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venerdì 28 ottobre 2022

Sogni di Don Bosco (San Giovanni Bosco)


 

153 - La modestia cristiana. Sulla purezza (1887) MB XVIII, 465 -

 La notte scorsa ho fatto un sogno. 

- Vorrà dire che ha avuto una visione. 

- Chiamala come vuoi, ma queste cose fanno crescere in modo spaventoso la responsabilità di Don Bosco in faccia a Dio. È vero però che Dio è così buono! - Così dicendo, piangeva. 

- Che cosa ha veduto in quel sogno? chiese Don Lemoyne. 

- Ho veduto il modo di avvisare i giovani studenti e il modo di avvisare gli artigiani; i mezzi per conservare la virtù della castità; i danni che toccano a chi viola questa virtù. Stanno bene, e a un tratto muoiono. Ah morire per il vizio! Fu un sogno di una sola idea, ma come splendida e come grande! Io però, adesso non posso fare un lungo discorso, non ho le forze per esprimere questa idea...

AVE MARIA PURISSIMA!

domenica 9 ottobre 2022

Sogno di don Bosco

9 - La pastorella e il gregge. La missione futura (1844)

MB II, 243-245. MO Déc. II, 134-136

“La seconda Domenica di ottobre di quell'anno (1844) doveva partecipare a' miei

giovanetti, che l'Oratorio sarebbe stato trasferito in Valdocco. Ma l'incertezza del luogo, dei mezzi,

delle persone mi lasciavano veramente sopra pensiero. La sera precedente andai a letto col cuore

inquieto. In quella notte feci un nuovo sogno, che pare un'appendice di quello fatto la prima volta

ai Becchi quando aveva circa nove anni. Io giudico bene di esporlo letteralmente.

Sognai di vedermi in mezzo ad una moltitudine di lupi, di capre e capretti, di agnelli,

pecore, montoni, cani ed uccelli. Tutti insieme facevano un rumore, uno schiamazzo, o meglio un

diavolio da incutere spavento ai più coraggiosi. [244]

Io voleva fuggire, quando una Signora, assai ben messa a foggia di pastorella, mi fe' cenno

di seguire ed accompagnare quel gregge strano, mentre Ella precedeva. Andammo vagabondi per

vari siti: facemmo tre stazioni o fermate: ad ogni fermata molti di quegli animali si cangiavano in

agnelli, il cui numero andavasi ognor più ingrossando. Dopo avere molto camminato, mi trovai in

un prato, dove quegli animali saltellavano e mangiavano insieme, senza che gli uni tentassero di

mordere gli altri.

Oppresso dalla stanchezza, voleva sedermi accanto ad una strada vicina, ma la pastorella

mi invitò a continuare il cammino. Fatto ancora breve tratto di via, mi sono trovato in un vasto

cortile con porticato attorno, alla cui estremità eravi una Chiesa. Qui mi accorsi che quattro quinti

di quegli animali erano diventati agnelli. Il loro numero poi divenne grandissimo. In quel momento

sopraggiunsero parecchi pastorelli per custodirli: ma essi fermavansi poco, e tosto partivano.

Allora succedette una meraviglia. Molti agnelli cangiavansi in pastorelli, che aumentandosi,

prendevano cura degli altri. Crescendo i pastorelli in gran numero, si divisero, e andavano altrove

per raccogliere altri strani animali e guidarli in altri ovili.

Io voleva andarmene, perchè mi sembrava tempo di recarmi a celebrare la S. Messa, ma la

pastorella mi invitò a guardare al mezzodì. Guardando, vidi un campo, in cui era stata seminata

meliga, patate, cavoli, barbabietole, lattughe e molti altri erbaggi. - Guarda un'altra volta, mi disse.

E guardai di nuovo, e vidi una stupenda ed alta Chiesa. Un'orchestra, una musica istrumentale e

vocale mi invitavano a cantar messa. Nell'interno di quella Chiesa era una fascia bianca, in cui a

caratteri cubitali stava scritto: HIC DOMUS MEA, INDE GLORIA MEA. Continuando nel sogno,

[245] volli domandare alla pastora dove mi trovassi; che cosa voleva indicare con quel camminare,

colle fermate, con quella casa, Chiesa, e poi altra Chiesa. - Tu comprenderai ogni cosa, mi rispose,

quando cogli occhi tuoi materiali vedrai di fatto quanto ora vedi cogli occhi della mente. - Ma

parendomi di essere svegliato, dissi: - Io vedo chiaro, e vedo cogli occhi materiali; so dove vado

e quello che faccio. - In quel momento suonò la campana dell'Ave Maria nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi, ed io mi svegliai.

 AMDG et DVM

domenica 31 gennaio 2021

Don Bosco sei grande!

 


Pubblicato il 31/01/2021

Festa di San Giovanni Bosco con riferimenti alle Opere minori di Maria Valtorta

 

 Dai Quaderni di Maria Valtorta, 31 gennaio 1944

   Ezechiele cap. X e XI1.    
   
   Dice Gesù
   «Il segno del Tau: croce capitozzata come è giusto sia quella che segna i sudditi, i quali non possono portare baldacchino al loro trono, col nome di re. Figli di Dio ma non "primogeniti del Padre". Solo il Primogenito siede sul suo trono di re. Solo il Cristo, il cui trono terreno fu la Croce, porta in alto alla stessa, sull’asse che s’innalza oltre il capo, la sua gloriosa insegna: "Gesù Cristo, Re dei Giudei"2. I cristiani portano il segno di Cristo umilmente monco nella cima come si conviene a figli di stirpe regale ma non primogeniti del Padre.
   In che consiste il segno del Tau? Dove è apposto? Oh! lasciate la materialità delle forme quando vi immergete nella conoscenza del mio regno che è tutto dello spirito!

   Non sarà un segno materiale quello che vi renderà immuni dal verdetto compiuto dagli angeli. Esso sarà scritto, con caratteri invisibili ad occhio umano ma ben visibili ai miei angelici ministri, sui vostri spiriti, e saranno le vostre opere, ossia voi stessi, che avrete durante la vita inciso quel segno che vi fa degni d’esser salvati alla Vita. Età, posizione sociale, tutto sarà un nulla all’occhio dei miei angeli. Unico valore quel segno. Esso uguaglierà i re ai mendicanti, le donne agli uomini, i sacerdoti ai guerrieri. Ognuno lo porterà uguale, se nella rispettiva forma di vita avrà ugualmente servito Dio e ubbidito alla Legge, e uguale sarà il premio: vedere e godere Iddio eternamente, per tutti coloro che si presentano a Me con quel fulgido segno nel loro spirito.
   Il solo esser tanto convinti della necessità, del dovere di dare a Dio ogni gloria e ogni ubbidienza, vi incide nell’anima quel segno santo che vi fa miei e che vi comunica una somiglianza soave con Me Salvatore, per cui voi, come io, vi affliggete dei peccati degli uomini e per l’offesa che recano al Signore e per la morte spirituale che portano ai fratelli. La carità si accende, e dove è carità è salvezza.
   Ezechiele dice d’aver udito il Signore ordinare all’uomo vestito di lino di prendere i carboni accesi che stavano fra i cherubini e di gettarli sulla città a punire i colpevoli, cominciando da quelli del santuario, perché l’occhio del Signore era stanco di vedere le opere dell’uomo, il quale crede di poter fare il male impunemente perché Dio glie lo lascia fare e si illude che Dio non veda altro che l’ipocrito aspetto esteriore.
   No. Con la potenza sua infinita Dio vi legge nel fondo dei cuori, o voi, ministri del santuario, o voi, potenti della terra, o voi, coniugi che peccate, o voi, figli che contravvenite al quarto comandamento, o voi, professionisti che mentite, o voi, venditori che rubate, o voi tutti che disubbidite ai miei dieci comandamenti3. Inutile ogni velame. Come i vostri raggi X, di cui andate tanto fieri, molto più ancora, l’occhio di Dio vi fruga, vi penetra, vi trapassa, vi legge, vi sviscera per quello che realmente siete. Ricordatevelo.
   Non è un’azione simbolica quella del fuoco preso fra i cherubini per punire.
   In che mancate, mancando? Alla carità. Già ve l’ho spiegato parlando del Purgatorio e dell’inferno4, di questi due veri che voi credete fole. Carità, verso Dio, i primi tre comandamenti. Carità verso il prossimo, gli altri sette.
   Oh! molte volte mi sentirete ritornare su questo argomento. Meglio se non ve ne fosse tanto bisogno! Vorrebbe dire che migliorate. Ma non migliorate. Precipitate, anzi, con velocità  di meteorite, verso l’anticarità. 
   Le vostre azioni, anzi le vostre "maleazioni" verso la Carità pullulano sempre più numerose come fungaia nata sulla corruzione di un terreno. Io osservo questo germinare sempre più vasto e forte, questo prosperare di maleazioni sulle maleazioni già esistenti, come se da strato di putredine sorgesse altro strato sempre più venefico, e così via. È l’atmosfera di peccato e delitto, è il terreno di peccato e delitto, è lo strato di peccato e delitto in cui vivete, su cui vi posate, da cui sorgete, quello che alimenta della sua corruzione il nuovo più corrotto e sanguinario strato, terreno, atmosfera. È un moto perpetuo, è un caos rotante di male, simile a quello di certi microbi patogeni, i quali continuano a riprodursi senza soste e con sempre maggiore virulenza in un sangue inquinato.



