L’APPROVAZIONE DELLA PRIMA FORMA DI VITA
L’esperienza di tre spedizioni missionari di evangelizzazione nel contesto limitato
italiano, con qualche eccezione di un viaggio fuori Italia, come nel caso di Bernardo che
va a Compostella, forma la base di una ulteriore verifica del primo nucleo di fratelli
intorno a Francesco.
Una verifica che doveva per forza mettere il gruppo di fronte alle
proprie responsabilità di annunziare il vangelo con una testimonianza di vita itinerante e
povera, ma, nello stesso tempo, con una qualche assicurazione che questa opera iniziale
potesse proseguire senza grandi ostacoli.
Francesco sapeva benissimo che questo non
poteva succedere se il gruppo rimaneva legato soltanto alla giurisdizione episcopale di
Guido nel contesto molto limitato della diocesi di Assisi. Egli era al corrente degli
sviluppi che succedevano nella Chiesa, particolarmente riguardo all’apertura di
Innocenzo III verso quei gruppi innovatori di indole evangelica che volevano sottostare
alla tutela della gerarchia ecclesiastica e dentro l’ambito dell’ortodossia.
Per queste
ragioni decise di andare direttamente da Papa Innocenzo III. Certamente, non fu
un’impresa facile. Non ci è dato neppure sapere se Francesco fosse, di fatto, al corrente
della quasi impossibilità di accedere al Papa senza un intermediario forte e influente nella
curia romana.
Dato la semplicità e l’immediatezza di carattere di Francesco, non ci
sorprende che egli si incamminò verso Roma con i compagni presagendo un senso di
avventura dell’ignoto, o meglio, confidando unicamente nello stesso Cristo che lo aveva
mandato a restaurare la sua Chiesa. Forse già adesso Francesco capiva che l’invito del
crocifisso di San Damiano riguardava una chiesa diversa da quelle chiesette di campagna
che egli aveva restaurato con le proprie mani.
Nel Testamento, che rimane lo scritto autobiografico per eccellenza del santo,
Francesco scrive così:
E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che
cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma
del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor
Papa me la confermò (Testamento, 14-15)
Quale era questa “forma del santo Vangelo” che Francesco scelse di vivere con i
suoi frati? O meglio, quale era il documento scritto che lui ha presentato a Innocenzo III?
Francesco sapeva che non poteva andare davanti al Papa a mani vuote, raccontando
un’esperienza di vita senza nessun fondamento scritto. Eppure egli non si sentiva capace
di scrivere una regola. Non sognava neanche di essere capace di mettersi accanto ai
grandi fondatori delle famiglie religiose presenti allora, come potevano essere San
Basilio, Sant’Agostino, San Benedetto, San Bernardo.
Eppure, stando a quel che dice nel
Testamento, Francesco fece scrivere in poche parole semplici la sua forma di vita
evangelica.
Vedendo che di giorno in giorno aumentava il numero dei suoi seguaci,
Francesco scrisse per sé e per i frati presenti e futuri, con semplicità e brevità, una
norma di vita o Regola, composta soprattutto di espressioni del Vangelo, alla cui
osservanza perfetta unicamente aspirava. Ma vi aggiunse poche altre direttive
indispensabili e urgenti per una santa vita in comune (1C 32).
Da Tommaso da Celano sappiamo che questa forma di vita era composta
soprattutto di brani presi ad litteram dal Vangelo, con qualche altra direttiva pratica.
Purtroppo non conosciamo il contenuto di questo documento, che può essere considerato
la base di tutte le regole successive scritte da Francesco. La protoregola, come si chiama
qualche volta, è persa, se non ci si vuole stare all’opinione di qualche studioso che, di
fatto, è presente in qualche brano della Regola non bollata del 1221, che è il risultato
finale di un lungo processo di formazione di testi legislativi francescani, incominciando
proprio dalla forma di vita del 1209-10. Di fatto, nel capitolo 1 e nel capitolo 14, come
pure in altri testi, della Regola non bollata, ci imbattiamo proprio nei testi evangelici che
Francesco e i primi compagni avevano consultato all’inizio della loro vocazione
evangelica.
