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lunedì 2 ottobre 2017

S.BERNADETTE

Santa Bernardetta Soubirous
Carissima cugina…. prega per la
mia salute e molto più per la
mia anima. Avrò sempre abbastanza
salute, ma mai abbastanza amore
per Nostro Signore …..” (1)

La nascita

I primi anni d’infanzia: il silenzio di Bernardetta ……

Bernardetta nasce a Lourdes il 7 gennaio 1844. Anche
l’umile famiglia Soubirous, come la famiglia di Teresa Martin, viene
allietata dalla nascita di 9 figli, di cui però solo quattro
giungono alla maggiore età.
Bernardetta nasce in una famiglia assai povera, in un
mulino, in mezzo al rumore delle mole che macinano il
frumento. A soli dieci mesi viene affidata ad una balia di
Bartrès.

Del periodo dell’infanzia non si hanno notizie particolari
che lascino presagire la meravigliosa “avventura” riservatale
di lì a poco: Bernardetta non è un fenomeno; è una
bambina assolutamente normale, con le espressioni, gli atteggiamenti,
le esigenze di una bambina.

E’ graziosa, dotata di un carattere allegro, che le permetterà
di accattivarsi la simpatia di tutti ed in particolare della
sua nutrice.
La balia ama molto Bernardetta, ma di un affetto tormentato:
la bambina le era stata portata e aveva succhiato
il latte del suo bambino morto appena nato; ciò, se da un
lato le è motivo di consolazione, dall’altro le è anche causa
di sofferenza. Comunque la buona nutrice reclamerà
spesso la bambina presso di sé, anche dopo lo svezzamento
e il ritorno in seno alla famiglia.

Volendo tratteggiare il suo carattere, nei particolari, si
potrebbe asserire, grazie all’aiuto delle testimonianze raccolte,
che Bernardetta si distingue, fin dalla più tenera età,
per la sua docilità, la su mitezza. Rimane in silenzio davanti
ai rimproveri, anche ingiusti, immeritati; tace davanti
alla miseria, alla fame, al freddo. Non si lamenta mai,
neppure quando ne avrebbe ragione o diritto.

“…. Mia moglie…dava loro spesso del pane di miglio. I
piccoli tuttavia non chiedevano mai nulla. Sarebbero piuttosto
morti!” (2).
Alla testimonianza di François Soubirous si aggiunge
quella della balia:
“Non si lagnava mai di niente. Sempre docile, mai una
risposta cattiva….” (3)
Non ci sembra esagerato affermare che Bernardetta nasce
con la sofferenza attaccata alla pelle. Conosce ogni
sorta di prove fisiche e morali.
Sebbene il suo aspetto esteriore lasci supporre una buona
salute, in realtà ha solo sei anni, quando comincia a soffrire
di asma: malattia che l’affliggerà fino alla morte.

Nel 1855, quando Bernardetta ha soltanto undici anni, la
famiglia, che fino allora ha goduto di un relativo benessere,
è costretta, per una serie di circostanze avverse, ad emigrare
ad Arcizac, riducendosi a vivere in una capanna.
Nell’autunno dello stesso anno la fanciulla viene colpita
dal colera (che devastò Lourdes) e si salva per miracolo.
Sono momenti duri, difficilissimi e la salute di Bernardetta
peggiora sensibilmente.
Il nuovo mulino lavora ad intermittenza, per cui papà e
mamma Soubirous devono raggranellare il necessario per
sfamare i figli lavorando a giornata, fuori casa. La piccola
Bernardetta si rende molto presto utile, prendendosi cura
della sorellina e dei fratellini minori.

Louise Soubirous può accettare con tranquillità lavoro
anche fuori dalle mura domestiche perché, sotto la sorveglianza
di Bernardetta – che si sottopone a fatiche superiori
alle sue forze – non accadrà mai nulla di spiacevole in
casa.
Si occupa di Giustino, l’ultimo nato, con la tenerezza di
una mamma; Giovanni, Maria e Tonietta sono vivaci, un
po’ turbolenti, ma all’occorrenza, Bernardetta li sa rimproverare
e farsi ubbidire.

Bernardetta viene educata a questa funzione “moralizzatrice”,
sin dall’infanzia, ed esercita il suo ruolo secondo lo
stile autoritario previsto nelle famiglie matriarcali
dell’epoca.
Il compito assunto nell’ambito familiare assorbe quasi
interamente il suo tempo, così che, in tali condizioni riesce
a frequentare la scuola assai di rado.
“… Non sa né leggere, né scrivere; soltanto nel 1858,
quando avrà compiuto 14 anni potrà frequentare regolarmente
il catechismo e prepararsi alla sua prima Comunione,
che avverrà nell’intervallo fra la penultima e
l’ultima apparizione della Madonna ….” (4).

Il ritorno a Lourdes

Le apparizioni alla grotta di Massabielle ….

Sospinti dalla cattiva fortuna, dalla miseria e dalla necessità
di guadagnare il pane per la famiglia, i Soubirous
decidono di ritornare a Lourdes dove trovano rifugio nella
antica prigione, detta “chachot”, cioè la cella. Una sola
stanza umida e senza luce accoglie tutta la famiglia;
l’unica finestra si affaccia sopra un letamaio. L’indigenza,
la fame, la mancanza del necessario, dell’indispensabile,
costituiscono il terreno, il substrato su cui poggia, formandosi,
il carattere di Bernardetta.
Soffre per la sofferenza dei suoi e la sensibilità eccezionale, di cui è dotata, favorisce una maturazione indiscutibilmente precoce.
Più o meno consapevolmente (la psicoanalisi potrebbe
porre in rilievo l’aspetto cosciente di questo progresso
umano e spirituale, aspetto che non riteniamo opportuno
approfondire, ma solo accennare in questa sede…), Bernardetta
“stacca” il cuore dalle cose di questo mondo, per
aspirare con un anelito impreciso dai contorni ancora non
chiari, a realtà più alte e più pure. Il procedimento del distacco
è assolutamente istintivo, naturale, quasi congenito.

Bernardetta non ne avverte intellettualmente la necessità;
né tanto meno si sottopone a sforzi virtuosistici o disciplinari
per ottenerlo. E’ un distacco che si impone alla sua
natura, pratica, essenziale, e naturalmente contemplativa.
Non sarebbe neppure stata in grado di dare una spiegazione
speculativa, spirituale all’evoluzione della sua personalità.

E’, non dimentichiamolo, una ragazzina del tutto
normale, simile a tante sue coetanee: spontanea, vivace,
ricca di doti comunicative, ma non straordinaria. Devota,
ma non eccezionalmente: recita il Rosario, scandisce le
poche preghiere che conosce, in modo del tutto usuale.
Occorre sfatare le molteplici dicerie che tendono a coprire
l’infanzia di Bernardetta, soprattutto il periodo precedente
alle apparizioni, con il velo della mistica, dell’ascesi spirituale
precoce.

A questa Bernardetta la Madonna appare: alla ragazzina
che non conosce i trattati di spiritualità, che non ha grandi
aspirazioni che quasi ignora le più elementari nozioni religiose;
le appare per un disegno divino meraviglioso, imperscrutabile,
rendendola strumento, portatrice di un messaggio
agli uomini.

Bernardetta vivrà, “esperienzerà” nel suo cuore la felicità
dell’amicizia con la Madonna; ma personalmente dovrà
pagare questa felicità con le beatitudine della non felicità….
Sembra paradossale, anzi lo è!

Sul paradosso, sull’assurdo cresce, ingigantendosi, la sua
figura. Non riteniamo doveroso dilungarci sulle apparizioni.
Il miracolo di Lourdes è ormai una realtà delle più conosciute,
sentite, vissute.
Ne tracciamo qualche accenno, per delineare con contorni
più marcati gli atteggiamenti di Bernardetta, ponendone
in rilievo il significato, le motivazioni.

“…L’11 febbraio 1858, mentre Bernardetta raccoglie
legna sulle rive del Gave per la povera cucina di casa sua,
ha luogo la prima delle diciotto apparizioni, che si susseguiranno
fino al 16 luglio.
La Beata Vergine Maria 'viene a Bernardetta, ne fa la
sua confidente, la sua collaboratrice, lo strumento della
sua materna tenerezza e della misericordiosa onnipotenza
di suo Figlio' (Pio XII).

Il 25 marzo, nel corso della sedicesima apparizione, con
le parole 'Io sono l’Immacolata Concezione', la definizione
dogmatica fatta da Pio IX l’8 dicembre 1854 trova
l’esplicita conferma:
'La Beata Vergine Maria è stata preservata da ogni
macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo
immacolato concepimento' ” (5).

Le apparizioni, considerate ovviamente da un punto di
vista umano, generano fin dall’inizio un susseguirsi di
perplessità e provocano in alcuni ambienti e strati sociali,
delle vere e proprie rivoluzioni.

Da una parte il riserbo e la cautela delle autorità religiose,
in qualche occasione degenerate o eccessive; dall’altra
la tendenziosità delle autorità civili, incredule e sospettose.

Le accuse di raggiro a scopo di lucro, di menzogna, sono
molteplici. Bernardetta viene letteralmente tempestata dalle
indagini, dagli interrogatori che durano ore interminabili.
Si cerca, supponendo la frode, di smontare “la sua meravigliosa
storia”: I mezzi usati non sono dei più ortodossi.

Bernardetta è, però, inattaccabile; non ha un solo momento,
un istante di cedimento, di stanchezza; non ritratta nulla
delle sue confessioni, mai; non disdice, non si lascia afferrare
dal dubbio né manovrare o corrompere dalle adulazioni.
Salda, forte, roccia di fede: una fede arricchita
dall’esperienza viva, sensibile dell’amicizia con la Madonna.

