mercoledì 8 novembre 2017

Geronimo era nativo dell'Arabia.

Il martire Geronimo


            Negli ultimi mesi del 1853, alcuni artiglieri occupati a demolire un bastione della fortezza detta delle ventiquattr’ore in Algeri, scopersero un sepolcro, ove trovarono delle ossa umane. Lo scheletro conservava la sua forma e la sua posizione; le braccia stavano incrociate dietro le spalle, le gambe riunite, ed una corda che avea servito a legar le mani era aderente al tumulo.
            Si riconobbe ben presto essere quelli gli avanzi preziosi di un martire del sesto secolo, per nome Geronimo, che si sapea giacere sepolto in quel luogo, e le cui spoglie eransi inutilmente ricercate per molti anni addietro. Ecco l'edificante storia di questo martire tramandata fino a noi dai più autentici documenti.
            Geronimo era nativo dell'Arabia. Fu preso ancor fanciullo dagli Spagnuoli padroni in allora della città di Orano in una scorrerìa da essi fatta, in quelle contrade. {83 [471]}
            Un buon sacerdote lo comprò e dopo averlo istruito nella religione cattolica lo battezzò, chiamandolo dal suo nome, Geronimo.
            All'età di nove anni egli fu di nuovo preso dagli Arabi, e, per amore o per forza, ritornò musulmano. Ma la sua mente era sempre occupata dalle memorie della religione cristiana ed all'età di pressochè venticinque anni, vinto dalle attrattive della verità che continuamente l'invitava, fece ritorno ad Orano, abiurò l'islamismo, prese in moglie una donna cristiana e visse varii anni nella pratica della religione cattolica e delle virtù delle quali essa è madre feconda.
            Ma la Provvidenza l'avea scelto per sigillare col proprio sangue la fede che egli avea volonteroso abbracciala e che professava con tale fervore, per cui già il suo nome stava scritto nel catalogo degli eletti.
            Nel mese di maggio 1569 mentre Geronimo stava facendo una corsa sul mare con nove di lui amici, furono sorpresi da pirati arabi e, fattili prigionieri, vennero condotti in Algeri e venduti siccome schiavi. Gli arabi erano in quel tempo padroni di Algeri, ed Alì-Bassà {84 [472]} che ne era il governatore, divenne il padrone di Geronimo.
            Scoprì ben tosto che il suo schiavo era arabo di nascita, e che si era fatto cristiano e cattolico; e tentò tutti i mezzi, adoperando ogni genere di minacce, di castighi e di promesse seducenti per ridurlo ad apostatare dalla fede; ma Geronimo la antepose sempre alla libertà ed alle ricchezze che gli venìano proferte; ed a tutte le seduzioni e minaccie null'altro rispondeva che queste parole: Io sono cristiano.
            Alì-Bassà furioso di questa, da lui così chiamata, ostinazione del suo schiavo, risolvette di prenderne una strepitosa vendetta. Faceva in allora fabbricare una fortezza chiamata al giorno d'oggi il forte delle ventiquattr’oreed andava spesso a visitarne i lavori.
            Un giorno mentre stava osservando i manovali che pestavano della terra in certi grandi cassoni per formarne dei massi di cemento, gli venne in capo un diabolico pensiero.
            Chiama Michele di Navarra, che era il capo muratore, ed additandogli un cassone già preparato, ma non ancora pieno di terra. Michele, gli dice Alì, lascia {85 [473]} questo cassone vuoto fino a domani, giacchè io voglio far del cemento col corpo di questo cane di Orano, il quale ricusa di far ritorno alla religione di Maometto.
            Ciò detto, egli se ne ritornò a Dar-Soulthan, chiamato al giorno d'oggi Djenina, che era in que' tempi il palazzo dei governatori di Algeri.
            Era prossima la sera; Michele dopo di aver preparato il cassone, raduna tutti gli operai e con essi ritorna alla prigione. Corre subito da Geronimo per raccontargli l'occorso ed esortarlo alla rassegnazione.
            Che Dio sia in ogni cosa benedetto! esclama il futuro martire; che questi infedeli non si lusinghino di farmi inorridire al pensiero dell'orribile supplizio che hanno inventato, nè di farmi rinunziare alla vera religione per paura. Quanto chieggo al Signore si è che si degni di usare misericordia all'anima mia, e mi voglia perdonare i miei peccati.
            Quindi Geronimo si andò preparando alla solenne testimonianza della propria credenza che dovea dare il giorno seguente. Eravi nella galera una cappella, e fra gli schiavi si trovava un prete. {86 [474]} Geronimo si confessò, ricevette la santissima comunione, e passò tutta la notte in preghiere.
            II giorno 18 settembre 1569 quattro sbirri di Alì-Bassà, si portarono di buon mattino alla galera cercando Geronimo, il quale avendoli sentiti, uscì dalla cappella ove stava ancora orando.
            - Appena il videro; ebbene! cane, giudeo, traditore, perchè non vuoi tu dunque ritornar musulmano, gli gridarono tutti.
            Il povero schiavo stette in silenzio, e si diede nelle loro mani. Con questa scorta arriva innanzi alla fortezza delle ventiquattro ore, ove già si trovava Alì-Bassà, accompagnato da numerosa comitiva di turchi, di rinnegati e di mori, gente tutta sitibonda di sangue cristiano.
            - Olà! cane, gridò Ali, non vuoi tu ritornare alla religione musulmana?
            - Giammai, rispose Geronimo. Sono cristiano e tale sarò sempre.
            - Ebbene! urlò inasprito il Bassà, vedi tu questo cassone, vi ti fo pestar dentro e sotterrare vivo.
            - Fa ciò che vuoi, rispose pieno di coraggio il martire di Dio, son pronto a tutto e nulla potrà giammai farmi abbandonare {87 [475]} la fede del mio Signor Gesù Cristo.
            Alì-Bassà avvedendosi che nulla valea a smuoverlo da siffatta energica risoluzione, ordinò che gli venissero legati mani e piedi; in tale stato fu preso dai quattro sbirri e gettato nel fondo del cassone.
            Si vide in questa occasione che i più crudeli fra quella masnada feroce erano gli stranieri. Uno spagnnolo chiamato Tamango, che si era reso musulmano prendendo il nome di Diafar, saltò a piè giunti nel cassone sopra Geronimo, afferrò un pestello gridando a tutta gola che gli si apportasse della terra, locchè fu tantosto eseguito. Quest'indegno cominciò a pestare con quanta forza avea sopra il povero martire, il quale non si lascia sfuggire il più piccolo lamento.
            Altri rinnegati per non esser tenuti meno buoni musulmani di Tamango, presi anch'essi dei pestelli finirono di schiacciare Geronimo sotto gli strati di terra.
            Il cassone era ricolmo di terra, ed il martire rimase per tre secoli nella gloriosa sua tomba. Queste tigri, sazie dalla vista dell'orrido supplizio, ritornarono giulive in Algeri seguitando Alì-Bassà, {88 [476]} il quale andava ripetendo per via: Veramente non mi sarei giammai creduto che questo cristiano subisse la morte con tanto coraggio.»

            Tale è storia della morte del martire Geronimo. Ecco come sanno morire i cristiani: ecco altresì come sanno preferire i supplizi e la morte alla vergogna ed al delitto dell'apostasia, certi che Iddio loro tiene preparati in cielo dei godimenti infiniti ed eterni, in premio delle passeggere avversità da essi sostenute in terra, per amore e gloria del suo santo Nome. {89 [477]}

AMDG et BVM

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