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mercoledì 21 febbraio 2018

Predicò con tanto fervore, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per devozione gli vollero andare dietro e abbandonare il castello


Capitolo 9 
SAN FRANCESCO 
AL CONCILIO LATERANENSE IV 

Sorella Chiara e le Povere Dame di San Damiano erano la seconda famiglia fondata da Francesco d’Assisi nel 1211/12. 
San Francesco, tuttavia, è anche il fondatore di una terza famiglia, quella dei Fratres et Sorores de Poenitentia, l’Ordine dei Fratelli e Sorelle della Penitenza, noto più tardi con il nome Terz’Ordine Francescano e nei nostri giorno come Ordine Francescano Secolare. 

Ma, se nel caso del Primo e del Secondo Ordine abbiamo delle notizie abbastanza sicure circa la fondazione da parte di Francesco, non è così chiaro il discorso per il Terz’Ordine. L’Ordine della Penitenza era un fenomeno abbastanza diffuso nel medioevo, e accoglieva diverse persone con diversi tipi di vita e impegno penitenziale cristiano. Ci sono delle allusioni nelle Fonti che Francesco ha raccolto intorno a se un gruppo di penitenti, forse già nel 1211, ma i racconti sono molto tardivi. Riportiamo il più noto, quello dei Fioretti, che ambienta la cosiddetta “fondazione” del Terz’Ordine Francescano nei pressi di Bagnara e di Cannara, una località tra Assisi e Montefalco, che i Fioretti chiamano Savurniano: 

Giunsero a uno castello che si chiamava Savurniano. E santo Francesco si puose a predicare, e comandò prima alle rondini che tenessino silenzio infino a tanto ch’egli avesse predicato. E le rondini l’ubbidirono. Ed ivi predicò con tanto fervore, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per devozione gli vollero andare dietro e abbandonare il castello; ma santo Francesco non lasciò, dicendo loro: “Non abbiate fretta e non vi partite, ed io ordinerò quello che voi dobbiate fare per salute delle anime vostre”. E allora pensò di fare il terzo Ordine per universale salute di tutti. E così lasciandoli molto consolati e bene disposti a penitenza, si partì quindi e venne tra Cannara e Bevagna (Fioretti XVI). 

Francesco sembra che, in questo periodo dopo la sistemazione delle Povere Dame nel monastero di San Damiano, abbia rivolto di nuovo l’attenzione all’Ordine dei frati, che aumentava di giorno in giorno. Durante il 1212 probabilmente si recò di nuovo a Roma. Non abbiamo notizie chiare riguardo a questa visita, se non che, a Roma, Francesco incontrò un personaggio che doveva giocare un ruolo importante nella sua vita, e particolarmente nell’ora della morte. Questa persona si chiamava Donna Giacoma o Jacopa dei Sette Soli (o meglio, Sette Sogli, dal nome latino Iacopa Septem Soliis). Era una nobbildonna romana, della famiglia dei Normanni, sposa del patrizio romano Graziano Anicio Frangipani, conte di Marino e proprietario del Septizonium. Da lui ebbe due figli: Giovanni e Graziano (Giacomo?). Era già vedova nel 1217, ma non si hanno notizie precise della sua nascita, né della sua morte. Nella Legenda Maior, S. Bonaventura dice come Francesco conobbe questa donna, che doveva assisterlo prima di morire: 

Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a Cristo, amatissimo agnello. Nel partire, lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua. E l’agnello, quasi ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito, non si staccava mai dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne ritornava. Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, l’agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi alla 58 chiesa. Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell’agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione (LM VIII,7)

L’anno 1213 è segnato da due avvenimenti importanti nella vita di Francesco. Il primo, successo l’8 maggio 1213, doveva segnare l’inizio di un soggiorno annuale nella solitudine della contemplazione, una tradizione conclusa nel soggiorno del settembre 1224. Ci riferiamo al soggiorno di Francesco sul Monte della Verna. La notizia circa la donazione di questo monte a Francesco e ai suoi frati ci viene dal racconto dei Fioretti nelle Considerazioni della Sacre Stimmate. L’8 maggio 1213 c’era una festa dell’investitura di un nuovo cavaliere nel castello di San Leo in Montefeltro. 

Santo Francesco ... ispirato da Dio si mosse dalla valle di Spoleto per andare in Romagna con frate Leone suo compagno; e andando passò ai piedi del castello di Montefeltro, nel quale castello si faceva allora un grande convito e corteo per la cavalleria nuova d’uno di quei conti di Montefeltro. E udendo santo Francesco questa solennità che si faceva, e che ivi erano radunati molti gentiluomini di diversi paesi, disse a frate Leone: “Andiamo quassù a questa festa, però, che con l’aiuto di Dio noi faremo alcun frutto spirituale”. 

Tra gli altri gentiluomini che vi erano venuti di quella contrada a quel corteo, vi era uno grande e anche ricco gentiluomo di Toscana, e aveva nome messere Orlando da Chiusi di Casentino, il quale per le meravigliose cose ch’egli aveva udito della santità e dei miracoli di santo Francesco, sì gli portava grande devozione e aveva grandissima voglia di vederlo e di udirlo predicare. 

Giunge santo Francesco a questo castello ed entra e va in sulla piazza, dove era radunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, e in fervore di spirito montò in su uno muricciuolo e cominciò a predicare proponendo per tema della sua predica questa parola in volgare: Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto ... Tra i quali il detto messere Orlando, toccato nel cuore da Dio per la meravigliosa predicazione di santo Francesco, si pose in cuore d’ordinare e ragionare con lui, dopo la predica, dei fatti dell’anima sua. 

Onde, compiuta la predica, egli trasse santo Francesco da parte e gli disse: “O padre, io vorrei ordinare teco della salute dell’anima mia” ... In fine disse questo messere Orlando a santo Francesco: “Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama il monte della Verna, lo quale è molto solitario e selvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalla gente, o a chi desidera vita solitaria. S’egli ti piacesse, volentieri lo ti donerei a te e ai tuoi compagni per salute dell’anima mia”. 

Udendo santo Francesco così liberale profferta di quella cosa che egli desiderava molto, ne ebbe grandissima allegrezza, e laudando e ringraziando in prima Iddio e poi il predetto messer Orlando, sì gli disse così: “Messere, quando voi sarete tornato a casa vostra, io sì manderò a voi dei miei compagni e voi sì mostrerete loro quel monte” ... E detto questo, santo Francesco si parte: e compiuto che egli ebbe il suo viaggio, si ritornò a Santa Maria degli Angeli; e messere Orlando similmente, compiuta ch’egli ebbe la solennità di quello corteo, sì ritornò al suo castello che si chiamava Chiusi, il quale era presso alla Verna a un miglio (Fioretti, I Considerazione sulle Stimmate). 

I ruderi del castello del Conte Orlando a Chiusi della Verna si trovano ancora, con la cappella medievale di San Michele Arcangelo, ai piedi della sacra montagna delle stimmate. Il Conte rimase un grande benefattore di Francesco e dei suoi frati, costruì per 59 loro la cappellina di Santa Maria degli Angeli sul Monte della Verna, dove volle essere sepolto e dove i suoi resti riposano fino ad oggi. Il secondo avvenimento che avvenne verso il 1213 si ricollega al desiderio di Francesco di subire il martirio per convertire i Saraceni. Abbiamo visto che il primo tentativo finì in un fallimento. 

Il secondo tentativo, che raccontiamo qui, pure non approdò. Questa volta Francesco voleva andare ad occidente, e precisamente nel Marocco, dal Sultano Emir-el-Mumenin (cioè, capo dei credenti), conosciuto in occidente come “Miramolino”. Il nome proprio del Sultano era Mohamed-ben-Nasser, che era stato vinto nella battaglia di Las Navas in Spagna nel 1212 e respinto in Africa. Tommaso da Celano ci da il racconto, con una importante nota autobiografica alla fine. 

Dopo poco tempo intraprese un viaggio missionario verso il Marocco, per annunciare al Miramolino e ai suoi correligionari la Buona Novella. Era talmente vivo il suo desiderio apotolico, che gli capitava a volte di lasciare indietro il compagno di viaggio affrettandosi nell’ebbrezza dello spirito ad eseguire il suo proposito. Ma il buon Dio, che si compiacque per sua sola benignità di ricordarsi di me e di innumerevoli altri, fece andare le cose diversamente resistendogli in faccia. Infatti, Francesco, giunto in Spagna, fu colpito da malattia e costretto a interrompere il viaggio. 

Ritornato a Santa Maria della Porziuncola, non molto tempo dopo gli si presentarono alcuni uomini letterati e alcuni nobili, ben felici di unirsi a lui. Da uomo nobile d’animo e prudente, egli li accolse con onore e dignità, dando paternamente a ciascuno ciò che doveva (1C 56). 

Il viaggio verso il Marocco accadde in una data imprecisata tra il 1213-1214. In Spagna Francesco si ammalò e dovette tornare in Italia. Al ritorno troviamo questo gruppo di uomini letterati e nobili che chiedono di entrare nell’Ordine. Molti hanno visto in questo gruppo la presenza del primo e più noto biografo di Francesco, fra Tommaso da Celano che, come si legge nel racconto, vede il ritorno del santo dalla Spagna come un atto di misericordia di Dio verso di lui. Tommaso da Celano dovette essere un personaggio importante, anche se non era del tutto vicino a Francesco fisicamente, perché trascorse molti anni in Germania. Dopo la morte di Francesco, e precisamente per l’occasione della canonizzazione del santo, il Papa Gregorio IX, nel 1228 lo incaricò di stendere una biografia ufficiale, che egli presentò al Papa il 25 febbraio 1229. È la Vita Sancti Francisci di Tommaso da Celano, conosciuta come Vita prima, perché lo stesso Tommaso ne compose altre, come il Memoriale in desiderio animae, o Vita secunda (1246-1247) e il Tractatus de miraculis, o Trattato dei miracoli (1252-1253). Morì nella città di Tagliacozzo, in Abbruzzo, e fu sepolto nella chiesa di San Francesco di Celano nel 1260. 

L’anno 1215 segna una svolta importante nella storia della Chiesa e dell’Ordine dei Frati Minori. Nell’aprile 1213 Papa Innocenzo III aveva promulgato la Bulla Vineam Domini, nella quale annunziò che avrebbe convocato un Concilio al Laterano. Questo grande Concilio, chiamato Lateranense IV, si svolse a Roma nel novembre 1215. Uno degli scopi del Concilio era quello di indire una nuova Crociata per il recupero dei Luoghi Santi, ma di questo parleremo nel capitolo che tratta della visita di Francesco in Oriente. 

Il proliferarsi di Ordini religiosi nella Chiesa era una delle preoccupazioni del Concilio Lateranense IV. Innocenzo III era stato molto indulgente verso i movimenti laicali di pentienza all’inizio del secolo XIII. Nel 1201 aveva approvato il propositum 60 degli Umiliati, nel 1208 quello dei Poveri Cattolici di Durando di Huesca, nel 1210 quello dei Poveri Lombardi di Bernardo Prim. Era il contesto in cui aveva pure approvato il propositum o forma vitae dei Frati Minori nel 1209/10. 
La Chronica XXIV Generalium Ordinis Minorum (Analecta Franciscana III,9) dice che Francesco fu presente al Concilio Lateranense IV. Le fonti del secolo 12 e dell’inizio del secolo 13 non dicono niente riguardo ad una eventuale presenza di Francesco al Concilio. 