   Ora è giusto che siate puniti delle colpe contro la Carità col fuoco della Carità che avete respinta. Era Amore. Ora è Punizione. Non si spregia il dono di Dio. Voi l’avete spregiato. Il dono si muta in castigo. Dio vi ritira la Carità e vi lascia nella vostra anticarità. Dio vi getta, come saette, la Carità che avete sprezzata e vi punisce. Per chiamarvi ancora, se non in molti, ancora quelli che sono suscettibili a resipiscenza e a meditazione.
   I cherubini, ossia il simbolo della Carità soprannaturale, custodiscono5 fra loro le braci della Carità. L’azione, che sembra unicamente simbolica, cela una verità reale.
   Quando sarete evocati al grande Giudizio, coloro che vissero nella Carità non appariranno arsi dal fuoco punitivo. Già ardenti di loro, per il santo amore che li colmò, essi non avranno conosciuto il morso delle accese punizioni divine, ma solo il bacio divino che li farà più belli. Mentre coloro che furono carne, unicamente carne, porteranno sulla carne le cicatrici delle folgori divine, poiché la carne, essa sola, può esser segnata da tale cicatrice, non lo spirito che è fuoco vivente nel Fuoco del Signore.
   A questo Giudizio, ai lati del Giudice che io sono, saranno i miei quattro Evangelisti. Consumarono se stessi per portare la legge della Carità nei cuori, e oltre la morte continuarono la loro opera coi loro Vangeli, dai quali il mondo ha vita poiché conoscere il Cristo è avere in sé la Vita. Giusto dunque che Giovanni, Luca, Matteo e Marco siano meco quando sarete giudicati per avere o non avere vissuto il Vangelo6. Io non sono un Dio geloso e avaro. Vi chiamo a condividere la mia gloria. Non dovrei dunque, a questi miei servi fedeli che vi divulgarono la mia Parola e la sottoscrissero col loro sangue e colle loro pene, dare la compartecipazione alla gloria del Giudizio?
   Non nella vita, ma per la vita che avrete vissuta vi giudicherò "ai confini" di essa, ossia là dove la vita cesserà per mutarsi in eternità. Vi giudicherò tutti, dal primo all’ultimo, definitivamente, per quello che avrete fatto o non fatto di bene e, tu l’hai visto7, nel risorgere sarete tutti uguali, povere ossa slegate, povero fumo che si ricondensa in carne, e delle quali cose siete tanto superbi ora, quasi che quelle ossa e quella carne fossero tal cosa da essere superiori a Dio.
   Nulla siete come materia. Nulla. Solo il mio spirito infuso in voi vi fa qualcosa, e solo conservando in voi il mio spirito, divenuto in voi anima, meritate di esser rivestiti di quella luce imperitura che sarà veste alla vostra carne, fatta incorruttibile per l’eternità.
   Vi giudicherò, e già fra voi, in voi, vi giudicherete, anche prima del mio apparire, perché allora vi vedrete. Morta la Terra della quale siete tanto avidi, e con essa tutti i sapori della Terra, uscirete dall’ebrietà di cui vi saziate e vedrete.
   Oh! tremendo "vedere" per chi visse unicamente della Terra e delle sue menzogne! Oh! gaudioso "vedere" per chi oltre le voci della Terra "volle" ascoltare le voci del Cielo e rimase ad esse fedele.
   Morti i primi, vivi i secondi, saranno oscurità o luce, a seconda della loro forma di vita, la quale è o con la Legge o contro la Legge per avere sostituito ad essa la legge umana o demoniaca, e andranno nell’abbraccio tremendo dell’Oscurità eterna o a quello beatifico della Luce trina, che arde in attesa di fondervi a Sé, o miei santi, o miei amatori, per tutta l’Eternità.»


[Saltiamo circa l5 pagine del quaderno autografo, che portano l’episodio della Presentazione di Gesù al Tempio (1° febbraio) e il successivo dettato d’insegnamento (2 febbraio), appartenenti al ciclo della Preparazione della grande opera sul Vangelo.]

 

   1 Meglio: Ezechiele da 9, 1 a 11, 21

   2 Matteo 27, 37; Marco 15, 26; Luca 23, 38; Giovanni 19, 19-22.

  

 3 Esodo 20, 1- 17; Deuteronomio 5, 1-22.

  

 4 Nel dettato del 15 gennaio, pag. 47.

  

 5 custodiscono è nostra correzione da costudiscono 


   6 Matteo 25, 31-46.

   7 Nella visione del 29 gennaio, pag. 79. 


IL GRISO: il cane di Don Bosco

Il 31 Gennaio secondo il calendario si festeggia San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, che nacque il 16 agosto 1815 in una modesta cascina, dove ora sorge il Tempio di Don Bosco, nella frazione collinare I Becchi di Castelnuovo d’Asti
Figlio dei contadini Francesco Bosco e Margherita Occhiena , che seguira’ Giovanni Bosco per tutta la sua vita… Giovanni Bosco per la tutta la sua vita ebbe a fianco “il miglior amico dell’uomo”, IL CANE e in svariate occasioni i vari cani che si avvicendarono nel suo cammino gli salvarono la vita!
Quando era ancora studente a Chieri strinse una vera amicizia con il cane di suo fratello Giuseppe, un bracco, solitamente cani per la caccia.
Giovanni invece gli insegnò a prendere al volo pezzi di pane… e a mangiarli solo quando aveva il permesso di farlo.
Lo addestrò a salire e scendere dalla scala del fienile, a fare salti. “Bracco” lo seguiva ovunque e, quando Giovanni lo portò in regalo ad alcuni parenti di Moncucco, l’animale, in preda alla nostalgia, tornò da solo a casa, alla ricerca del suo amico.
Nella vita di don Bosco un grande ruolo lo ha il cane grigio, èl Gris’, (per dirla alla piemontese.)
Questo cane misterioso diventò protagonista di racconti fantasiosi quasi leggendari e lo stesso don Bosco nel tempo si prese la briga di chiarire raccontando “la pura verità” alla fine delle sue “Memorie dell’Oratorio”.
Di seguito, la narrazione che don Bosco fece ai suoi discepoli:

