nobilis.

CATTOLICITÀ E ROMANITÀ DELLA CHIESA NELL'ORA PRESENTE

Convegno Roma, ottobre 2009:
Il Motu proprio "Summorum Pontificum". Un grande dono per tutta la Chiesa. 
Intervento del Prof. Roberto De Mattei


Le note distintive della Chiesa

La verità della Chiesa cattolica, la sua divinità, la sua unicità, ciò che ci autorizza a dire che fuori di essa non c'è salvezza, è dimostrata, o confermata, dalle sue caratteristiche fondamentali, dalle sue note distintive che professiamo dal IV secolo nel simbolo niceno-costantinopolitano: "Credo unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam".

Le note della Chiesa sono segni a tutti visibili. La Chiesa è, dalla sua fondazione, una e indivisa nella sua dottrina, nei suoi sacramenti e nel suo governo; è santa, pura e senza macchie, mai peccatrice, pur comprendendo in sé dei peccatori; è cattolica cioè universale, destinata a diffondere nel mondo il solo Battesimo di Cristo e l'unica salvezza; è apostolica, perché è fondata sulla successione ininterrotta dei suoi Pastori, da san Pietro e dagli apostoli ai nostri giorni[21].
Il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica riafferma queste note come "tratti essenziali" della Chiesa e della sua missione. "La Chiesa" dice "non se li conferisce da se stessa; è Cristo che per mezzo dello Spirito Santo concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica"[22].

Nel Regina Coeli del 27 maggio 2007, Benedetto XVI ha ricordato queste note, aggiungendo che la Chiesa ha come proprietà essenziale anche quella di essere "Romana".

Il Catechismo di san Pio X afferma con più precisione: "La Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa Cattolico-Romana, perché essa sola è una, santa, cattolica e apostolica quale Egli la volle"[23].

La Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica è la Chiesa Romana. La Romanità è però qualcosa di più e di diverso da una nota della Chiesa: essa è l'attuazione di queste note, è il loro compendio concreto e storico: nella Romanità si riassume, per così dire, il volto visibile del Corpo mistico di Cristo. Per questo si parlava un tempo e dobbiamo continuare a parlare di Santa Romana Chiesa. Il termine "Romana" cala la Chiesa nel tempo e nello spazio, in un luogo e in una memoria storica.
Ma che cosa è la Romanità della Chiesa? E qual è il suo significato nell'ora presente?

Roma: una parola di mistero

Il nome di Chiesa Romana associa due realtà diverse. La parola "Roma" evoca una realtà storica: una città, una civiltà, un Impero, che ha avuto inizio e fine nel tempo; la parola "Chiesa" rimanda ad una realtà soprannaturale, immersa nella storia, ma appartenente all'eternità. Il nesso tra questi due termini è però intimo e inscindibile. È un'intima e misteriosa relazione stabilita non dagli uomini, ma dalla Divina Provvidenza.

L'allora Cardinale Eugenio Pacelli in una conferenza che tenne il 24 febbraio 1936 presso l'Istituto di Studi Romani sulla "sacra vocazione di Roma", disse che Roma è "una parola di mistero" e parlò della "città che profonda il piede nelle zone pagane del Tevere e nei sacri meandri delle catacombe, e leva e nasconde il capo fra le stelle, per chinarlo innanzi al trono di Dio"[24].

Tacito definiva Roma "caput rerum"[25]; Orazio la chiamava "principis urbium"[26]; Tibullo, "aeterna urbs"[27]; Tito Livio, "caput orbis terrarum"[28]. La città che regnava sul mondo chinò il capo innanzi al trono di Dio e divenne la sede della Cattedra universale di Pietro, destinata a un regno spirituale. La caput mundi pagana divenne la città eterna, quella città "onde Cristo è romano" che Dante evoca nella Divina Commedia[29].
Come e quando accadde questa trasmutazione storica?
A tale domanda pretesero rispondere alcuni storici e teologi modernisti come Auguste Sabatier e Adolf von Harnack. Per essi, il prestigio della capitale dell'Impero Romano avrebbe fatto sì che il Vescovo di Roma fosse il Vescovo di tutte le Chiese. Il primato del Romano Pontefice sarebbe dunque una conseguenza della grandezza dell'Impero Romano.

La tesi modernista, ancora oggi ricorrente, affonda la sua origine nel dibattito teologico del primo millennio tra la Chiesa di Roma e le Chiese d'Oriente e già affiora nel 28° canone del Concilio di Calcedonia (451), cancellato da san Leone Magno. Le Chiese orientali riconoscevano il primato di Roma come un primato onorifico dovuto al fatto che Roma era stata la capitale dell'Impero Romano. Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e il trasferimento della "nuova Roma" a Costantinopoli, anche il primato sarebbe dovuto passare al Patriarca di quella città.