La Chronica XXIV Generalium è datata nella seconda metà del secolo 14, ed è perciò tardiva. Quello che potrebbe interessarci di più tocca le decisioni prese dal Concilio Lateranense IV riguardo agli Ordini religiosi. Nel canone 13, il Concilio decise che nessuno avrebbe dovuto scrivere nuove Regole per i nuovi Ordini che si proliferarono nel secolo 13, ma che ogni Ordine che nasceva doveva scegliere una delle Regole antiche della Chiesa, e cioè o quella di San Basilio, o quella di Sant’Agostino, o quella di San Benedetto, o quella di San Bernardo. Che questo canone del Concilio Lateranense IV sia stato applicato rigorosamente ci è dato di saperlo dal caso di San Domenico. Mentre questo fondatore dei Frati Predicatori andò al Concilio con il vescovo Folco di Toulouse, e il suo Ordine fu approvato da Innocenzo III e poi da Onorio III nel 1216, egli dovette accettare la Regola di Sant’Agostino. Francesco fu più fortunato. Siccome Innocenzo III aveva approvato oralmente la sua forma vitae nel 1209/10, Francesco poteva appellarsi a quella approvazione quando, più tardi, presentò la sua Regula Bullata al Papa Onorio III per l’approvazione nel 1223. 

Nel contesto del Concilio Lateranense IV nasce la tradizione del primo incontro tra Francesco d’Assisi e Domenico Guzman da Caleruega, in Spagna, i due grandi fondatori degli Ordini mendicanti principali del secolo 13, uno fondatore dei Frati Minori e l’altro dei Frati Predicatori. Tuttavia, anche in questo caso, le fonti francescane non dicono niente. Invece, dalla Compilazione di Assisi, 49, sappiamo che Francesco e Domenico si sono incontrati nella casa del Cardinale Ugolino dei Conti Segni a Roma, ma probabilmente in un’altra circostanza, e cioè o tra la fine del 1217 e il 7 aprile 1218, oppure tra la fine del 1220 e i primi mesi del 1221. Solo in questi periodi, secondo i dati biografici dei tre personaggi, potevano essere simultaneamente presenti a Roma. Non è neanche sicuro quello che dicono i Fioretti, al capitolo 18, quando parlano del famoso Capitolo delle Stuoie, tenuto, secondo la tradizione, alla Porziuncola il 30 maggio 1221, nel quale pure avrebbero partecipato il Cardinale Ugolino e San Domenico. Sta di fatto, tuttavia, che qualche incontro tra Francesco e Domenico doveva esserci stato, anche perché ambedue condividevano gli stessi ideali di vita evangelica sul modello della vita di Cristo e degli apostoli. 
Quando Dante Alighieri compose i Cantici XI e XI del Paradiso nella Divina Commedia, dedicò il primo a San Francesco e il secondo a San Domenico. Dante paragona Francesco all’ardore del Serafino e Domenico alla sapienza contemplativa del Cherubino, e mette sulla bocca del santo domenicano Tommaso d’Aquino le lodi a San Francesco e sulla bocca del santo francescano Bonaventura da Bagnoregio le lodi a San Domenico. 

La riforma della Chiesa era uno dei grandi temi del Concilio Lateranense IV. Il piano di Innocenzo III era proprio quello di usufruire degli Ordini mendicanti nascenti a condurre questa riforma. Non è senza significato il fatto che, in ambedue i casi, sia di Francesco come di Domenico, i biografi dicono che Innocenzo III ha avuto il sogno della basilica del Laterano che crollava e veniva sostenuta da uno o dall’altro di questi fondatori. I Frati Predicatori si dettero alla predicazione dogmatica contro la eresia degli 61 Albigesi, e presto si insediarono nelle grandi città universitarie d’Europa. Anche i Frati Minori, pur con uno stile diverso, si dettero alla predicazione popolare, ma presto anche essi si immettevano nel discorso dello studio come preparazione per la predicazione. 

Gli scritti di San Francesco fanno vedere anche l’influsso che ha esercitato il Concilio Lateranense IV sul nuovo Ordine. Lo studio della Regola non bollata del 1221 fa vedere due fasi nello sviluppo legislativo dell’Ordine, cioè quello che precede e quello che segue al Concilio Lateranense IV. Le prescrizioni riguardo al rispetto che i frati chierici dovevano mostrare verso il sacramento dell’Eucaristia, presenti nelle Ammonizione 1, nelle Lettere ai Custodi, ai Chierici, a tutto l’Ordine, sono un risultato diretto delle decisioni del Concilio Lateranense IV. Lo stesso si deve dire riguardo alle prescrizioni sul ministero della predicazione presenti nelle Regole scritte da San Francesco. Soprattutto era frutto del Lateranense IV lo slancio missionario di Francesco di andare a convertire i Saraceni alla fede cristiana, tanto che inserisce, per la prima volta nella storia della Chiesa, un intero capitolo nella Regola non bollata, intitolato De euntibus inter saracenos et alios infideles (cap. 16: Di coloro che vanno tra i Saraceni e gli altri infedeli). 

Ormai l’Ordine si avviava ad un suo pieno sviluppo, che inizia proprio dopo il Concilio Lateranense IV. Questo sviluppo, esplicitato particolarmente nella celebrazione dei capitoli generali e nella espansione geografica dell’Ordine, sarà adesso l’oggetto della nostra riflessione. Immediatamente dopo vedremo la novità missionaria di Francesco, che va in Oriente a convertire i Saraceni e incontra il Sultano. Ma prima dobbiamo soffermarci su un capitolo importante nella vita di Francesco, anche se non ci viene riferito dalle Fonti principali a cui facciamo riferimento. Parliamo della vicenda dell’Indulgenza della Porziuncola, nel suo significato storico e spirituale nella vita diFrancesco


AMDG et DVM

sabato 2 dicembre 2017

“Va’, fratello, cércati dei porci, ...


L’APPROVAZIONE DELLA PRIMA FORMA DI VITA 

L’esperienza di tre spedizioni missionari di evangelizzazione nel contesto limitato italiano, con qualche eccezione di un viaggio fuori Italia, come nel caso di Bernardo che va a Compostella, forma la base di una ulteriore verifica del primo nucleo di fratelli intorno a Francesco. 

Una verifica che doveva per forza mettere il gruppo di fronte alle proprie responsabilità di annunziare il vangelo con una testimonianza di vita itinerante e povera, ma, nello stesso tempo, con una qualche assicurazione che questa opera iniziale potesse proseguire senza grandi ostacoli. 

Francesco sapeva benissimo che questo non poteva succedere se il gruppo rimaneva legato soltanto alla giurisdizione episcopale di Guido nel contesto molto limitato della diocesi di Assisi. Egli era al corrente degli sviluppi che succedevano nella Chiesa, particolarmente riguardo all’apertura di Innocenzo III verso quei gruppi innovatori di indole evangelica che volevano sottostare alla tutela della gerarchia ecclesiastica e dentro l’ambito dell’ortodossia. 

Per queste ragioni decise di andare direttamente da Papa Innocenzo III. Certamente, non fu un’impresa facile. Non ci è dato neppure sapere se Francesco fosse, di fatto, al corrente della quasi impossibilità di accedere al Papa senza un intermediario forte e influente nella curia romana. 

Dato la semplicità e l’immediatezza di carattere di Francesco, non ci sorprende che egli si incamminò verso Roma con i compagni presagendo un senso di avventura dell’ignoto, o meglio, confidando unicamente nello stesso Cristo che lo aveva mandato a restaurare la sua Chiesa. Forse già adesso Francesco capiva che l’invito del crocifisso di San Damiano riguardava una chiesa diversa da quelle chiesette di campagna che egli aveva restaurato con le proprie mani. Nel Testamento, che rimane lo scritto autobiografico per eccellenza del santo, Francesco scrive così:
 E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò (Testamento, 14-15)

Quale era questa “forma del santo Vangelo” che Francesco scelse di vivere con i suoi frati? O meglio, quale era il documento scritto che lui ha presentato a Innocenzo III? Francesco sapeva che non poteva andare davanti al Papa a mani vuote, raccontando un’esperienza di vita senza nessun fondamento scritto. Eppure egli non si sentiva capace di scrivere una regola. Non sognava neanche di essere capace di mettersi accanto ai grandi fondatori delle famiglie religiose presenti allora, come potevano essere San Basilio, Sant’Agostino, San Benedetto, San Bernardo. 

Eppure, stando a quel che dice nel Testamento, Francesco fece scrivere in poche parole semplici la sua forma di vita evangelica. 
Vedendo che di giorno in giorno aumentava il numero dei suoi seguaci, Francesco scrisse per sé e per i frati presenti e futuri, con semplicità e brevità, una norma di vita o Regola, composta soprattutto di espressioni del Vangelo, alla cui osservanza perfetta unicamente aspirava. Ma vi aggiunse poche altre direttive indispensabili e urgenti per una santa vita in comune (1C 32). 
Da Tommaso da Celano sappiamo che questa forma di vita era composta soprattutto di brani presi ad litteram dal Vangelo, con qualche altra direttiva pratica. 

Purtroppo non conosciamo il contenuto di questo documento, che può essere considerato la base di tutte le regole successive scritte da Francesco. La protoregola, come si chiama qualche volta, è persa, se non ci si vuole stare all’opinione di qualche studioso che, di fatto, è presente in qualche brano della Regola non bollata del 1221, che è il risultato finale di un lungo processo di formazione di testi legislativi francescani, incominciando proprio dalla forma di vita del 1209-10. Di fatto, nel capitolo 1 e nel capitolo 14, come pure in altri testi, della Regola non bollata, ci imbattiamo proprio nei testi evangelici che Francesco e i primi compagni avevano consultato all’inizio della loro vocazione evangelica. 

Sta di fatto che Francesco andava a Roma con un propositum vitae. Di questi documenti Innocenzo III si era messo al corrente, particolarmente quando approvò il propositum degli Umiliati qualche anno prima. Francesco certamente conosceva questo, e cercò di imitare, a modo suo, lo stesso metodo di questi gruppi penitenti che andavano a chiedere l’approvazione papale per la loro forma vitae. Ma se identico era il metodo usato da Francesco per andare dal Papa, cioè, scrivendo un propositum per i suoi frati, diverso era il contenuto che egli proponeva, come vedremo di seguito. 

