Visualizzazione post con etichetta Vita di san Francesco d'Assisi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Vita di san Francesco d'Assisi. Mostra tutti i post

mercoledì 21 febbraio 2018

Predicò con tanto fervore, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per devozione gli vollero andare dietro e abbandonare il castello


Capitolo 9 
SAN FRANCESCO 
AL CONCILIO LATERANENSE IV 

Sorella Chiara e le Povere Dame di San Damiano erano la seconda famiglia fondata da Francesco d’Assisi nel 1211/12. 
San Francesco, tuttavia, è anche il fondatore di una terza famiglia, quella dei Fratres et Sorores de Poenitentia, l’Ordine dei Fratelli e Sorelle della Penitenza, noto più tardi con il nome Terz’Ordine Francescano e nei nostri giorno come Ordine Francescano Secolare. 

Ma, se nel caso del Primo e del Secondo Ordine abbiamo delle notizie abbastanza sicure circa la fondazione da parte di Francesco, non è così chiaro il discorso per il Terz’Ordine. L’Ordine della Penitenza era un fenomeno abbastanza diffuso nel medioevo, e accoglieva diverse persone con diversi tipi di vita e impegno penitenziale cristiano. Ci sono delle allusioni nelle Fonti che Francesco ha raccolto intorno a se un gruppo di penitenti, forse già nel 1211, ma i racconti sono molto tardivi. Riportiamo il più noto, quello dei Fioretti, che ambienta la cosiddetta “fondazione” del Terz’Ordine Francescano nei pressi di Bagnara e di Cannara, una località tra Assisi e Montefalco, che i Fioretti chiamano Savurniano: 

Giunsero a uno castello che si chiamava Savurniano. E santo Francesco si puose a predicare, e comandò prima alle rondini che tenessino silenzio infino a tanto ch’egli avesse predicato. E le rondini l’ubbidirono. Ed ivi predicò con tanto fervore, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per devozione gli vollero andare dietro e abbandonare il castello; ma santo Francesco non lasciò, dicendo loro: “Non abbiate fretta e non vi partite, ed io ordinerò quello che voi dobbiate fare per salute delle anime vostre”. E allora pensò di fare il terzo Ordine per universale salute di tutti. E così lasciandoli molto consolati e bene disposti a penitenza, si partì quindi e venne tra Cannara e Bevagna (Fioretti XVI). 

Francesco sembra che, in questo periodo dopo la sistemazione delle Povere Dame nel monastero di San Damiano, abbia rivolto di nuovo l’attenzione all’Ordine dei frati, che aumentava di giorno in giorno. Durante il 1212 probabilmente si recò di nuovo a Roma. Non abbiamo notizie chiare riguardo a questa visita, se non che, a Roma, Francesco incontrò un personaggio che doveva giocare un ruolo importante nella sua vita, e particolarmente nell’ora della morte. Questa persona si chiamava Donna Giacoma o Jacopa dei Sette Soli (o meglio, Sette Sogli, dal nome latino Iacopa Septem Soliis). Era una nobbildonna romana, della famiglia dei Normanni, sposa del patrizio romano Graziano Anicio Frangipani, conte di Marino e proprietario del Septizonium. Da lui ebbe due figli: Giovanni e Graziano (Giacomo?). Era già vedova nel 1217, ma non si hanno notizie precise della sua nascita, né della sua morte. Nella Legenda Maior, S. Bonaventura dice come Francesco conobbe questa donna, che doveva assisterlo prima di morire: 

Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a Cristo, amatissimo agnello. Nel partire, lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché lo custodisse in casa sua. E l’agnello, quasi ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito, non si staccava mai dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne ritornava. Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, l’agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi alla 58 chiesa. Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell’agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato maestro di devozione (LM VIII,7)

L’anno 1213 è segnato da due avvenimenti importanti nella vita di Francesco. Il primo, successo l’8 maggio 1213, doveva segnare l’inizio di un soggiorno annuale nella solitudine della contemplazione, una tradizione conclusa nel soggiorno del settembre 1224. Ci riferiamo al soggiorno di Francesco sul Monte della Verna. La notizia circa la donazione di questo monte a Francesco e ai suoi frati ci viene dal racconto dei Fioretti nelle Considerazioni della Sacre Stimmate. L’8 maggio 1213 c’era una festa dell’investitura di un nuovo cavaliere nel castello di San Leo in Montefeltro. 