La condanna di questa tesi fu ribadita da san Pio X nel decreto "Lamentabilis" annesso alla "Pascendi" (1907). Il Papa in quel documento anatemizza la seguente proposizione: "La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche" ("Ecclesia Romana non ex divinae providentiae ordinatione, sed ex mere politicis condicionibus caput omnium Ecclesiarum effecta est")[30].
L'errore è quello di fondare la giurisdizione della Chiesa su di un primato di natura politica. In realtà la ragione della scelta di Roma come sede della Cattedra di Pietro non sta nella grandezza e nell'autorità dell'antica Roma, ma nel fatto che Roma fu il luogo in cui esercitò il suo ministero san Pietro, l'apostolo cui era stato conferito da Cristo il primato universale. Se san Pietro si fosse fermato in Antiochia e vi fosse morto, i Vescovi antiocheni avrebbero avuto la stessa autorità che conseguirono i Vescovi di Roma. Roma sarebbe stata una città storica, centro di una grande diocesi, ma non di più, e la Chiesa Cattolica non potrebbe dirsi Romana.
Fu una disposizione della Divina Provvidenza che Pietro scegliesse Roma come sua sede vescovile. Qui, nel circo di Nerone, egli subì il martirio; sotto il punto centrale della cupola vi è il luogo del suo sepolcro. I suoi successori, i papi, hanno continuato la sua missione fino al presente.
La Roma cristiana trae dunque la sua grandezza dal martirio di Pietro e non dal potere dell'Impero. E, d'altra parte, il Patriarcato di Costantinopoli, mentre negava il primato religioso di Roma, in nome del primato politico che la nuova Roma esercitava nel mondo, introduceva il diritto di ingerenza dell'Imperatore bizantino negli affari ecclesiastici, fino a fare del Patriarca di Costantinopoli un proprio proconsole religioso. La sottomissione della religione alla politica caratterizzerà da allora tutta la storia dell`ortodossia".