Siamo quindi nel 1209 o, secondo altri studiosi, nella primavera del 1210. I Tre Compagni spiegano con grande dettaglio cosa accadde a Roma.
Vedendo Francesco che il Signore accresceva i suoi fratelli in numero e in meriti – erano ormai in dodici, perfettamente concordi nello stesso ideale -, si rivolse agli undici, lui che era il dodicesimo, guida e padre del gruppo: “Fratelli, vedo che il Signore misericordioso vuole aumentare la nostra comunità. Andiamo dunque dalla nostra madre, la santa Chiesa romana, e comunichiamo al sommo pontefice ciò che il Signore ha cominciato a fare per mezzo di noi, al fine di continuare la nostra missione secondo il suo volere e le sue disposizioni”. 
L’iniziativa del Padre piacque agli altri fratelli. Al momento di partire verso la curia romana, il Santo disse: “Eleggiamo come capo uno del nostro gruppo, considerandolo quale vicario di Gesù Cristo. Andremo dove lui ci indicherà, e quando stabilirà di fare una sosta, ci fermeremo”. Scelsero Bernardo, il primo seguace di Francesco, e si comportarono con lui come il Santo aveva suggerito (L3C 46).

Il gruppo viaggiò a Roma lungo la via Salaria, che era la strada che di solito prendeva Francesco per andare dalla città ad Assisi. Arrivati che furono alla curia romana, che era al Laterano, incontrarono Guido, il vescovo di Assisi. Stando a quello che dicono i Tre Compagni, non sembra che Guido si era messo al corrente di questa visita. 

Ignorando il motivo della loro venuta, fu preso da ansietà: temeva che volessero abbandonare Assisi, dove il Signore aveva cominciato per loro mezzo a compiere meraviglie di bene. Egli era fiero e felice di avere nella sua diocesi uomini così zelanti, sulla cui vita esemplare faceva moltissimo conto. Quando però seppe lo scopo del viaggio e comprese i loro progetti, ne fu rasserenato e promise di consigliarli e aiutarli (L3C 47). 

Fu proprio questa la reazione di Guido? Si potrebbe concludere che i Tre Compagni vogliono presentare l’iniziativa come un successo fin dagli inizi. Probabilmente non fu così. Guido non sarebbe stato molto contento vedere Francesco e i frati a Roma a chiedere udienza dal Papa Innocenzo III senza la sua autorizzazione. Egli era ancora l’unico responsabile del gruppo, e l’azione di Francesco poteva sembrare  troppo azzardata, se non addirittura una scortesia verso la legittima autorità ecclesiastica. Non sappiamo cosa ha pensato Guido, perché le Fonti non hanno intenzione di documentare gli “sbagli giuridici” di Francesco. Comunque, superata la prima incomprensione e capito il vero scopo del viaggio, Guido si mise ad aiutare Francesco con tutti i mezzi a sua disposizione. Certamente non voleva che il gruppo si presentasse al Papa come dei poveri girovaghi senza dimora fissa o appartenenza giuridica all’autorità del proprio pastore. 
Il vescovo di Assisi era legato d’amicizia al cardinale Giovanni di San Paolo, vescovo di Sabina, uomo veramente pieno della grazia di Dio e particolarmente attirato verso gli uomini di vita santa. Avendo appreso dal vescovo di Assisi la vicenda di Francesco e dei suoi fratelli, Giovanni desiderava vivamente d’incontrare il Santo e qualche suo compagno. Venuto a sapere che si trovavano a Roma, mandò loro un invito e li ricevette in casa con rispetto e amore (L3C 47).

Giovanni Colonna, era Benedettino nell’abbazia di San Paolo fuori le mura a Roma, prima di diventare cardinale del titolo di Santa Prisca e vescovo di Sabina. Era l’uomo di curia che aiutò Francesco per primo, fino alla sua morte nel 1215. Senza di lui Francesco non avrebbe mai ottenuto il permesso di varcare la soglia della curia romana. A Roma i frati si alloggiarono presso i monaci di Sant’Antonio Abate, che avevano un lebbrosario al Celio. Il cardinale fece chiamare Francesco per interrogarlo sulle sue intenzioni, prima di presentarlo al Papa. Tommaso da Celano ci da delle indicazioni riguardo al contenuto di questo incontro.

Nondimeno, da uomo prudente, lo interrogava su molti punti e cercava di convincerlo a scegliere la vita monastica o l’eremitica. Ma san Francesco ricusava con quanta più umiltà poteva quegli argomenti, non perché li disprezzasse, ma perché si sentiva trasportato da più alto desiderio, seguendo con amore un altro ideale. Il vescovo ammirava il suo zelo, tuttavia, temendo che non potesse perseverare in un ideale così alto, gli additava vie più piane. Infine, vinto dalla sua costanza, accondiscese alle sue preghiere e si impegnò a promuovere la causa di lui davanti al Papa (1C 33). 
Giovanni di San Paolo sapeva benissimo il pericolo incombente sui gruppi penitenziali come quello di Francesco di essere presi per eretici. Egli era anche al corrente della politica di Innocenzo III di cercare di attirare questi gruppi verso un ordinamento giurdico che la Chiesa aveva comprovato da secoli, nelle grandi famiglie religiose fondate da Basilio, Agostino, Benedetto, Bernardo. Il problema con Francesco era che lui rifiutava tutte queste forme e voleva introdurre la sua. In termini concreti, la forma di vita del Vangelo era del tutto nuova nella Chiesa, nel senso che non era identica alla forma di vita comunitaria della Chiesa primitiva che gli ordini esistenti proponevano. Vedremo che questa nota caratteristica non veniva capita da uomini ecclesiastici, come il vescovo Giacomo da Vitry. Giovanni Colonna capiva che qui si trattava di una novità in senso assoluto, e perciò si preparò con argomenti a favore della scelta evangelica di Francesco e dei frati che sapeva costituire una grossa difficoltà per la mente curiale dei cardinali intorno a Innocenzo III. Tuttavia, vinto dalla sincerità di intenzione di Francesco, ci provò.

Ci andò e disse al signor papa Innocenzo III: “Ho incontrato un uomo di straordinaria virtù, che si è impegnato a vivere l’ideale evangelico, osservando in ogni cosa la perfezione espressa nel Vangelo. Son convinto che il Signore vuole, per mezzo di lui, riformare in tutto il mondo la fede della santa Chiesa”. Queste parole colpirono molto il Papa, che ordinò al cardinale di condurgli Francesco (L3C 48).

Cosa accadde veramente durante l’incontro di Francesco con il Papa Innocenzo III? Le Fonti sono quasi tutti d’accordo che il Papa ricevette Francesco benevolmente, e che, dopo aver consultato con i cardinali, che dimostravano qualche dubbio a proposito della durezza della scelta evangelica di Francesco, approvò solo oralmente il propositum vitae dei frati e li mandò a predicare la penitenza, fino a che il Signore non avesse aumentato il loro numero e meriti. 

Il giorno dopo, l’uomo di Dio fu presentato al sommo pontefice dal cardinale Giovanni. Francesco espose interamente qual era il suo proposito. Il Papa, dotato come era di spiccata intelligenza, assentì ai desideri del Santo, secondo le forme stabilite, e aggiunse diverse esortazioni a lui e ai fratelli. Poi li benedì e rivolse loro queste parole: “Andate con il Signore, fratelli, e predicate a tutti la penitenza, secondo vi ispirerà il Signore. Quando Dio onnipotente vi avrà moltiplicati in numero e grazia, venite a riferircelo, e noi vi accorderemo privilegi maggiori e incarichi più impegnativi” (L3C 49).

Tuttavia, il Papa ebbe ancora dei dubbi. Stando ai Tre Compagni: Il Papa voleva però essere certo se l’approvazione concessa e i favori che si riprometteva di dare rispondessero alla volontà del Signore. Perciò prima di accomiatare il Santo, disse a lui e ai compagni: “Cari figlioli, il vostro genere di vita ci pare troppo duro e penoso. Essendo però così sincero il vostro fervore, non ci è possibile dubitare di voi. Tuttavia, è nostro dovere preoccuparci di quelli che in futuro saranno i vostri seguaci, affinché non trovino troppo ardua la vostra via”. Ma vedendo la loro fermezza nella fede, la loro speranza così fortemente ancorata in Cristo, che li induceva a respingere ogni mitigazione del loro slancio generoso, disse a Francesco: “Figlio, va’ e prega Dio di rivelarti se la vostra richiesta procede dalla sua volontà. Quando ci sarà manifestato il volere del Signore, verremo incontro ai tuoi desideri” (L3C 49). 

San Francesco si ritirò a pregare ed ebbe una visione di un re che aveva avuto molti figli da una donna povera e bellissima. La donna disse ai figli di non aver paura di andare alla corte del re, perché egli era il loro padre. Il re, di fatto, quando si presentarono davanti a lui, riconobbe i propri figli e li accolse nel suo palazzo. Francesco poi va davanti al Papa e gli spiega il significato di questa visione. 

“Sono il, signore, quella donna poverella che Dio ama e per sua misericordia ha reso bella e dalla quale si compiacque avere dei figli. Il Re dei re mi ha promesso che alleverà tutti i figli avuti da me, poiché se egli nutre gli estranei, a maggior ragione avrà cura dei suoi bambini. Cioè, se Dio largisce i beni temporali ai peccatori e agli indegni, spinto dall’amore per le sue creature, molto più sarà generoso con gli uomini evangelici, che ne sono meritevoli” (L3C 51). 

Questa visione di Francesco fu anche corroborata da un’altra visione che Innocenzo III ebbe durante un sogno. È la famosa visione della basilica di San Giovanni in Laterano che minacciava rovina e fu sostenuta da un uomo povero e piccolo, che è tanto nota nella iconografia di San Francesco. Fa meraviglia, tuttavia, che la stessa visione viene attribuita a Innocenzo III anche riguardo a San Domenico nelle fonti della vita del fondatore dei Predicatori. 

Il Papa, prima dell’arrivo di Francesco, aveva avuto anche lui una strana visione. Gli era parso che la basilica di San Giovanni in Laterano minacciava di rovinare; ma un religioso, piccolo e di aspetto meschino, la sorreggeva puntellandola con le proprie spalle. Attonito e spaventato, il Papa si svegliò e, da uomo riflessivo e perspicace, si concentrò per scoprire il significato di un tale sogno. Pochi giorni appresso giunse Francesco, gli palesò il suo proposito e gli chiese la conferma della Regola che aveva steso con poche semplici parole, servendosi delle espressioni del Vangelo, la cui osservanza perfetta gli stava sommamente a cuore (L3C 51). 

Sia Celano come i Tre Compagni sembrano presentare questo incontro di Francesco con Innocenzo III come se fosse avvenuto al massimo in due momenti e come fu assai facile a Francesco ottenere l’approvazione orale del suo propositum vitae. Stando ad una aggiunta alla Legenda Maior di San Bonaventura, scritta da Girolamo da Ascoli Piceno, successore di Bonaventura nel generalato, che la prese dal cardinale Riccardo de Annibaldis, le cose non furono così semplici per Francesco.

Quando giunse presso la Curia romana, venne condotto alla presenza del sommo Pontefice. Il Vicario di Cristo, che si trovava nel palazzo lateranense e stava camminando nel luogo chiamato ‘Speculum’, immerso in profondi pensieri, cacciò via con sdegno, come un importuno, il servitore di Cristo. Questi umilmente se ne uscì. 
Ma la notte successiva il Pontefice ebbe da Dio una rivelazione. Vedeva ai suoi piedi una palma, che cresceva a poco a poco fino a diventare un albero bellissimo. Mentre il Vicario di Cristo si chiedeva, meravigliato, che cosa volesse indicare tale visione, la luce divina gli impresse nella mente l’idea che la palma rappresentava quel povero, che egli il giorno prima aveva scacciato. Il mattino dopo il Papa fece ricercare dai suoi servi quel povero per la città. Lo trovarono nell’ospedale di Sant’Antonio, presso il Laterano, e per comando del Papa lo portarono in fretta al suo cospetto (LM III,9a). La vicenda poi continua con la storia del re che accoglie i figli della donna povera.