Santo Francesco ... ispirato da Dio si mosse dalla valle di Spoleto per andare in Romagna con frate Leone suo compagno; e andando passò ai piedi del castello di Montefeltro, nel quale castello si faceva allora un grande convito e corteo per la cavalleria nuova d’uno di quei conti di Montefeltro. E udendo santo Francesco questa solennità che si faceva, e che ivi erano radunati molti gentiluomini di diversi paesi, disse a frate Leone: “Andiamo quassù a questa festa, però, che con l’aiuto di Dio noi faremo alcun frutto spirituale”. 

Tra gli altri gentiluomini che vi erano venuti di quella contrada a quel corteo, vi era uno grande e anche ricco gentiluomo di Toscana, e aveva nome messere Orlando da Chiusi di Casentino, il quale per le meravigliose cose ch’egli aveva udito della santità e dei miracoli di santo Francesco, sì gli portava grande devozione e aveva grandissima voglia di vederlo e di udirlo predicare. 

Giunge santo Francesco a questo castello ed entra e va in sulla piazza, dove era radunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, e in fervore di spirito montò in su uno muricciuolo e cominciò a predicare proponendo per tema della sua predica questa parola in volgare: Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto ... Tra i quali il detto messere Orlando, toccato nel cuore da Dio per la meravigliosa predicazione di santo Francesco, si pose in cuore d’ordinare e ragionare con lui, dopo la predica, dei fatti dell’anima sua. 

Onde, compiuta la predica, egli trasse santo Francesco da parte e gli disse: “O padre, io vorrei ordinare teco della salute dell’anima mia” ... In fine disse questo messere Orlando a santo Francesco: “Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama il monte della Verna, lo quale è molto solitario e selvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalla gente, o a chi desidera vita solitaria. S’egli ti piacesse, volentieri lo ti donerei a te e ai tuoi compagni per salute dell’anima mia”. 

Udendo santo Francesco così liberale profferta di quella cosa che egli desiderava molto, ne ebbe grandissima allegrezza, e laudando e ringraziando in prima Iddio e poi il predetto messer Orlando, sì gli disse così: “Messere, quando voi sarete tornato a casa vostra, io sì manderò a voi dei miei compagni e voi sì mostrerete loro quel monte” ... E detto questo, santo Francesco si parte: e compiuto che egli ebbe il suo viaggio, si ritornò a Santa Maria degli Angeli; e messere Orlando similmente, compiuta ch’egli ebbe la solennità di quello corteo, sì ritornò al suo castello che si chiamava Chiusi, il quale era presso alla Verna a un miglio (Fioretti, I Considerazione sulle Stimmate). 

I ruderi del castello del Conte Orlando a Chiusi della Verna si trovano ancora, con la cappella medievale di San Michele Arcangelo, ai piedi della sacra montagna delle stimmate. Il Conte rimase un grande benefattore di Francesco e dei suoi frati, costruì per 59 loro la cappellina di Santa Maria degli Angeli sul Monte della Verna, dove volle essere sepolto e dove i suoi resti riposano fino ad oggi. Il secondo avvenimento che avvenne verso il 1213 si ricollega al desiderio di Francesco di subire il martirio per convertire i Saraceni. Abbiamo visto che il primo tentativo finì in un fallimento. 

Il secondo tentativo, che raccontiamo qui, pure non approdò. Questa volta Francesco voleva andare ad occidente, e precisamente nel Marocco, dal Sultano Emir-el-Mumenin (cioè, capo dei credenti), conosciuto in occidente come “Miramolino”. Il nome proprio del Sultano era Mohamed-ben-Nasser, che era stato vinto nella battaglia di Las Navas in Spagna nel 1212 e respinto in Africa. Tommaso da Celano ci da il racconto, con una importante nota autobiografica alla fine. 

Dopo poco tempo intraprese un viaggio missionario verso il Marocco, per annunciare al Miramolino e ai suoi correligionari la Buona Novella. Era talmente vivo il suo desiderio apotolico, che gli capitava a volte di lasciare indietro il compagno di viaggio affrettandosi nell’ebbrezza dello spirito ad eseguire il suo proposito. Ma il buon Dio, che si compiacque per sua sola benignità di ricordarsi di me e di innumerevoli altri, fece andare le cose diversamente resistendogli in faccia. Infatti, Francesco, giunto in Spagna, fu colpito da malattia e costretto a interrompere il viaggio. 