La sua vita durante e immediatamente dopo le apparizioni
non subisce profondi mutamenti; ma continua sui
binari della normalità, della ordinarietà, per quanto e come
le è possibile.
Le apparizioni nel loro contesto costituisco un fenomeno
singolare, indipendentemente dall’elemento religioso del
miracolo. Bernardetta è l’interprete principale di questo
avvenimento eccezionale: non può sfuggire alla popolarità,
tuttavia non si impone, non cerca di trarne profitto o
vantaggio, anzi si prodiga con tutte le forze per rimanere
nell’oscurità del nascondimento.
Frequenta nel contempo la scuola elementare gratuita;
ma nel 1860, alla età di 16 anni, il curato Peyramale decide
di affidarla – per sottrarla alla curiosità della folla che
continua ad affluire alla grotta – alle Suore dell’Ospizio di
Lourdes, dove la giovane rimane ospite fino alla partenza
per Nevers.

L’intento del povero curato non ha purtroppo l’esito
previsto e desiderato: Bernardetta è continuamente coinvolta
in visite, colloqui con autorità ecclesiastiche e civili.
Non mancano i curiosi, soprattutto nella categoria dei
giornalisti, fotografi, scrittori e la giovane si trova costretta
a ripetere innumerevoli volte la sequenza delle apparizioni,
nei dettagli più minuti e particolari.

La malattia, la guarigione miracolosa
Prime testimonianze …. Bernardetta sa ciò che vuole!

In questo periodo la salute è messa a dura prova: sottoposta
ad un “tour de force” opprimente, Bernardetta si
ammala di congestione polmonare, “tra le più maligne”,
sentenzia il medico e la morte sembra imminente. Riceve
per la prima volta l’olio degli infermi.
Le si consiglia di chiedere la grazia della guarigione; ma
preferisce non farlo, ricordandosi che la Madonna le ha
predetto la morte in giovane età.

E guarisce, improvvisamente, inspiegabilmente!
Si attribuisce a questo periodo il primo riferimento alla
sua futura vocazione religiosa, di cui Bernardetta stessa
non ha che la certezza interiore suggeritale dalle parole
della Madonna.

Nel lasso di tempo trascorso a Lourdes dopo l’ultima
apparizione (16 luglio 1858) fino alla partenza per Nevers
(4 luglio 1866), Bernardetta approfondisce il senso della
sua vocazione.
“…. Subito dopo l’apparizione, ella aveva l’idea di essere
suora, voleva essere carmelitana…” (6).

Alla cugina Jeanne rivelerà più tardi la sua predisposizione
per l’ordine contemplativo di San Bernardo.
Abbandona, tuttavia, l’orientamento alla vita contemplativa
per la ragione negativa della salute, alquanto malandata
e nel contempo matura la convinzione di voler essere al
servizio dei poveri e degli ammalati: ecco l’aspetto positivo,
di cui Bernardette prende piena coscienza lavorando
all’ospizio.

La vocazione non è piovuta miracolosamente dal cielo;
Bernardetta non risponde in modo automatico, spersonalizzato,
alla chiamata interiore; ma, diventatane cosciente,
si pone immediatamente in un atteggiamento di ricerca,
disponibile alla volontà di Dio e allo stesso tempo attiva
collaboratrice della sua realizzazione.

Questo aspetto volitivo del carattere di Bernardetta è
messo maggiormente in risalto da una vivacità perspicace
e da un’impulsività peculiare. Lungi da noi l’idea di una
Bernardetta dimessa, inespressiva, apatica, amorfa!
Stupiscono le sue risposte, che calme e misurate quando
parla della Madonna o dalle Apparizioni, diventano aspre
e brusche quando il suo sangue pirenaico si scalda.
Bernardetta sa perfettamente quello che vuole e ha le sue
impuntature. Significativo al proposito l’episodio in casa
del Procuratore Imperiale Dotour.

L’interrogatorio dura da circa due ore, quando alla minaccia
di essere mandata in prigione, la mamma di Bernardetta
non regge più e sta per cadere, colta da malore:
“… La Signora Dotour passò per caso nella sala ove si
svolgeva l’interrogatorio. Con un gesto che senza dubbio
voleva essere una scusa per il marito dimentico delle convenienze,
disse a questa povera donna ed alla fanciulla:

'C’è una sedia, potete prenderla'.

'Siamo rimaste per tre ore in piedi' – racconterà Bernardetta a Suor  Maddalena Bounaix – 'per me era del tutto indifferente, ma non si
può immaginare come ho sofferto per la mia povera mamma!...'.
Dopo tre ore la moglie del procuratore passando ci disse:
'Vi è una sedia potete prenderla'.
La mamma non rispose nulla, ma io che ero cattiva,
risposi: 'No, la si insudicerebbe…'.

Luisa Soubirous finì per sedersi, mentre Bernardetta si
accoccolò 'per terra come gli scalpellini.. ' – sono parole
sue – e naturalmente questo schiaffo ben meritato fece
perdere le staffe al Procuratore Imperiale ….” (7).

La vivacità e la sicurezza con cui Bernardetta si confronta
con il procuratore durante il colloquio (non dimentichiamo
che ha ricevuto grazie straordinarie e che sarà canonizzata
un giorno!) non possono che suscitare piacere!

“… Parecchi anni dopo, il Procuratore Imperiale Dotour,
in un volumetto di memorie dedicato alla propria
famiglia, lascerà un bellissimo ritratto di Bernardetta:

'In Bernardetta Soubirous tutto era semplice e a prima vista
persino ordinario. Sul suo viso nulla che attirasse lo
sguardo. Nessun artificio nei vestiti: una pulizia irreprensibile,
indice del rispetto di se stessa e della dignità
dell’indigenza: ecco tutto … Colpita dall’asma, la povera
fanciulla, sotto gli abiti sgraziati e pesanti destinati a proteggerla,
sembrava respirare ancor più faticosamente.
E’ vero che quando parlava, il suo linguaggio innocente e il
suo accento dolce e convinto le guadagnavano fiducia.
E’ vero pure che quando esprimeva un sentimento nobile od
un pensiero meno comune, si spandeva sul suo volto un
incanto così penetrante che non si poteva fare a meno di
vedervi l’effusione di un’anima candida…'.

Il Signor Dotour, a quanto pare, l’ha studiata bene e in
queste righe, in cui aleggia un vivo senso di compassione,
si sente che egli fu toccato nella sua sensibilità di uomo e
di padre….” (8).

Altre testimonianze:
Bernardetta è uno strumento nelle mani di Dio ….

Un giovane inglese protestante, il Signor Standen, dilettante
di psychical Research, si reca a Lourdes, con alcuni
amici per pura curiosità, unicamente per vedere Bernardetta.
Standen si interessa alla giovane, ma l’avvicina da scettico.
E’ condizionato, legittimamente, dai racconti meravigliosi,
fantastici che gli hanno riferito intorno alla grotta e
alle apparizioni, fino allo stordimento.

Tuttavia, in contrasto col fenomeno esteriore, Standen
deve constatare la calma, serena semplicità di Bernardetta
e la sua limpidezza nell’esporre i fatti: è incapace di finzione.
Alla fine del colloquio trasmette la seguente attestazione:
“… Si trattava di una fanciulla dal viso grazioso, dagli
occhi meditabondi, dal portamento sereno e riflessivo….
La lasciammo con la convinzione di aver parlato con una
simpaticissima ragazza, superiore, sia nel tratto che
nell’educazione, a quanto si sarebbe aspettato dalla sua
posizione sociale….” (9).

L’autore della sua biografia, che ha avuto modo di studiare
il carattere di Bernardetta, i suo comportamenti, a
lungo, alla luce di una analisi obiettiva, scrive:
“Allegra, qualche volta un po’ birichina, amabile sempre…..”
(10).

Giovanni Battista Estrade che avvicina Bernardetta, approfondendone
la conoscenza, nel periodo delle apparizioni,
lascerà nei suoi ricordi questa testimonianza:
“… Durante le ricreazioni nel cortile della scuola, partecipava
ai giochi con una gioia simpatica, ridendo, cantando,
saltellando con le piccole compagne….” (11).

Il Commissario Jacomet dirà, stupito, impressionato dalla
sua calma, vedendola sventare tutte le insidie possibili
nell’intento di coglierla in contraddizione:
“….E’ molto intelligente…” (12).

Ma la definizione più bella e più espressiva del suo carattere
è forse quella data dal giornale “Mémoriale des Pyrénées”
del 16 marzo 1858:
“…. E’ una ragazza molto saggia e sincera, molto pia,
soprattutto molto allegra…” (13).

E’ commovente l’episodio del conte di Bruissard, “peccatore
incallito” come si definisce egli stesso e oltretutto
ateo, miscredente.
Il conte si trova presso Lourdes, a Cauteret, durante le
apparizioni e si reca in via des Petis Fossées, unicamente
per “sorprendere la giovane in flagrante delitto di menzogna”.
La sottopone a svariate domande, alle quali Bernardetta
risponde con la solita schietta semplicità. Infine, spazientito,
le chiede: “Insomma, come sorrideva questa bella
Signora?”.
Ella esclama con l’abituale disinvoltura: “Oh, Signore,
bisognerebbe essere del cielo per rifare quel sorriso!”; ma
poiché lo sconosciuto dichiara di essere ateo e la prega
insistentemente di tentare di rifarlo per lui, che non crede alle
apparizioni, Bernardetta, forse ricordando l’esortazione
della Madonna: “Prega per i peccatori”, conclude: “Cercherò
di rifare per voi il sorriso della Madonna!”.
Si alza, giunge le mani e abbozza un sorriso celestiale,
che l’uomo non ha mai visto su fattezze umane e che lo
sconvolge.
L’incontro con Bernardetta avrebbe determinato una vera
e propria conversione, tanto che, commosso intimamente
dal colloquio, il conte de Bruillard si recherà alla grotta
e ritroverà la strada della fede.
“Da allora – confesserà più avanti – porto nell’intimo
questo ricordo divino. Ho perduto la moglie e due figli,
ma non mi pare di essere solo al mondo. Vivo con il sorriso
della Vergine”. (14).