Roma cristiana e Roma pagana

Una seconda domanda si pone a questo punto: perché la Divina Provvidenza designò Roma, e non un'altra città, come luogo del ministero e della morte del principe degli apostoli?
Molti autori cristiani hanno trattato questo argomento: la Città di Dio di sant'Agostino nasce proprio da una meditazione su tale tema. Nessuno forse come un discepolo del Dottore di Ippona, san Prospero di Aquitania (390 ca-463), ne sintetizza bene il pensiero: "Crediamo che la Provvidenza di Dio abbia predisposto nella sua estensione l'Impero Romano, affinché le nazioni che sarebbero state chiamate all'unità del Corpo dì Cristo fossero prima unite nella legge di un solo impero; sebbene la grazia di Cristo non si accontenti di avere gli stessi confini di Roma"[31].
La grazia di Dio va ben oltre i confini dell'Impero Romano, perché il mandato di Gesù Cristo è quello di predicare il Vangelo a tutte le genti, da un capo all'altro della terra (Mc 29,19). Ma poiché la Grazia presuppone la natura, Dio predispose una cornice naturale idonea alla diffusione e all'accoglimento della Sua Parola. Questa cornice storica e giuridica fu l'Impero Romano.
Roma appare nel bacino del Mediterraneo come la città destinata a unificare il mondo per prepararlo alla diffusione del Cristianesimo. Le grandi vie consolari su cui avevano marciato le legioni aprirono la strada ai predicatori del Vangelo; la lingua latina diventò la lingua universale e sacra della Chiesa; il diritto romano offrì le basi giuridiche al diritto canonico della Chiesa e al diritto comune dell'Occidente.
Eppure Roma, culla e patria del diritto universale, si macchiò della più grande ingiustizia della storia: il processo e la condanna di Gesù Cristo. Dopo aver condannato a morte Gesù, l'Impero Romano, che ospitava nel Pantheon tutti i culti della terra, rifiutò la Verità del Vangelo e perseguitò la Chiesa nascente come mai aveva fatto nei confronti di nessuna delle numerose sette che proliferavano al suo interno. Ciò segnò la sua fine. La causa della decadenza e della fine dell'Impero Romano non sta nel Cristianesimo, come ancora pretendono molti storici, ma nel rifiuto della parola di Verità e di Vita che il Cristianesimo annunciava.
La storia della Chiesa si presentò fin dall'inizio come la lotta di due Rome: la Roma pagana, che cercò di distruggere il Cristianesimo, e la Roma cristiana che vinse, con le sole armi della verità e dell'amore, il più grande potere politico e militare che la storia avesse conosciuto.
Nessun altro impero raggiunse lo splendore di quello Romano. Sembrò creato per i millenni, eppure anch'esso fu sottomesso alla legge del tempo e della storia. Della Roma pagana rimangono oggi solo le rovine. È la legge di tutto ciò che è umano e terreno: ai grandi successi, ai trionfi mondani succedono, con rapidità ancora maggiore, la decadenza, il disfacimento, la morte. Ce lo ricorda Pio XII, che così continua: "Quando noi ci troviamo invece dinanzi alle testimonianze del passato cristiano, per quanto antiche esse possano essere, sentiamo sempre qualche cosa d'immortale: la fede, che esse annunziano, vive ancora, moltiplicata indefinitamente nel numero di coloro che la professano: vive ancora la Chiesa, a cui esse appartengono, sempre la stessa attraverso i secoli"[32].
All'imperatore Costantino si deve, nel IV secolo, il merito di aver riconciliato Roma con il Cristianesimo, di essere il padre di un'era che avrebbe assorbito l'eredità della cultura e delle istituzioni romane, innestando in esse lo spirito e la legge del Vangelo e offrendo all'umanità un vincolo non solo esterno, qual era stato imposto dalla lex romana, ma interiore e spirituale.
Lo stesso Costantino trasferendo la capitale dell'impero sulle sponde del Bosforo incrinò però quell'unità, anche geografica, tra Roma e il Cristianesimo che aveva restaurato nel 313 con l'Editto di Milano. E tuttavia anche Costantino fu inconsapevole strumento della Divina Provvidenza. Non c'era posto a Roma per due imperi: un impero cristiano e un impero terreno. Se l'Impero Romano non fosse caduto, il Cristianesimo nascente ne sarebbe stato schiacciato. Il Sacro Romano Impero fu restaurato con l'incoronazione di Carlo Magno a Roma nella notte di Natale dell'800, da parte del Papa Leone III, ma gli imperatori non risiedettero mai più a Roma, che rimase città sacra riservata alla Cattedra di Pietro.
San Leone Magno (440-461) fu il maggior artefice della romanizzazione del Cristianesimo che avvenne nel V secolo, mentre crollava l'Impero Romano d'Occidente. Egli fa un'affermazione analoga a quella di san Prospero d'Aquitania, di cui fu contemporaneo e amico: "Dio ebbe cura che i popoli fossero riuniti in un solo impero, di cui Roma era il capo, affinché da questo la luce della Verità, rivelata per la salute di tutte le gemi, più efficacemente si diffondesse in tutti i suoi membri"[33].
Leone fu il grande protagonista del suo secolo, il quinto, che vide la definitiva caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Nessuno come lui ebbe piena consapevolezza del declino inesorabile di Roma, ma anche dell'ascesa di una nuova Roma il cui impero sarebbe stato molto più vasto e glorioso dell'antico.
Nei lunghi secoli di anarchia che vanno dalla caduta dell'Impero Romano alla nascita del Sacro Romano Impero, nell'Europa travolta dai barbari e lacerata da conflitti interni, restò in piedi, in tutta la sua maestà soltanto il Papato. La società era allora un magma ribollente, in cui nulla più restava di stabile e di permanente. In questo crogiuolo, si solidificò la Sede Apostolica, come centro unitario di governo e di giurisdizione, ma anche come punto di irradiazione di una civiltà che nasceva.
San Tommaso d'Aquino negli articoli della Summa Theologica dedicati alla nascita di Cristo, si chiede perché il Salvatore fosse nato a Betlemme e non a Roma. Questa la risposta del Dottore Angelico: "Come si legge in un sermone del Concilio di Efeso (Teodoro di Ancyra Serm. 1), «se (Cristo) avesse scelto Roma, la città più potente, si sarebbe potuto pensare che avrebbe cambiato il mondo grazie al potere dei concittadini. Se fosse stato figlio dell'imperatore, si sarebbe attribuita la sua riuscita al potere (imperiale). Per mostrare invece che il mondo sarebbe stato trasformato dalla sua divinità, scelse una madre povera e una patria ancora più povera». Però, come afferma S. Paolo (1Cor 1,27), «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti». Quindi, per manifestare meglio la sua potenza, stabilì a Roma, capitale del mondo, il centro della Sua Chiesa, come segno di completa vittoria, affinché di là la fede si diffondesse su tutta la terra, secondo la profezia di Isaia (26,5): «Umilierà la città sublime e la calpesteranno i piedi del povero», cioè di Cristo, « i passi degli indigenti», cioè degli apostoli Pietro e Paolo"[34].
Possiamo a questa luce comprendere come santa Caterina da Siena, che fu proclamata Patrona d'Italia, scrivendo a Gregorio XI perché tornasse a Roma come alla sua sede obbligatoria[35], affermava arditamente: "Pensate che questa terra è il giardino di Cristo benedetto ed è il principio della nostra fede"[36]. "Qui è il capo e il principio della nostra fede"[37].