San Bonaventura riferisce anche come c’era stata una viva discussione davanti al Papa da parte dei cardinali, nella quale intervenne il cardinale Giovanni di San Paolo. Il Papa non volle approvare subito la norma di vita proposta dal poverello, perché ad alcuni cardinali sembrava strana e troppo ardua per le forze umane. Ma il cardinale Giovanni di San Paolo, vescovo di Sabina, persona degna di venerazione, amante di ogni santità e sostegno dei poveri di Cristo, infiammato dallo Spirito di Dio disse al sommo Pontefice e ai suoi fratelli cardinali: “Questo povero, in realtà, ci chiede soltanto che gli venga approvata una forma di vita evangelica. Se, dunque, respingiamo la sua richiesta, come troppo difficile e strana, stiamo attenti che non ci capiti di fare ingiuria al Vangelo. Se, infatti, uno dicesse che nell’osservanza della perfezione evangelica e nel voto di praticarla vi è qualcosa di strano o di irrazionale, oppure di impossibile, diventa reo di bestemmia contro Cristo, autore del Vangelo” (LM III,9).

La testimonianza data nell’aggiunta alla Legenda Maior di San Bonaventura trova anche un riscontro nella testimonianza di Ruggero di Wendover (morto nel 1236), monaco Benedettino dell’abbazia inglese di Saint Alban, che è unica nel suo racconto, ma che può offrire qualche base storica al fatto che inserì Girolamo da Ascoli Piceno nella Legenda Maior
Ecco il testo di Ruggero: Il Papa, dopo aver considerato attentamente da un lato quel frate in abito strano, dal volto disprezzabile, barba lunga, capelli incolti, sopracciglia nere e pendenti, e dall’altro quella petizione che egli presentava, così ardua e impossibile secondo il giudizio comune, lo disprezzò nel cuor suo e gli disse: “Va’, fratello, cercati dei porci, a cui saresti da paragonare più che agli uomini. Allora, ravvòltolati con loro nel fango e, consacrato loro predicatore, consegna ad essi la Regola che hai preparato”. Francesco non frappose indugio, ma subito, a capo chino se ne uscì. Faticò non poco a trovare dei porci; ma, quando finalmente si imbattè in un branco di essi, si ravvoltolò con loro nel fango fino a tanto che ne fu tutto imbrattato, il corpo e il vestito, dai piedi alla testa. E così ridotto, tornò nel concistoro e rivolto al Papa disse: “Signore, ho fatto come mi ha comandato; ora, ti prego, esaudisci la mia richiesta”. Il Papa, davanti a questo fatto, fu ripieno di ammirazione. Si dolse di aver disprezzato quell’uomo: ritornato in sé, gli comandò che andasse a lavarsi e poi ritornasse da lui. Francesco corse a lavarsi dal fango e prestamente ritornò alla sua presenza. Allora il Papa, preso da commozione verso di lui, approvò la sua petizione, concesse a lui e ai suoi seguaci l’ufficio della predicazione mediante privilegio della Chiesa romana e, dopo averlo benedetto, lo licenziò (Fonti Francescane 2285-2286).

Ritornando al racconto dei Tre Compagni, il Papa confermò oralmente il progetto di vita di Francesco e dei frati. Egli abbracciò il Santo e approvò la sua Regola. Autorizzò inoltre lui e i suoi compagni a predicare dovunque la penitenza, con la condizione, per i frati, che avessero il permesso di predicare anche da Francesco. Il pontefice poi confermò in concistoro l’approvazione concessa al nuovo movimento. 
Ottenute che ebbe queste concessioni, Francesco rese grazie a Dio; indi, mettendosi in ginocchio, promise con umiltà e devozione al signor Papa, obbedienza e rispetto. Gli altri fratelli, secondo l’ordinanza del pontefice, promisero a loro volta obbedienza e rispetto a Francesco. Ricevuta la benedizione da Innocenzo III, si recarono a visitare le tombe degli Apostoli. Il cardinale di San Paolo ottenne per Francesco e gli undici compagni la tonsura, poiché voleva che fossero aggregati al clero tutti e dodici (L3C 51-52).

Anche questa conclusione fatta dai Tre Compagni comporta qualche difficoltà. Essi dicono che il Papa confermò il propositum di Francesco in concistorio. È assai difficile capire cosa intende dire la L3C. Che il Papa approvò oralmente la primitiva forma di vita nel 1209/10 è fuori dubbio, ma che poi l’ha confermata nel concistoro (si tratta di una approvazione avuta durante il Concilio Lateranense IV nel 1215?) è difficile verificare. 

I testi dalle Fonti Francescane che abbiamo appena citato presentano un quadro assai complesso di quello che sarebbe successo nel 1209/10, quando Francesco va a Roma dal Papa Innocenzo III. Ricostruire la trama degli eventi non è una impresa facile. Probabilmente Francesco partì da Assisi di propria iniziativa, perché capiva che aveva bisogno di un appoggio forte per continuare la sua avventura evangelica con un numero sempre crescente di fratelli. Era al corrente della approvazione di altri progetti di vita comunitaria, tipo il propositum degli Umiliati che Innocenzo III aveva approvato qualche anno prima. 
Nel suo Testamento egli dice esplicitamente: nessuno mi mostrava cosa dovessi fare. Queste parole sono una prova che Francesco agì da solo, di propria iniziativa. Di fatto, era così inesperto che credeva di poter presentarsi davanti al Papa con un documento fatto semplicemente di qualche brano evangelico che egli aveva trovato e che cercava di vivere con i fratelli. Questa sua impreparazione viene fuori appena egli incontra il vescovo Guido e poi il cardinale Giovanni di San Paolo a Roma. 

Con Guido Francesco aveva delle relazioni amichevoli e lo considerava come suo padre spirituale. Tuttavia forse non capiva che lui non poteva agire di propria iniziativa senza consultare il suo vescovo, che era, dopo tutto, responsabile dell’incipiente gruppo nella sua diocesi di Assisi. Guido forse capiva che l’impreparazione di Francesco era dovuta semplicemente alla sua cultura laica, e superata la prima incomprensione lo indirizza ad un suo amico, il cardinale Giovanni di San Paolo, persona influente presso la curia papale. Senza questo appoggio forte Francesco non avrebbe mai potuto accostarsi al Papa e ai cardinali. Si potrebbe, tuttavia, stare a quello che fece scrivere Girolamo da Ascoli nella LM, e ipotizzare che Francesco avrebbe perfino azzardato di avvicinarsi alla persona di Innocenzo III mentre questi era assorto nei suoi profondi pensieri, passeggiando da solo. Non sappiamo come Francesco avrebbe potuto entrare nel palazzo pontificio e accostarsi così facilmente alla persona del Papa, ma sta di fatto che lui ha sorpreso Innocenzo III mentre questi stava solo, cioè, non attorniato dai curiali che potevano dargli consigli. La notizia non viene da una penna qualsiasi, ma da quella di un Ministro Generale dell’Ordine che divenne anche Papa, cioè, Niccolò IV. Messa in confronto con la storia riportata da Ruggero di Wendover, il racconto nella LM sembra più equilibrato, anche se la unicità del racconto di Ruggero non può essere trascurata, dato che proviene da un testimone fuori dell’ambito francescano. Ricordiamo che studiosi famosi delle fonti medievali francescane, come P. Kajetan Esser OFM, sono del parere che le testimonianze extra-francescane sono da prendere molto sul serio perché provengono da persone che non facevano parte dell’Ordine e che, quindi, erano neutrali quando sceglievano il materiale documentario che forniva loro da fonte alle loro cronache o leggende. 

Questo primo incontro con Innocenzo III finì in un fallimento totale per Francesco, che si vide cacciato fuori dal palazzo pontificio. Proprio in questo momento, Francesco avrebbe capito che non poteva mai convincere il Papa riguardo al suo progetto di vita evangelica, senza l’appoggio di una persona come il cardinale Giovanni di San Paolo. Seguono degli incontri in cui il cardinale cercò di capire le intenzioni di Francesco, di orientarlo a diventare religioso secondo i canoni già prestabiliti nella Chiesa. Fu un tentativo inutile, perché Francesco era convinto che il suo propositum vitae era ispirato dell’Altissimo. Il cardinale fu talmente convinto che, durante la discussione che seguì il primo incontro ufficiale di Francesco con Innocenzo III, fu lui stesso a difendere la apostolica vivendi forma di Francesco e dei frati, con le parole famose: “Se, infatti, uno dicesse che nell’osservanza della perfezione evangelica e nel voto di praticarla vi è qualcosa di strano o di irrazionale, oppure di impossibile, diventa reo di bestemmia contro Cristo, autore del Vangelo”

Questo primo incontro ufficiale di Francesco con Papa Innocenzo III e la curia romana non ebbe un risultato del tutto positivo, ma almeno apriva la via alla discussione seria sulle motivazioni di Francesco. La stessa discussione è prova che la forma di vita che Francesco stava proponendo era una cosa talmente nuova nella Chiesa che nessuno aveva mai pensato che fosse possibile attuarla. Fa vedere anche che tutti gli altri progetti di vita che Innocenzo III aveva approvato non toccavano gli stessi argomenti, ma si muovevano entro l’ambito della vita comunitaria sul modello di quella della prima comunità cristiana di Gerusalemme. Questa era già comprovata da una storia plurisecolare nell’ambito della vita monastica e canonicale, e non destava grandi difficoltà quando si trattava di applicarla nel contesto dei movimenti laicali ortodossi. 
Tutte le fonti insistono che Innocenzo III richiamò Francesco dopo il famoso sogno della basilica del Laterano che sembrava stesse crollando, ma che venne salvata tramite un uomo piccolo e povero che il Papa riconobbe essere lo stesso Francesco. Anche se la fonte sia identica a quello che si dice nelle fonti della vita di San Domenico, resta certo che Innocenzo III avrebbe pensato seriamente a quel personaggio così strano che gli si presentò dinanzi. Era profondamente toccato dal suo coraggio e dalla sua semplicità. Per questo lo richiamò e decise di approvare, solo oralmente, il suo propositum
Di fatto, l’approvazione del 1209/10 non legava Innocenzo III a nessun modo di riconoscere la validità della vita di Francesco e dei frati e sanzionarla ufficialmente. Le parole del Papa erano di indole molto diplomatico: “Andate con Dio, fratelli, e come Egli si degnerà ispirarvi, predicate a tutti la penitenza. Quando il Signore onnipotente vi farà crescere in numero e grazia, ritornerete lieti a dirmelo, ed io vi concederò con più sicurezza altri favori e uffici più importanti” (1C 33). 

