lunedì 23 settembre 2013

SPERANZA: grande virtù che ... sorregge la fede e la carità. ... La fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco la carità alla quale si sale mediante le altre due.


«Avevo promesso di parlare della speranza ai miei discepoli. La parabola eccola: questo vecchio israelita.

Me lo dà il Padre dei Cieli il soggetto per insegnare a voi tutti la grande virtù che, come le braccia di un giogo, sorregge la fede e la carità.
Dolce giogo. Patibolo dell’umanità come il braccio traverso della croce, trono della salvezza come appoggio del serpente salutare alzato nel deserto. Patibolo dell’umanità. Ponte dell’anima per spiccare il volo nella Luce. Ed è messa in mezzo fra l’indispensabile fede e la perfettissima carità, perché senza la speranza non può esservi fede, e senza speranza muore la carità.


Fede presuppone speranza sicura. 
Come credere di giungere a Dio se non si spera nella sua bontà? Come
sorreggersi nella vita se non si spera in un’eternità? Come poter persistere nella giustizia se non ci anima la speranza che ogni nostra buona azione è da Dio vista e per darci di essa premio? 

Ugualmente, come fare vivere la carità se non c’è speranza in noi? La speranza precede la carità e la prepara. Perché un uomo ha bisogno di sperare per poter amare. I disperati non amano più. 

La scala è questa, fatta di scalini e di ringhiera: La fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco la carità alla quale si sale mediante le altre due. 

L’uomo spera per credere, crede per amare.

Quest’uomo ha saputo sperare. È nato. Un bambino di Israele come tutti gli altri. È cresciuto con gli stessi ammaestramenti degli altri. È divenuto figlio della Legge come tutti gli altri. Si è fatto uomo, sposo, padre, vecchio, sempre sperando nelle promesse fatte ai patriarchi e ripetute dai profeti. 

Nella vecchiaia sono scese le ombre sulle sue pupille ma non nel suo cuore. In esso è rimasta accesa la speranza. Speranza di vedere Iddio. Vedere Iddio nell’altra vita. E, nella speranza di questa vista eterna, una, più intima e cara: “vedere il Messia”. 

E mi ha detto, non sapendo chi era il giovane che gli parlava: “Se abbandonerai la Legge sarai cieco in terra e in Cielo. Non vedrai Dio e non riconoscerai il Messia”. Ha detto da saggio.

Troppi sono ora in Israele che sono ciechi.

Non hanno più speranza perché l’ha uccisa in loro la ribellione alla Legge, che è sempre ribellione, anche se velata da paramenti sacri, se non è accettazione integrale della parola di Dio, dico di Dio, non delle soprastrutture che vi sono state messe dall’uomo e che per essere troppe, e tutte umane, vengono trascurate da quelli stessi che le hanno messe, e fatte macchinalmente, sforzatamente, stancamente, sterilmente, dagli altri.

Non hanno più speranza. Ma irrisione delle verità eterne. Non hanno perciò più fede e più carità. Il divino giogo da Dio dato all’uomo perché se ne facesse ubbidienza e merito, la celeste croce che Dio ha dato all’uomo a scongiuro contro i serpenti del Male perché se ne facesse salute, ha perduto il suo braccio traverso, quello che sorreggeva la fiamma candida e la fiamma rossa: la fede e la carità; e le tenebre sono scese nei cuori.


Il vecchio mi ha detto: “È grande sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto”. È vero. Io ve lo confermo. È peggio della cecità materiale, che ancora può essere guarita per dare ad un giusto la gioia di rivedere il sole, i prati, i frutti della terra, i volti dei figli e nipoti, e soprattutto ciò che era la speranza della sua speranza: “Vedere il Messia del Signore”. 

Io vorrei che fosse viva nell’animo di tutto Israele, e specie in quelli che sono i più istruiti nella Legge. Non basta essere stato nel Tempio o del Tempio, non basta sapere a memoria le parole del Libro. Occorre saperle fare vita della nostra vita mediante le tre virtù divine. Voi ne avete un esempio: dove esse sono vive tutto è facile, anche la sventura. Perché il giogo di Dio è sempre giogo leggero, che preme solo sulla carne ma non abbatte lo spirito.

Andate in pace, voi che restate in questa casa da buoni israeliti. Vai in pace, vecchio padre. Che Dio ti ami ne hai la certezza. Chiudi la tua giusta giornata deponendo la tua saggezza nel cuore dei pargoli del tuo sangue.

Non posso rimanere, ma la mia benedizione resta fra queste mura pingue di grazie come i grappoli di questa vigna».

E Gesù vorrebbe andarsene. Ma deve almeno fermarsi tanto da conoscere questa tribù di tutte le età, e di ricevere quanto gli vogliono dare fino a rendere le sacche da viaggio panciute come otri… Poi può riprendere il cammino per una scorciatoia fra le viti che gli indicano i vignaiuoli, che non lo lasciano altro che alla via maestra, già in vista di un paesello dove Gesù e i suoi potranno sostare per la notte.

Maria Valt., L'Evang. come mi è..., n.255

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