Sta di fatto che Francesco andava a Roma con un propositum vitae. Di questi
documenti Innocenzo III si era messo al corrente, particolarmente quando approvò il
propositum degli Umiliati qualche anno prima. Francesco certamente conosceva questo,
e cercò di imitare, a modo suo, lo stesso metodo di questi gruppi penitenti che andavano a
chiedere l’approvazione papale per la loro forma vitae. Ma se identico era il metodo
usato da Francesco per andare dal Papa, cioè, scrivendo un propositum per i suoi frati,
diverso era il contenuto che egli proponeva, come vedremo di seguito.
Siamo quindi nel 1209 o, secondo altri studiosi, nella primavera del 1210. I Tre
Compagni spiegano con grande dettaglio cosa accadde a Roma.
Vedendo Francesco che il Signore accresceva i suoi fratelli in numero e in meriti
– erano ormai in dodici, perfettamente concordi nello stesso ideale -, si rivolse agli
undici, lui che era il dodicesimo, guida e padre del gruppo: “Fratelli, vedo che il Signore
misericordioso vuole aumentare la nostra comunità. Andiamo dunque dalla nostra
madre, la santa Chiesa romana, e comunichiamo al sommo pontefice ciò che il Signore
ha cominciato a fare per mezzo di noi, al fine di continuare la nostra missione secondo il
suo volere e le sue disposizioni”.
L’iniziativa del Padre piacque agli altri fratelli. Al momento di partire verso la
curia romana, il Santo disse: “Eleggiamo come capo uno del nostro gruppo,
considerandolo quale vicario di Gesù Cristo. Andremo dove lui ci indicherà, e quando
stabilirà di fare una sosta, ci fermeremo”. Scelsero Bernardo, il primo seguace di
Francesco, e si comportarono con lui come il Santo aveva suggerito (L3C 46).
Il gruppo viaggiò a Roma lungo la via Salaria, che era la strada che di solito
prendeva Francesco per andare dalla città ad Assisi. Arrivati che furono alla curia
romana, che era al Laterano, incontrarono Guido, il vescovo di Assisi. Stando a quello
che dicono i Tre Compagni, non sembra che Guido si era messo al corrente di questa
visita.
Ignorando il motivo della loro venuta, fu preso da ansietà: temeva che volessero
abbandonare Assisi, dove il Signore aveva cominciato per loro mezzo a compiere
meraviglie di bene. Egli era fiero e felice di avere nella sua diocesi uomini così zelanti,
sulla cui vita esemplare faceva moltissimo conto. Quando però seppe lo scopo del
viaggio e comprese i loro progetti, ne fu rasserenato e promise di consigliarli e aiutarli
(L3C 47).
Fu proprio questa la reazione di Guido? Si potrebbe concludere che i Tre
Compagni vogliono presentare l’iniziativa come un successo fin dagli inizi.
Probabilmente non fu così. Guido non sarebbe stato molto contento vedere Francesco e i
frati a Roma a chiedere udienza dal Papa Innocenzo III senza la sua autorizzazione. Egli
era ancora l’unico responsabile del gruppo, e l’azione di Francesco poteva sembrare troppo azzardata, se non addirittura una scortesia verso la legittima autorità ecclesiastica.
Non sappiamo cosa ha pensato Guido, perché le Fonti non hanno intenzione di
documentare gli “sbagli giuridici” di Francesco. Comunque, superata la prima
incomprensione e capito il vero scopo del viaggio, Guido si mise ad aiutare Francesco
con tutti i mezzi a sua disposizione. Certamente non voleva che il gruppo si presentasse
al Papa come dei poveri girovaghi senza dimora fissa o appartenenza giuridica
all’autorità del proprio pastore.