‘Il Grigio fu argomento di molte conversazioni e ipotesi varie. Molti di voi lo ha visto ed anche accarezzato. Lasciando da parte le storie straordi­narie che di lui si raccontano, vi espor­rò la pura verità.
A causa dei frequenti attentati di cui io ero bersaglio, fui consigliato di non andare in giro da solo quando an­davo in città o tornavo indietro.
In un pomeriggio buio, tornavo a casa, con una certa paura, quando vi­di al mio fianco un enorme cane, che a prima vista mi impaurì; siccome però mi faceva festa come se io fossi il suo padrone, avemmo da subito una buo­na relazione, e lui mi accompagnò fino all’Oratorio.
Ciò che accadde in quel pomerig­gio si ripeté molte volte, di modo che io posso ben dire che il Grigio mi pre­stò importanti servizi. Ve ne racconto alcuni.
Alla fine di novembre del 1854, in un pomeriggio scuro e piovoso, torna­vo dalla città, per la via della Donsolata. Ad un certo punto, capii che due uomini camminavano a poca distanza davanti a me. Acceleravano o diminui­vano il passo ogni volta che io accele­ravo o diminuivo il mio.
Quando, per non incontrarmi con loro, ho tentato di passare dal lato op­posto, essi con grande abilità si collo­carono davanti a me. Volli girare sui miei passi, ma non ci fu tempo: facen­do due salti indietro, mi gettarono un mantello sulla testa. Uno di loro riu­scì a imbavagliarmi con un fazzoletto. Volevo gridare, ma non lo potevo fa­re.
In questo preciso momento appar­ve il Grigio. Ringhiando come un or­so, si lanciò con le zampe contro il viso di uno, con la bocca spalancata contro l’altro, in maniera che conveniva loro di più avvolgere il cane che me.
– Chiama il cane! Gridavano spa­ventati.
– Lo chiamo sì, ma lasciate i pas­santi in pace.
– Chiamalo subito!
Il Grigio continuava a ringhiare co­me un orso inferocito. Essi ripersero il loro cammino, ed il Grigio, sempre al mio lato, mi accompagnò. Feci ritorno all’Oratorio ben scortato da lui.
Nelle notti in cui nessuno mi accom­pagnava, non appena passavo le ultime case vedevo spuntare il Grigio da qual­che lato della strada. Molte volte i gio­vani dell’Oratorio lo videro entrare nel cortile.
Alcuni volevano batterlo, altri tirargli pietre.
– Non lo molestate, è il cane di Don Bosco – disse loro Giuseppe Bozzetti.
Allora tutti si misero ad accarezzarlo e a seguirlo fino al refettorio, dove io stavo cenando con alcuni chierici e padri e con mia madre. Davanti a tan­to inaspettata visita, rimasero tutti in­timoriti.
– Non abbiate paura, è il mio Gri­gio, lasciate che venga – dissi io. Facendo un gran giro intorno al ta­volo, venne accanto a me, facendomi festa. Anch’io lo accarezzai e gli of­frii zuppa, pane e carne, ma lui rifiutò. Anzi: neppure annusò il cibo. Continuando allora a dare segnali di soddisfazione, appoggiò la testa sul­le mia ginocchia, come se volesse par­larmi o darmi la buona notte; in segui­to, con grande entusiasmo ed allegria, i bambini lo accompagnarono fuori. Mi ricordo che quella notte ero torna­to tardi a casa ed un amico mi aveva dato un passaggio nella sua vettura.
L’ultima volta che vidi il Grigio fu nel 1866, quando andavo da Murial­do a Moncucco, a casa di Luigi Moglia, un mio amico. Il parroco di Buttigliera volle accompagnarmi per un tratto di strada, e ciò fece sì che la notte mi sor­prese nel mezzo della strada.
– Oh! Se avessi qui il mio Grigio, che buona cosa sarebbe! – pensai.
In quel momento il Grigio giunse correndo nella mia direzione, con grandi manifestazioni di allegria, e mi accompagnò per il tratto di strada che ancora dovevo percorrere, circa tre chi­lometri. Giunto a casa dell’amico, con­versai con tutta la famiglia e andammo a cenare, rimanendo il mio compagno a riposare in un angolo della sala. Ter­minato il pasto, l’amico disse: – Andiamo a dar da mangiare al tuo cane.
E prendendo un po’ di cibo, lo portò al cane, ma non riuscì a trovarlo, mal­grado avesse guardato bene in tutti gli angoli della sala e della casa. Tutti ri­manemmo stupiti perché nessuna por­ta, nessuna finestra era aperta, ed i ca­ni della casa non avevano dato nessun allarme. Cercarono il Grigio nelle ca­mere di sopra, ma nessuno lo trovò.
Fu questa l’ultima notizia che ebbi del Grigio. Mai più seppe del suo pa­drone. So solo che questo animale fu per me una vera provvidenza nei molti pericoli in cui mi vidi coinvolto.
«Questo cane è una creatura degna di nota nella mia vita! Affermare che sia un angelo farebbe sorridere, ma non si può nemmeno dire che sia un cane comune”
Furono le parole di San Giovanni Bosco a proposito di questo suo straordinario Amico!


DON BOSCO... A LA SPEZIA E UN 'CANE GRIGIO' (1959)