Anche Bernardetta può essere definita una “piccola anima”,
benché il termine allora non fosse in uso nel significato
particolare.
Non parla espressamente di piccolezza, ma la traduce
concretamente nella sua vita, attraverso l’umiltà e il nascondimento.
Una volta si lascia sfuggire, a proposito di un agnellino
prediletto, di amarlo perché il più piccolo: “Io amo tutto
ciò che è piccolo …..” (15).
Negli anni trascorsi a Lourdes dopo le apparizioni cerca
con grande semplicità di non mettersi in mostra, mai, di
nascondersi per quanto possibile; non nutre ombra di orgoglio
per le grazie spirituali di cui è favorita; è cosciente
di averle ricevute gratuitamente.

Fugge, discreta ed umile, gli eccessi di venerazione che
sorgono intorno a lei, dovuti alla popolarità. Alla inaugurazione
della cripta (che avrebbe dovuto sostenere il futuro
santuario), di fronte all’entusiasmo della folla nei suoi riguardi,
non può trattenersi dall’esclamare:
“Ma sono diventati tutti imbecilli?...” (16).

La sera stessa, la folla si riversa verso l’ospedale dove
Bernardetta alloggia presso le suore e, per accontentare
tutti quelli che desiderano vederla, la Superiora la invita a
passeggiare su e giù per la galleria. Annoiata, forse delusa,
ma sempre amabile, Bernardetta confessa:
“Ma voi mi fate vedere come una bestia rara!....” (17).
Il segreto della sua umiltà, che costituirà uno degli elementi
caratterizzanti la vita religiosa, è la concreta coscienza
di essere “immeritatamente” uno strumento nelle
mani di Dio.

L’ingresso a Nevers
La sua professione: “Vi affido l’incarico della preghiera”

Finalmente, il 7 luglio 1866, entra tra le Suore della Carità
di Nevers. Bernardetta si mostra coraggiosa e risoluta
nel lasciare la famiglia. Avrebbe detto:
“Il poco tempo che dobbiamo trascorrere su questa terra
(tredici anni di vita religiosa) bisogna impiegarlo bene.
Io sono proprio contenta di partire” (18).

E’ fiorita una ricca letteratura di tipo romantico intorno
all’addio a Massabielle. Molti autori ne hanno drammatizzato
la scena, attribuendo a Bernardetta lacrime amare,
singhiozzi, parole disperate…
Al di là della convenzionalità alquanto banale di certe
espressioni, è innegabile che la separazione dalla grotta, da
Lourdes, costituisca per Bernardetta un’esperienza assai
dolorosa, intimamente sofferta.
La testimonianza più vicina e fedele alla realtà è quella
di Basile Casterot, zia di Bernardetta, che trascorre la sera
della vigilia con la nipote e la rivede l’indomani prima della
partenza:
“… Non ero alla grotta quando lei ci andò per l’ultima
volta. So che provò molto dolore a lasciarla; ma si mostrò
coraggiosa…” (19).
Questa testimonianza sembra più attendibile, valutando
la personalità riservata, contenuta e allo stesso tempo forte,
della giovane, il cui carattere si è temprato alla dura
scuola della sofferenza e non ha conosciuto affettazioni o
sdolcinature: è una vera “montanara”, dalla natura ostinata
e ardente.

Con l’ingresso tra le Suore di Nevers inizia il secondo
ciclo della vita di Bernardetta.
Il giorno della Vestizione, 29 luglio 1866, festa di Santa
Marta, dichiarerà esplicitamente:
“Sono venuta qui per nascondermi” (20).

Il gusto per la vita nascosta è un ulteriore aspetto della
sua umiltà. Bernardetta non desidera solo sfuggire agli
sguardi indiscreti, quasi ossessionanti della folla di curiosi
che si andava formando, annidando intorno alla sua storia;
non opera una scelta puramente esteriore di distacco “fisico”
dal mondo; ma agisce in profondità, ricercando la solitudine,
il nascondimento interiori: vivere nascosti in Dio,
per Dio!
Alla comunità riunita, Bernardetta, diventata Suor Maria
Bernarda, terrà un breve resoconto delle apparizioni, riservandosi
di non parlarne o accennarvi mai più.

Poco tempo dopo la vestizione, ai primi di settembre, si
ammala: l’asma si aggrava ed è costretta a mettersi a letto.
Trascorre la maggior parte del noviziato in infermeria e il
25 ottobre riceve per la seconda volta l’olio degli infermi.
In questo periodo assai travagliato si evidenziano gli aspetti
positivi del suo carattere, quali la generosità,
l’altruismo, la pazienza nel sopportare il male fisico, la
rassegnazione.
La preoccupazione sentita, sincera per gli altri, esclude
qualsiasi forma di vittimismo, di ripiegamento e sovrasta
le sue sofferenze: il pensiero degli altri la conduce inseparabilmente
a Dio.

Lo stesso anno si chiude per Bernardetta con una notizia
dolorosa: l’8 dicembre – festa dell’Immacolata – muore la
mamma, Louise Soubirous. Per evitare al suo cuore particolarmente
sensibile un colpo troppo forte e forse fatale, la
si prepara gradatamente alla notizia: all’inizio la si informa
sulla gravità della malattia e solo in seguito, con precauzione,
verrà a sapere della morte (10-11 dicembre).
Chiede la data esatta e trattandosi del giorno dell’Immacolata, dice:
“Tanto meglio, perché è andata in cielo …..” (21).

Il 30 ottobre 1867 Bernardetta fa la sua professione. Subito
dopo, ogni suora, secondo la consuetudine, riceveva
“l’obbedienza” e precisamente l’incarico che la deputava
ad una mansione in una casa della Congregazione. La scena
che segue alla professione di Bernardetta è diventata
celebre. A tutte le neo-professe viene assegnato un compito:
l’unica eccezione è Suor Maria Bernarda.
“Non è buona a nulla….” Sostiene la Superiora Generale.
Il Vescovo, Mons. Forcade, che presiede la cerimonia, le
consegna il libro della Regola, il Rosario, ma nessuna lettera
di obbedienza; la benedice e rafforzando la voce,
spontaneamente, quasi istintivamente: “Vi affido
l’incarico della preghiera….” (22).

Viene tuttavia nominata aiuto-infermiera e successivamente,
nell’autunno del 1871, prima infermiera; carica che
coprirà per due anni.
Assolve il suo compito con autorevolezza, precisione,
fermezza; ma soprattutto ne vengono esaltate le doti umani
di sensibilità, di tatto, di rispetto e pazienza: “il posto corrispondeva
alle tendenze di Bernardetta che amava servire i malati….” (23).

L’inclinazione già ripetutamente sottolineata verso i poveri
e gli ammalati ci permette di penetrare nell’intimo di
Bernardetta, comprendendone la squisita sensibilità del
cuore.
Numerosissime sono le testimonianze che rivelano,
sottolineano il suo carattere particolarmente fine, delicato;
tra le altre vorremmo ricordare una lettera scritta da Bernardetta
nel gennaio 1866 ad una signora amica, con
l’annuncio della morte di una piccola creatura, l’ultima figlia,
la nona di Francesco Soubirous e Louise Casterot:

“Signora, la prego di perdonarmi se ho tardato tanto a
scriverle. Avrà creduto che fosse negligenza da parte mia;
non è nulla di tutto ciò. Saprà certo come la mia mamma
era da qualche giorno sofferente: abbiamo avuto un bambino,
ma non abbiamo avuto il tempo di gioirne a lungo. Il
buon Dio non l’ha creato per la terra.
Abbiamo avuto appena il tempo di dargli l’acqua e se ne
è volato al cielo: povero piccolo angelo! Ma, come lei può
immaginare ciò è stato un grande dolore per la mia povera
mamma….” (24).

Bernardetta, “la buona a nulla”
nella delicata missione di infermiera

Ecco la descrizione di Bernardetta, “la buona a nulla”,
nella delicata funzione di infermiera:
“… Gaia, amabile, simpatica e piena di bontà, abile
quanto premurosa, molto intelligente, capace di trovare la
parola adatta per far accettare un rimedio. Era una gioia,
per le malate, essere curate da Bernardetta…”
“Mi curava con delicatezza infinita – racconta una suora
– sempre allegra, malgrado fosse anche lei sofferente.
Spesso cantava delle canzoni in dialetto pirenaico e rideva
di cuore vedendo che non ne comprendevo nulla…. “ (25).

E ancora:
“.. Dove altre indietreggiavano, Bernardetta dà prova di
coraggio, fino all’eroismo. Una religiosa cieca, colpita da
carcinoma al petto, ha una ferita così orribile che nessuno
osa toccarla. Bernardetta non mostra esitazioni, titubanze:
la medica con grande delicatezza. Un testimone affermerà
che in lei: ' vi era più pietà, più spirito soprannaturale
che non nelle altre suore addette alle ammalate…' ”
(26).

Non sarebbe incaricata di curare le domestiche laiche,
tuttavia, per pura bontà di cuore, quando qualcuna cade
ammalata, sale fino al loro dormitorio. Una giovane di
queste ha testimoniato:
“… Quando la sentivo avvicinarsi mi dicevo “Eccola!”
ed ero felice. Nessun’altra visita valeva la sua. Incominciava
col salutare la statua della Madonna, poi rassettava
il guanciale, mi asciugava il sudore e mi prendeva la mano
con la tenerezza di una mamma….” (27).

