Sembra
che Pietro di Bernardone non fu presente quando nacque Francesco. Forse stava in
Francia per motivi di commercio. Sta di fatto che, appena tornato, non gli piaceva il
nome Giovanni che fu dato al bambino, e lo chiamò Francesco, in memoria del paese che
egli amava tanto.
La L3C 2, dice: Francesco fu oriundo di Assisi, nella valle di Spoleto.
Nacque durante un’assenza del padre, e la madre gli mise il nome Giovanni: ma, tornato
il padre dal suo viaggio in Francia, cominciò a chiamare Francesco il suo figlio.
Dal padre e dalla madre Francesco imparò il Francese, o meglio, il dialetto della
Piccardia, patria della mamma. Sappiamo che, in vari momenti della sua vita,
specialmente quando era pieno di gioia, si esprimeva in Francese.
La L3C 10 dice:
Infatti, parlava molto volentieri questa lingua, sebbene non la possedesse bene.
Tommaso da Celano, nella Vita prima di San Francesco [1C], (1), parla molto male
della famiglia di Francesco:
Viveva ad Assisi, nella valle spoletana, un uomo di nome
Francesco. Dai genitori ricevette fin dalla infanzia una cattiva educazione, ispirata alle
vanità del mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso divenne ancor più leggero e
vanitoso.
(1) 1C fu scritta nel 1228-1229, due anni dopo la morte di S. Francesco.
Quando
Tommaso scrive la 2C, negli anni 1246-1247, cambia il tono e al par. 3 dice: Il servo e
amico dell’Altissimo, Francesco, ebbe questo nome dalla divina Provvidenza, affinché
per la sua originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto il mondo la fama della
sua missione.
Riguardo alla mamma di Francesco, continua a dire: Specchio di rettitudine,
quella donna presentava nella sua condotta, per così dire, un segno visibile della sua
virtù. Infatti, fu resa partecipe, come privilegio, di una certa somiglianza con l’antica
santa Elisabetta, sia per il nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico.
Quando i vicini manifestavano la loro ammirazione per la generosità d’animo e
l’integrità morale di Francesco, ripeteva, quasi divinamente ispirata: “Cosa pensate che
diverrà questo mio figlio? Sappiate, che per i suoi meriti diverrà figlio di Dio”.
In
realtà, era questa l’opinione anche di altri, che apprezzavano Francesco già grandicello
per alcune sue inclinazioni, molto buone. Allontanava da sé tutto ciò che potesse
suonare offesa a qualcuno e, crescendo con animo gentile, non sembrava figlio di quelli
che erano detti suoi genitori.
Come tutti i ragazzi della sua età che provenivano da famiglie ricche, Francesco
fu mandato a scuola.
La scuola era quella della cattedrale che si faceva accanto alla
chiesa di San Giorgio, all’estremità orientale della città dove oggi sorge la basilica di
Santa Chiara.
Era la scuola dei canonici, dove Francesco imparò a leggere e a scrivere
non molto bene il latino, che era la lingua usata dai notai, e che era importante saperla per
fare il negozio e stendere contratti di compravendita.
Il sogno di Pietro di Bernardone era naturalmente quello di fare di Francesco un
abile commerciante, e perciò gli insegnava l’arte del commercio dei panni pregiati nel suo
negozio. All’inizio Francesco ci stava, anche se non era del tutto portato a questo lavoro.
Lasciamo il racconto di questi anni della giovinezza di Francesco alla penna dei Tre
Compagni, nella L3C 2:
Arrivato alla giovinezza, vivido com’era di intelligenza, prese a esercitare la
professione paterna, il commercio di stoffe, ma con stile completamente diverso.
Francesco era tanto più allegro e generoso, gli piaceva godersela e cantare, andando a
zonzo per Assisi giorno e notte con una brigata di amici, spendendo in festini e divertimenti tutto il denaro che guadagnava o di cui poteva impossessarsi. A più riprese,
i genitori lo rimbeccavano per il suo esagerato scialare, quasi fosse rampollo di un gran
principe anziché figlio di commercianti. Ma siccome in casa erano ricchi, e lo amavano
teneramente, lasciavano correre, non volendolo contristare per quelle ragazzate ...