Ritornato a Santa Maria della Porziuncola, non molto tempo dopo gli si presentarono alcuni uomini letterati e alcuni nobili, ben felici di unirsi a lui. Da uomo nobile d’animo e prudente, egli li accolse con onore e dignità, dando paternamente a ciascuno ciò che doveva (1C 56). 

Il viaggio verso il Marocco accadde in una data imprecisata tra il 1213-1214. In Spagna Francesco si ammalò e dovette tornare in Italia. Al ritorno troviamo questo gruppo di uomini letterati e nobili che chiedono di entrare nell’Ordine. Molti hanno visto in questo gruppo la presenza del primo e più noto biografo di Francesco, fra Tommaso da Celano che, come si legge nel racconto, vede il ritorno del santo dalla Spagna come un atto di misericordia di Dio verso di lui. Tommaso da Celano dovette essere un personaggio importante, anche se non era del tutto vicino a Francesco fisicamente, perché trascorse molti anni in Germania. Dopo la morte di Francesco, e precisamente per l’occasione della canonizzazione del santo, il Papa Gregorio IX, nel 1228 lo incaricò di stendere una biografia ufficiale, che egli presentò al Papa il 25 febbraio 1229. È la Vita Sancti Francisci di Tommaso da Celano, conosciuta come Vita prima, perché lo stesso Tommaso ne compose altre, come il Memoriale in desiderio animae, o Vita secunda (1246-1247) e il Tractatus de miraculis, o Trattato dei miracoli (1252-1253). Morì nella città di Tagliacozzo, in Abbruzzo, e fu sepolto nella chiesa di San Francesco di Celano nel 1260. 

L’anno 1215 segna una svolta importante nella storia della Chiesa e dell’Ordine dei Frati Minori. Nell’aprile 1213 Papa Innocenzo III aveva promulgato la Bulla Vineam Domini, nella quale annunziò che avrebbe convocato un Concilio al Laterano. Questo grande Concilio, chiamato Lateranense IV, si svolse a Roma nel novembre 1215. Uno degli scopi del Concilio era quello di indire una nuova Crociata per il recupero dei Luoghi Santi, ma di questo parleremo nel capitolo che tratta della visita di Francesco in Oriente. 

Il proliferarsi di Ordini religiosi nella Chiesa era una delle preoccupazioni del Concilio Lateranense IV. Innocenzo III era stato molto indulgente verso i movimenti laicali di pentienza all’inizio del secolo XIII. Nel 1201 aveva approvato il propositum 60 degli Umiliati, nel 1208 quello dei Poveri Cattolici di Durando di Huesca, nel 1210 quello dei Poveri Lombardi di Bernardo Prim. Era il contesto in cui aveva pure approvato il propositum o forma vitae dei Frati Minori nel 1209/10. 
La Chronica XXIV Generalium Ordinis Minorum (Analecta Franciscana III,9) dice che Francesco fu presente al Concilio Lateranense IV. Le fonti del secolo 12 e dell’inizio del secolo 13 non dicono niente riguardo ad una eventuale presenza di Francesco al Concilio. 

La Chronica XXIV Generalium è datata nella seconda metà del secolo 14, ed è perciò tardiva. Quello che potrebbe interessarci di più tocca le decisioni prese dal Concilio Lateranense IV riguardo agli Ordini religiosi. Nel canone 13, il Concilio decise che nessuno avrebbe dovuto scrivere nuove Regole per i nuovi Ordini che si proliferarono nel secolo 13, ma che ogni Ordine che nasceva doveva scegliere una delle Regole antiche della Chiesa, e cioè o quella di San Basilio, o quella di Sant’Agostino, o quella di San Benedetto, o quella di San Bernardo. Che questo canone del Concilio Lateranense IV sia stato applicato rigorosamente ci è dato di saperlo dal caso di San Domenico. Mentre questo fondatore dei Frati Predicatori andò al Concilio con il vescovo Folco di Toulouse, e il suo Ordine fu approvato da Innocenzo III e poi da Onorio III nel 1216, egli dovette accettare la Regola di Sant’Agostino. Francesco fu più fortunato. Siccome Innocenzo III aveva approvato oralmente la sua forma vitae nel 1209/10, Francesco poteva appellarsi a quella approvazione quando, più tardi, presentò la sua Regula Bullata al Papa Onorio III per l’approvazione nel 1223. 