Don Tiburzio Lupo, ormai prossimo a compiere i cento anni di età, ci regala questo ricordo di quando, Direttore nella Casa salesiana di Livorno, fu testimone della curiosa vicenda del misterioso cane "Grigio".
L'urna di Don Bosco al ritorno da Roma sostò a La Spezia un giorno, il 12 maggio 1959 dalle ore 6,30 alle ore 15.
Un cane "grigio"!
Per una più chiara comprensione del fatto mi rifaccio agli avvenimenti precedenti.
L'urna contenente il corpo di Don Bosco, sistemata su un furgone speciale concesso dalla Fiat, doveva viaggiare verso Roma e da Roma verso Torino in perfetto incognito. Anche le soste obbligate, dato il lungo percorso, tenute segrete!
Io, peraltro, ero fermamente deciso di fare fermare Don Bosco a La Spezia!
Dovevo lavorarmi Don Giraudi. L'occasione propizia mi venne direttamente da Don Giraudi stesso. Ebbi da lui l'incarico di preparare un pranzo all'albergo del Passo del Bracco per tutti i Confratelli che con lui e con Don Giovannini accompagnavano - come guardia del corpo - l'urna contenente Don Bosco verso Roma.
Feci del mio meglio. Non feci mancare dell'ottimo "cinque terre".
Inter pocula, dopo molte insistenze, Don Giraudi cedette alla mia richiesta!
"Gli avrei dovuto scrivere a Roma. Mi avrebbe precisato il giorno e le modalità da seguire. Fu di parola come sempre... Le modalità erano queste; a) Don Bosco, proveniente da Livorno, sarebbe giunto a La Spezia verso le 5,30 del 12 maggio, in forma segretissima; b) Si sarebbe concesso ai Confratelli e giovani convittori di vedere Don Bosco; c) Si sarebbe ripartiti nella stessa mattinata per Sampierdarena, ultima tappa, prima del rientro a Torino.
Noi si era contenti anche così!
Il giorno 12 maggio io (direttore) e alcuni confratelli ci alziamo per tempo, ci portiamo in viale Garibaldi di fronte alla chiesa Madonna della Neve in attesa del sospirato arrivo di Don Bosco!
A questo punto comincia la storia del "cane grigio"! Due confratelli, impazienti di attendere, si portano sull'incrocio della via Aurelia con la strada di Portovenere per ispezionare l'arrivo.
Un cane, mezzo lupo "grigio" di pelame, si avvicina a loro, vi gironzola attorno. Cercano di cacciarlo via, anche con qualche sasso. Il cane infila viale Garibaldi e si ferma ove mi trovo io, Don Oliva e una buona mamma con un bambino per mano comparsa essa pure per vedere Don Bosco. Come questa avesse saputo che l'urna di Don Bosco si sarebbe fermata a La Spezia, non lo so.
Il cane si avvicina a Don Oliva che lo accarezza. Si accoccola accanto a lui! Don Oliva è seduto su una panchina del viale. Il cane pone la testa sulle sue ginocchia, dimostrandosi assai soddisfatto dei complimenti.
Il furgone con tutto l'accompagnamento giunge con un'ora di ritardo... alle ore 6,30.
Don Giraudi, al mio insistente invito, accetta di fare scendere l'urna e trasportarla in chiesa alla venerazione nostra e dei fedeli!
Prevedendo di poter convincere Don Giraudi, avevo già fatto preparare in presbiterio un solido tavolo ottimamente arredato dalle suore, che avrebbe potuto sostenere l'urna.
Dopo tante manovre, guidate e comandate da Don Giraudi in persona, finalmente l'urna contenente Don Bosco, illuminata da calibrati riflettori, è in presbiterio visibile da ogni parte della chiesa tra la gioia e la venerazione nostra e dei pochi presenti, in quel momento, in chiesa.
Quello che sia successo io non lo so, ma quanto sto per esporre è pura, autentica verità.
Non era ancora trascorsa un'ora, da quando l'urna era esposta in presbiterio, e già la chiesa era zeppa di fedeli accorsi a venerare Don Bosco! E andò aumentando via via in misura così strabocchevole che, verso le ore 8, si dovette fare intervenire la forza pubblica, per regolare l'afflusso e tenere l'ordine.
Da notare che già era stata organizzata una assistenza all'urna con i ragazzi più grandicelli della scuola e con i novizi di Pietrasanta, chiamati per telefono a venire a vedere Don Bosco.
È stata una manifestazione di fede, di venerazione e di amore così spontanea, indescrivibile da stupirci e commuoverci profondamente. Ci sentimmo felici e orgogliosi nello stesso tempo di essere figli di Don Bosco!
Durante la Messa di Don Giraudi - ore 7,30 - una signora entra in sacrestia ad avvertire che un cane sta accovacciato sui gradini della balaustra dalla parte dell'urna e impedisce ai fedeli di avvicinarsi ad essa. Tutti vorrebbero toccare l'urna e fare toccare oggetti!
Mando il sacrista a prendere il malaugurato cane.
Dopo alcuni minuti ritorna solo, scusandosi che il cane gli è sfuggito di mano è penetrato in presbiterio ed è andato ad accovacciarsi sotto il tavolo su cui poggia l'urna!
Per non disturbare la funzione, lo si lascia stare, tanto più che i tendaggi che ornano l'urna, lo nascondono alla vista di tutti.
Io avevo altro da fare in quel momento e non feci più caso al cane.
Nessuno reclamò e il cane se ne stette quieto per tutta la durata della Messa sotto il tavolo dell'urna.
Terminata la Messa rientro in sacrestia per ricevere Don Giraudi e condurlo a colazione.
Ecco comparire il cane! Quieto quieto, scodinzolante, come fosse uno del seguito, ci segue verso il refettorio.
Veramente io cerco di cacciarlo via... Don Giraudi interviene dicendo e sorridendo: "lascialo stare... Chissà che non sia il Grigio di Don Bosco!
Si ride e si lascia il cane al nostro seguito.
In refettorio si accovaccia sotto il tavolo tra i piedi di Don Giraudi! Rifiuta ogni cibo... pane burrato, formaggio, salame! Fosse stato un cane randagio, a quell'ora, credo, che un buon boccone l'avrebbe divorato.
Terminata la colazione Don Giraudi si ritira per un po' di riposo.
Io prendo il cane per la pelle del collo e lo trascino in cortile. I giovani che hanno partecipato alla Messa di Don Giraudi e che già si trovano in ricreazione, appena scorgono il cane si fanno attorno ad accarezzarlo. Anche da essi rifiuta i bocconi che gli porgono.
Suonata la campana della scuola, il consigliere, fa condurre il cane in portineria. Qui si accuccia mogio mogio. Il portinaio visto che si rifiuta di muoversi lo lascia tranquillo.
Verso le dieci passa il sig. Basilio (factotum della casa), prende il cane per il collarino e senza tanti complimenti, lo trascina fuori e chiude la porta; il cane non fu più visto!

Che sia stato il "Grigio di Don Bosco"?

Per me, pur non disturbando il Grigio di Don Bosco, tutto il comportamento di questo cane ha qualcosa di fuori dell'ordinario. Non mi è mai accaduto di incontrare un cane che si comportasse a questo modo!
O... era una cane ben idiota, oppure un cane ben straordinario!
Un fatto molto significativo
Don Giraudi è seduto - vigile custode - presso l'urna. Si bea felice di vedere quella fiumana di gente che passa presso l'urna, che si ferma brevemente... mira e rimira il volto di Don Bosco... prega sommessamente... che vuole far toccare qualche oggetto personale all'urna.
Gli uomini sono incanalati nella navata destra di chi entra in chiesa: passano attraverso il presbiterio, sostano presso Don Bosco e, poi, per la sacrestia sfollano nei cortili dell'Istituto e quindi in via Roma. Le donne si accalcano alla balaustra di fronte all'urna.
Verso le 11 faccio un sapralluogo. In sacrestia mi avvicina una giovane signora con un piccino di pochi mesi stretto tra le braccia.
- Reverendo, mi dice, potrei passare in presbiterio e far toccare l'urna al mio piccino?
- Signora, non è possibile. Lo vede!
- Ma... il piccino è cieco!
Mi prende un groppo alla gola. Le lacrime mi velano gli occhi.
- Farò il possibile... Venga con me.
Entro in presbiterio con lei accanto. Don Giraudi mi lancia un'occhiata!... Mi avvicino, gli espongo il caso.
- Allora, falla passare, mi risponde.
La Signora, giunta presso l'urna, tenta di sollevare il bimbo verso Don Bosco. Don Giraudi delicatamente le prende, egli stesso, il bimbo, lo alza fino all'altezza della testa di Don Bosco, ripetutamente fa toccare la testina di lui all'urna di Don Bosco... Sembra S. Giuseppe con il Bambino tra le braccia... Gli scorrono lacrime di sotto gli occhiali! Riconsegna il piccino alla mamma... trasfigurato!
È stato un segnale!
Altre e altre mamme passano in presbiterio per far toccare l'urna ai loro piccoli. Don Giraudi ripete più volte il pietoso e amorevole atto di bontà. L'accompagna con il cuore e la mente imploranti Don Bosco.
Alle tre del pomeriggio si deve prelevare l'urna e riportarla sul furgone. Si fanno intervenire i carabinieri di servizio.
Chiudono il portone centrale della chiesa, fanno sfollare le centinaia di persone presenti in chiesa, dalla sacrestia nei cortili dell'Istituto.
Contemporaneamente altri militi chiudono il cancello in ferro della cancellata che limita la strada dalla gradinata della chiesa... tra le proteste della gente in arrivo per vedere Don Bosco.
Solo verso le 16 si può riportare l'urna sul furgone e partire per Sampierdarena.
Don Bosco sei grande!

D. Tiburzio Lupo sdb (morto centenario (2001) alla Casa Madre di Torino-Valdocco)

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!