Il Primato Romano

Roma aveva esercitato la sua egemonia politica sul mondo; il Romano Pontefice estese al mondo la legge del Vangelo. Il potere di giurisdizione della Chiesa che sostituì quello della Roma pagana si espresse fin dai primi secoli nella dottrina del "Primato Romano".
La dottrina cattolica sul primato di Pietro e sulla giurisdizione del Romano Pontefice, esposta già da san Clemente, terzo Papa, alla fine del I secolo[38], fu definita nel Il Concilio di Lione del 1274[39], nel Concilio di Firenze del 1439[40], nella Professio fidei Tridentina[41], e infine fu solennemente affermata dal Concilio Vaticano I con la Costituzione Dogmatica Pastor Aeternus (18 luglio 1870).
Quando si parla del Concilio Vaticano I ci si riferisce in genere al solo dogma dell'infallibilità. In realtà la Pastor Aeternus stabilisce in primo luogo che il primato del Papa consiste non solo in una preminenza d'onore sugli altri Vescovi e fedeli, ma in un vero supremo potere dì giurisdizione, indipendente da ogni altro potere, su tutti i pastori e su tutto il gregge.
Nella Pastor aeternus del Vaticano I fu solennemente rinnovata, nel capitolo 3, la definizione del Concilio Ecumenico di Firenze (4 settembre 1439), che impone a tutti i cristiani "di credere che la Santa Sede Apostolica e il Romano Pontefice hanno il primato su tutto l'universo; che lo stesso Romano Pontefice è il successore del beato Pietro, principe degli apostoli, è autentico Vicario di Cristo, capo di tutta la Chiesa, Padre e Dottore di tutti i cristiani; che nostro Signore Gesù Cristo ha trasmesso a lui, nella persona del beato Pietro, il pieno potere di pascere, reggere e governare la Chiesa universale, come è attestato anche negli atti dei concili ecumenici e dei sacri canoni"[42].
Il fondamento della sovranità pontificia non consiste dunque nel carisma della infallibilità, conferito da Cristo al solo Pietro in quanto capo della Chiesa, oltre che al collegio apostolico unito a Pietro; ma consiste nel primato apostolico che il Papa possiede sulla Chiesa universale come successore di Pietro e principe degli apostoli. Questo primato comprende anche il potere di magistero, come fu definito dal Concilio Costantinopolitano IV[43], dal Concilio di Firenze[44] e poi dal Concilio Vaticano I[45].
Il Papa non è infallibile quando esercita il suo potere di governo: le leggi disciplinari della Chiesa, a differenza di quelle divine e naturali, possono infatti mutare. L'infallibilità pontificia ha come unico oggetto, a determinate condizioni, la fede e la morale. Ma è di fede divina, e quindi garantita dal crisma dell'infallibilità, la costituzione monarchica e gerarchica della Chiesa, che affida al Pontefice romano la pienezza della sovranità.