Nel contesto del Concilio Lateranense IV nasce la tradizione del primo incontro tra Francesco d’Assisi e Domenico Guzman da Caleruega, in Spagna, i due grandi fondatori degli Ordini mendicanti principali del secolo 13, uno fondatore dei Frati Minori e l’altro dei Frati Predicatori. Tuttavia, anche in questo caso, le fonti francescane non dicono niente. Invece, dalla Compilazione di Assisi, 49, sappiamo che Francesco e Domenico si sono incontrati nella casa del Cardinale Ugolino dei Conti Segni a Roma, ma probabilmente in un’altra circostanza, e cioè o tra la fine del 1217 e il 7 aprile 1218, oppure tra la fine del 1220 e i primi mesi del 1221. Solo in questi periodi, secondo i dati biografici dei tre personaggi, potevano essere simultaneamente presenti a Roma. Non è neanche sicuro quello che dicono i Fioretti, al capitolo 18, quando parlano del famoso Capitolo delle Stuoie, tenuto, secondo la tradizione, alla Porziuncola il 30 maggio 1221, nel quale pure avrebbero partecipato il Cardinale Ugolino e San Domenico. Sta di fatto, tuttavia, che qualche incontro tra Francesco e Domenico doveva esserci stato, anche perché ambedue condividevano gli stessi ideali di vita evangelica sul modello della vita di Cristo e degli apostoli. 
Quando Dante Alighieri compose i Cantici XI e XI del Paradiso nella Divina Commedia, dedicò il primo a San Francesco e il secondo a San Domenico. Dante paragona Francesco all’ardore del Serafino e Domenico alla sapienza contemplativa del Cherubino, e mette sulla bocca del santo domenicano Tommaso d’Aquino le lodi a San Francesco e sulla bocca del santo francescano Bonaventura da Bagnoregio le lodi a San Domenico. 

La riforma della Chiesa era uno dei grandi temi del Concilio Lateranense IV. Il piano di Innocenzo III era proprio quello di usufruire degli Ordini mendicanti nascenti a condurre questa riforma. Non è senza significato il fatto che, in ambedue i casi, sia di Francesco come di Domenico, i biografi dicono che Innocenzo III ha avuto il sogno della basilica del Laterano che crollava e veniva sostenuta da uno o dall’altro di questi fondatori. I Frati Predicatori si dettero alla predicazione dogmatica contro la eresia degli 61 Albigesi, e presto si insediarono nelle grandi città universitarie d’Europa. Anche i Frati Minori, pur con uno stile diverso, si dettero alla predicazione popolare, ma presto anche essi si immettevano nel discorso dello studio come preparazione per la predicazione. 

Gli scritti di San Francesco fanno vedere anche l’influsso che ha esercitato il Concilio Lateranense IV sul nuovo Ordine. Lo studio della Regola non bollata del 1221 fa vedere due fasi nello sviluppo legislativo dell’Ordine, cioè quello che precede e quello che segue al Concilio Lateranense IV. Le prescrizioni riguardo al rispetto che i frati chierici dovevano mostrare verso il sacramento dell’Eucaristia, presenti nelle Ammonizione 1, nelle Lettere ai Custodi, ai Chierici, a tutto l’Ordine, sono un risultato diretto delle decisioni del Concilio Lateranense IV. Lo stesso si deve dire riguardo alle prescrizioni sul ministero della predicazione presenti nelle Regole scritte da San Francesco. Soprattutto era frutto del Lateranense IV lo slancio missionario di Francesco di andare a convertire i Saraceni alla fede cristiana, tanto che inserisce, per la prima volta nella storia della Chiesa, un intero capitolo nella Regola non bollata, intitolato De euntibus inter saracenos et alios infideles (cap. 16: Di coloro che vanno tra i Saraceni e gli altri infedeli). 

Ormai l’Ordine si avviava ad un suo pieno sviluppo, che inizia proprio dopo il Concilio Lateranense IV. Questo sviluppo, esplicitato particolarmente nella celebrazione dei capitoli generali e nella espansione geografica dell’Ordine, sarà adesso l’oggetto della nostra riflessione. Immediatamente dopo vedremo la novità missionaria di Francesco, che va in Oriente a convertire i Saraceni e incontra il Sultano. Ma prima dobbiamo soffermarci su un capitolo importante nella vita di Francesco, anche se non ci viene riferito dalle Fonti principali a cui facciamo riferimento. Parliamo della vicenda dell’Indulgenza della Porziuncola, nel suo significato storico e spirituale nella vita diFrancesco


AMDG et DVM

sabato 25 novembre 2017

“Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?” Rispose: “Il padrone”.