Il mandato di Innocenzo III era semplicemente quello di predicare la penitenza, cosa questa, che era diventata comune in tutti i movimenti laicali del medioevo. La predicazione popolare era la vocazione dei primi Frati Minori, con una netta differenza dalla predicazione ufficiale e dottrinale concessa a San Domenico e ai Frati Predicatori. 
Tuttavia, ci sorprende la notizia che il cardinale Giovanni di San Paolo voleva che Francesco e i suoi fratelli avessero la tonsura e fossero aggregati al clero. Lasciamo aperta la discussione di cosa si intendono i biografi quando parlano di tonsura e di clerici nel contesto medievali di questi termini. È certo che ci voleva un segno di riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa affinché i fratelli potessero muoversi e predicare senza essere molestati. Vedremo che era assai difficile agli inizi del movimento, e che avrebbero incontrato parecchie difficoltà più tardi, tanto che la Chiesa doveva intervenire ufficialmente con dei documenti pontifici indirizzati ai vescovi. Quel che salta fuori dalla approvazione orale di Innocenzo III è che, da questo punto, Francesco e i fratelli cessano di essere legati semplicemente al contesto Assisano, e diventano un movimento con un respiro molto più ampio. La vocazione universale dei Frati Minori diventa una realtà, proprio come la sognava Francesco. 

Così concludono il racconto i Tre Compagni: 
Allora l’uomo di Dio partì da Roma con i fratelli, dirigendosi alla evangelizzazione del mondo. Era pieno di meraviglia nel vedere realizzato con tanto facilità il suo desiderio. Ogni giorno cresceva la sua speranza e fiducia nel Salvatore, che gli aveva preannunziato ogni cosa con le sue sante rivelazioni. Una notte, prima che ottenesse dal Papa quanto abbiamo detto, mentre dormiva, parve a Francesco di essere in cammino lungo una strada, ai bordi della quale sorgeva un albero di grandiose dimensioni, bello, forte, e vigoroso. Si avvicinò ad esso per meglio mirarne la maestosa bellezza. D’improvviso il Santo si sentì divenuto così alto, da poter toccare la cima dell’albero, riuscendo con estrema facilità a piegarlo fino a terra. 
E accadde proprio così, quando Innocenzo III, l’albero più elevato, bello e forte che sorgesse al mondo, si inclinò con tanta spontanea benevolenza alla domanda e alla volontà di Francesco (L3C 53).

SALVE SANCTE PATER

AMDG et BVM

giovedì 30 novembre 2017

VITA DI SAN FRANCESCO


IL DONO DEI FRATELLI 

Il lungo cammino di conversione di Francesco lo portò, pian piano, a scoprire la volontà del Signore, espressa in modo del tutto particolare nel Vangelo. 
Possiamo affermare che il contatto fisico con il “libro dei vangeli” può essere messo accanto al contatto fisico con la prigionia, la malattia, la grotta, i poveri, i lebbrosi, le chiese, i sacerdoti, il crocifisso di San Damiano, che diventano come dei quadri che parlano di una esperienza viva di ricerca inconscia di Cristo, che accompagnò Francesco almeno dal 1202 fino al 1208-09. 

Nel suo Testamento egli parla in modo molto sincero di questi immagini che lo hanno spinto a decifrare la presenza del Signore nei segni visibili, che prima non lo attiravano, ma che ora diventarono il suo programma di vita. 
L’episodio del 24 febbraio 1208 alla Porziuncola mise Francesco, per la prima volta, davanti alla parola scritta del Signore, che viene proclamata per echeggiare nelle orecchie del cuore. 
Tommaso da Celano ci dice che ogni tanto leggeva nei Libri Sacri, e scolpiva indelebilmente nel cuore ciò che anche una volta sola aveva immesso nell’animo. Per lui, la memoria teneva il posto dei libri, perché il suo orecchio, anche in una volta sola, afferrava con sicurezza ciò che l’affetto andava meditando con devozione (2C 102). 
Il Signore gli aveva parlato chiaramente nel testo evangelico che scoprì quel giorno alla Porziuncola. Tuttavia, Francesco era solo. Il suo progetto lo realizzava di giorno in giorno, prima con il restauro delle chiese povere e il chiedere l’elemosina come i poveri, e adesso con un nuovo stile di vestirsi, andando a predicare la buona novella a tutti. Ma era evidente che mancava il supporto umano, di cui ogni progetto ha bisogno per riuscire. 

Il Signore premiò la sua fede e aspettativa poco dopo l’episodio che abbiamo appena visto. Un numero crescente di persone veniva attirato dalla schiettezza e veracità dell’insegnamento e della vita di Francesco. Due anni dopo la sua conversione, alcuni uomini si sentirono stimolati dal suo esempio a fare penitenza e a unirsi a lui, rinunziando a tutto, indossando lo stesso saio e conducendo la stessa vita. 

Il primo fu Bernardo, di santa memoria. Considerando egli la perseveranza e il fervore di Francesco nel servire Dio, e come restaurava con dura fatica le chiese diroccate, conducendo un’esistenza così aspra, lui che in precedenza era vissuto nella comodità, prese la risoluzione in cuor suo di distribuire ai poveri ogni suo avere e di condividere fermamente l’ideale e la vita di Francesco. Un giorno, dunque, andò di nascosto dall’uomo di Dio, gli palesò la sua decisione, e si accordò con lui che venisse a trovarlo in una sera determinata. Francesco rese grazie a Dio e fu invaso dalla gioia: non aveva ancora nessun compagno e sapeva che messer Bernardo era un sant’uomo (L3C 27). 
Bernardo da Quintavalle era un riccho giovane di Assisi, che certamente conosceva molto bene Francesco. La sua casa si vede tuttora, nell’area che sta sotto la Piazza del Comune, vicino alla chiesa di Santa Maria Maggiore, in una strada che si chiama, appunto, Via Bernardo da Quintavalle. È una casa di apparenza nobile, con una facciata che ancora forse è quella medievale che ha visto Francesco, quando è andato quella sera a cenare e dormire dal suo amico.  
Alla sera convenuta, Francesco si recò alla casa di Bernardo con grande esultanza di cuore, e vi trascorse tutta quella notte. Tra le altre cose, messer Bernardo gli disse: “Se qualcuno per lunghi anni tenesse con sé i beni, molti o pochi, del suo padrone e poi non avesse più voglia di possederli, quale sarebbe il miglior modo di comportarsi?” Francesco rispose che dovrebbe restituire al padrone quello che aveva ricevuto da lui. Messer Bernardo seguitò: “E perciò, fratello, io voglio distribuire, nel modo che parrà a te più appropriato, tutti i miei beni temporali, per amore del mio Signore che me li ha dati”. Il Santo concluse: “Di buon mattino andremo in chiesa e consulteremo il libro dei Vangeli, per sapere quello che il Signore insegnò ai suoi discepoli”. Sul fare del giorno si alzarono, presero con sé un altro uomo di nome Pietro, che egualmente desiderava diventare loro fratello, ed entrarono nella chiesa di San Nicolò, vicina alla piazza della città di Assisi. 

Essendo dei semplici, non sapevano trovare le parole evangeliche riguardanti la rinuncia al mondo, e perciò pregavano devotamente il Signore affinché mostrasse la sua volontà alla prima apertura del libro (L3C 28). La chiesetta di San Nicolò l’abbiamo già incontrata, parlando della casa di Pietro di Bernardone, che si trovava probabilmente vicinissima. Oggi la chiesa non c’è più, ma esiste ancora la sua cripta romanica, dove c’è il museo del forum romano. La chiesa si trovava all’estremità della piazza, tra la Via Portica e Via di San Paolo, e si affacciava sulla Piazza del Comune di Assisi. 
Francesco conosceva bene quella chiesa, così vicina a casa sua, e dedicata a San Nicola, patrono dei commercianti. Finita la preghiera, Francesco prese il libro dei Vangeli ancora chiuso e, inginocchiandosi davanti all’altare, lo aprì. E subito gli cadde sott’occhi il consiglio del Signore: “Se vuoi essere perfetto, va’ e vendi tutti i tuoi beni e distribuiscili ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo” (Mt 19,21). 
Francesco, dopo aver letto il passo, ne fu molto felice e rese grazie a Dio. Ma, vero adoratore della Trinità, volle l’appoggio di tre testimoni; per cui aprì il libro una seconda e una terza volta. Nella seconda, incontrò quella raccomandazione: “Non portate nulla nei vostri viaggi” (Lc 9,3); e nella terza: “Chi vuole seguirmi, rinunzi a sé stesso” (Lc 9,23), ecc. Ad ogni apertura del libro, Francesco rendeva grazie a Dio, che approvava l’ideale da lui lungamente vagheggiato. Alla terza conferma che gli fu mostrata, disse a Bernardo e a Pietro: “Fratelli, ecco la vita e la regola nostra, e di tutti quelli che vorranno unirsi a noi. Andate dunque e fate quanto avete udito” (L3C 28-29). 
Il libro dei vangeli che consultò Francesco probabilmente era propriamente un Messale che esiste ancora nella collezione dei manoscritti di Walters Art Gallery a Baltimore, negli Stati Uniti, che risale all’epoca in cui visse Francesco, secondo studi appositamente compiuti su questo documento. Di nuovo, il contatto fisico con la parola di Cristo nel Vangelo, indica a Francesco il cammino da seguire. 

Il Signore gli aveva dato due nuovi fratelli: Bernardo da Quintavalle, e Pietro (non sappiamo se si trattasse di Pietro Cattanio), che avrebbero avuto molta importanza nel contesto della primitiva fraternità. Toccava adesso mettere in atto questo programma di vita. 
Andò messer Bernardo, che era assai ricco, e vendette ogni suo avere, ricavandone molto denaro, che distribuì interamente ai poveri della città. Anche Pietro eseguì il consiglio divino come gli fu possibile. Privatisi di tutto, entrambi indossarono l’abito che il Santo aveva preso poco dinanzi, dopo aver lasciato quello di eremita. E da quell’ora, vissero con lui secondo la forma del santo Vangelo, come il Signore aveva indicato loro. E così Francesco potè scrivere nel suo Testamento: “Il Signore stesso mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo” (L3C 29). Da questo momento nasce la prima fraternità intorno a Francesco d’Assisi. 

Dopo qualche tempo, fu arricchita con l’arrivo di un sacerdote, di nome Silvestro, che fece una vera e propria conversione, come ci raccontano i Tre Compagni. Il giorno che messer Bernardo stava distribuendo, come già abbiamo detto, i suoi beni ai poveri, Francesco era presente e mirava quell’opera stupenda del Signore, glorificandolo e lodandolo in cuor suo. 