Roma e l'antiromanesimo

Nel corso della storia i nemici della Chiesa combatterono il Primato Romano cercando sempre di dissociare il Cristianesimo dalla romanità. Se la romanità è la prima nota distintiva della Chiesa, l'antiromanesimo può essere considerato la caratteristica distintiva dei suoi nemici. Dopo lo scisma d'Oriente, tra il XV e il XX secolo, la dissociazione di Roma dal Cristianesimo si sviluppa lungo due linee che spesso si intrecciano e si confondono: da una parte si vuole deromanizzare il Cristianesimo, come avviene con il protestantesimo e poi con il modernismo; dall'altra parte si vuole decristianizzare la romanità, come avviene con l'umanesimo pagano, con la Rivoluzione Francese e con il neopaganesimo del XX secolo.
L'umanesimo pagano del Rinascimento e della Rivoluzione Francese contrappone alla Roma cristiana il mito della Roma antica, repubblicana o imperiale. D'altra parte il protestantesimo e il modernismo vedono nel legame con la romanità, intesa come la dimensione costantiniana della Chiesa, la causa della sua degenerazione.
Anche l'Italia, sede del Papato, conobbe dopo il 1789 la sua rivoluzione. Nel cosiddetto Risorgimento, la rivoluzione italiana, noi vediamo confluire le due tendenze: la riaffermazione del Cristianesimo senza Roma e quella della Roma senza il Cristianesimo.
La deromanizzazione si esprime come riforma della Chiesa, purificazione dei suoi legami con il dominio temporale. È la posizione di Gioberti, che nel Rinnovamento civile d'Italia fa della soppressione del potere temporale la condizione necessaria per la rigenerazione della Chiesa.
La decristianizzazione di Roma si esprime con autori come Giuseppe Mazzini, che di Roma fa il simbolo del rinnovamento laico dell'umanità. "Per me" scrive nel 1864 "Roma era - ed è tuttavia malgrado le vergogne dell'oggi - il Tempio dell'umanità; da Roma uscirà quando che sia la trasformazione religiosa che darà, per la terza volta, unità morale all'Europa"[46].
Tutto l'ampio ventaglio di forze rivoluzionarie del Rinascimento, dal liberalismo "cattolico" fino alle punte più accese del radicalismo democratico, trova il suo momento catalizzatore nel mito della Roma "rigenerata" e "riformata", perché liberata dal principato civile del Pontefice[47].
"La capitale del mondo pagano e del mondo cattolico" scrive Francesco De Sanctis, uno degli autori più rappresentativi dell'Italia risorgimentale "è ben degna di essere la capitale dello spirito moderno. Roma è dunque per noi non il passato, ma l'avvenire. Noi andremo là per distruggervi il potere temporale e per trasformare il Papato"[48].
Trasformazione del Papato, per gli artefici del Risorgimento, significa la realizzazione di una rivoluzione filosofica e religiosa, analoga a quella protestante, mancata all'Italia, che avrebbe dovuto accompagnaree il processo di unificazione nazionale. P - questo progetto che costituisce il cuore della cosiddetta "Questione Romana".
La fine del potere temporale dei Papi non si riduce al compimento dell'unificazione geopolitica, con Roma capitale italiana, ma si presenta, per gli artefici del Risorgimento, come un evento di natura filosofica e religiosa, chee costituisce il filo conduttore e il simbolico compimento di quell'unificazione nazionale che nel 2011 ci accingiamo a celebrare.
I Patti Lateranensi del 1929 sembrarono cancellare la Questione Romana, ma una nuova "questione romana", esplose all'interno della Chiesa nel corso del Concilio Vaticano II.
"Fino ad oggi" aveva scritto uno dei padri del modernismo, Ernesto Buonaiuti "si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. Ecco il vero e infallibile metodo; ma è difficile. Hic opus, hic Iabor "[49].
Tra i Padri e i teologi conciliaci dell'Europa centrale, convenuti a Roma nel 1962 per "aggiornare la Chiesa", si formò un partito anti-romano che sembrò ispirarsi a queste parole. Nelle aule del Concilio un Vescovo dell'Europa centrale accusava con violenza lo schema "De Ecclesia" preparato dalla Commissione teologica romana secondo la dottrina tradizionale di tre gravi colpe: trionfalismo romano; clericalismo; giuridicismo, riassumendo in questo trittico l'antiromanismo che animava quel partito[50].
Rimando al recente libro di Mons. Gherardini, Concilio Ecumenico II. Un discorso da fare[51] e al libro di Romano Amerio, Iota unum[52], l'approfondimento dì questi temi.
Allo storico appare oggi evidente che l'attacco alla Curia, sferrato nell'aula conciliare e nei mezzi di comunicazione che accompagnarono il Concilio e il post-Concilio, nascondeva in realtà l'attacco al Primato Romano.
La Curia Romana, espressione che designa il complesso di tutti i dicasteri e gli uffici che coadiuvano il Papa per il governo della Chiesa Cattolica[53], è nella sua essenza una porzione dell'antico presbyterium dei Vescovi dì Roma, dì cui rappresenta lo sviluppo omogeneo e autentico. Essa dunque non è solo un organo amministrativo, ma la posizione più elevata della Chiesa[54]. La Curia sono innanzitutto i Cardinali, che sono tali perché appartengono al clero della Chiesa locale dì Roma e che proprio in quanto membri del clero romano eleggono il Papa. Il nuovo eletto, proprio perché Vescovo di Roma, è immediatamente successore di san Pietro nel primato e Vicario di Gesù Cristo. Il Papa è Papa perché è Vescovo dì Roma e come Vescovo di Roma è il Vescovo del clero romano, che lo elegge Papa.
La Curia era sempre stata la longa manus del Papa, il suo strumento operativo. Durante il Concilio Vaticano II il partito antiromano riuscì a porre un cuneo tra la Curia e il Papa, colpendo il governo romano, accusato di trionfalismo e di centralismo, attaccando frontalmente la teologia romana, definita da un teologo francese, poi Cardinale, nel suo diario come "miserabile ecclesiologia ultramontana"[55], smantellando la liturgia romana che di quella teologia era espressione.
Oggi la romanità della Chiesa sta soprattutto nei nostri cuori in cui risuonano le parole che Pio XII rivolgeva il 30 gennaio 1949 alla gioventù studiosa di Roma: "Se mai un giorno (diciamo così per una mera ipotesi) la Roma materiale dovesse crollare, se mai questa stessa Basilica Vaticana, simbolo dell'una, invincibile e vittoriosa Chiesa cattolica, dovesse seppellire sotto le sue rovine i tesori storici, le sacre tombe che essa racchiude, anche allora la Chiesa non sarebbe né abbattuta né screpolata; rimarrebbe sempre vera la promessa di Cristo a Pietro, perdurerebbe sempre il Papato, l'una indistruttibile Chiesa fondata sul Papa in quel momento vivente. Così è. La Roma aeterna, in senso cristiano soprannaturale è superiore alla Roma storica. La sua natura e la sua verità sono indipendenti da questa"[56].