AMDG et DVM

domenica 9 febbraio 2020

giovedì 7 dicembre 2017

DON BOSCO


            Vi fu un tempo in cui, gl'imperatori di Costantinopoli mossero una violenta persecuzione contro a' cattolici perchè veneravano le sacre immagini. Tra questi fu Leone Isaurico. Costui per abolirne affatto il culto uccideva ed imprigionava chiunque fosse {55 [247]} denunziato di aver dato segno di venerazione alle immagini od alle reliquie dei Santi e specialmente della Beata Vergine. Per ingannar poi il semplice popolo fece chiamare alcuni vescovi ed abati e a forza di danaro e di promesse li indusse a stabilire che non si dovessero venerare le immagini di Gesù crocifisso, nè della Vergine nè dei Santi.
            Ma in que' tempi viveva il dotto e celebre s. Giovanni Damasceno. Per combattere gli eretici ed anche per dare un antiveleno in mano ai cattolici, Giovanni scrisse tre libri nei quali difendeva il culto delle sante immagini. Gl'Iconoclasti (così chiamavansi quegli eretici perchè sprezzavano le sacre immagini) furono grandemente offesi da tali scritti, perciò l'accusarono di tradimento presso il principe. Essi dicevano che aveva mandate lettere sottoscritte di sua mano per far rompere l'alleanza che esso aveva con principi stranieri, e che co' suoi scritti perturbava la pubblica tranquillità. Il credulo imperatore incominciò a sospettare del {56 [248]} santo, e quantunque fosse innocente, lo condannò al taglio della mano destra.
            Ma questa perfidia ebbe un esito molto più felice di quello che egli non si aspettava, poichè la Madonna SS. volle rimunerare il suo servo dello zelo avuto verso di Lei.
            Come si fece sera s. Giovanni si prostra avanti l'immagine della Madre di Dio, e sospirando pregò gran parte della notte e diceva: O Vergine SS. pel zelo verso Voi e le sante immagini mi fu tagliata la destra, accorrete dunque in mio soccorso e fate che possa continuare a scrivere le vostre lodi e quelle del vostro figliuolo Gesù. Così dicendo si addormentò.
            In sogno vide l' immagine della madre di Dio che lo guardava lietamente e gli diceva: Ecco, la tua mano è guarita. Su adunque levati e scrivi le mie glorie. Svegliatosi trovò effettivamente la mano guarita attaccata al braccio.
            Sparsa la notizia di sì grande miracolo ognuno lodava e glorificava la {57 [249]} B. Vergine che rimunera tanto largamente i suoi divoti che patiscono per la fede. Ma alcuni nemici di Cristo vollero sostenere che la mano non si era tagliala a lui, ma ad un suo servo, e dicevano: non vedete che Giovanni sta in casa sua cantando e sollazzandosi come se si celebrasse un festino da nozze? Fu adunque nuovamente arrestato Giovanni e condotto al principe. Ma qui un nuovo prodigio. Mostrando la destra si vedeva in essa come una linea rilucente che dimostrò verissima l'amputazione.
            Stupito il principe a questo prodigio, gli domandò qual medico gli avesse resa la sanità, e qual medicina avesse adoperata. Egli allora ad alta voce narrò il miracolo. È il mio Dio, dice, medico onnipotente che mi restituì la sanità. Il principe allora si mostrò pentito del male operato, e lo voleva innalzare a grandi dignità. Senonchè il Damasceno avverso alle umane grandezze amò meglio la vita privata, e finchè visse impiegò il suo ingegno a scrivere e a pubblicare la {58 [250]}potenza dell'augusta Madre del Salvatore[7].

            Se Dio spesse volte concede grazie straordinarie a chi promuove le glorie dell'augusta sua Genitrice, non di rado però punisce terribilmente anche nella vita presente coloro che sprezzano Lei o le sue immagini.

            Costantino Copronimo, figliuolo di Leone Isaurico salì al trono paterno al tempo del sommo Pontefice s. Zaccaria (741-75). Costui seguendo le empietà di suo padre proibì di invocare i santi, di onorare le reliquie, e di implorarne l'intercessione. Profanava le chiese, distruggeva i monasteri, perseguitava ed imprigionava i monaci, invocava con notturni sacrifizi l'aiuto degli stessi demonii. Ma il suo odio era specialmente rivolto contro la Santa Vergine. Per confermare quanto diceva era solito di prendere in mano una borsa piena di monete {59 [251]} d'oro, e la mostrava ai circostanti dicendo: Quanto vale questa borsa? Molto, dicevan quelli. Gettatone poi l'oro, nuovamente domandava di qual prezzo fosse la borsa. Rispondendo essi che niente valeva, così tosto ripigliava quell' empio, cosi è della Madre di Dio; per quel tempo, che aveva Cristo in sè, era grandemente da onorarsi, ma dal punto che lo diede in luce niente più differisce dalle altre donne.
            Queste enormi bestemmie meritavano certamente un esemplare castigo che Dio non tardò a mandare all'empio bestemmiatore.
            Costantino Copronimo venne punito con vergognose infermità, con ulceri che si cangiarono in pustole infuocate, che gli facevano mandare alte grida, mentre un' ardentissima febbre lo divorava. Così smaniando e gridando come se fosse arso vivo, mandò l'ultimo respiro.

            Il figlio seguì le pedate del padre. Egli si compiaceva molto delle gemme e dei diamanti e vedendone le {60 [252]} molte e belle corone che l'imperatore Maurizio aveva dedicate alla Madre di Dio ad ornamento della chiesa di santa Sofia in Costantinopoli, le fece prendere e se le pose sul capo e portolle nel proprio palazzo. Ma sull' istante la sua fronte fu coperta da pestiferi carbonchi che di quel medesimo giorno trassero a morte colui che osò sporgere la sacrilega mano contro l'ornamento del vergineo capo di Maria[8].

AVE MARIA PURISSIMA!

mercoledì 8 novembre 2017

Geronimo era nativo dell'Arabia.