Il vescovo di Assisi era legato d’amicizia al cardinale Giovanni di San Paolo,
vescovo di Sabina, uomo veramente pieno della grazia di Dio e particolarmente attirato
verso gli uomini di vita santa. Avendo appreso dal vescovo di Assisi la vicenda di
Francesco e dei suoi fratelli, Giovanni desiderava vivamente d’incontrare il Santo e
qualche suo compagno. Venuto a sapere che si trovavano a Roma, mandò loro un invito
e li ricevette in casa con rispetto e amore (L3C 47).
Giovanni Colonna, era Benedettino nell’abbazia di San Paolo fuori le mura a
Roma, prima di diventare cardinale del titolo di Santa Prisca e vescovo di Sabina. Era
l’uomo di curia che aiutò Francesco per primo, fino alla sua morte nel 1215. Senza di lui
Francesco non avrebbe mai ottenuto il permesso di varcare la soglia della curia romana.
A Roma i frati si alloggiarono presso i monaci di Sant’Antonio Abate, che avevano un
lebbrosario al Celio. Il cardinale fece chiamare Francesco per interrogarlo sulle sue
intenzioni, prima di presentarlo al Papa. Tommaso da Celano ci da delle indicazioni
riguardo al contenuto di questo incontro.
Nondimeno, da uomo prudente, lo interrogava su molti punti e cercava di
convincerlo a scegliere la vita monastica o l’eremitica. Ma san Francesco ricusava con
quanta più umiltà poteva quegli argomenti, non perché li disprezzasse, ma perché si
sentiva trasportato da più alto desiderio, seguendo con amore un altro ideale. Il vescovo
ammirava il suo zelo, tuttavia, temendo che non potesse perseverare in un ideale così
alto, gli additava vie più piane. Infine, vinto dalla sua costanza, accondiscese alle sue
preghiere e si impegnò a promuovere la causa di lui davanti al Papa (1C 33).
Giovanni di San Paolo sapeva benissimo il pericolo incombente sui gruppi
penitenziali come quello di Francesco di essere presi per eretici. Egli era anche al
corrente della politica di Innocenzo III di cercare di attirare questi gruppi verso un
ordinamento giurdico che la Chiesa aveva comprovato da secoli, nelle grandi famiglie
religiose fondate da Basilio, Agostino, Benedetto, Bernardo. Il problema con Francesco
era che lui rifiutava tutte queste forme e voleva introdurre la sua. In termini concreti, la
forma di vita del Vangelo era del tutto nuova nella Chiesa, nel senso che non era identica
alla forma di vita comunitaria della Chiesa primitiva che gli ordini esistenti proponevano.
Vedremo che questa nota caratteristica non veniva capita da uomini ecclesiastici, come il
vescovo Giacomo da Vitry. Giovanni Colonna capiva che qui si trattava di una novità in
senso assoluto, e perciò si preparò con argomenti a favore della scelta evangelica di
Francesco e dei frati che sapeva costituire una grossa difficoltà per la mente curiale dei
cardinali intorno a Innocenzo III. Tuttavia, vinto dalla sincerità di intenzione di
Francesco, ci provò.
Ci andò e disse al signor papa Innocenzo III: “Ho incontrato un uomo di
straordinaria virtù, che si è impegnato a vivere l’ideale evangelico, osservando in ogni
cosa la perfezione espressa nel Vangelo. Son convinto che il Signore vuole, per mezzo di lui, riformare in tutto il mondo la fede della santa Chiesa”. Queste parole colpirono
molto il Papa, che ordinò al cardinale di condurgli Francesco (L3C 48).