La sua attenzione verso le persone sofferenti e ammalate
è carica di compassione; sa ascoltare, consolare. Il suo
comportamento non ha nulla di formalistico, di programmato;
non è un atteggiamento esteriore, ostentato, bensì
frutto di una convinzione interiore profonda e radicata, che
dà alla sua personalità la dimensione umana e allo stesso
tempo soprannaturale della carità.

Un giorno una postulante sente una suora che parla ad
una malata di Dio, della sofferenza e del cielo, con tanta
convinzione e soavità, da esserne profondamente impressionata.
Alla domanda: “Chi è questa suora che sa consolare
così bene?”, le viene risposto: “E’ Suor Maria Bernarda” (28).

Per quanto concerne il suo valore professionale esiste un
certificato insolito. Un medico dell’Ospedale di Salpétrieére,
il dottor Augusto Voisin, avanza l’ipotesi che il
miracolo di Lourdes si basi “sulla fiducia in una fanciulla
allucinata, ricoverata nel Convento delle Orsoline di Nevers”,
(addette al manicomio).
In questa occasione il dottor Saint-Cyr, presidente
dell’Associazione dei medici della Niévre, riceve dal dottor
Damoiseau, presidente dell’Associazione dei medici
dell’Orne, una richiesta di informazioni.
Il 3 settembre 1872, il dotto Roberto Saint-Cyr risponde
al dottor Damoiseau in tal guisa:

“… Caro collega, non potevate indirizzarvi meglio per
avere le informazioni che desiderate sulla giovane ragazza
di Lourdes, oggi Suor Maria Bernarda. Come medico della
Comunità, ho curato per lungo tempo questa giovane suora,
la cui salute molto delicata ci preoccupava non poco.
Oggi è molto migliorata e da ammalata è diventata la mia
infermiera, adempiendo alla perfezione le sue funzioni.
Piccola, di aspetto delicato, ha ventisette anni. Natura calma
e dolce, cura le sue ammalate con molta intelligenza e
senza omettere nessuna prescrizione, cosicché gode di
grande autorità e, per parte mia, di grande fiducia.
Vedete dunque, caro collega, che questa giovane suora è
ben lontana dall’essere alienata. Dirò meglio, la sua natura
calma, semplice e dolce non la dispone proprio per nulla
a questo pericolo.
Sono felice, caro collega, di questa occasione che mi offre
di corrispondere con voi e di esservi utile fornendovi le
informazioni richieste …..” (29).
Messo al corrente delle allusioni calunniose del dottor
Voisin, Mons. Forcate non rimane indifferente e consegna
al direttore del quotidiano Univers una risposta mordente e
sferzante:
“….Come sapete benissimo, un medico della Salpétriére
ha preteso di affermare che Bernardetta Soubirous, in religione
Suor Maria Bernarda si trova rinchiusa come pazza
nel Convento delle Orsoline di Nevers.
Siate così gentile di pubblicare questa lettera, con la
quale ho l’onore di dichiarare:
1° - Suor Maria Bernarda non ha mai messo piede nel
Convento delle Orsoline di Nevers;
2° - E’ vero che risiede a Nevers, ma nella Casa Madre
delle Suore della Carità e dell’Istruzione cristiana, ove è
entrata e resta liberamente come qualsiasi altra suora;
3° - Ben lontano dall’esser matta, è una persona di una
saggezza poco comune e di una calma esemplarissima.
Di più mi permetterò di invitare il suddetto illustre professore
a venire a verificare di persona l’esattezza di questa
triplice affermazione…” (30).

Come infermiera e farmacista, “aveva un profondo senso
delle proprie responsabilità e molti fatti hanno provato che
con il dovere non transigeva”.
“Anche se malata, quando poteva alzarsi, si metteva ben
presto a curare le altre ….” (31).
Potremmo continuare a lungo nell’elenco delle testimonianze
positive che pongono in luce i valori umani di Bernardetta,
specialmente nella sua mansione di infermiera;
ma riteniamo sufficiente quanto accennato al fine che ci
siamo proposti.
Un fatto è certo: non è stato tutto facile per Bernardetta.
Bernardetta nella comunità:
il martirio del cuore …
L’esperienza delle apparizioni con le inevitabili, ovvie
conseguenze che ne sono derivate, non le ha reso, come si
sarebbe tentati di credere, il cammino più piano, meno irto
di difficoltà; anzi, il paradosso trova qui il fondamento:
favorita da Dio, amata teneramente dalla Madonna e ….
ostacolata, trattata freddamente dagli uomini!
Seguiamo Bernardetta nei suoi rapporti, nelle relazioni
interpersonali all’interno della comunità.
La Madre Generale ha deciso col suo Consiglio di trattare
la privilegiata di Lourdes come una qualsiasi altra postulante
ed è fedele, in prima persona, a questa consegna.
La Maestra delle Novizie eccede un po’ troppo
nell’obbedire a queste direttive. “Severità e freddezza sono
due cose ben distinte, soprattutto se in famiglia gli altri
figli sono trattati con palese tenerezza” (32).

“…Il contegno della sua Maestra, Madre Vauzou, divenuta
poi Madre Generale, costituisce una delle più grandi
prove per Bernardetta, abituata al clima sincero ed affettuoso
di casa sua. Per undici anni, per quanto apprezzata
e amata dalle compagne, avrebbe sentito scendere dalle
alte sfere una freddezza immeritata. Né ha mai voluto esprimere
il suo disagio, fatto di stupore e di sofferenza.
Accetta docilmente di essere rimproverata in pubblico e
più sovente di quanto meritasse. 'La Maestr ha ragione –
confida – perché ho molto orgoglio'. La croce, per lei, più
che nell’asprezza del rimprovero passeggero, è in quella
freddezza abituale che non accenna a diminuire” (33).

La Maestra confesserà più tardi:
“… Tutte le volte che avevo qualcosa da dire a Bernardetta,
ero portata a dirglielo con asprezza!...”
E ciò farà dire, ridendo, ad una delle sue compagne:
“Quale fortuna non essere Bernardetta!” (34).
Madre Vauzou giudica Bernardetta maleducata; il Padre
Payard, marista, desidera conoscere le motivazioni di un
tale giudizio (o pregiudizio?) e concretamente le risposte
in cui non si recepisce “quel tono perfettamente misurato e
degno di una santa”; ma non riesce ad ottenere una spiegazione
soddisfacente.
“… Le feci osservare – scrive – che quelle risposte non
avevano nulla di riprovevole, e che, per conto mio, vedevo
solo una differenza di educazione tra lei e la novizia. A
mio avviso, la Madre attribuiva troppa importanza a questioni
puramente formali. Io paragono Bernardetta – continua
– (e pare che sorrida di questa affermazione) a Santa
Giovanna d’Arco e penso che Madre Maria Teresa avrebbe
trovato maleducata anche Santa Giovanna d’Arco…”
(35).

“Quando la simpatia è assente – osserva una religiosa
alquanto perspicace e al corrente della situazione – si è
contenti di vedere più grossi di quanto non siano i difetti
reali e di aggiungerne degli immaginari”.

Un giorno, infatti, Madre Maria Teresa Vauzou affermerà
crudamente e anche crudelmente: “Oh, era una povera
contadina!” (36).

Un’altra delle testimoni meglio informate affermerà: “…
Madre Maria Teresa, il cui occhio così penetrante leggeva
spesso nel cuore delle sue figlie, non scoprì mai le ricchezze
soprannaturali della sua novizia…” (37).

“Se avesse potuto penetrare in quest’anima, sarebbe rimasta
stupita della sua unione intima e costante con Dio,
del suo amore alle sofferenze, dell’abbandono totale al
beneplacito divino, che formavano la vita interiore di Suor
Maria Bernarda… Che tutto ciò sia sfuggito a una persona
così esperta nella direzione delle anime, come era Madre
Maria Teresa, sarebbe per me un mistero se non vi
vedessi l’amore di Dio volto a cesellare la sua piccola
serva…” (38).

Tutto si spiega e si chiarisce nella semplice affermazione
di una compagna:
“.. Per farsi santa la nostra piccola suora non ha dovuto
far altro che lasciarsi formare, prima dalla Madonna, poi
dalla sua Maestra di noviziato, e umiliarsi sino alla fine….”
(39).

Comunque, l’evidente palese incomprensione di cui è
circondata, pur costituendo per Suor Maria Bernarda,
quello che ella stessa definirà “il martirio del cuore”, non
le impedisce di essere ammirevole per umiltà e sottomissione.
Sarebbero svariate e di natura diversa le motivazioni che
hanno indotto i Superiori ed in particolare Madre Maria
Teresa ad un trattamento sostanzialmente ingiusto verso
Bernardetta; ragioni di carattere psicologico, esistenziale,
di estrazione sociale, culturale, di orientamento spirituale,
di impostazione comportamentale e così via. Ovviamente
questa non vuole essere la sede di analisi; tuttavia, è importante
porre in risalto la “risposta” di Bernardetta a queste definitive provocazioni: una risposta serena, equilibrata,
irreprensibile, trasparente.

Bernardetta matura nelle contrarietà, nelle situazioni
umanamente insostenibili, nelle difficoltà apparentemente
insormontabili.
Il Signore si serve di queste deficienze oggettive, reali,
per costruire un nuovo tipo di santità e comunque la sua
santità.
Bernardetta è all’altezza di tutte le umiliazioni e si domina:
“anche se non sempre senza sforzo nella lotta interiore”;
inoltre, occorre aggiungere il riflesso particolare
che in lei il fisico deve aver avuto sul morale. E’ più impressionabile
della maggior parte delle compagne che, non
avendo conosciuto le privazioni dell’indigenza, non essendo
minate dalla tubercolosi, fioriscono di salute. Facilmente
potrebbe cedere all’irritazione.
“.. Bollo dentro di me – confesserà – ma uno non avrebbe
merito se non si dominasse …”.
Allorché la Maestra delle Novizie la rimprovera con parole
secche e brevi, la si vede impallidire, ma non si lamenta
mai e non si abbandona ad illusioni di disappunto o
di malcontento, né con le parole, né con i gesti. Scrive:
“Per amore di Gesù porterò la croce nascosta nel mio
cuore!”.
E ancora:
“Non guardare mai la creatura, ma vedere sempre Dio
in lei…”.