Capitò colà un sacerdote, di nome Silvestro, da cui Francesco aveva comprato pietre per il restauro di San Damiano. Vedendo distribuire tutto quel denaro per consiglio dell’uomo di Dio, Silvestro fu preso da morbosa cupidigia e gli disse: “Francesco, non mi hai pagato come dovevi le pietre acquistate da me”. Udendo la recriminazione ingiusta, il Santo, che abominava l’avarizia, si accostò a messer Bernardo, affondò la mano nel suo mantello gremito di monete, e la tirò fuori piena di soldi, che versò al prete borbottone. Ne agguantò poi un’altra manciata, dicendo: “Sei pagato a dovere, adesso, messer sacerdote?” Rispose Silvestro: “Oh, sì, fratello”. E tutto gongolante tornò a casa col denaro. Ma pochi giorni dopo, il prete Silvestro, ispirato dal Signore, si mise a riflettere sul gesto di Francesco. 
E diceva fra sé: “Sono proprio un miserabile! Eccomi vecchio, e ancora a concupire e cercare insaziabilmente le cose di questo mondo; mentre questo giovane le disprezza e calpesta per amore di Dio”. La notte seguente, vide in sogno una immensa croce, la cui sommità toccava il cielo e il cui piede stava appoggiato alla bocca di Francesco, e i bracci si stendevano da una parte e dall’altra del mondo. Svegliatosi, il sacerdote capì e fermamente credette che Francesco era vero amico e servo di Cristo, e il suo movimento religioso si sarebbe dilatato prodigiosamente in tutto il mondo. Cominciò a temere Dio e a fare penitenza a casa sua. E poco tempo dipoi entrò nel nuovo Ordine, vi condusse una vita santa e finì con una morte gloriosa (L3C 30-31). 
I tre nuovi compagni, cioè, Bernardo da Quintavalle, Pietro (Cattanio?) e Silvestro, andarono con Francesco a vivere accanto alla cappellina di Santa Maria della Porziuncola. In questo luogo si potrebbe affermare che è nato l’Ordine dei Frati Minori, perché era qui che, da principio, i frati trovarono rifugio e potevano pregare nella cappella della Vergine degli Angeli, che Francesco aveva restaurato con le proprie mani. 

Sull’importanza della Porziuncola nella vita di Francesco e dei primi frati torneremo più tardi. Il giorno 23 aprile 1208, la nuova fraternità viene di nuovo arricchita con il dono di un fratello. Alcuni giorni più tardi, un assisano, Egidio, scese da loro, e con sincero rispetto e devozione, in ginocchio, pregò l’uomo di Dio di riceverlo con sé. Francesco, toccato dalla fede e bontà di lui e presagendo che potrebbe ottenere da Dio molta grazia (come poi accadde in effetto), lo ricevette lietamente (L3C 32). Egidio doveva essere uno dei frati più noti nella storia della prima generazione francescana. Francesco, a voce alta e chiara, cantava in francese le lodi del Signore, benedicendo e glorificando la bontà dell’Altissimo. Tanta era la loro gioia, che pareva avessero scoperto un magnifico tesoro nel podere evangelico della signora Povertà, per amore del quale si erano generosamente e spontaneamente sbarazzati di ogni avere materiale, considerandolo alla stregua di rifiuti. L’uomo di Dio non teneva ancora delle prediche al popolo ma, attraversando città e castelli, tutti esortava ad amare e temere Dio, a fare penitenza dei loro peccati. Egidio esortava gli uditori a credere nelle parole di Francesco, dicendo che dava ottimi consigli (L3C 33). Questa era la prima iniziativa di evangelizzazione della piccola fraternità. 
Egli è rimasto uno dei legami più forti con Francesco, particolarmente dopo la morte del santo, quando egli si era ritirato nel convento di Monteripido, presso Perugia, dove morì nell’aprile 1262. Dal primo istante, Francesco dimostrò un affetto del tutto particolare verso frate Egidio, forse per causa della sua semplicità e umiltà. 31 Francesco aveva ormai capito che la vocazione sua e dei frati era quella di annunziare il vangelo sul modello di Cristo e degli apostoli, conducendo una vita itinerante e povera. Appena il Signore gli donò i fratelli, si mise subito all’opera il suo grande progetto di evangelizzazione. Francesco, unitamente a Egidio andò nella Marca di Ancona, gli altri due si posero in cammino verso un’altra regione. Andando verso la Marca, esultavano giocondamente nel Signore.

Francesco ed Egidio partivano da Assisi dalla strada vecchia che, dalla Porta Parlascio, andava nella Marca di Ancona. Fu questa una delle regioni che ascoltò per prima il messaggio di pace e di gioia del poverello di Assisi. 
Sul modello dei discepoli che andarono a due a due per predicare, Francesco e i primi compagni si misero subito all’opera di evangelizzazione. 

La reazione iniziale della gente era una di sospetto di fronte a questi girovaghi giullari di Dio. Gli ascoltatori si domandavano l’un l’altro: “Chi sono questi due? Cosa ci stanno dicendo?” A quei tempi l’amore e il timor di Dio erano come spenti nei cuori, quasi dappertutto; la penitenza era ignorata, anzi la si riteneva una insensataggine ... Su questi uomini evangelici correvano perciò opinioni contrastanti. Alcuni li consideravano dei pazzoidi e dei fissati; altri sostenevano che i loro discorsi provenivano tutt’altro che da demenza. Uno degli uditori osservò: “Questi qui o sono uniti a Dio in modo straordinariamente perfetto, o sono dei veri insensati, poiché menano una vita disperata: non mangiano quasi niente, camminano a piedi nudi, hanno dei vestiti miserabili”. 
Ciò nonostante, vedendo quel modo di vivere così austero eppure così lieto, furono presi da trepidazione. Nessuno però osava seguirli. Le ragazze, al solo vederli da lontano, scappavano spaventate, nella paura di restare affascinate dalla loro follia. Percorsa che ebbero quella provincia, fecero ritorno al luogo di Santa Maria (L3C 34). 

La fraternità di questi poveri continava a crescere di giorno in giorno. Le Fonti non sono tutti concordi sui nomi degli altri fratelli che si univano a Francesco, Bernardo, Pietro, Silvestro ed Egidio. I Tre Compagni parlano di altri tre fratelli, Sabbatino, Morico, e Giovanni da Cappella, che si unirono alla fraternità quando Francesco e gli altri tornarono dalla loro prima missione e si stabilirono alla Porziuncola. La reazione dei cittadini di Assisi di fronte alla nuova fraternità non era inizialmente accogliente. Nessuno poteva capire come mai questi giovani, molti dei quali prima erano ricchi, adesso conducevano una vita da miserabili e, cosa ancora più grave, andavano in città a chiedere elemosina. Da parte loro, i genitori e i consanguinei, non li potevano vedere; gli altri concittadini li schernivano come eccentrici scervellati. A quei tempi infatti nessuno osava abbandonare i propri averi e andare a chiedere la carità di porta in porta (L3C 35). 

Per Francesco, l’avventura iniziale, anche se era molto bella, doveva essere mitigata con un certo stile di vita, man mano che la fraternità cresceva di numero. Certo, non si poteva continuare a vivere allo sbando, con il pericolo molto grave di essere ritenuti degli eretici e cacciati da ogni luogo in cui andavano a predicare e chiedere elemosina. 
Per questo, è impensabile che Francesco avrebbe potuto accogliere nuovi fratelli e associarli al suo progetto di vita, senza il permesso, o almeno la conoscenza, di qualcuno che era responsabile del gruppo agli inizi. Questa persona, stando ai Tre Compagni, era il vescovo Guido di Assisi.

Solo il vescovo di Assisi, al quale l’uomo di Dio ricorreva di frequente per consigliarsi, lo riceveva con benevolenza. Una volta gli ebbe a dire: “La vostra vita mi sembra dura e aspra, poiché non possedete nulla a questo mondo”. Rispose il Santo: “Messere, se avessimo dei beni, dovremmo disporre anche di armi per difenderci. È dalla ricchezza che provengono questioni e liti, e così viene impedito in molte maniere tanto l’amore di Dio quanto l’amore del prossimo. Per questo non vogliamo possedere alcun bene materiale a questo mondo” (L3C 35). 

Nell’estate del 1208 si unì alla fraternità Filippo Longo. Finalmente il loro numero divenne sette con frate Filippo, al quale il Signore aveva toccato e purificato le labbra con il carbone ardente, così che parlava di Dio con mirabile dolcezza. Interpretava la Scrittura, spiegando il significato più recondito, senza aver studiato nelle scuole (1C 25). Filippo Longo fu noto visitatore generale delle Clarisse nel 1219-1220 e nel 1228-1246. 

Alla fine dell’estate Francesco decise di mandare i nuovi fratelli in una nuova missione evangelizzatrice. 
I Tre Compagni ci riportano le parole di incoraggiamento che il santo disse ai suoi frati prima di accomiatarli. Francesco, pieno della grazia dello Spirito Santo, ai sei frati sopra citati, convocandoli presso di sé dalla selva che si estendeva presso la Porziuncola, nella quale entravano spesso per pregare, predisse quello che sarebbe avvenuto. 

Disse: “Fratelli carissimi, consideriamo la nostra vocazione. Dio, nella sua misericordia, ci ha chiamati non solo per la nostra salvezza, ma anche per quella di molti altri. Andiamo dunque per il mondo, esortando tutti, con l’esempio più che con le parole, a fare penitenza dei loro peccati e a ricordare i comandamenti di Dio”. 
E proseguì: “Non abbiate paura di essere ritenuti insignificanti o squilibrati, ma annunciate con coraggio e semplicità la penitenza. Abbiate fiducia nel Signore, che ha vinto il mondo! Egli parla con il suo Spirito in voi e per mezzo di voi, ammonendo uomini e donne a convertirsi a Lui e ad osservare i suoi precetti. Incontrerete alcuni fedeli, mansueti e benevoli, che riceveranno con gioia voi e le vostre parole. Molti di più saranno però gli increduli, orgogliosi, bestemmiatori, che vi ingiurieranno e resisteranno a voi e al vostro annunzio. Proponetevi, in conseguenza, di sopportare ogni cosa con pazienza e umiltà”. Udendo l’esortazione, i fratelli cominciarono ad aver paura. 
Ma il Santo seguitò: “Non abbiate timore, poiché fra non molto verranno a noi parecchi dotti e nobili, e si uniranno a noi nel predicare ai re, ai principi e ai popoli. In gran numero si convertiranno al Signore, che moltiplicherà e aumenterà la sua famiglia nel mondo intero” (L3C 36). 

In questa seconda missione, Francesco scelse la regione della valle di Rieti, che doveva rimanere uno dei luoghi più sacri della tradizione francescana. Secondo una tradizione locale, il santo arrivò nel paese di Poggio Bustone, salutando la popolazione locale con le parole: buon giorno, buona gente! Era un saluto che augurava la pace secondo lo stile evangelico che Francesco abbracciò. Ed era proprio a Poggio Bustone che Francesco, dopo una preghiera angosciosa in cui chiede perdono dei suoi peccati passati, si sente pienamente perdonato e sperimenta una pace interiore mai sentita prima di quel giorno. 