Tragedia e speranza dell'ora presente

L'epoca in cui viviamo ricorda quella che l'Europa conobbe tra il V e l`VIII secolo. Viviamo in un mondo in rovina. L'idolo della modernità, costruito a prezzo di tanto sangue nel Novecento, crolla a pezzi e le macerie culturali e morali ci circondano. Vi è tuttavia una pietra che non può essere divelta, perché costituisce la pietra angolare di un Tempio che sfida il corso dei secoli. Questa pietra sta in Roma, luogo scelto della Divina Provvidenza per ospitare la Sede del principe degli apostoli e dei suoi successori.
Benedetto XVI nel suo celebre discorso di Regensburg, ha parlato del tentativo di "deellenizzazione"[57] della Chiesa. Oggi esiste un analogo tentativo di "deromanizzazione", ovvero di dissoluzione della struttura giuridica del corpo mistico di Cristo. Questo tentativo di deromanizzazione della Chiesa è interno alla Chiesa stessa e al suo interno lo dobbiamo combattere.
In un mondo che proclama la necessità della globalizzazione, ma sprofonda sempre di più nel caos, per l'assenza di una suprema autorità e di un centro ordinatore e unificatore, è proprio la romanità della Chiesa a poter offrire un'ancora di salvezza al mondo.
Nel Pontificato Romano, la Chiesa possiede un centro gravitazionale fin dall'inizio della propria esistenza: un principio visibile e unitario di ordinamento e di guida che si incarna nel Vicario di Cristo, il Papa. Roma non è solo il centro geografico della Cristianità, ma il luogo in cui si custodiscono le verità ultime necessarie alla salvezza dell'uomo e i valori più profondi della civiltà occidentale.
L'autorità della Cattedra romana assicura l'unità, infranta tutte le volte che popoli o individui si sono sottratti a quel governo e a quel magistero; rende possibile la santità, come feconda coerenza della vita dei membri della Chiesa con la fede e la morale che essi professano; realizza l'universalità, nella sua missione unificatrice; e finalmente garantisce l'apostolicità in quella successione che va da san Pietro a Benedetto XVI e nel collegamento di ogni sede vescovile con questa romana[58]
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La Chiesa non è un'unione federativa di comunità cristiane o di conferenze episcopali, professanti dottrine diverse, perfino opposte, sotto la presidenza onorifica del Papa. Ciò che caratterizza la Chiesa non è solo il suo potere di santificare le anime, amministrando i Sacramenti; non è solo il suo potere di guidarle alla verità, attraverso il suo magistero immutabile; ma è anche il potere di governarle, attraverso le sue leggi e le sue istituzioni, sotto l'autorità del Romano Pontefice.
La parola "Roma" evoca soprattutto questa dimensione istituzionale e visibile della Chiesa e il prefisso "romana" non restringe a un tempo e a un luogo storico la vocazione della Chiesa, ma la dilata e la qualifica come portatrice di un messaggio di salvezza soprannaturale che non va disgiunto dal suo governo e dalla sua legge, che ha nel Primato Romano la sua più alta espressione.
Noi oggi non siamo chiamati a difendere solo il Primato Romano, ma la Roma aeterna che lo rende possibile.
Il Primato Romano è stato infallibilmente definito e si difende da sé. Siamo chiamati a difendere il terreno che la Provvidenza ha predisposto attorno alla quercia bimillenaria del primato.
Siamo chiamati a difendere la romanità che è la dimensione giuridica e istituzionale della Chiesa, l'armatura canonica che avvolge e sorregge la sua dottrina. Siamo chiamati a difendere la liturgia romana, che è l'espressione sensibile di questa dottrina, perché la legge della preghiera corrisponde alla legge della fede. Ma soprattutto siamo chiamati a proclamare e a vivere lo "spirito romano", che è la capacità di attingere all'invisibile attraverso il visibile, attraverso quella speciale atmosfera di cui Roma è impregnata, che solo a Roma si respira.
Louis Veuillot lo chiamava "il profumo di Roma"[59]: un profumo naturale e soprannaturale che emana dalle pietre e dalle memorie raccolte in questo lembo sacro di terra in cui la Provvidenza ha posto la Cattedra di Pietro.
Lo spirito romano è il "sensus ecclesiae": la percezione dei mali che aggrediscono la Chiesa, la fedeltà inconcussa a ciò che questa città rappresenta, l'amore e la venerazione, verso tutti i tesori di fede e di tradizione che questa città ci dischiude. Quel sensus ecclesiae, quello spirito romano che ha gonfiato il cuore di tutti i pellegrini che nel corso dei secoli hanno contemplato la Roma felix et nobilis.
La Roma felix, cantata dai Vespri dell'ufficio dei santi Pietro e Paolo, la cui composizione è stata attribuita a una poetessa siciliana, Elpis, che secondo alcuni fu la moglie di Severino Boezio.
La Roma nobilis: la nobile Roma, salutata con commozione, fin dai primi secoli, dai pellegrini che vi giungevano, con le parole di un canto che ci è stato tramandato, come signora del mondo, rosseggiante per il sangue dei martiri, biancheggiante per i candidi gigli delle Vergini.