Ad una compagna che la compiange per i trattamenti severi
che è costretta a subire da parte della Maestra, risponde:
“Invece le devo molta riconoscenza per il bene che ha
fatto alla mia anima” (40).
Trouchu, l’autore dal quale abbiamo attinto quasi interamente
le fonti biografiche, lascia una descrizione di
Bernardetta che potrebbe definirsi la sintesi della sua esi57
stenza e della sua vocazione. Ne riportiamo il passo che si
commenta da sé:
“… Così 'il martirio' nascosto di un cuore filiale, che
soffre per una inspiegabile freddezza; le angosce della
prova purificatrice; 'l’interminabile passione' di un povero
corpo, colpito in ogni suo membro; la snervante immobilità
in una infermeria, quando 'avrebbe desiderato andare
e venire, occuparsi attivamente, correre per la casa
come un giorno correva attraverso le montagne', formarono
il prezioso mazzo di pene fisiche e morali che Suor
Maria Bernarda presentò a Dio come eroica offerta in espiazione
dei peccati e per la conversione dei peccatori
…“ (41).
Accanto a Gesù sofferente 
nell’abbandono e nella solitudine del Getzemani …

Di tutte le sofferenze subite troviamo un’eco allusiva
soltanto nei suoi scritti intimi; scorriamo qualcosa di queste
note preziose:

“…. Gesù dolcissimo, è verso di te che salgono i sospiri
del mio cuore…”.
“O Gesù desolato, rifugio delle anime desolate, il tuo
amore mi insegna che è dai tuoi abbandoni che debbo
trarre la forza di cui abbisogno per sopportare i miei…. Ti
scongiuro, o mio Dio, per le tue desolazioni, non tanto di
liberarmi dalle afflizioni, ma di non abbandonarmi nella
afflizione, di insegnarmi a cercarti come l’unica consolazione,
di sostenere la mia fede, di fortificare la mia speranza,
di purificare il mio amore …. Fammi la grazia di
riconoscere in ciò la tua mano e di non voler altro consolatore
all’infuori di te… e voi, Santi del Paradiso, che siete
passati per simile prova, abbiate compassione di quelli
che soffrono e ottenetemi la grazia di essere fedele fino alla
morte!”

Nelle ore, nei momenti di maggiore sconforto, di solitudine,
amara, senza luce, si ispirerà al Salmo 30, la preghiera,
la supplica fiduciosa dell’afflitto:
“Ho sperato in te, Signore: sii il mio rifugio, poiché sei
la mia forza. Nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito.
Tu mi hai redento, Signore, Dio, di verità” (42).
Gesù stesso ha recitato il verso 6 del Salmo, prima di
morire sulla croce. Scrive San Luca che “Gesù, gridando a
gran voce disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio
spirito” (Lc. 23,46).

Crediamo di poter commentare la preghiera di Bernardetta
comprendendo la complessità del suo mondo interiore,
con il seguente brano di Romano Guardini:
“In ogni sera della nostra vita echeggia il mistero della
morte.. Morire non significa soltanto che la vita volge al
termine … La morte, nelle sue profondità, è l’ultima parola
che una persona pronunzia sulla sua vita passata in
modo che il rimorso l’avverta di quanto fu manchevole e
la consumi col suo fervore, e che pel bene fatto essa attribuisca
a Dio, in spirito di gratitudine ed umiltà, l’onore e
tutto abbandoni al Signore con generosità incondizionata…
Ogni sera deve costituire una esercitazione in questa
arte sublime di morire, di dare cioè alla vita la conclusione
reale che assicuri a tutto il passato un valore definitivo
e un volto eterno”.
“L’ora della sera è l’ora del compimento. Stiamo dinanzi
a Dio prevedendo che ci troveremo un giorno dinanzi a
lui faccia a faccia, a rendere l’ultimo conto” (43).
Lo scrittore non avrà certamente pensato in modo specifico
a Bernardetta, ma a tutte le persone che come Bernardetta
hanno vissuto e vivono intimamente il dramma della
morte interiore: dramma di solitudine, esasperata ed esasperante,
di disperazione senza respiro, di abbandono im pietoso,
in attesa di un epilogo luminoso, aperto alla speranza
della redenzione, in una proposta di vita nuova, rigenerata.

E’ vero: ogni nostra giornata terrena ha il sapore della
morte. In una di queste “sere” dello spirito, Bernardetta
trascrive la preghiera di un povero mendicante a Gesù:
“O Gesù, ti prego dammi il pane della fortezza per rompere
la mia volontà e fonderla con la tua; il pane della
mortificazione interiore, il pane del distacco dalle creature,
il pane della pazienza per sopportare le pene che opprimono
il mio cuore. O Gesù, tu mi vuoi crocifissa: fiat!” (44).
      L’amore per la croce trascende ogni altro anelito interiore;
Dio per Bernardetta non è un’astrazione, è la Persona, è
Gesù Cristo; Gesù sofferente nell’orto del Getzemani, Gesù
sulla Croce. Solo Lui dà senso alla vita, alla realtà; solo
il rapporto duale con Lui costruisce, matura. Leggiamo un
passo dei suoi scritti, che esprime in forma limpida e sintetica
il suo costante orientamento spirituale:

      “Croce del mio Salvatore, Croce santa, Croce adorabile…
Tu sei l’altare sul quale voglio sacrificarmi, morendo
per Gesù. Abbandono senza limiti, amore e fedeltà a Gesù
mio Sposo fino alla morte. Il Cuore di Gesù con tutti i suoi
tesori è la mia porzione; io vi vivrò, vi morirò in pace tra le
sofferenze. Gesù mio, metti tanto amore nel mio cuore, così
che si spezzi per venire a te…Tu lo sai, Gesù mio, io ti pongo
come sigillo sul mio cuore; riposati per sempre …..”.
      Nello splendore di questa luce divina, ella definisce se
stessa in questi termini:
“Io ero nulla e di questo nulla Gesù ha fatto una cosa
grande. Sì, perché io sono, in un certo modo, Dio attraverso
la santa Comunione. Gesù mi dona il suo cuore, io
sono dunque cuore a cuore con Gesù, amica di Gesù, cioè
un altro Gesù. Debbo dunque vivere di Gesù”.
Aver portato a queste altezze la misera bambina della
“Gattabuia” è il capolavoro dell’Immacolata! (45).

Nel 1871 tre lutti colpiscono, susseguendosi, la famiglia
di Bernardetta: dapprima una nipotina spirerà tra le braccia
della sorella Tonietta che l’aveva da poco data alla luce;
poi sarà la volta del padre, Francesco Soubirous, che muore
il 4 marzo; infine dopo appena dodici giorni morirà la
buona zia Lucia. Ad una suora che cerca di consolarla, risponde
non nascondendo il suo dolore:
     “… Abbiate sempre una grande devozione al Cuore agonizzante
di Gesù perché è una consolazione, quando
perdete i vostri cari, poter pensare che avete pregato per
loro. Sabato sera, senza saperlo, pregando per gli agonizzanti,
pregavo per mio papà!” (46).

La malattia: “il suo impegno”…

Le sofferenze spirituali si accompagnano, in una spietata
e tragica altalena, a quelle fisiche.
Nell’aprile del 1873 si ammala nuovamente; appena riprende
le forze, scrive alla sorella Tonietta:

“… Una forte emottisi non mi permetteva di fare il minimo
movimento senza che si ripetesse. Comprenderai che
l’essere così inchiodata non si accorda proprio con la mia
natura bollente. Nostro Signore è molto buono. Ho avuto
la fortuna di riceverlo per tutto il tempo della mia malattia
tre volte alla settimana. La Croce diveniva leggera e le
sofferenze dolci quando pensavo che avrei avuto la visita
di Gesù e l’insigne favore di possederlo, Lui che viene a
soffrire con quelli che soffrono, a piangere con quelli che
piangono. Dove trovare un amico come Gesù che sappia
compatire e nello stesso tempo addolcire il dolore?” (47).

Una sorella ricorderà:
“.. Mi piaceva guardarla pregare, perché pregava come
un angelo. Ho capito l’amore che la legava a Nostro Signore,
specialmente quando faceva la Comunione. Il suo
viso impallidiva ed era come trasformata: diventava veramente
celestiale….” (48).

“… Come i ceri della Messa sembrava consumarsi al
servizio degli altri. Più volte, per la stanchezza, cadde
svenuta in Coro. Tornando in sé trovava ancora la forza
di sorridere….” (49).
Finalmente, dopo 6 anni, il dottor Saint-Cyr si rende
conto che l’atmosfera dell’infermeria non conviene ai suoi
bronchi malati; le stesse Suore Consigliere giudicano prudente
affidare definitivamente l’incarico ad un’altra suora.
“.. So che a Bernardetta rincrebbe molto di dover lasciare
l’infermeria dove era molto amata e le sue ammalate
ne sentirono molto la mancanza….”, assicura Suor Eleonora
Cassagnes (50).