Tommaso da Celano ci racconta questo fatto, che viene ancora ricordato nello speco che i frati dimostrano a poca distanza dal convento di Poggio Bustone. Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo: “O Dio, sii propizio a me peccatore!” A poco a poco si sentì inondare nell’intimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l’angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell’animo per timore del peccato, scomparvero, e gli fu infusa la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi, come rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente, poté contemplare liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro (1C 26). 
Era il punto di liberazione dalle angoscie passate nella cripta vicino ad Assisi, quando con lacrime invocava il Signore di rivelargli la sua volontà. Anche se Francesco adesso ebbe una risposta assai chiara da parte di Cristo, con l’invito del crocifisso di San Damiano, con la scoperta dei testi del vangelo, con l’arrivo dei fratelli, sentì un intimo bisogno di essere pienamente riconciliato con il suo passato, e di aprirsi con fiducia incondizionata al futuro. Allora fece ritorno ai suoi frati e disse loro pieno di gioia: 
“Carissimi, confortatevi e rallegratevi nel Signore: non vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, Egli ci renderà una innumerevole moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Sono costretto a raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; sarebbe più opportuno conservare il segreto, se la carità non mi costringesse a parlarne. Ho visto una gran quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l’abito della santa Religione e secondo la Regola del nostro beato Ordine. Risuona ancora nelle mie orecchie il rumore del loro andare e venire conforme al comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro, provenienti da quasi tutte le nazioni: accorrono francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi; sopraggiunge la folla di altre varie lingue” (2C 27). 

Certamente, è una visione che non poteva essere possibile storicamente nel lontano 1208, quando i primi fratelli erano soltanto otto, ma va vista alla luce dello sviluppo ulteriore dell’Ordine. Sta di fatto che Francesco ebbe una assicurazione che il piccolo gruppo di frati era destinato a crescere e ad abbracciare membri provenienti da tutte le nazioni. 
È assai probabile che ci fosse anche una terza missione dei frati. Francesco decide di mandare i frati a due a due nelle quattro direzioni, secondo il precetto evangelico. Nello stesso tempo entrò nell’Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro numero fu portato a otto. 

Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno, e disse loro: 
“Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno”. Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano davanti al beato padre, che, abbracciandoli con tenerezza e devozione, diceva ad ognuno: “Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te” (Sal 54,23). Questa frase egli ripeteva ogni volta che mandava qualche frate ad eseguire l’obbedienza. 
Allora frate Bernardo con frate Egidio partì per Compostella, al santuario di San Giacomo, in Galizia; 
san Francesco con un altro compagno scelse un’altra parte; gli altri quattro, a due a due, si incamminarono verso le altre direzioni (1C 29-30). 

Questa missione faceva sperimentare tutte le conseguenze del precetto evangelico di andare a due a due per annunziare il regno di Dio senza portare niente lungo la strada. La reazione iniziale della gente era, naturalmente, una di sospetto verso questi uomini che sembravano, stando ai Tre Compagni, degli “esseri boschivi”. Ognuno che li vedeva, ne era fortemente meravigliato, per quel loro modo di vestire e di vivere così differente da qualunque altro: sembravano proprio degli esseri boschivi. Dove entravano, fosse una città, un castello, un villaggio, un’abitazione, annunziavano la pace, esortando uomini e donne a temere e amare il Creatore del cielo e della terra, e ad osservare i suoi comandamenti (L3C 37). 
In questo contesto di incomprensione, i primi frati dovevano pur presentarsi agli altri. Non potevano certo dire che erano un Ordine religioso approvato dalla chiesa. Di fatto, stando alle leggi ecclesiastiche, erano soltanto un gruppo di penitenti che avevano il beneplacito del vescovo Guido di Assisi. Quando Francesco mandava i suoi frati fuori della diocesi di Assisi, stava rischiando grosso sulla sua e la loro reputazione. Tutto questo fa vedere anche quanto Francesco fosse inizialmente inesperto nella organizzazione del suo gruppo, e certamente che non aveva mai in testa di formare un Ordine religioso. Lo studioso Francescano Kajetan Esser parla di un periodo iniziale in cui i primi frati con Francesco erano semplicemente una fraternitas di penitenti, e che solo dopo, con l’approvazione papale, loro divennero un ordo. 

La distinzione tra fraternitas e ordo è molto importante per capire lo sviluppo storico di quello che poi divenne l’Ordine dei Frati Minori
I Tre Compagni sembrano confermare questa affermazione quando scrivono: C’era chi li stava ad ascoltare volentieri e chi al contrario li beffava. Per lo più venivano bersagliati di una tempesta di domande. Dicevano alcuni: “Da dove venite?” Altri chiedevano a che Ordine appartenessero. Benché riuscisse fastidioso rispondere a tante interrogazioni, essi confessavano con semplicità di essere dei penitenti, oriundi di Assisi. Infatti, il loro Ordine non era ancora detto Religione (L3C 37). La distinzione tra una semplice fraternitas di penitenti e una religio (ordine religioso) appare chiara in questo contesto. I primi frati erano consci di vivere una vita di penitenti, proprio come vivevano tanti altri movimenti laicali nel medioevo, come abbiamo già dimostrato sopra. Forse il nome viri poenitentiales de civitate Assisi oriundi costituisce il primo appellattivo che i frati davano a sé stessi. 

Questo stato di cose naturalmente metteva i frati in pericolo di essere perseguitati. Così avvenne, stando sempre ai Tre Compagni, a Bernardo e Egidio quando questi si fermarono a Firenze, e chiesero un alloggio per la notte vicino ad un forno. Furono cacciati via, ma l’indomani mattina la padrona di casa li trovò in chiesa che pregavano devotamente. 
Fu più impressionata quando vide che loro rifiutavano con dolcezza le elemosine in denaro che un uomo di nome Guido li elargiva. Anche lui rimase stupito che non si comportavano come gli altri poveri, ma Bernardo spiegò a lui che loro avevano lasciato tutte le ricchezze del mondo di spontanea volontà per vivere il vangelo. Fu così che la donna si avvicinò ad essi e si convinse della loro santità, mentre Guido li accolse a casa sua. 

Queste prime esperienze di evangelizzazione missionaria erano la prova della vocazione dei primi frati. Ogni volta che Francesco mandava i frati in missione, pregava che ritornassero alla Porziuncola sani e salvi per ringraziare il Signore per il suo aiuto nella loro impresa. Passato breve tempo, san Francesco, desiderando di rivederli tutti, pregò il Signore, il quale raccoglie i figli dispersi d’Israele, che si degnasse nella sua misericordia di riunirli presto. E tosto, secondo il suo desiderio e senza che alcuno li chiamasse, si ritornarono insieme e resero grazie a Dio. Prendendo il cibo insieme manifestano calorosamente la loro gioia nel rivedere il pio pastore e la loro meraviglia per aver avuto il medesimo pensiero (1C 30). 

Durante questo tempo si aggregarono a loro e si fecero discepoli di Francesco altri quattro uomini degni e virtuosi (1C 31). Tommaso da Celano sembra alludere a Giovanni da San Costanzo, Barbaro, Bernardo di Vigilante e Angelo Tancredi, anche se non c’è nessun accordo riguardo all’identità esatta dei primi dodici compagni. Tuttavia, con questi quattro, il numero dei fratelli diventò dodici, e preparò così la decisione di Francesco di portare il gruppo a Roma dal Papa Innocenzo III. 

L’esperienza della prima fraternità era per Francesco un richiamo all’umiltà delle origini, in modo tale che nel suo Testamento, parla chiaramente di questo momento come un periodo d’oro nella vita dell’Ordine. E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più. Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i ‘Pater noster’; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti. Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta. Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: “Il Signore ti dia la pace” (Testamento, 16-23). 

Questo ritratto della vita dei primi frati è confermato dalle Fonti Francescane. I Tre Compagni scrivono: Occupavano la giornata nell’orazione e lavorando con le loro mani, in maniera da evitare risolutamente l’ozio, nemico dell’anima. A mezza notte si alzavano per la preghiera, animata da gemiti e lacrime. 

Si amavano l’un l’altro con un  affetto profondo, e a vicenda si servivano e procuravano il necessario, come farebbe una madre col suo unico figlio teneramente amato. Tale era l’affetto che ardeva loro in cuore, che erano pronti a consegnarsi alla morte senza esitare, non solo per amore di Cristo, ma anche per salvare l’anima o il corpo dei fratelli (L3C 41). Pian piano i fratelli guadagnavano la simpatia delle persone che prima li avevano perseguitati e ritenuti come pazzi. Molte persone, vedendo i frati sereni nelle tribolazioni, alacri e devoti nella preghiera, non avere ne ricevere denaro, coltivare tra loro amore fraterno, da cui si riconosceva che erano veramente discepoli del Signore, impressionate e dispiaciute, venivano da loro, e domandavano scusa delle offese fatte. Essi perdonavano di cuore, dicendo: “Il Signore vi perdoni!”, e davano consigli utili alla loro salvezza (L3C 41). 

Così, i primi frati si erano organizzati come una vera e propria famiglia evangelica. Tuttavia, mancava un programma ben definito. Francesco si rese conto che la scoperta del vangelo come norma di vita aveva bisogno di essere, in un certo modo, codificata, per dare più consistenza al piccolo gruppo di fratelli. Non sapeva affatto come avrebbe affrontato questa nuova esigenza. Sapeva soltanto che aveva bisogno di un appoggio forte per continuare in quella avventura evangelica, senza mettere i fratelli in un grave pericolo di essere presi per eretici. Per questo decise di andare a Roma dal Papa Innocenzo III. 

Una decisione coraggiosa e, in un certo modo, troppo ardita. Tuttavia, non era il primo ad affrontare un Papa così grande come Innocenzo III, e probabilmente sapeva che il Papa aveva già dato la sua benedizione, se non anche l’approvazione, ad altre simili forme di vita, come quella degli Umiliati in Lombardia. Francesco prese il rischio e, probabilmente di propria iniziativa, decise di portare i dodici fratelli a Roma da Innocenzo III. 
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sabato 25 novembre 2017

“Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?” Rispose: “Il padrone”.


 (Cont. del capitolo Nascita e giovinezza di Francesco

L’8 gennaio 1198 fu eletto Papa il cardinale Lotario dei Conti di Segni, che prese il nome di Innocenzo III
Fu Papa dal 1198 fino al 16 luglio 1216, ed è considerato il Papa più grande dell’alto medioevo. Se l’imperatore Federico II era considerato come uno stupor mundi, uno stupore del mondo, Innocenzo III non sarebbe stato di meno. 
La sua elezione veniva in un momento di grande importanza sia per la Chiesa che per il mondo civile. Innocenzo III era il Papa adatto per dare una nuova direzione alla Chiesa, che aveva urgente bisogno di una riforma dall’alto in basso. 

I problemi legati alla ignoranza del clero, erano complicati con il pullulare di molti movimenti di laici che volevano una riforma della Chiesa sul modello della vita di Cristo e gli apostoli. Movimenti di cui abbiamo parlato, come gli Umiliati in Lombardia, che Innocenzo III saggiamente prese sotto la tutela della Chiesa approvando il loro propositum vitae, o forma di vita. Ma c’erano altri movimenti pericolosi per la Chiesa, che si contaminavano con l’eresia, negando l’umanità di Cristo, e i sacramenti amministrati in modo particolare dal clero contaminato con la simonia e il concubinaggio. 

Catari, o Albigesi, e anche Valdesi, o Poveri di Lyon, vivevano in assoluta povertà sul modello evangelico di Cristo e gli apostoli, e predicavano in volgare conducendo una vita itinerante. Contro questi ultimi Innocenzo III aveva soltanto una soluzione, indire una crociata per la loro conversione, ed eventualmente, per la loro distruzione se rifiutassero di ritornare in seno alla Chiesa. 