Il martire Geronimo


            Negli ultimi mesi del 1853, alcuni artiglieri occupati a demolire un bastione della fortezza detta delle ventiquattr’ore in Algeri, scopersero un sepolcro, ove trovarono delle ossa umane. Lo scheletro conservava la sua forma e la sua posizione; le braccia stavano incrociate dietro le spalle, le gambe riunite, ed una corda che avea servito a legar le mani era aderente al tumulo.
            Si riconobbe ben presto essere quelli gli avanzi preziosi di un martire del sesto secolo, per nome Geronimo, che si sapea giacere sepolto in quel luogo, e le cui spoglie eransi inutilmente ricercate per molti anni addietro. Ecco l'edificante storia di questo martire tramandata fino a noi dai più autentici documenti.
            Geronimo era nativo dell'Arabia. Fu preso ancor fanciullo dagli Spagnuoli padroni in allora della città di Orano in una scorrerìa da essi fatta, in quelle contrade. {83 [471]}
            Un buon sacerdote lo comprò e dopo averlo istruito nella religione cattolica lo battezzò, chiamandolo dal suo nome, Geronimo.
            All'età di nove anni egli fu di nuovo preso dagli Arabi, e, per amore o per forza, ritornò musulmano. Ma la sua mente era sempre occupata dalle memorie della religione cristiana ed all'età di pressochè venticinque anni, vinto dalle attrattive della verità che continuamente l'invitava, fece ritorno ad Orano, abiurò l'islamismo, prese in moglie una donna cristiana e visse varii anni nella pratica della religione cattolica e delle virtù delle quali essa è madre feconda.
            Ma la Provvidenza l'avea scelto per sigillare col proprio sangue la fede che egli avea volonteroso abbracciala e che professava con tale fervore, per cui già il suo nome stava scritto nel catalogo degli eletti.
            Nel mese di maggio 1569 mentre Geronimo stava facendo una corsa sul mare con nove di lui amici, furono sorpresi da pirati arabi e, fattili prigionieri, vennero condotti in Algeri e venduti siccome schiavi. Gli arabi erano in quel tempo padroni di Algeri, ed Alì-Bassà {84 [472]} che ne era il governatore, divenne il padrone di Geronimo.
            Scoprì ben tosto che il suo schiavo era arabo di nascita, e che si era fatto cristiano e cattolico; e tentò tutti i mezzi, adoperando ogni genere di minacce, di castighi e di promesse seducenti per ridurlo ad apostatare dalla fede; ma Geronimo la antepose sempre alla libertà ed alle ricchezze che gli venìano proferte; ed a tutte le seduzioni e minaccie null'altro rispondeva che queste parole: Io sono cristiano.
            Alì-Bassà furioso di questa, da lui così chiamata, ostinazione del suo schiavo, risolvette di prenderne una strepitosa vendetta. Faceva in allora fabbricare una fortezza chiamata al giorno d'oggi il forte delle ventiquattr’oreed andava spesso a visitarne i lavori.
            Un giorno mentre stava osservando i manovali che pestavano della terra in certi grandi cassoni per formarne dei massi di cemento, gli venne in capo un diabolico pensiero.
            Chiama Michele di Navarra, che era il capo muratore, ed additandogli un cassone già preparato, ma non ancora pieno di terra. Michele, gli dice Alì, lascia {85 [473]} questo cassone vuoto fino a domani, giacchè io voglio far del cemento col corpo di questo cane di Orano, il quale ricusa di far ritorno alla religione di Maometto.
            Ciò detto, egli se ne ritornò a Dar-Soulthan, chiamato al giorno d'oggi Djenina, che era in que' tempi il palazzo dei governatori di Algeri.
            Era prossima la sera; Michele dopo di aver preparato il cassone, raduna tutti gli operai e con essi ritorna alla prigione. Corre subito da Geronimo per raccontargli l'occorso ed esortarlo alla rassegnazione.
            Che Dio sia in ogni cosa benedetto! esclama il futuro martire; che questi infedeli non si lusinghino di farmi inorridire al pensiero dell'orribile supplizio che hanno inventato, nè di farmi rinunziare alla vera religione per paura. Quanto chieggo al Signore si è che si degni di usare misericordia all'anima mia, e mi voglia perdonare i miei peccati.
            Quindi Geronimo si andò preparando alla solenne testimonianza della propria credenza che dovea dare il giorno seguente. Eravi nella galera una cappella, e fra gli schiavi si trovava un prete. {86 [474]} Geronimo si confessò, ricevette la santissima comunione, e passò tutta la notte in preghiere.
            II giorno 18 settembre 1569 quattro sbirri di Alì-Bassà, si portarono di buon mattino alla galera cercando Geronimo, il quale avendoli sentiti, uscì dalla cappella ove stava ancora orando.
            - Appena il videro; ebbene! cane, giudeo, traditore, perchè non vuoi tu dunque ritornar musulmano, gli gridarono tutti.
            Il povero schiavo stette in silenzio, e si diede nelle loro mani. Con questa scorta arriva innanzi alla fortezza delle ventiquattro ore, ove già si trovava Alì-Bassà, accompagnato da numerosa comitiva di turchi, di rinnegati e di mori, gente tutta sitibonda di sangue cristiano.
            - Olà! cane, gridò Ali, non vuoi tu ritornare alla religione musulmana?
            - Giammai, rispose Geronimo. Sono cristiano e tale sarò sempre.
            - Ebbene! urlò inasprito il Bassà, vedi tu questo cassone, vi ti fo pestar dentro e sotterrare vivo.
            - Fa ciò che vuoi, rispose pieno di coraggio il martire di Dio, son pronto a tutto e nulla potrà giammai farmi abbandonare {87 [475]} la fede del mio Signor Gesù Cristo.
            Alì-Bassà avvedendosi che nulla valea a smuoverlo da siffatta energica risoluzione, ordinò che gli venissero legati mani e piedi; in tale stato fu preso dai quattro sbirri e gettato nel fondo del cassone.
            Si vide in questa occasione che i più crudeli fra quella masnada feroce erano gli stranieri. Uno spagnnolo chiamato Tamango, che si era reso musulmano prendendo il nome di Diafar, saltò a piè giunti nel cassone sopra Geronimo, afferrò un pestello gridando a tutta gola che gli si apportasse della terra, locchè fu tantosto eseguito. Quest'indegno cominciò a pestare con quanta forza avea sopra il povero martire, il quale non si lascia sfuggire il più piccolo lamento.
            Altri rinnegati per non esser tenuti meno buoni musulmani di Tamango, presi anch'essi dei pestelli finirono di schiacciare Geronimo sotto gli strati di terra.
            Il cassone era ricolmo di terra, ed il martire rimase per tre secoli nella gloriosa sua tomba. Queste tigri, sazie dalla vista dell'orrido supplizio, ritornarono giulive in Algeri seguitando Alì-Bassà, {88 [476]} il quale andava ripetendo per via: Veramente non mi sarei giammai creduto che questo cristiano subisse la morte con tanto coraggio.»

            Tale è storia della morte del martire Geronimo. Ecco come sanno morire i cristiani: ecco altresì come sanno preferire i supplizi e la morte alla vergogna ed al delitto dell'apostasia, certi che Iddio loro tiene preparati in cielo dei godimenti infiniti ed eterni, in premio delle passeggere avversità da essi sostenute in terra, per amore e gloria del suo santo Nome. {89 [477]}

AMDG et BVM

Incertezza di Lutero e suoi sentimenti intorno alla Chiesa Cattolica - La gerarchia di M.Lutero

Trattenimento IX. 
Incertezza di Lutero e suoi sentimenti intorno alla Chiesa Cattolica. 

 P. La nostra Santa Cattolica Religione, miei cari figli, fa vedere tanto chiaramente i caratteri della sua divinità, che basta esserne istruiti per non poterla più sradicare dal cuore. Dalla storia appare in quali tremende ambascie siansi trovati quei Cattolici, che le voltarono le spalle. Allo stesso Lutero non fu mai dato di acquetare la voce della coscienza, che lo rimproverava d'aver abbandonato la Chiesa per seguire la sua Riforma. 

 F. Ma Lutero non era in buona fede? o per lo {238 [238]} meno non mostravasi persuaso di quello che predicava agli altri? 

P. No certamente. Lutero dopo la sua apostasia calpestò, come vi ho detto, i voti solenni, e non trovando più freno ai suoi vizi, si abbandonò alla ubbriachezza più ributtante, in cui sovente dava in collera così acuta da sembrare un demonio. Autorizzò lo spoglio e il derubamento delle Chiese, pena la morte a chi si opponeva ai suoi perfidi disegni. Eccitò principi e popoli alle guerre fratricide; e nel solo anno 1535, per opera dei forsennati Riformatori, più di cento mila persone furono trucidate; sette città smantellate, moltissime Chiese, e conventi, e castella derubati, demoliti o dati alle fiamme. Questo sangue, scriveva il brutale Lutero dopo un grande eccidio, sono io che l'ho versato per ordine di Dio. Tuttavia ne’ momenti di calma era costretto a proferire spesso verità importanti. Egli per esempio asseriva che il voto era una promessa fatta a Dio, da doversi mantenere inviolabile; e con una tale persuasione aveva fatto i voti di povertà, castità ed obbedienza. Ma questi voti egli violò nel modo più indegno. 

 F. In qual modo Lutero violò questi voti? 

 P. Li violò coll'uscire dal chiostro, abbandonare lo stato religioso, e sposare una monaca, legata pure da voti sacri. {239 [239]} 

 F. Oh scandaloso di un Lutero! dunque tutta la sua scienza e virtù si ridusse a questo di  deporre l'abito da frate per ammogliarsi! Bel dottore per farsi conoscere inviato a riformare la Santa Chiesa di Gesù Cristo!!! 