O Roma nobilis, orbis et domina, 
cunctarum urbium excellentissima, 
roseo martyrum sanguine rubea,
albis et liliis virginum candida: 
salutem dìcìmus tibi per omnia,
te benedicimus, salve, per saecula[60].

Nei giorni inquieti che viviamo, e che ancor più cì aspettano, dobbiamo essere ancora una volta pellegrini dello spirito, che sollevano lo sguardo verso la Roma nobilis et felix, la cui luce non tramonta. Essa appare anche a noi come la città di Sìon vista da Isaia: "Io non dimenticherò te. Ecco io ti ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura mi stanno sempre davanti agli occhi" (Is 49,15-16).
Queste parole sono tradizionalmente applicate anche alla Beatissima Vergine, ma nessuna città più di Roma può dirsi più cara a Maria. Nessuna città, nel corso della storia, ha onorato la Madonna come Roma, nelle sue basiliche, nelle sue chiese, nei suoi monumenti. Noi, ultimi tra i fedeli, vogliamo limitarci a sollevare lo sguardo alle immagini di Maria ancora incastonate in mille edicole, nelle strade e nelle piazze, sulle mura dei palazzi, sulle torri e sui campanili della città.
Quelle Madonne piansero miracolosamente nel 1796, alla vigilia dell'invasione giacobina, quando a Roma fu innalzato "l'albero della libertà", venne proclamata la Repubblica e Papa Pio VI fu deportato.
Quanto più devono piangere quelle immagini, in un momento storico in cui il Papa è isolato e "deportato" non fisicamente, ma moralmente, e la città eterna, un tempo sacra, è occupata da distruttori che operano al suo interno. Allora la città fu spogliata dei suoi tesori materiali: gli ori, gli argenti, i quadri, gli archivi. Oggi è nuda dei suoi tesori spirituali, a cominciare da quelli liturgici.
Volgendo gli occhi a Maria, il nostro sguardo pellegrina nello sguardo di Lei, la Madre della Chiesa, e lì trova la risposta al dramma del nostro tempo, lì trova la forza e la fiducia che ci anima.
Viviamo un'epoca tragica, ma come scriveva Veuillot, attendiamo il castigo, non la morte61. Attendiamo non la morte, ma la vita e questa vita non può venire che da Roma, fonte soprannaturale, centro della inevitabile risurrezione della Chiesa. I germi di questa rinascita si manifestano anche nella liturgia romana che papa Benedetto XVI ha restituito alla Chiesa e a cui non intendiamo rinunciare.
Non è un movimento solo liturgico ma un movimento teologico e spirituale, culturale e morale, quello che oggi ci raccoglie e che nella liturgia romana trova espressione. E un movimento "romano" che deve prendere consapevolezza di sé, assumere la propria responsabilità storica e fare dell'amore bruciante alla Chiesa la ragione della propria esistenza.