Cosa accadde veramente durante l’incontro di Francesco con il Papa Innocenzo
III? Le Fonti sono quasi tutti d’accordo che il Papa ricevette Francesco benevolmente, e
che, dopo aver consultato con i cardinali, che dimostravano qualche dubbio a proposito
della durezza della scelta evangelica di Francesco, approvò solo oralmente il propositum
vitae dei frati e li mandò a predicare la penitenza, fino a che il Signore non avesse
aumentato il loro numero e meriti.
Il giorno dopo, l’uomo di Dio fu presentato al sommo pontefice dal cardinale
Giovanni. Francesco espose interamente qual era il suo proposito. Il Papa, dotato come
era di spiccata intelligenza, assentì ai desideri del Santo, secondo le forme stabilite, e
aggiunse diverse esortazioni a lui e ai fratelli. Poi li benedì e rivolse loro queste parole:
“Andate con il Signore, fratelli, e predicate a tutti la penitenza, secondo vi ispirerà il
Signore. Quando Dio onnipotente vi avrà moltiplicati in numero e grazia, venite a
riferircelo, e noi vi accorderemo privilegi maggiori e incarichi più impegnativi” (L3C
49).
Tuttavia, il Papa ebbe ancora dei dubbi. Stando ai Tre Compagni: Il Papa voleva
però essere certo se l’approvazione concessa e i favori che si riprometteva di dare
rispondessero alla volontà del Signore. Perciò prima di accomiatare il Santo, disse a lui
e ai compagni: “Cari figlioli, il vostro genere di vita ci pare troppo duro e penoso.
Essendo però così sincero il vostro fervore, non ci è possibile dubitare di voi. Tuttavia, è
nostro dovere preoccuparci di quelli che in futuro saranno i vostri seguaci, affinché non
trovino troppo ardua la vostra via”. Ma vedendo la loro fermezza nella fede, la loro
speranza così fortemente ancorata in Cristo, che li induceva a respingere ogni
mitigazione del loro slancio generoso, disse a Francesco: “Figlio, va’ e prega Dio di
rivelarti se la vostra richiesta procede dalla sua volontà. Quando ci sarà manifestato il
volere del Signore, verremo incontro ai tuoi desideri” (L3C 49).
San Francesco si ritirò a pregare ed ebbe una visione di un re che aveva avuto
molti figli da una donna povera e bellissima. La donna disse ai figli di non aver paura di
andare alla corte del re, perché egli era il loro padre. Il re, di fatto, quando si
presentarono davanti a lui, riconobbe i propri figli e li accolse nel suo palazzo. Francesco
poi va davanti al Papa e gli spiega il significato di questa visione.
“Sono il, signore, quella donna poverella che Dio ama e per sua misericordia ha
reso bella e dalla quale si compiacque avere dei figli. Il Re dei re mi ha promesso che
alleverà tutti i figli avuti da me, poiché se egli nutre gli estranei, a maggior ragione avrà
cura dei suoi bambini. Cioè, se Dio largisce i beni temporali ai peccatori e agli indegni,
spinto dall’amore per le sue creature, molto più sarà generoso con gli uomini evangelici,
che ne sono meritevoli” (L3C 51).
Questa visione di Francesco fu anche corroborata da un’altra visione che
Innocenzo III ebbe durante un sogno. È la famosa visione della basilica di San Giovanni
in Laterano che minacciava rovina e fu sostenuta da un uomo povero e piccolo, che è
tanto nota nella iconografia di San Francesco. Fa meraviglia, tuttavia, che la stessa
visione viene attribuita a Innocenzo III anche riguardo a San Domenico nelle fonti della
vita del fondatore dei Predicatori.
Il Papa, prima dell’arrivo di Francesco, aveva avuto anche lui una strana
visione. Gli era parso che la basilica di San Giovanni in Laterano minacciava di rovinare; ma un religioso, piccolo e di aspetto meschino, la sorreggeva puntellandola
con le proprie spalle. Attonito e spaventato, il Papa si svegliò e, da uomo riflessivo e
perspicace, si concentrò per scoprire il significato di un tale sogno. Pochi giorni
appresso giunse Francesco, gli palesò il suo proposito e gli chiese la conferma della
Regola che aveva steso con poche semplici parole, servendosi delle espressioni del
Vangelo, la cui osservanza perfetta gli stava sommamente a cuore (L3C 51).