P. Debbo ancora farvi notare come lo stesso Lutero talvolta dimostrava di credere alle indulgenze, tale altra le rivocava in dubbio, o le negava affatto. Scrisse al Papa che sarebbesi sottomesso alle decisioni di lui, come a Gesù Cristo. Ma quando il Cardinal Gaetano a nome del Papa gli impose di ritrattare i suoi errori, egli si appellò alle università di Alemagna e di Parigi. Quando quelle università, cioè quelle grandi adunanze di dotti teologi, condannarono la sua dottrina come erronea ed eretica, egli si appellò di nuovo al Papa, mandandogli una lunga lettera, in cui, fra le altre cose, diceva, che avrebbe ricevute le decisioni di lui, come se fossero uscite di bocca del medesimo Gesù Cristo. Leone X esaminò e fece esaminare la dottrina di Lutero, e la condannò con una Bolla, cioè con uno scritto, dove erano notati 41 errori in cui era caduto, e gli concedeva sessanta giorni a condannarli; che ove in tale spazio di tempo non si fosse ravveduto sarebbe stato giudicato eretico. Ben lungi dal rientrare in se stesso Lutero abbruciò pubblicamente la Bolla del Papa, e vomitò {240 [240]} contro di lui tutte le esecrazioni di cui è capace un indemoniato. Il misero scriveva che toccava al Papa l'assolverlo o il condannarlo, il dargli la vita o la morte; e poi andava gridando qual forsennato, che bisognava prendere le armi contro del Papa, dei Vescovi, dei Cardinali, e lavarsi le mani nel loro sangue. Condannato così dal sommo Pontefice, Lutero si appellò ad un Concilio; ma invitato ad esso Concilio non vi volle intervenire. Se io qui volessi, o figli, continuare a ricordarvi le innumerevoli scelleratezze di Lutero, le indegne espressioni che adoperava verso le cose più venerande e riferirvi i titoli villani dati ai più illustri personaggi, ed ai più grandi dottori della Chiesa, ve lo dico schiettamente, non la finirei così presto, e mi farebbe stomaco. Egli stesso asseriva d'essere mandato dal diavolo a riformare la Chiesa, e davasi vanto di averlo avuto a suo maestro. Così nel libro che fece: De abroganda Missa privata. Qui egli narra un suo colloquio col demonio ed assicura che ad istigazione di lui lo ebbe scritto. 

 F. Un uomo, che si gloria d'aver avuto il demonio a maestro, è il fondatore della Chiesa Protestante? Ah! noi non sappiamo pensare altro se non che o il cervello gli dava volta, o che era veramente figlio del demonio. Sciagurato Lutero! Se egli visse con tale incertezza, in quale {241 [241]} strette si sarà poi trovato il suo cuore in punto di morte! 

 P. Lutero era vissuto nella più tremenda incertezza, perchè vedeva la verità, e accecato dai vizi e dall'orgoglio seguiva la menzogna. Esso, come già sopra vi ho detto più volte, si appellò ad un Concilio Ecumenico, protestando che si sarebbe sottomesso. Ma ciò egli fece perché era persuaso che un tale Concilio non avrebbe potuto aver luogo. Allora quando poi fu invitato al Concilio Ecumenico radunato in Trento, egli si trovò nel più brutto impaccio che uomo possa immaginare. Non voleva recarsi a Trento perchè non sentivasi lena di sostenere la sua eretica dottrina al cospetto di tanti dottori; ma neppure gli dava l'animo di rifiutar l'invito, perchè con siffatto rifiuto veniva a condannar se stesso alla presenza di tutti i suoi seguaci. Per questi motivi sentissi tutto rimescolare il sangue; e montato in furore grande, ribattendo coi piedi il suolo, e fremendo coi denti, verrò, disse, sì verrò al Concilio e voglio perdere la testa se non so difendere le mie opinioni contro di tutto il mondo: quanto esce di mia bocca, non est ira mei, sed est ira Dei. Ciò ripetuto andò a mangiare e bere coi suoi amici. Ma l'infelice doveva fare un viaggio assai più lungo che quello di Trento. Finita la cena mentre diffondevasi in arroganti {242 [242]} discorsi, fu colto da acutissime doglie interne. Lo si portò immediatamente a letto, ed in poco d'ora l'intensità del male aumentando gli tolse il respiro, e l'anima sua dovette comparire davanti al Giudice supremo per rendere conto sì delle tante malvagità commesse in vita e delle tante anime che per sua colpa si erano perdute, come delle molte altre, le quali ancora sarebbero andate all'eterna perdizione. Tal morte avvenne nel 1546, essendo egli in età d'anni 63. Raccontano che poco prima di spirare facesse aprire la finestra di sua camera, e in rimirando il cielo esclamasse: Oh Cielo quanto sei bello! ma tu non sei più per me! 

 F. Veramente, o padre, una così fatta morte ci riempie di terrore. Del resto poi ci pare che uno il quale pensi e parli in una maniera, e poi operi in un'altra, faccia, come Martin Lutero, chiaramente vedere, che non è punto persuaso di quanto propone agli altri. Ma io desidererei di udire alcune espressioni proferite da questo eresiarca in riguardo al Romano Pontefice; perciocchè io credo, che non sia sempre stato contro di lui infuriato. 

 P. E ben ti apponi: Lutero in mezzo alle sue stranezze, quando parlava colla calma del cuore, diceva che non poteva esservi ragione, la quale potesse dar diritto di rompere l'unione colla Chiesa Romana. 

 F. Scioccone! Se non vi può essere ragione al {243 [243]} mondo per cui si possa rompere l'unione colla Chiesa Romana, perchè tu l'hai rotta? Non v'ebbe mai alcuno che gli abbia fatto tale domanda? 

 P. La domanda gli fu fatta più volte; e appunto per questo, esso meditando il suo nuovo sistema di dottrina, era astretto di esclamare: 
«Dopo aver fatto tacere e vinto tutte le altre considerazioni, io non posso vincere, se non a gran pena, quella che mi si dice essere cosa necessaria di ascoltare la Chiesa. Quante volte la mia coscienza non fu colta da spavento! Quante volte ho detto a me stesso: Ti argomenti forse di essere solo il più saggio di tutti gli uomini? E pretendi che durante una sì lunga serie di anni, tutti gli uomini l'abbiano sbagliata? » Altra volta interrogato se egli credesse divina la sua dottrina, dopo molta riflessione rispondeva: « Io non sono abbastanza ardito da assicurare di aver dato principio a questa nel nome di Dio, nè vorrei su di ciò sostenere il giudizio di Gesù Cristo. » (Vit. Lut., tom. I.) 

 F. Povero Lutero! Se egli, fondatore e predicatore della riforma, non poteva persuadersi che la Chiesa Cattolica non fosse la vera Chiesa; se egli stesso non sentivasi abbastanza ardito di sostenere di aver dato principio alla Riforma a nome di Dio, che cosa mai avrebbero potuto asserire i suoi seguaci? {244 [244]} 

 P. La maggior parte de’ suoi seguaci gli tennero dietro per aver una religione più favorevole alle sregolate passioni; ma sempre colla tremenda incertezza che in lasciando la Chiesa Cattolica eglino lasciavano la vera religione. 
Potrei raccontarvi più fatti, ma starommi contento ad un solo. Fu tra i più dotti discepoli di Lutero, Filippo Melantone, uomo di molta erudizione e, diciamolo ad onor della verità, meno vizioso degli altri Luterani. Affezionatissimo al suo maestro non potè mai risolversi ad abbandonarlo, tuttochè fosse persuaso che la Chiesa Cattolica era migliore della Riforma. Esso morì nella città di Vittemberga nell'anno 1556 in età di anni 61. Gli autori di sua vita narrano come stando egli presso a morire, la madre gli volgesse queste parole: Figlio, io era Cattolica, e tu mi hai fatto mutar di religione; ora che stai per comparire al cospetto di Dio a rendergli conto della tua vita, dimmi, quale religione tu pensi migliore per salvarsi; forse la Cattolica ovvero la Luterana? E Filippo a lei ansiosa rispondesse: Mater, haec plausibilior; illa securior; Madre, la Luterana è più piacevole e soddisfa i sensi, ma la Cattolica è più sicura per conseguire la salute eterna. {245 [245]} 

Trattenimento X. 