Innocenzo III era anche un Papa forte dal punto di vista politico. Egli voleva rivendicare alla Chiesa tutte le terre che appartenevano al patrimonio di San Pietro, cioè tutte le terre dell’Italia centrale che componevano quello che sarebbe stato chiamato lo Stato Pontificio. Questi territori erano sempre sotto la minaccia dell’egemonia dell’imperatore, che pure aveva grandi territori, particolarmente nel sud Italia e in Sicilia. Assisi, in questo momento storico, faceva parte del ducato di Spoleto, che era un territorio imperiale, mentre altre parti dell’Umbria, specialmente Perugia, facevano parte dei territori papali.

 L’imperatore Enrico VI, figlio di Federico I Hohenstaufen (Barbarossa), aveva sposato la principessa normanna Costanza d’Altavilla, del regno della Sicilia. Nel 1196 egli aveva lasciato suo figlio, Federico Ruggero, alla cura di un suo amico e confidente, il conte Conrad von Ürslingen di Lützelhardt, che risiedeva nella Rocca sopra Assisi. Quando Innocenzo III fu incoronato Papa, l’imperatore voleva fare un gesto di generosità per non indurre il Papa subito alla guerra, siccome il Papa rivendicava per sé il ducato di Spoleto. Allora l’imperatore mandò Conrad a Spoleto per consegnare ai legati papali il ducato che egli rivendicava. 
Era il 1198. I cittadini di Assisi, particolarmente i minores, vedevano in questo momento l’occasione opportuna per ribellarsi contro il predominio imperiale. Salivano alla Rocca e la distrussero. Poi cercavano di cacciare via i nobili feudatari che erano tutti alleati dell’imperatore. 

Tra queste famiglie c’era la famiglia di Chiara di Favarone di Offreduccio, che aveva il suo palazzo accanto alla chiesa cattedrale di San Rufino.
Chiara era nata nel 1193 da una madre di profondo senso spirituale, chiamata Ortolana, e da un padre che proveniva da una delle famiglie di cavalieri guerrieri e nobili di Assisi. Nel 1198 la famiglia di Chiara dovette fuggire da Assisi e, come tante altri nobili, trovare rifugio presso la città vicina di Perugia. 

La rivolta degli Assisani portò la città allo stato di guerra civile, anche perché i cittadini di Assisi non soltanto volevano liberarsi dal dominio imperiale, ma erano anche molto sospettosi del dominio papale, avendo in mente di istituire un Comune autonomo. 
Il loro sogno, tuttavia, doveva incontrare grosse difficoltà, perché i nobili cacciati in Perugia cercavano di ricuperare i loro antichi diritti di proprietà. Nel 1202 iniziarono i due anni in cui Francesco sperimentò la gloria, e la follia, della guerra. 

Le relazioni tra Assisi e Perugia peggioravano nel 1202, a tal punto che si combatteva tra le due città. La battaglia si svolse in un luogo chiamato Collestrada, o Ponte San Giovanni, vicino alla città di Perugia. La guerra durò per un lungo tempo, dal 1202 fino al 1209, finché si stabiliva una situazione di relativa pace tra i maiores, che guadagnavano i loro antichi diritti in Assisi, e i minores, che guadagnavano una certà importanza nel governo della città. 

Francesco partecipò con slancio nella battaglia di Collestrada, e poteva ben essere considerato come uno dei milites, o cavalieri, perché era attrezzato con tutta l’armatura necessaria per il combattimento. Purtroppo, la battaglia finì in un disastro per gli Assisani, e Francesco, con molti altri che scampavano dalla morte, fu preso vivo come un prigioniero, e lasciato a languire in una squallida prigione per un anno, quando probabilmente fu riscattato da suo padre. 
Tra Perugia e Assisi si erano riaccese le ostilità, durante le quali Francesco fu catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugia. 
Essendo signorile di maniere, lo chiusero in carcere insieme con i nobili. Una volta, mentre i compagni di detenzione si abbandonavano all’avvilimento, lui, ottimista e gioviale per natura, invece di lamentarsi, si mostrava allegro. Uno dei compagni allora gli disse che era matto a fare l’allegrone in carcere. Francesco ribatte con voce vibrata: “Secondo voi, che cosa diventerò io nella vita? Sappiate che sarò adorato in tutto il mondo”. 
Un cavaliere del suo gruppo fece ingiuria a uno dei compagni di prigionia; per questo, gli altri lo isolarono. Soltanto Francesco continuò a essergli amico, esortando tutti a fare altrettanto. Dopo un anno, tra Perugia e Assisi fu conclusa la pace, e Francesco rimpatriò insieme ai compagni di prigionia (L3C 4). 

La pace a cui riferisce la Leggenda dei Tre Compagni fu conclusa tra le due città, ma soltanto per breve tempo. Assisi, di fatto, era molto più piccola della rivale e potente Perugia, ed era una follia andare contro questa avversaria. Francesco uscì dall’incubo di un anno di prigione malato e senza forze fisiche. Per un periodo assai lungo di tempo, che va dal 1203 fino alla fine del 1204, non poteva uscire da casa, e fu curato soltanto grazie alle cure amorose di sua madre. 

Ma neanche lo squallore e il terrore della prigione Perugina avevano diminuito in Francesco il sogno di diventare grande. Egli sognava di diventare un cavaliere, di andare in crociata e ritornare pieno di gloria alla sua città natale. L’occasione si presentò agli inizi del 1205. In quell’anno Gualtiero da Brienne, un famoso guerriero e conte di Lecce, lottava nelle Puglie per salvaguardare i diritti di Innocenzo III in quelle terre.Francesco decise di unirsi a lui e andare alla guerra nelle Puglie. 

Passarano degli anni. Un nobile assisano, desideroso di soldi e di gloria, prese le armi per andare a combattere in Puglia. Venuto a sapere la cosa, Francesco è preso a sua volta dalla sete di avventura. Così, per essere creato cavaliere da un certo conte Gentile, prepara un corredo di panni preziosi; poiché, se era meno ricco di quel concittadino, era però più largo di lui nello spendere (L3C 5). Prima di partire per questa spedizione con il conte Gentile, il cui nome può semplicemente essere un attributo (“un conte molto gentile”), Francesco ebbe il primo di una serie di sogni, che le fonti interpretano come visioni o rivelazioni del Signore.

Sarebbe una cosa molto interessante fare uno studio sui sogni di Francesco, specialmente quelli della sua giovinezza, perché ci possono dire tanto sul suo stato d’animo in questi anni. 
Francesco sognò di stare in uno splendido solenne palazzo, in cui spiccavano, appese alle pareti, armature da cavaliere, splendenti scudi e simili oggetti di guerra. Francesco, incantato, pieno di felicità e di stupore, domandò a chi appartenessero quelle armi fulgenti e quel palazzo meraviglioso. Gli fu risposto che tutto quell’apparato insieme al palazzo era proprietà sua e dei suoi cavalieri (L3C 5). 
Questo sogno era molto comprensibile, considerando lo stato d’animo di Francesco, pieno di gioia e di un senso di avventura per andare a conquistare la fama di un cavaliere, anzi, di un grande principe. Il sogno confermò il suo intento di partire al più presto possibile per la Puglia. Ma prima di partire fece un altro gesto di grande generosità e cortesia. Quel giorno infatti aveva donato a un cavaliere decaduto tutti gli indumenti, sgargianti e di gran prezzo, che si era appena fatto fare (L3C 6). 
Il Celano -2C 5- fa vedere come questo gesto di generosità cristiana da parte di Francesco era simile a quello che fece San Martino di Tours, donando metà del suo mantello al povero. 
Celano, di fatto, scrive la vita di San Francesco sulla falsariga delle vite dei santi più illustri, tra le quali la vita di San Martino scritta da Sulpicio Severo era popolare nel mondo cavalleresco di ancora: Un giorno incontrò un cavaliere povero e quasi nudo: mosso a compassione, gli cedette generosamente, per amore di Cristo, le proprie vesti ben curate, che indossava. È stato, forse, da meno il suo gesto di quello del santissimo Martino? Eguali sono stati il fatto e la generosità, solo il modo è diverso: Francesco dona le vesti prima del resto, quello invece le dà alla fine, dopo aver rinunciato a tutto. 

Il gruppo di avventurieri partì da Assisi con pompa. Dopo un giorno di cavalcatura, arrivarono a Spoleto, dove passarono la notte. Francesco, tuttavia, non poteva dormire. Forse non si sentiva bene, o forse già sentiva la mancanza dei suoi cari. Tuttavia, preoccupato del suo viaggio, mentre riposava, nel dormiveglia intese una voce interrogarlo dove fosse diretto. Francesco gli espose il suo ambizioso progetto. E quello: “Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?” Rispose: “Il padrone”. Quello riprese: “Perché dunque abbandoni il padrone per seguire il servo, e il principe per il suddito?” Allora Francesco interrogò: “Signore, che vuoi che io faccia?” Concluse la voce: “Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa devi fare; poiché la visione che ti è apparsa devi interpretarla in tutt’altro senso” (L3C 6). Quella notte fu un nuovo inizio per Francesco. 

Non sappiamo esattamente cosa ha sentito, o quali siano state le ragioni che lo hanno convinto a credere al suo sogno. Sta di fatto che, spuntato il mattino, in gran fretta dirottò il cavallo verso Assisi, lieto ed esultante. E aspettava che Dio, del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua volontà, mostrandogli la via della salvezza. Ormai il suo cuore era cambiato. Non gl’importava più della spedizione in Puglia: solo bramava di conformarsi al volere divino (L3C 6). 

I Tre Compagni danno una motivazione teologica allo stato di animo di Francesco. Non sappiamo se, a questo momento della sua vita, Francesco era ancora conscio della voce interiore di Cristo che lo chiamava a conformarsi al volere divino. 
Ma c’è un’espressione che colpisce: ormai il suo cuore era cambiato. Francesco comincia un lungo e penoso processo di conversione profonda. I suoi sogni di gloria si cambiano prima in delusione al suo fallimento, poi in un senso di incertezza, e infine in una ricerca angosciata per scoprire la luce della volontà divina. 

Se avesse partecipato alla spedizione in Puglia sarebbe rimasto deluso. Gualtiero da Brienne morì nel giugno 1205, pochi mesi dopo che gli Assisani erano partiti per unirsi ai suoi soldati. 
Il periodo 1205-1208 segna quello che viene chiamato il periodo della conversione di Francesco. Qualcuno ha parlato di conversioni di Francesco, e forse a ragione, considerando che questi tre anni erano pieni di esperienze diverse che hanno aiutato Francesco a crescere e a maturare la sua vocazione evangelica. 

Erano gli anni che dovevano vedere Francesco svincolarsi dalla compagnia dei suoi amici, sperimentare la vita dei mendicanti, incontrare un lebbroso, sentire la voce di Cristo nel crocifisso di San Damiano, vivere da oblato in questa chiesetta, essere perseguitato dal padre fino ad apparire nudo davanti al vescovo Guido di Assisi, per diventare un uomo nuovo, per fare il salto nel buio da Francesco, figlio di Pietro di Bernardone, a frate Francesco, figlio del Padre che sta nei cieli.

Il futuro araldo di Cristo Re

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