Sia Celano come i Tre Compagni sembrano presentare questo incontro di
Francesco con Innocenzo III come se fosse avvenuto al massimo in due momenti e come
fu assai facile a Francesco ottenere l’approvazione orale del suo propositum vitae.
Stando ad una aggiunta alla Legenda Maior di San Bonaventura, scritta da Girolamo da
Ascoli Piceno, successore di Bonaventura nel generalato, che la prese dal cardinale
Riccardo de Annibaldis, le cose non furono così semplici per Francesco.
Quando giunse presso la Curia romana, venne condotto alla presenza del sommo
Pontefice. Il Vicario di Cristo, che si trovava nel palazzo lateranense e stava
camminando nel luogo chiamato ‘Speculum’, immerso in profondi pensieri, cacciò via
con sdegno, come un importuno, il servitore di Cristo. Questi umilmente se ne uscì.
Ma
la notte successiva il Pontefice ebbe da Dio una rivelazione. Vedeva ai suoi piedi una
palma, che cresceva a poco a poco fino a diventare un albero bellissimo. Mentre il
Vicario di Cristo si chiedeva, meravigliato, che cosa volesse indicare tale visione, la luce
divina gli impresse nella mente l’idea che la palma rappresentava quel povero, che egli il
giorno prima aveva scacciato. Il mattino dopo il Papa fece ricercare dai suoi servi quel
povero per la città. Lo trovarono nell’ospedale di Sant’Antonio, presso il Laterano, e
per comando del Papa lo portarono in fretta al suo cospetto (LM III,9a). La vicenda poi
continua con la storia del re che accoglie i figli della donna povera.
San Bonaventura riferisce anche come c’era stata una viva discussione davanti al
Papa da parte dei cardinali, nella quale intervenne il cardinale Giovanni di San Paolo. Il
Papa non volle approvare subito la norma di vita proposta dal poverello, perché ad
alcuni cardinali sembrava strana e troppo ardua per le forze umane. Ma il cardinale
Giovanni di San Paolo, vescovo di Sabina, persona degna di venerazione, amante di ogni
santità e sostegno dei poveri di Cristo, infiammato dallo Spirito di Dio disse al sommo
Pontefice e ai suoi fratelli cardinali: “Questo povero, in realtà, ci chiede soltanto che gli
venga approvata una forma di vita evangelica. Se, dunque, respingiamo la sua richiesta,
come troppo difficile e strana, stiamo attenti che non ci capiti di fare ingiuria al Vangelo.
Se, infatti, uno dicesse che nell’osservanza della perfezione evangelica e nel voto di
praticarla vi è qualcosa di strano o di irrazionale, oppure di impossibile, diventa reo di
bestemmia contro Cristo, autore del Vangelo” (LM III,9).
La testimonianza data nell’aggiunta alla Legenda Maior di San Bonaventura trova
anche un riscontro nella testimonianza di Ruggero di Wendover (morto nel 1236),
monaco Benedettino dell’abbazia inglese di Saint Alban, che è unica nel suo racconto,
ma che può offrire qualche base storica al fatto che inserì Girolamo da Ascoli Piceno
nella Legenda Maior.
Ecco il testo di Ruggero:
Il Papa, dopo aver considerato attentamente da un lato quel frate in abito strano,
dal volto disprezzabile, barba lunga, capelli incolti, sopracciglia nere e pendenti, e
dall’altro quella petizione che egli presentava, così ardua e impossibile secondo il
giudizio comune, lo disprezzò nel cuor suo e gli disse: “Va’, fratello, cercati dei porci, a cui saresti da paragonare più che agli uomini. Allora, ravvòltolati con loro nel fango e,
consacrato loro predicatore, consegna ad essi la Regola che hai preparato”.