Eccola, verso i trent’anni, dipinta minutamente da diverse
contemporanee:
“… Era piccola, graziosa, con mani piccole. Mi parve
giovanissima. Vedo i suoi occhi neri e vivi con una graziosa
espressione vispa. Subito ci si sentiva attirati dal brio
dei suoi occhi, che non si potevano più dimenticare, ma
soprattutto ci si sentiva legati dalla loro profondità, che
era veramente straordinaria! Si aveva l’impressione che
quello sguardo si posasse appena sulla terra, come se fosse
misteriosamente attirato da un non so che di lontano
che la rapiva, che le mancava e ciò metteva nei suoi occhi
e nel suo sorriso un po’ di malinconia che le dava maggior
fascino. Il sorriso era modesto, ma quella modestia
era del tutto naturale; anche se non aveva l’educazione e
la cultura propria della buona società, non per questo era
la piccola contadina rozza che qualcuno potrebbe immaginare…”
(51).

Un tratto del volto umano di Bernardetta è il senso innato
dell’umorismo, unito ad una gaiezza e vivacità, che
conserverà sempre in ogni circostanza, nonostante le molteplici
sofferenze fisiche e morali.
Il senso dell’umorismo diventa uno stile di vita, originale,
non limitato o circoscritto ad episodi sporadici, ma frutto
o meglio conquista di una scelta convinta, profonda e
quindi esteso alla dimensione globale della realtà personale
e comunitaria dell’intera esistenza.

Riferiamo accennando appena qualche episodio significativo
al riguardo; le sue antiche compagne di noviziato
ricordano le allegrissime ricreazioni trascorse con lei: ha il
don di saper rifare il “verso” alle persone e il buon dottor
Robert Saint-Cyr, medico della comunità, ne fa le spese:
“… Quell’ottimo dottore aveva delle piccole manie e
Bernardetta facendone la caricatura, ci divertiva fino alle
lacrime con un umorismo scoppiettante di finezza. Ma la
carità non veniva mai offesa…. Terminata la ricreazione
riprendeva la sua grande serietà…” (52).

Una suora desidererebbe far toccare dalle mani di Bernardetta
la sua corona, per poterla conservare come una
reliquia. Per raggiungere lo scopo le si rivolge nel modo
seguente:
“… Guardi, mia cara sorella, come si arrugginisce…”
e Bernardetta:
“La usi più di frequente e non si arrugginirà..”
E non tocca la corona!

Per la festa di Tutti i Santi, quando giace ormai ammalata
in infermeria, una delle sue antiche compagne, conoscendo
il suo amore per i fiori, le invia delle viole fiorite
tardivamente, con le seguenti parole:
“… Oggi è la sua festa, dal momento che è la festa di
Tutti i Santi!”
Ed ella risponde argutamente con la solita prontezza:
“Se è la mia festa, è anche la sua, perciò gradisca metà
della mia focaccina!” (53)

Una volta una delle novizie, vedendola estrarre la tabacchiera
in ricreazione le dice:
“Suor Maria Bernarda, non sarete canonizzata perché
tabaccate!”
Anche prima delle apparizioni, il medico le aveva ordinato
di fiutare tabacco, perché allora si credeva che giovasse
alla respirazione.
Ed ella ribatte prontamente:
“E voi che non tabaccate, siete sicura di essere canonizzata?”

Un giorno si trova in guardaroba. Una postulante di sedici
anni, rivedendo la propria valigia, si ricorda della
mamma, della famiglia, della casa, del paese e piange, coi
gomiti sul tavolo e la testa fra le mani. Bernardetta si avvicina
senza far rumore e:
“Signorina, ecco una vocazione solida! Non mancherà
di crescere presto e bene dal momento che vedo come siete
intenta ad innaffiarla seriamente. Brava!”
Queste semplici parole hanno maggior effetto di un lungo
discorso.
“… Non ho potuto trattenere il riso. Ridevo piangendo.
Ma le lacrime sono cessate quasi subito, mentre il sorriso
è rimasto…” (54).

Rivolgendosi ad una sorella che sta per partire dalla Casa
Madre le raccomanda:
“Quando saprà che sono morta, preghi tanto per me,
perché ho paura che dicano: Oh! Quella santona non ne
ha bisogno. E mi lasceranno arrostire in purgatorio” (55).

Ottobre 1875: Bernardetta entra nella fase culminante,
ultima della sua esistenza. Questa data segna sostanzialmente
la fine della sua vita attiva. E’ incapace di sostenere
qualsiasi incarico, al di fuori di quello delle sue malattie;
queste sono il “suo impegno”, come afferma lei stessa. Ecco
dunque realizzate le parole profetiche della Madre Generale
Giuseppina Imbert al Vescovo Forcade:
“Monsignore, ella non è buona a nulla ….”

Nella considerazione superficiale, epidermica delle creature,
Bernardetta ora non è più buona a nulla, nel vero senso
del termine. Tuttavia, attraverso le testimonianze e gli
scritti dei contemporanei, scopriamo ben presto come questo
periodo appaia particolarmente fecondo, ricco di esperienze
umane, autentiche, ossigenanti. Inizia per Bernardetta
una nuova missione, che si potrebbe definire la sua
grande missione personale.
Gli incontri al capezzale del suo letto, lasciano nelle sorelle,
nelle novizie dei segni profondi, edificanti.
Il suo atteggiamento, il suo modo di essere, di proporsi
con semplicità, toccano il cuore molto più di ogni discorso.
E’ comprensiva, amabile, accogliente verso tutte le sorelle;
la sua forza affonda le radici soprattutto nel silenzio.

Segue con perseveranza e spontaneamente, non in modo
rigido e formalistico, il consiglio del Fondatore del suo Istituto,
Padre de Laveyne:
“Amate il silenzio…. E praticate l’astuzia di San Gregorio,
di non rompere il silenzio che con parole che valgono
più del silenzio” (56).

In silenzio, senza mai lamentarsi, soffre: soffre con pazienza,
con rassegnazione, col sorriso; eppure sappiamo
quale prova angosciosa, disumana fosse la sua malattia!
La sofferenza fa parte della pesante eredità che la Madonna
le ha lasciato e la serenità con cui è vissuta diventa
per tutti noi un aiuto esemplare; senza dubbio, a lei, dopo
che alla Madonna, gli infermi che si recano a Lourdes, devono
una grazia ben più preziosa della guarigione: imparare
a soffrire e a soffrire bene!

Il 25 giugno 1876 scrive ad una consorella addetta
all’Ospizio di Lourdes:
“Sono sempre nella mia cappella bianca! (il suo letto
circondato dalle tende bianche). Ho perso completamente
l’uso delle gambe e devo subire l’umiliazione di essere
portata a braccia in Chiesa per la Messa festiva. Ma le
nostre care sorelle lo fanno con tanto cuore che di fatto il
sacrificio diventa loro meno penoso. Temo sempre che si
stanchino troppo, e lo dico loro..”.
E qui la sua arguzia, malgrado tante sofferenze, spunta
di nuovo:
“… ma si mettono a ridere, e direi a burlarsi di me. Mi
rispondono che se la sentirebbero di portarne quattro come
me!” (57).

Nel gennaio 1878 viene eletta la nuova Madre Generale,
la quale ritiene e lo esprime anche chiaramente, che il trattamento
severo usato fino allora a Suor Maria Bernarda
non ha più ragione di essere. Conosce intimamente Bernardetta
e segretamente ne ha ammirato l’autentica umiltà:
per il poco tempo che le resta da vivere e da soffrire, Suor
Maria Bernarda respirerà nell’aria qualcosa di più materno
(58).
L’ultima malattia – gli ultimi giorni
gli ultimi istanti:
“Non vi prometto di farvi felice in questo mondo,
ma nell’altro…”

Siamo arrivati all’8 dicembre 1878: ultima Messa in
cappella.
Bernardetta soffre da circa dieci anni, ormai, in conseguenza
di un tumore al ginocchio destro, e della tubercolosi
ossea.
Nell’inverno 1877 un ascesso avanzato aggrava il male.
Ora il tumore ha preso proporzioni enormi, causandole dolori
atroci, inenarrabili:
“Le sue sofferenze erano così vive che il viso della malata
diventava cadaverico; sembrava morta, passava notti
intere senza chiudere occhio e se le accadeva, soccombendo
alla stanchezza, di assopirsi un istante, acuti dolori
la risvegliavano ben presto per martirizzarla senza tregua….”
(59).
Lo spasimo è così forte, simile ad un acuto mal di denti,
è stato scritto, da strapparle un sordo lamento, a metà soffocato:
“Nessun grido, nessuna parola articolata, nessun movimento
di impazienza, ma sempre lo stesso gemito, irregolare,
anelante: il gemito della vittima che soffre il proprio
sacrificio, senza poter trattenere il lamento sotto il coltello
che la scanna; il gemito di una volontà che resta eroica in
una natura che vien meno…” (60).

Avrebbe potuto ripetere ciò che aveva scritto:
“O Maria, Madre dei dolori, io sono la figliola dei vostri
dolori, la figliola del Calvario. O Maria, mia tenera
Madre, ecco la vostra bimba che non ne può più …. Abbiate
pietà di me!” (61).
Le sarebbe sicuramente di sollievo cambiare la posizione
nel letto, ma vi rinuncia perché, non potendo farlo da sola,
non vuole incomodare le infermiere e anche per un’altra
ragione, che confida ad una suora recatasi a farle visita:
“Quando si è a letto, bisogna restare immobili e considerarci
come Nostro Signore sulla Croce…”
Questa fermezza, questa rocciosità non sono sufficienti
ad evitarle dolori intollerabili, in preda ai quali, a volte, si
agita fino allo sfinimento, alla congestione:
“Non fate caso alle mie contorsioni – sospira in un soffio
– non è nulla …”
Sopporta la sofferenza, quando diventa più lancinante,
“per il gran peccatore …” “Ma chi è? – le viene ripetutamente
chiesto – “Oh, la Mamma lo conosce bene!” (62).
Suor Maria Bernarda ha avuto a Lourdes la missione di
vivere, di tradurre invita, gli insegnamenti ricevuti dalle
labbra dell’Immacolata:
“Pregare, fare penitenza, mortificarsi e soffrire per i
peccatori!” (63).