 (Cont. del capitolo Nascita e giovinezza di Francesco

L’8 gennaio 1198 fu eletto Papa il cardinale Lotario dei Conti di Segni, che prese il nome di Innocenzo III
Fu Papa dal 1198 fino al 16 luglio 1216, ed è considerato il Papa più grande dell’alto medioevo. Se l’imperatore Federico II era considerato come uno stupor mundi, uno stupore del mondo, Innocenzo III non sarebbe stato di meno. 
La sua elezione veniva in un momento di grande importanza sia per la Chiesa che per il mondo civile. Innocenzo III era il Papa adatto per dare una nuova direzione alla Chiesa, che aveva urgente bisogno di una riforma dall’alto in basso. 

I problemi legati alla ignoranza del clero, erano complicati con il pullulare di molti movimenti di laici che volevano una riforma della Chiesa sul modello della vita di Cristo e gli apostoli. Movimenti di cui abbiamo parlato, come gli Umiliati in Lombardia, che Innocenzo III saggiamente prese sotto la tutela della Chiesa approvando il loro propositum vitae, o forma di vita. Ma c’erano altri movimenti pericolosi per la Chiesa, che si contaminavano con l’eresia, negando l’umanità di Cristo, e i sacramenti amministrati in modo particolare dal clero contaminato con la simonia e il concubinaggio. 

Catari, o Albigesi, e anche Valdesi, o Poveri di Lyon, vivevano in assoluta povertà sul modello evangelico di Cristo e gli apostoli, e predicavano in volgare conducendo una vita itinerante. Contro questi ultimi Innocenzo III aveva soltanto una soluzione, indire una crociata per la loro conversione, ed eventualmente, per la loro distruzione se rifiutassero di ritornare in seno alla Chiesa. 

Innocenzo III era anche un Papa forte dal punto di vista politico. Egli voleva rivendicare alla Chiesa tutte le terre che appartenevano al patrimonio di San Pietro, cioè tutte le terre dell’Italia centrale che componevano quello che sarebbe stato chiamato lo Stato Pontificio. Questi territori erano sempre sotto la minaccia dell’egemonia dell’imperatore, che pure aveva grandi territori, particolarmente nel sud Italia e in Sicilia. Assisi, in questo momento storico, faceva parte del ducato di Spoleto, che era un territorio imperiale, mentre altre parti dell’Umbria, specialmente Perugia, facevano parte dei territori papali.

 L’imperatore Enrico VI, figlio di Federico I Hohenstaufen (Barbarossa), aveva sposato la principessa normanna Costanza d’Altavilla, del regno della Sicilia. Nel 1196 egli aveva lasciato suo figlio, Federico Ruggero, alla cura di un suo amico e confidente, il conte Conrad von Ürslingen di Lützelhardt, che risiedeva nella Rocca sopra Assisi. Quando Innocenzo III fu incoronato Papa, l’imperatore voleva fare un gesto di generosità per non indurre il Papa subito alla guerra, siccome il Papa rivendicava per sé il ducato di Spoleto. Allora l’imperatore mandò Conrad a Spoleto per consegnare ai legati papali il ducato che egli rivendicava. 
Era il 1198. I cittadini di Assisi, particolarmente i minores, vedevano in questo momento l’occasione opportuna per ribellarsi contro il predominio imperiale. Salivano alla Rocca e la distrussero. Poi cercavano di cacciare via i nobili feudatari che erano tutti alleati dell’imperatore. 

Tra queste famiglie c’era la famiglia di Chiara di Favarone di Offreduccio, che aveva il suo palazzo accanto alla chiesa cattedrale di San Rufino.
Chiara era nata nel 1193 da una madre di profondo senso spirituale, chiamata Ortolana, e da un padre che proveniva da una delle famiglie di cavalieri guerrieri e nobili di Assisi. Nel 1198 la famiglia di Chiara dovette fuggire da Assisi e, come tante altri nobili, trovare rifugio presso la città vicina di Perugia. 