La gerarchia di Martin Lutero. 

 P. Dovete ancora ricordarvi, o figliuoli miei, come nella Chiesa Cattolica esista un ordine maraviglioso, mediante il quale i sacri Ministri, eziandio sparsi nelle varie parti del mondo, gli uni dagli altri dipendendo, vanno tutti ad unirsi, come in un centro, ad un capo solo, che è il Romano Pontefice. In questa maniera conservasi la preziosa unità nelle cose di fede, e si forma quell'ordine che appelliamo gerarchia ecclesiastica. Lutero dopo che si ribellò alla Chiesa trovossi in grande impaccio per avere preti. Imperciocchè non essendo egli Vescovo, non poteva conferire le sacre ordinazioni, nè gli veniva fatto di trovare Vescovi, i quali gli volessero consacrare alcun Luterano. Scorgeva impertanto che morto lui e qualche altro frate o prete apostata, più non vi esisterebbero sacerdoti nella sua setta, la quale per questo da se medesima sarebbesi spenta. 

 F. Che fece adunque Lutero? 

 P. Negò il Sacramento dell'Ordine; e per giunta inventò una dottrina la più ridicola e stravagante che mai si possa pensare, secondo la {246 [246]} quale tutti gli uomini del mondo, purchè siano battezzati, sono in grado di esercitare gli uffizi di prete. 

 F. Oh questa è marchiana! uomini, donne, vecchi, fanciulli, dotti ed ignoranti, tutti preti? Sarebbe pur curioso che Battista nostro vignaiuolo, il quale appena sa compitare, saltasse su egli a dir messa, a confessare e far la predica! Deh che pazzo di Lutero! Ma esso fondava almeno queste stravaganze sopra una qualche ragione, o sopra questo o quel testo della Bibbia? 

 P. Lutero non fondava queste sue stravaganze sopra alcuna ragione. In fatto quelli, che hanno un miccino di ragione, asseriscono concordemente che la religione essendo la cosa più importante del mondo, vuole essere amministrata da persone, le quali, messa da parte ogni altra cura e sollecitudine degli affari temporali, si dánno di proposito allo studio di essa in ogni sua parte. Cosiffatte persone sono certamente le più dotte, le più prudenti, e più capaci di spiegarla agli altri. Su che dunque si fondava Lutero? Egli, al paro di tutti gli eretici cercava di fondare i suoi errori sopra la Sacra Scrittura, e pretendeva di fondarsi sulle parole di s. Pietro là dove dice ai fedeli: Voi siete gente santa, sacerdozio reale. S. Pietro, così ragionava Lutero, indirizzava queste parole a tutti i Cristiani, dunque tutti i Cristiani sono sacerdoti. {247 [247]} 

 F. E che rispondere a questo suo modo di ragionare? 
 P. Potrebbesi rispondere e dire egualmente così: S. Pietro rivolgeva le riferite parole a tutti i Cristiani, tutti i Cristiani adunque dovrebbero essere re. Ma in quella guisa che non tutti i cristiani sono re, così non tutti sono Sacerdoti. Dobbiamo perciò notare come san Pietro voleva asserire semplicemente nell'allegato testo, che tutti i fedeli cristiani dopo aver ricevuto il battesimo appartengono alla vera Chiesa, nella quale soltanto si conserva il vero sacerdozio di  Gesù Cristo; o che intese parlare del carattere battesimale, il quale dà a tutti i battezzati la podestà di ricevere le cose sacre, e segnatamente gli altri sacramenti; carattere che si può dir sacerdotale, perchè esso pure è una partecipazione del supremo sacerdozio di Cristo, come osserva l'angelico s. Tommaso. 
Da ultimo appellò Sacerdoti tutti i Cristiani, per questo che tutti sono chiamati, ed anzi obbligati ad offerire a Dio ostie spirituali, come spiega lo stesso s. Pietro, quali sono la preghiera, la mortificazione, il digiuno ed il cuor contrito ed umiliato, che dal Profeta David in senso largo è detto sacrifizio a Dio gradito (Ps. 50). 

 F. Non potrebbe darsi che s. Pietro avesse voluto realmente asserire che tutti i Cristiani possono essere Preti? {248 [248]} 

 P. No sicuramente: imperciocchè noi abbiamo dalla Sacra Scrittura e dalla costante tradizione, che solo i Vescovi possono ordinare preti, e sappiamo che i Vescovi non ordinano a preti tutti i fedeli indistintamente; ma solo quelli scelti tra i più esemplari e che fanno chiaramente conoscere aver la divina vocazione. 

 F. Che cosa dice la Sacra Scrittura a questo riguardo? 

 P. La S. Scrittura ci dimostra questa verità in modo chiarissimo senza paragone. Valga un fatto per tutti. S. Paolo aveva consacrato s. Tito a vescovo di Creta (ora Candia), isola del Mediterraneo, affinchè ordinasse altri preti. Passato qualche tempo lo stesso Apostolo così gli scrisse: Con questo fine io ti ho lasciato in Creta, perchè tu dia compimento a quello che rimane, ed ordini dei preti per la città secondo che ti ho prescritto (Lett.I.c.5.). Dalle quali parole scorgesi ad evidenza avere s. Paolo in nome di Dio dato a Tito la facoltà di ordinare preti, additandogli parimenti le cerimonie da usarsi nella sacra ordinazione, la quale soltanto da lui come Vescovo si poteva conferire. 

 F. Queste parole di s. Paolo furono sempre intese in questo senso dalla Chiesa Cattolica? E non è mai per avventura accaduto che qualche prete non fosse ordinato dai Vescovi? {249 [249]} 

 P. La Chiesa Cattolica ha sempre inteso le parole di s. Paolo nel senso sopra esposto. Nè dal principio del Cristianesimo insino al tempo di Lutero si può nominare un prete (almeno avuto come tale dalla Chiesa), il quale non sia stato ordinato da un Vescovo. 
S. Epifanio nel quarto secolo notava avervi differenza tra Vescovo e prete, perchè non i preti, ma i Vescovi possono fare preti per mezzo della Sacra Ordinazione. 
 Nel quinto secolo s. Girolamo scriveva ad Evagrio che i preti fanno quasi tutto quello che fassi dai Vescovi, eccettuata la Sacra Ordinazione. In un concilio di Alessandria poi furono dichiarate nulle tutte le ordinazioni fatte da un certo Collato, perchè esso non era Vescovo. La quale dottrina della Chiesa Cattolica, appoggiata sopra la S. Scrittura e sopra la pratica della Chiesa non mai interrotta, dovrebbe una buona volta far aprire gli occhi ai Protestanti e persuaderli, come eglino mancano di veri preti; perchè i loro pastori e ministri non essendo ordinati dai Vescovi, ne segue che nessuno di quei loro ministri e pastori assolutamente può nè ricevere, nè conferire le sacre ordinazioni, come nemmeno potrà mai consacrare il corpo di Gesù Cristo, nè dare l'assoluzione de’ peccati. {250 [250]}

Sancte Mìchaël Archàngele
defènde nos in proèlio,
contra nequìtiam et insìdias diàboli, esto præsìdium.
Ìmperet illi Deus, sùpplices deprecàmur.
Tùque, prìnceps milìtiæ cælèstis,
sàtanam aliòsque spìritus malìgnos
qui ad perditiònem animàrum pervagàntur in mundo,
divìna virtùte, in Infèrnum detrùde.
Amen.
AMDG et BVM