Guardando il Crocifisso, sussurra con umile rassegnazione:
“Sono come Lui!” (64).
“Col mio Crocifisso mi sento più felice sul mio letto che
una regina sul trono” (65).
Con l’autunno le condizioni dell’ammalata peggiorano;
l’inverno distrugge ogni speranza di guarigione. Ormai
non le resta altro da fare che “soffrire e pregare” (66).
Il male ha invaso tutto l’organismo. Da ogni parte si aprono
piaghe.
Si può dire che il corpo riposi sulle proprie piaghe: diverrà
così magra che le sue carni saranno ridotte a nulla
(67).
Il 28 marzo 1879 riceve per la quarta volta gli ultimi Sacramenti.
Il cappellano le rivolge una preghiera:
“Rinnovi con fervore il sacrificio della sua vita …”
Bernardetta risponde, con sorprendente vivacità:
“Sacrificio? Non è certo un sacrificio abbandonare una
misera vita piena di dolori per unirsi a Dio” (68).
Alle tendine del letto le è stata cucita un’immagine che
rappresenta un Ostensorio:
“Sono felice, nelle ore di insonnia, di unirmi a Nostro
Signore. Uno sguardo a questa immagine mi infonde il desiderio
e la forza di immolarmi, quando sento maggiormente
l’isolamento e la sofferenza”.
Ama anche contemplare – sempre attaccato alle tendine
– un umile disegno che rappresenta l’elevazione dell’ostia.
Vi è, prosternato dietro al celebrante un grazioso chierichetto:
“Su, suona!” gli intima talvolta Bernardetta (69).

Si giunge al mercoledì di Pasqua, 16 aprile 1879.

Ciò che Bernardetta soffre nella mattina di questo 16 aprile
è inconcepibile. Nel pomeriggio, Madre Eleonora
Cassagnes le si inginocchia al fianco:

“Cara sorella – le sussurra – ora siete sulla croce…”.
Come una crocifissa, la moribonda allarga le braccia e
con gli occhi al Crocifisso, mormora:
“Oh, mio Gesù, Oh! Come l’amo!”

Il dolore va crescendo. Madre Eleonora crede bene aggiungere:
“Vado a domandare alla nostra Madre Immacolata di
concedervi un po’ di sollievo..”.
La risposta di Bernardetta ha sapore di un testamento
spirituale:
“No, non sollievo, ma forza e pazienza … Tutto ciò è
buono per il paradiso…”
L’agonia è giunta all’apice, alla croce: la salita al calvario
è finita.

Alle tre del pomeriggio giunge in infermeria Suor Natalia,
l’infermiera assistente. China su di lei, impotente a
soccorrerla, Madre Natalia la contempla in silenzio, quindi
inizia lentamente la recita dell’Ave Maria. Alle parole
“Santa Maria”, la moribonda unisce la sua voce: Madre
Natalia la lascia proseguire da sola. Umile e confidente sino
alla fine, Bernardetta continua con un accento convinto:
“Santa Maria, Madre di Dio, prega per me…. Povera
peccatrice …. Povera peccatrice…”
Quasi subito esala l’ultimo respiro: ultimo sospiro
d’amore, di fiducia, di umiltà!

Ha scritto nel diario:
“Farò tutto per il cielo ….. Là ritroverò mia Madre in
tutto lo splendore della sua gloria…” (70).
Bernardetta muore: ha poco più di 35 anni, il viso appare
giovane e disteso, con una espressione di purezza e di beatitudine
(71).
La canonizzazione ha luogo l’8 dicembre 1933.
Possiamo tuttavia asserire con sicurezza che le apparizioni
di Lourdes non avrebbero potuto giustificare pienamente
la sua esaltazione: la Chiesa non ha canonizzato la
veggente, ha canonizzato la santa.
Il riconoscimento ecclesiastico va alle doti morali. Alle
virtù personali di un’umile religiosa (72).

*
   // Santa Bernardetta Soubirous, p. 427 23) ibd. p. 429 24) ibd. p. 23 25) ibd. p. 430 26) ibd. pp. 443-444 27) ibd. pp. 430-431 28) ibd. p. 443 29) ibd. pp. 441-442 30) ibd. p. 442 31) ibd. p. 393 32) ibd. p. 397 33) ibd. p. 417 34) ibd. pp. 408-409 35) ibd. pp. 403-404 36) ibd. pp. 402-403 37) ibd. p. 399 38) ibd. p. 406 39) ibd. p. 407 40) ibd. pp. 417-422 41) ibd. p. 537 42) ibd. pp. 476-477 43) R. Guardini, I Santi Segni, Morcelliana, 1960, pp. 104-108 44) F. Trouchu, Santa Bernardetta Soubirous p. 478 45) cfr. Biblioteca Sanctorum, Ist. Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Città Nuova, Vol. VIII, 1967, col. 1040 46) F. Trouchu, Santa Bernardetta Soubirous pp. 437-438 47) ibd. pp. 445 48) ibd. pp. 393 49) ibd. pp. 448 // Santa Bernardetta Soubirous 1)F. Trouchu, Santa Bernardetta Soubirous, Ed. Marietti, 1957, p. 473 2)R. Laurentin, Bernardetta vi parla, Ed. Paoline, Roma, 1979, p. 10 3)ibd. p. 11 4)F. Trouchu, Santa Bernardetta Soubirous pp. 26, 31, 274 5)ibd. pp. 28-29, 34-38, 65ss 6)R. Laurentin, Bernardetta vi parla, p. 222 7)F. Trouchu, Santa Bernardetta Soubirous p. 266 8) ibd. pp. 119-120 9) ibd. pp. 302 10) ibd. pp. 264 11) ibd. pp. 264 12) ibd. pp. 288 13) ibd. pp. 216 14) ibd. pp. 289 15) ibd. pp. 51 16) ibd. pp. 354 17) ibd. pp. 355-356 18) ibd. pp. 358 19) René Laurentin, Bernardetta vi parla, p. 280 20) F. Trouchu, Santa Bernardetta Soubirous p. 375 21) R. Laurentin, Bernardetta vi parla, pp. 306 109 47) 50) ibd. pp. 446-447 51) ibd. p. 457 52) ibd. pp. 463-464 53) ibd. p. 462 54) ibd. p. 461 55) ibd, p. 546 56) ibd. p. 449 57) ibd. p. 538 58) ibd. pp. 547-548 59) ibd. pp. 552-553 60) ibd. p. 556 61) ibd. p. 478 62) ibd. p. 558 63) ibd. p. 537 64) ibd. p. 558 65) ibd. p. 539 66) ibd. p. 548 67) ibd. p. 559 68) ibd. p. 563 69) ibd. p. 557 70) ibd. pp. 565-568 71) ibd. p. 569 72) ibd. pp. 450-451 //
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 35 S. Bernardetta Soubirous 36 La nascita. I primi anni d’infanzia: il silenzio di Bernardetta 38 Il ritorno a Lourdes. Le apparizioni alla grotta di Massabielle 41 La malattia, la guarigione miracolosa. Prime testimonianze... Ber nardetta sa ciò che vuole! 44 Altre testimonianze: Bernardetta è uno strumento nelle mani di Dio 47 L’Ingresso a Nevers. La sua professione: “Vi affido l’incarico della preghiera” 112 50 Bernardetta, “la buona a nulla” nella delicata missione di infermiera 53 Bernardetta nella comunità: il martirio del cuore 57 Accanto a Gesù sofferente nell’abbandono e nella solitudine del Getzemani 60 La malattia: “il suo impegno” 65 L’ultima malattia - gli ultimi giorni, gli ultimi istanti: “Non vi prometto di farvi felice in questo mondo, ma nell’altro ….” 

AVE MARIA PURISSIMA!

sabato 11 febbraio 2017

SANTA BERNADETTE SOUBIROUS


Dal 13 al 15 settembre 2008, Benedetto XVI fu pellegrino a Lourdes in occasione del 150° anniversario delle apparizioni dell'Immacolata.
LA VERA STORIA DELLA VEGGENTE FRANCESE
SANTA
BERNADETTE SOUBIROUS
di Renzo Allegri


In tutto il mondo cattolico si  è celebrato il centocinquantesimo anniversario delle apparizioni della Madonna a Lourdes, apparizioni che si verificarono ai piedi dei Pirenei a cominciare  dall’11 febbraio del 1858. Evento straordinario che è stato illustrato e continua ad esserlo dai media, soprattutto da quelli cattolici, e che ha avuto la sua massima visibilità mediatica in settembre 2008 quando, dal 13 al 15, fu pellegrino in quel santuario anche Benedetto XVI.




Lourdes  ha segnato profondamente la storia della devozione mariana, soprattutto a livello di massa, di popolo. E questo anche per i molti “segni” soprannaturali che in quel luogo hanno continuato a verificarsi, come conversioni e prodigiose guarigioni. Negli archivi del Santuario sono conservate le documentazioni mediche di oltre 8000 guarigioni scientificamente inspiegabili. Ma moltissime altre se ne sono verificate, delle quali gli interessati non hanno creduto opportuno presentare la documentazione medica. La Chiesa, nella sua somma prudenza e somma rigorosità, ha finora riconosciuto come “autentici miracoli” soltanto 67 di quelle guarigioni.
    