Non
era spendaccione soltanto in pranzi e divertimenti, ma passava ogni limite anche nel
vestirsi. Si faceva confezionare abiti più sontuosi che alla sua condizione sociale non si
convenisse e, nella ricerca dell’originalità, arrivava a cucire insieme nello stesso
indumento stoffe preziose e panni grossolani.
Ancora durante la sua giovinezza, Francesco dimostrava delle qualità spirituali
rare. Le fonti ci dicono che era di indole cortese e gentile, forse perché ammirava le
stesse qualità in Pica, sua madre. Aveva un cuore tenero, specialmente verso i poveri.
La
L3C 3 fa vedere queste qualità, che sono diventate la base di una ulteriore conversione
nel cuore di Francesco:
Per indole, era gentile nel comportamento e nel conversare. E seguendo un
proposito nato da convinzione, a nessuno rivolgeva parole ingiuriose o sporche; anzi,
pur essendo un ragazzo brillante e dissipato, era deciso a non rispondere a chi attaccava
discorsi lascivi. Così la fama di lui si era diffusa in quasi tutta la zona, e molti che lo
conoscevano, predicevano che avrebbe compiuto qualcosa di grande.
Queste virtù spontanee furono come gradini che lo elevarono fino a dire a se
stesso: “Tu sei generoso e cortese verso persone da cui non ricevi niente, se non una
effimera vuota simpatia; ebbene, è giusto che sia altrettanto generoso e gentile con i
poveri, per amore di Dio, che contraccambia tanto largamente”. Da quel giorno
incontrava volentieri i poveri e distribuiva loro elemosine in abbondanza; infatti, benché
fosse commerciante, aveva il debole di sperperare le ricchezze.
Un giorno che stava nel suo negozio, tutto intento a vendere delle stoffe, si fece
avanti un povero a chiedergli l’elemosina per amore di Dio. Preso dalla cupidigia del
guadagno e dalla preoccupazione di concludere l’affare, egli ricusò l’elemosina al
mendicante, che se ne uscì. Subito però, come folgorato dalla grazia divina, rinfacciò a
se stesso quel gesto villano, pensando: “Se quel povero ti avesse domandato un aiuto a
nome di un grande conte o barone, lo avresti di sicuro accontentato. A maggior ragione
avresti dovuto farlo per riguardo al re dei re e al Signore di tutti”.
Dopo questa esperienza, prese risoluzione in cuor suo di non negare mai più
nulla di quanto gli venisse domandato in nome di un Signore così grande.
Francesco, da giovane, cominciò a notare un fatto non del tutto palese agli altri
cittadini di Assisi, e cioè, che c’erano molte persone che non contavano a niente perché
non entravano nelle categorie sociali dei maiores o minores, che avevano in mano le sorti
della vita civile della città, insieme con l’alto clero e i monaci che reggevano le anime,
ma che si immischiavano in questioni di natura politica e nell’acquistare terreni e
ricchezze.
Erano i poveri che non contavano niente che attiravano l’attenzione del
giovane Francesco, che elargiva loro l’elemosina con un cuore tenero, cortese e generoso.
Erano i mendicanti e gli accattoni che vivevano per strada, e che si incontravano nei
portali di tutte le chiese di Assisi chiedendo l’elemosina per amore di Dio.
L’amore di
Dio suonava come un grido di urgenza alle orecchie di Francesco ancora giovane. Dal
negozio di suo padre, pieno di stoffe preziose che si vendevano a caro prezzo alle ricche
signore nobili di Assisi, egli non poteva immaginare la durezza della vita che dovevano
soffrire i poveri.
Era troppo ricco per vedere la miseria. A casa sua, sopra il fondaco del padre, non mancava niente. Più tardi, quando cominciava a sentire un forte cambiamento
interiore, cominciava a donarsi con maggiore slancio di affetto e generosità al servizio dei
poveri. Nel frattempo, tuttavia, doveva trascorrere due anni di gloria e di umiliazione,
due anni che lasciavano il suo animo pieno di amarezza al vedere gli odi e le guerre degli
uomini, e che aprivano il suo cuore a diventare un angelo della vera pace (S.
Bonaventura, Leggenda Maggiore di S. Francesco [LM], Prologo, 1).
VITA
DI SAN FRANCESCO
D’ASSISI
Noel Muscat ofm
Kunvendi Françeskan «Zoja Rruzarë»
Arra e Madhe
Shkodër – Albania
2003
SALVE SANCTE PATER
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