Francesco non frappose indugio, ma subito, a capo chino se ne uscì. Faticò non
poco a trovare dei porci; ma, quando finalmente si imbattè in un branco di essi, si
ravvoltolò con loro nel fango fino a tanto che ne fu tutto imbrattato, il corpo e il vestito,
dai piedi alla testa. E così ridotto, tornò nel concistoro e rivolto al Papa disse:
“Signore, ho fatto come mi ha comandato; ora, ti prego, esaudisci la mia richiesta”.
Il Papa, davanti a questo fatto, fu ripieno di ammirazione. Si dolse di aver
disprezzato quell’uomo: ritornato in sé, gli comandò che andasse a lavarsi e poi
ritornasse da lui. Francesco corse a lavarsi dal fango e prestamente ritornò alla sua
presenza. Allora il Papa, preso da commozione verso di lui, approvò la sua petizione,
concesse a lui e ai suoi seguaci l’ufficio della predicazione mediante privilegio della
Chiesa romana e, dopo averlo benedetto, lo licenziò (Fonti Francescane 2285-2286).
Ritornando al racconto dei Tre Compagni, il Papa confermò oralmente il progetto
di vita di Francesco e dei frati. Egli abbracciò il Santo e approvò la sua Regola.
Autorizzò inoltre lui e i suoi compagni a predicare dovunque la penitenza, con la
condizione, per i frati, che avessero il permesso di predicare anche da Francesco. Il
pontefice poi confermò in concistoro l’approvazione concessa al nuovo movimento.
Ottenute che ebbe queste concessioni, Francesco rese grazie a Dio; indi,
mettendosi in ginocchio, promise con umiltà e devozione al signor Papa, obbedienza e
rispetto. Gli altri fratelli, secondo l’ordinanza del pontefice, promisero a loro volta
obbedienza e rispetto a Francesco. Ricevuta la benedizione da Innocenzo III, si
recarono a visitare le tombe degli Apostoli. Il cardinale di San Paolo ottenne per
Francesco e gli undici compagni la tonsura, poiché voleva che fossero aggregati al clero
tutti e dodici (L3C 51-52).
Anche questa conclusione fatta dai Tre Compagni comporta qualche difficoltà.
Essi dicono che il Papa confermò il propositum di Francesco in concistorio. È assai
difficile capire cosa intende dire la L3C. Che il Papa approvò oralmente la primitiva
forma di vita nel 1209/10 è fuori dubbio, ma che poi l’ha confermata nel concistoro (si
tratta di una approvazione avuta durante il Concilio Lateranense IV nel 1215?) è difficile
verificare.
I testi dalle Fonti Francescane che abbiamo appena citato presentano un quadro
assai complesso di quello che sarebbe successo nel 1209/10, quando Francesco va a
Roma dal Papa Innocenzo III. Ricostruire la trama degli eventi non è una impresa facile.
Probabilmente Francesco partì da Assisi di propria iniziativa, perché capiva che aveva
bisogno di un appoggio forte per continuare la sua avventura evangelica con un numero
sempre crescente di fratelli. Era al corrente della approvazione di altri progetti di vita
comunitaria, tipo il propositum degli Umiliati che Innocenzo III aveva approvato qualche
anno prima.
Nel suo Testamento egli dice esplicitamente: nessuno mi mostrava cosa
dovessi fare. Queste parole sono una prova che Francesco agì da solo, di propria
iniziativa. Di fatto, era così inesperto che credeva di poter presentarsi davanti al Papa
con un documento fatto semplicemente di qualche brano evangelico che egli aveva
trovato e che cercava di vivere con i fratelli. Questa sua impreparazione viene fuori
appena egli incontra il vescovo Guido e poi il cardinale Giovanni di San Paolo a Roma.