Raramente, però, chi racconta Lourdes si sofferma a parlare diffusamente della veggente, Bernadette Soubirous, scelta dalla Vergine per diventare “mezzo” di comunicazione tra il cielo e  la terra. Ed è molto interessante osservare che tipo di “mezzo” abbia scelto la Madonna per trasmettere il suo messaggio. La Vergine posò i suoi occhi e la sua benevolenza su una ragazza umilissima, poverissima, analfabeta, malaticcia, la più umile e povera che poteva forse trovare. Ma che, nella sua umiltà e nella sua povertà custodiva il grande dono della fede vera e dell’amore concreto per Dio e per il prossimo.  Apparentemente, Bernadette  era una nullità, in realtà era una grande santa, l’innocenza personificata,  così vicina a Dio da attrarre la predilezione dalla Vergine Santissima.
     
Ecco la vera storia di Bernadette Soubirous. Nata il 7 gennaio 1844, era figlia di François Soubirous e Louise, due persone buone, generose, estremamente sfortunate.  Oltre ad  essere poveri, erano anche ammalati. Si erano sposati il 9 gennaio 1843. Lui aveva 34 anni, lei 17. Un anno dopo, esattamen­te il 9 gennaio 1844, nasceva la loro primogenita cui venne dato il nome di Bernarde-Marie, ma poi sempre chiamata Bernadette.
   
François e Louise gestivano allora il mulino che era stato del padre di Louise. Una azienda importante e redditizia. Ma loro due non erano tagliati per gli affari. Erano troppo buoni. Non riuscivano a farsi pagare dai cre­ditori morosi. Louise trattava i clienti come familiari e, quando venivano per macinare il grano, offriva loro merendine e vino. In poco tempo sperperarono il loro patrimonio e si trovarono sul lastrico.
     
Nel 1852 dovettero andarsene e cercare alloggio in città. La famiglia intanto era cresciuta. Louise aveva avuto altri cinque figli, tre dei quali erano morti. Bernadette era cagionevo­le di salute. Fin dai primi mesi di vita andava soggetta a raffreddori e bronchiti. Aveva sempre dolori di stomaco. Cresceva a stento. Nel 1855 rischiò di morire, colpita dal colera che in quegli anni stava decimando la Francia. Si salvò per miracolo, ma contrasse una forma d'asma che continuò a tormentarla per il resto della sua vita con crisi che spaventavano tutta la famiglia.
    
Alla fine del 1855, i Soubirous ricevettero una grossa eredità. Pensarono che la loro sfortuna fosse finita. François investì i soldi in un nuovo mulino e in un allevamento di bestiame fuori Lourdes, nel piccolo villaggio di Bartres. Ma in poco tempo si mangiò tutto e ripiombò nella miseria.
   
Tornò a vivere in città, deriso da tutti. Affittò due misere stanze e riprese a fare il bracciante. Ma era un periodo nero. La Francia era stata colpita dalla siccità e im­perversava una terribile carestia. François non trovava lavoro. Anche Louise era disoccupata. I loro figli non avevano da mangiare. Trascorsero giorni terribili. La famiglia era molto unita. Si volevano un gran bene anche nella miseria, ma la tristezza pesava come un macigno. François e Louise cercavano di annegare i dispiace­ri bevendo qualche bicchiere di vino. Si sparse la voce che erano ubriaconi e la diffidenza nei loro confronti crebbe, facendo dimi­nuire le possibilità di trovare lavoro.
    
Data la triste condizione della famiglia, anche Bernadette dovette darsi da fare e fin da quando era ancora una bambina andava a lavorare nelle famiglie, come serva, per portare a casa un piccolo aiuto. Per questo non potè frequentare la scuola e neppure il catechismo. Quel poco di religione che conosceva glielo aveva insegnato la madre. A 13 anni, Bernadette aveva finalmente trovato un posto fisso in un'osteria. Ma era trattata male. Le facevano fare tutti i lavori più u­mili, ed era sottoposta a continue molestie. Dopo mesi trascorsi nella desolazione e nel pianto, tornò in famiglia.
    
François non era riuscito a mettere insieme neppure i soldi per pagare l'affitto e dovette an­cora sloggiare. Nessuno voleva affittargli una stanza. Rischiò di restare su una strada. Ricorse a un parente, proprietario di una ex prigione, talmente malsana da essere stata giudicata inadatta anche per i condannati. E quel parente gli affittò una stanza al pianterre­no della prigione, quella accanto alle latrine, il luogo più sudicio, più maleodorante, più infetto e fetido che si potesse immaginare. Quel luogo era un inferno. La stanza, 3,37 metri per 4,40, con una sola piccola finestra, doveva servire da camera e cucina per cinque persone. Bernadette andava soggetta a continue crisi d'a­sma e si aggrappava alle inferriate dell'u­nica finestra cercan­do aria, ma poteva respirare soltanto immondi miasmi.
    
Tuttavia, anche in quell'inferno i Soubirous trovavano la forza di stare uniti e di pregare. Gli abitanti della zona, in seguito, te­stimoniarono: <<Quando giungeva la sera, noi sentivamo che i Soubirous dicevano il Santo Rosario: pregavano tutti insieme, spesso senza aver mangiato, perché non avevano niente tanto erano poveri; e la voce dei bambini si univa a quella dei genitori>>.
    
Verso la fine del 1857, François era finalmente riuscito a trovare un piccolo impiego in un mulino. Una notte alcuni malfattori andarono a rubare in quel mulino e al mattino, il proprietario dis­se ai gendarmi che, secondo lui, era stato proprio  François a derubarlo. Il povero uomo venne arrestato e portato via in manette come un malfattore, lasciando la sua famiglia nel dolore e nella disperazione morale più grandi. Rimase in carcere solo una settimana perché non venne­ro trovate prove contro di lui, ma il dubbio che fosse anche un la­dro rimase.
     
Questo era il quadro desolante in cui viveva Bernadette alla vigilia di quell'evento misterioso che si realizzò a cominciare  dall' 11 febbraio 1858. Le apparizioni non migliorarono la situazione. Anzi, portarono alla veggente e alla sua famiglia molti altri guai: la diffidenza di molta gente, l’ostilità delle autorità civili e soprattutto quella della Chiesa, che per loro, cristiani osservanti e buoni, fu la più dolorosa.

Eravamo in un periodo in cui in Francia dominava un ateismo strisciante. I giornali del tempo scatenarono una feroce campagna contro Bernadette, definendola visionaria, imbrogliona, mistificatrice. La gente del popolo accorreva spinta soprattutto da mera  curiosità. Le autorità ecclesiastiche seguirono gli eventi con attenzione ma con atteggiamento molto  distaccato, e scettico, anche per evitare di offrire il fianco alle critiche dei giornali. Però, i “segni soprannaturali” che si verificavano in continuazione furono tali che convinsero la Chiesa di  trovarsi di fronte a un evento attendibile e nel 1862 ci fu il riconoscimento ufficiale.

Ma nonostante questo riconoscimento, la campagna di stampa contro Bernadette continuava e la gente assillava la povera ragazza con una curiosità morbosa.
Per questo le autorità ecclesiastiche convinsero la veggente ad entrare in convento.   Così, nel 1866,  Bernadette si fece religiosa nella Congregazione delle “Suore della Carità” di Nevers, città della Loira, a metà strada tra Lione e Parigi.

Visse in quel luogo per 13 anni, da suora semplice, ma senza trovare quella pace che forse desiderava tanto. Fu sempre incompresa dalle altre suore, derisa per la sua ignoranza, sottoposta a continue umiliazioni, e il suo corpo era martoriato da sofferenze fisiche. Morì il 16 a­prile 1879, a 35 anni.  Il suo organismo era consumato da una serie impressionante di patologie, tra cui alcune cancrene  che, negli ultimi anni, le avevano mangiato la carne provocando dolori lancinanti.

Venne sepolta in una tomba scavata nella terra, in una cappella nel giardino del convento. Tutto faceva supporre che quel corpo martoriato e marcio si sarebbe dissolto rapidamente, invece non accadde. Sfidando ogni legge fisica, quel piccolo corpo (Bernadette era alta un metro e 42 centimetri), rimase intatto. E quando, in vista del processo di beatificazione, si fece una riesumazione della salma,  tutti i presenti constatarono il prodigio. Quel corpo non solo era intatto, ma anche elastico, fresco, duttile.

Sono trascorsi 128 anni dalla morte di Bernadette, e il suo corpo continua ad essere intatto. Chiunque può vederlo. E’ esposto in una cassa funeraria di vetro, nella chiesa della Casa Madre della “Suore della Carità” a Nevers. Bernadette appare vestita con il saio, ha le mani giunte e intorno ad esse tiene il rosario. Il viso, reclinato sulla sinistra, ha un’espressione dolce, serena, soave. Chi ha avuto la fortuna di toccare quel corpo,  ha constatato che non è rigido, mummificato, ma è elastico, duttile, proprio come quello di una persona che sta dormendo.

<<L’incorruttibilità del corpo>>, mi ha spiegato monsignor Franco Degrandi, un sacerdote piemontese che da cinquant’anni dedica la sua vita agli ammalati pellegrini a Lourdes  <<è un privilegio straordinario che Dio concede ad alcune persone sante, così sante da aver raggiunto in questa vita l’innocenza che aveva Adamo nel paradiso terrestre. Bernadette, nella sua vita terrena, fu un emblema di innocenza. Il suo corpo, che aveva avuto il privilegio di vedere il corpo glorioso della Madre di Dio, fu probabilmente contagiato dal fulgore soprannaturale che emanava dal corpo della Madonna, al punto da non essere toccato dalla corruzione che segue la morte. E in quello stato stupefacente in cui  si trova, è per tutti  i credenti, in particolare per gli ammalati, martoriati dalle sofferenze fisiche, un segno concreto  di speranza nella “risurrezione della carne” promessa da Gesù. Il corpo di Bernadette è un miracolo permanente. Uno dei tanti miracoli che ogni giorno avvengono a Lourdes>>.
AVE MARIA PURISSIMA!