La rivolta degli Assisani portò la città allo stato di guerra civile, anche perché i cittadini di Assisi non soltanto volevano liberarsi dal dominio imperiale, ma erano anche molto sospettosi del dominio papale, avendo in mente di istituire un Comune autonomo. 
Il loro sogno, tuttavia, doveva incontrare grosse difficoltà, perché i nobili cacciati in Perugia cercavano di ricuperare i loro antichi diritti di proprietà. Nel 1202 iniziarono i due anni in cui Francesco sperimentò la gloria, e la follia, della guerra. 

Le relazioni tra Assisi e Perugia peggioravano nel 1202, a tal punto che si combatteva tra le due città. La battaglia si svolse in un luogo chiamato Collestrada, o Ponte San Giovanni, vicino alla città di Perugia. La guerra durò per un lungo tempo, dal 1202 fino al 1209, finché si stabiliva una situazione di relativa pace tra i maiores, che guadagnavano i loro antichi diritti in Assisi, e i minores, che guadagnavano una certà importanza nel governo della città. 

Francesco partecipò con slancio nella battaglia di Collestrada, e poteva ben essere considerato come uno dei milites, o cavalieri, perché era attrezzato con tutta l’armatura necessaria per il combattimento. Purtroppo, la battaglia finì in un disastro per gli Assisani, e Francesco, con molti altri che scampavano dalla morte, fu preso vivo come un prigioniero, e lasciato a languire in una squallida prigione per un anno, quando probabilmente fu riscattato da suo padre. 
Tra Perugia e Assisi si erano riaccese le ostilità, durante le quali Francesco fu catturato con molti suoi concittadini e condotto prigioniero a Perugia. 
Essendo signorile di maniere, lo chiusero in carcere insieme con i nobili. Una volta, mentre i compagni di detenzione si abbandonavano all’avvilimento, lui, ottimista e gioviale per natura, invece di lamentarsi, si mostrava allegro. Uno dei compagni allora gli disse che era matto a fare l’allegrone in carcere. Francesco ribatte con voce vibrata: “Secondo voi, che cosa diventerò io nella vita? Sappiate che sarò adorato in tutto il mondo”. 
Un cavaliere del suo gruppo fece ingiuria a uno dei compagni di prigionia; per questo, gli altri lo isolarono. Soltanto Francesco continuò a essergli amico, esortando tutti a fare altrettanto. Dopo un anno, tra Perugia e Assisi fu conclusa la pace, e Francesco rimpatriò insieme ai compagni di prigionia (L3C 4). 

La pace a cui riferisce la Leggenda dei Tre Compagni fu conclusa tra le due città, ma soltanto per breve tempo. Assisi, di fatto, era molto più piccola della rivale e potente Perugia, ed era una follia andare contro questa avversaria. Francesco uscì dall’incubo di un anno di prigione malato e senza forze fisiche. Per un periodo assai lungo di tempo, che va dal 1203 fino alla fine del 1204, non poteva uscire da casa, e fu curato soltanto grazie alle cure amorose di sua madre. 

Ma neanche lo squallore e il terrore della prigione Perugina avevano diminuito in Francesco il sogno di diventare grande. Egli sognava di diventare un cavaliere, di andare in crociata e ritornare pieno di gloria alla sua città natale. L’occasione si presentò agli inizi del 1205. In quell’anno Gualtiero da Brienne, un famoso guerriero e conte di Lecce, lottava nelle Puglie per salvaguardare i diritti di Innocenzo III in quelle terre.Francesco decise di unirsi a lui e andare alla guerra nelle Puglie. 

Passarano degli anni. Un nobile assisano, desideroso di soldi e di gloria, prese le armi per andare a combattere in Puglia. Venuto a sapere la cosa, Francesco è preso a sua volta dalla sete di avventura. Così, per essere creato cavaliere da un certo conte Gentile, prepara un corredo di panni preziosi; poiché, se era meno ricco di quel concittadino, era però più largo di lui nello spendere (L3C 5). Prima di partire per questa spedizione con il conte Gentile, il cui nome può semplicemente essere un attributo (“un conte molto gentile”), Francesco ebbe il primo di una serie di sogni, che le fonti interpretano come visioni o rivelazioni del Signore.