Con Guido Francesco aveva delle relazioni amichevoli e lo considerava come suo padre
spirituale. Tuttavia forse non capiva che lui non poteva agire di propria iniziativa senza consultare il suo vescovo, che era, dopo tutto, responsabile dell’incipiente gruppo nella
sua diocesi di Assisi. Guido forse capiva che l’impreparazione di Francesco era dovuta
semplicemente alla sua cultura laica, e superata la prima incomprensione lo indirizza ad
un suo amico, il cardinale Giovanni di San Paolo, persona influente presso la curia
papale. Senza questo appoggio forte Francesco non avrebbe mai potuto accostarsi al
Papa e ai cardinali.
Si potrebbe, tuttavia, stare a quello che fece scrivere Girolamo da Ascoli nella
LM, e ipotizzare che Francesco avrebbe perfino azzardato di avvicinarsi alla persona di
Innocenzo III mentre questi era assorto nei suoi profondi pensieri, passeggiando da solo.
Non sappiamo come Francesco avrebbe potuto entrare nel palazzo pontificio e accostarsi
così facilmente alla persona del Papa, ma sta di fatto che lui ha sorpreso Innocenzo III
mentre questi stava solo, cioè, non attorniato dai curiali che potevano dargli consigli. La
notizia non viene da una penna qualsiasi, ma da quella di un Ministro Generale
dell’Ordine che divenne anche Papa, cioè, Niccolò IV. Messa in confronto con la storia
riportata da Ruggero di Wendover, il racconto nella LM sembra più equilibrato, anche se
la unicità del racconto di Ruggero non può essere trascurata, dato che proviene da un
testimone fuori dell’ambito francescano. Ricordiamo che studiosi famosi delle fonti
medievali francescane, come P. Kajetan Esser OFM, sono del parere che le testimonianze
extra-francescane sono da prendere molto sul serio perché provengono da persone che
non facevano parte dell’Ordine e che, quindi, erano neutrali quando sceglievano il
materiale documentario che forniva loro da fonte alle loro cronache o leggende.
Questo primo incontro con Innocenzo III finì in un fallimento totale per
Francesco, che si vide cacciato fuori dal palazzo pontificio. Proprio in questo momento,
Francesco avrebbe capito che non poteva mai convincere il Papa riguardo al suo progetto
di vita evangelica, senza l’appoggio di una persona come il cardinale Giovanni di San
Paolo. Seguono degli incontri in cui il cardinale cercò di capire le intenzioni di
Francesco, di orientarlo a diventare religioso secondo i canoni già prestabiliti nella
Chiesa. Fu un tentativo inutile, perché Francesco era convinto che il suo propositum
vitae era ispirato dell’Altissimo. Il cardinale fu talmente convinto che, durante la
discussione che seguì il primo incontro ufficiale di Francesco con Innocenzo III, fu lui
stesso a difendere la apostolica vivendi forma di Francesco e dei frati, con le parole
famose: “Se, infatti, uno dicesse che nell’osservanza della perfezione evangelica e nel
voto di praticarla vi è qualcosa di strano o di irrazionale, oppure di impossibile, diventa
reo di bestemmia contro Cristo, autore del Vangelo”.
Questo primo incontro ufficiale di Francesco con Papa Innocenzo III e la curia
romana non ebbe un risultato del tutto positivo, ma almeno apriva la via alla discussione
seria sulle motivazioni di Francesco. La stessa discussione è prova che la forma di vita
che Francesco stava proponendo era una cosa talmente nuova nella Chiesa che nessuno
aveva mai pensato che fosse possibile attuarla. Fa vedere anche che tutti gli altri progetti
di vita che Innocenzo III aveva approvato non toccavano gli stessi argomenti, ma si
muovevano entro l’ambito della vita comunitaria sul modello di quella della prima
comunità cristiana di Gerusalemme. Questa era già comprovata da una storia
plurisecolare nell’ambito della vita monastica e canonicale, e non destava grandi
difficoltà quando si trattava di applicarla nel contesto dei movimenti laicali ortodossi.