AMDG et BVM
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21 Si veda ad esempio: P. HERMANN DIECKMANN s.j., De Ecclesia, Herder, Friburgo, 1925, vol. I, pp. 497-538; MICHAEL SCHMAUS, La Chiesa, tr. it, Marietti, Casale Monferrato, 1963, PP. 472-556; ADRIANO GARUTI, Il mistero della Chiesa. Manuale di ecclesiologia, Edizioni Antonianum, Roma. 2004, PP. 135-157
22 Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 811-812.
23 Catechismo di san Pio X, n. 107.
24 EUGENIO PAGELLI, Discorso del 24 febbraio 1936, in Discorsi ePanegirici, Vita e Pensiero, Milano, 1939, pp. 510, 509-514
25 TACITO, Historiae 2, 32.
26 ORAZIO, Carmina 4,3,13. 
27 TIBULLO, Carmina 2, 5, 29.
28 TITO Livio, Ab urbe condita I, n. 16.
29 DANTE, Divina Commedia, "Purgatorio", 32,102.
30 Lamentabilis", prop. 56, in S.S. SAN Pio X, Pascendi Domini Gregis "Sugli errori del modernismo", con prefazione di Mons. Luigi Negri, introd. Roberto de Mattei, Ed. Cantagalli, Siena, 2007, p. 126.
31 PROSPERO DI AQUITANIA, La vocazione dei popoli, tr. it., Città Nuova, Roma, 1998, p. 144
32 Pio XII, Discorsi e Radiomessaggi, vol. X, Tip. Poliglotta Vaticana, Roma, 1950, p.357
33 SAN LEONE MAGNO, Sermo LXXVII, c. 3-5
34 SAN TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologica, III, q. 35, art. 8 ad 3.
35 SANTA CATERINA DA SIENA, Lettera 196 a Urbano VI, in Le Lettere di S. Caterina da Siena. a cura di Piero Misciatelli, con note di Niccolò Tommaseo. Marzocco. Fiume, 1939, pp. 160-164.
36 SANTA CATERINA DA SIENA, Lettera 347 al conte Alberico da Balbiano, ivi, p. 169 (pp. 165-169).
37 SANTA CATERINA DA SIENA, Lettera 370 a Urbano VI, ivi, p. 272 (pp. 270-273).
38 SAN CLEMENTE ROMANO, Ai Corinti, capp. 5 e 6, in PG, 1, coll 217-221.
39 DENZ-H, nn. 363-365
41 DENZ-H, n. 1307
42 DENZ-H, n. 999.
42 DENZ-H, nn. 3059-3073
43 DENZ-H, nn. 363-365. 
44 DENZ-H, n. 1307
45 DENZ-H, n. 3065.
46 GIUSEPPE MAZZINI, Note autobiografiche, Rizzoli, Milano, 1986, p. 382.
4'7Cfr. VINCENZO GIOBERTI, Rinnovamento civile d'Italia, vol. II, Bologna, 1943, p. 237
48 FRANCESCO DE SANCTIS, II Mezzogiorno e lo Stato unitario, cit. in ALBERTO ACQUARONE, Le forze politiche italiane e il problema di Roma, in Alla ricerca dell'Italia liberale, Guida, Napoli 1972, p. 155
49 ERNESTO BUONAIUTI, Il modernismo cattolico, Guanda, Modena, 1944, p. 128.
50 Così Mons. Emile de Smedt, Vescovo di Bruges. Cfr. Acta Synodalia, 1/4, pp. 356ss.
51, BRUNERO GHERARDINI, Concilio Ecumenico II. Un discorso da fare, Casa Mariana, Frigento, 2009.
52 ROMANO AMERIO, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Fede & Cultura, Verona, 2009.
53 Cfr. NICCOLÒ DEL RE, La Curia Romana. Lineamenti storico giuridici, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1952 
54 Cfr. Abbé VICTOR A. BERTO, Pour la sainte Eglise romaine, Textes et documents, Dominique Martin Morin, Paris, 1976, p. 19.
55 YVES CONGAR, Diario del Concilio, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2005, vol. 11, p. 20.
56 Pio XII, Discorsi e Radiomessaggi, vol. X, Tip. Poliglotta Vaticana, Roma, 1950, pp. 358-359
57 BENEDETTO XVI, Discorso all'Università di Regensburg del 12 settembre 2006.
58 Cfr. P. MARIANO CORDOVANI o.p., "Romanità della Chiesa", in Roma Nobilis, L'idea, la missione, le memorie e il destino di Roma, a cura di Igino Cecchetti, Edas, Roma, 1953, pp. 103-111.
59 Louis VEUILLOT, Il profumo di Roma, tr. it., Edizioni Paoline, Roma, 1966.
60 Roma Nobilis, cit., p. 90. L'inno fu musicato da Liszt e da Perosi (cfr. pp. 1175-1191).
61 Cfr. LOUIS VEUILLOT, Il profumo di Roma, cit., p. 91.
[Fonte: Atti del Convegno Roma 16-18 ottobre 2009, Il Motu proprio "Summorum Pontificum". Un grande dono per tutta la Chiesa, Fede & Cultura 2011, pp.42-58 - Intervento del Prof. Roberto De Mattei (Presidente della Fondazione Lepanto, direttore di "Radici Cristiane", docente di Storia della Chiesa all'Università Europea di Roma)]
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