Tutte le fonti insistono che Innocenzo III richiamò Francesco dopo il famoso
sogno della basilica del Laterano che sembrava stesse crollando, ma che venne salvata tramite un uomo piccolo e povero che il Papa riconobbe essere lo stesso Francesco.
Anche se la fonte sia identica a quello che si dice nelle fonti della vita di San Domenico,
resta certo che Innocenzo III avrebbe pensato seriamente a quel personaggio così strano
che gli si presentò dinanzi. Era profondamente toccato dal suo coraggio e dalla sua
semplicità. Per questo lo richiamò e decise di approvare, solo oralmente, il suo
propositum.
Di fatto, l’approvazione del 1209/10 non legava Innocenzo III a nessun
modo di riconoscere la validità della vita di Francesco e dei frati e sanzionarla
ufficialmente. Le parole del Papa erano di indole molto diplomatico: “Andate con Dio,
fratelli, e come Egli si degnerà ispirarvi, predicate a tutti la penitenza. Quando il
Signore onnipotente vi farà crescere in numero e grazia, ritornerete lieti a dirmelo, ed io
vi concederò con più sicurezza altri favori e uffici più importanti” (1C 33).
Il mandato di Innocenzo III era semplicemente quello di predicare la penitenza,
cosa questa, che era diventata comune in tutti i movimenti laicali del medioevo. La
predicazione popolare era la vocazione dei primi Frati Minori, con una netta differenza
dalla predicazione ufficiale e dottrinale concessa a San Domenico e ai Frati Predicatori.
Tuttavia, ci sorprende la notizia che il cardinale Giovanni di San Paolo voleva che
Francesco e i suoi fratelli avessero la tonsura e fossero aggregati al clero. Lasciamo
aperta la discussione di cosa si intendono i biografi quando parlano di tonsura e di clerici
nel contesto medievali di questi termini. È certo che ci voleva un segno di riconoscimento
ufficiale da parte della Chiesa affinché i fratelli potessero muoversi e predicare senza
essere molestati. Vedremo che era assai difficile agli inizi del movimento, e che
avrebbero incontrato parecchie difficoltà più tardi, tanto che la Chiesa doveva intervenire
ufficialmente con dei documenti pontifici indirizzati ai vescovi. Quel che salta fuori dalla
approvazione orale di Innocenzo III è che, da questo punto, Francesco e i fratelli cessano
di essere legati semplicemente al contesto Assisano, e diventano un movimento con un
respiro molto più ampio. La vocazione universale dei Frati Minori diventa una realtà,
proprio come la sognava Francesco.
Così concludono il racconto i Tre Compagni:
Allora l’uomo di Dio partì da Roma con i fratelli, dirigendosi alla
evangelizzazione del mondo. Era pieno di meraviglia nel vedere realizzato con tanto
facilità il suo desiderio. Ogni giorno cresceva la sua speranza e fiducia nel Salvatore,
che gli aveva preannunziato ogni cosa con le sue sante rivelazioni.
Una notte, prima che ottenesse dal Papa quanto abbiamo detto, mentre dormiva,
parve a Francesco di essere in cammino lungo una strada, ai bordi della quale sorgeva
un albero di grandiose dimensioni, bello, forte, e vigoroso. Si avvicinò ad esso per
meglio mirarne la maestosa bellezza. D’improvviso il Santo si sentì divenuto così alto,
da poter toccare la cima dell’albero, riuscendo con estrema facilità a piegarlo fino a
terra.
E accadde proprio così, quando Innocenzo III, l’albero più elevato, bello e forte
che sorgesse al mondo, si inclinò con tanta spontanea benevolenza alla domanda e alla
volontà di Francesco (L3C 53).
SALVE SANCTE PATER
AMDG et BVM