Sarebbe una cosa molto interessante fare uno studio sui sogni di Francesco, specialmente quelli della sua giovinezza, perché ci possono dire tanto sul suo stato d’animo in questi anni. 
Francesco sognò di stare in uno splendido solenne palazzo, in cui spiccavano, appese alle pareti, armature da cavaliere, splendenti scudi e simili oggetti di guerra. Francesco, incantato, pieno di felicità e di stupore, domandò a chi appartenessero quelle armi fulgenti e quel palazzo meraviglioso. Gli fu risposto che tutto quell’apparato insieme al palazzo era proprietà sua e dei suoi cavalieri (L3C 5). 
Questo sogno era molto comprensibile, considerando lo stato d’animo di Francesco, pieno di gioia e di un senso di avventura per andare a conquistare la fama di un cavaliere, anzi, di un grande principe. Il sogno confermò il suo intento di partire al più presto possibile per la Puglia. Ma prima di partire fece un altro gesto di grande generosità e cortesia. Quel giorno infatti aveva donato a un cavaliere decaduto tutti gli indumenti, sgargianti e di gran prezzo, che si era appena fatto fare (L3C 6). 
Il Celano -2C 5- fa vedere come questo gesto di generosità cristiana da parte di Francesco era simile a quello che fece San Martino di Tours, donando metà del suo mantello al povero. 
Celano, di fatto, scrive la vita di San Francesco sulla falsariga delle vite dei santi più illustri, tra le quali la vita di San Martino scritta da Sulpicio Severo era popolare nel mondo cavalleresco di ancora: Un giorno incontrò un cavaliere povero e quasi nudo: mosso a compassione, gli cedette generosamente, per amore di Cristo, le proprie vesti ben curate, che indossava. È stato, forse, da meno il suo gesto di quello del santissimo Martino? Eguali sono stati il fatto e la generosità, solo il modo è diverso: Francesco dona le vesti prima del resto, quello invece le dà alla fine, dopo aver rinunciato a tutto. 

Il gruppo di avventurieri partì da Assisi con pompa. Dopo un giorno di cavalcatura, arrivarono a Spoleto, dove passarono la notte. Francesco, tuttavia, non poteva dormire. Forse non si sentiva bene, o forse già sentiva la mancanza dei suoi cari. Tuttavia, preoccupato del suo viaggio, mentre riposava, nel dormiveglia intese una voce interrogarlo dove fosse diretto. Francesco gli espose il suo ambizioso progetto. E quello: “Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?” Rispose: “Il padrone”. Quello riprese: “Perché dunque abbandoni il padrone per seguire il servo, e il principe per il suddito?” Allora Francesco interrogò: “Signore, che vuoi che io faccia?” Concluse la voce: “Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa devi fare; poiché la visione che ti è apparsa devi interpretarla in tutt’altro senso” (L3C 6). Quella notte fu un nuovo inizio per Francesco. 

Non sappiamo esattamente cosa ha sentito, o quali siano state le ragioni che lo hanno convinto a credere al suo sogno. Sta di fatto che, spuntato il mattino, in gran fretta dirottò il cavallo verso Assisi, lieto ed esultante. E aspettava che Dio, del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua volontà, mostrandogli la via della salvezza. Ormai il suo cuore era cambiato. Non gl’importava più della spedizione in Puglia: solo bramava di conformarsi al volere divino (L3C 6). 

I Tre Compagni danno una motivazione teologica allo stato di animo di Francesco. Non sappiamo se, a questo momento della sua vita, Francesco era ancora conscio della voce interiore di Cristo che lo chiamava a conformarsi al volere divino. 
Ma c’è un’espressione che colpisce: ormai il suo cuore era cambiato. Francesco comincia un lungo e penoso processo di conversione profonda. I suoi sogni di gloria si cambiano prima in delusione al suo fallimento, poi in un senso di incertezza, e infine in una ricerca angosciata per scoprire la luce della volontà divina. 

Se avesse partecipato alla spedizione in Puglia sarebbe rimasto deluso. Gualtiero da Brienne morì nel giugno 1205, pochi mesi dopo che gli Assisani erano partiti per unirsi ai suoi soldati. 
Il periodo 1205-1208 segna quello che viene chiamato il periodo della conversione di Francesco. Qualcuno ha parlato di conversioni di Francesco, e forse a ragione, considerando che questi tre anni erano pieni di esperienze diverse che hanno aiutato Francesco a crescere e a maturare la sua vocazione evangelica. 

Erano gli anni che dovevano vedere Francesco svincolarsi dalla compagnia dei suoi amici, sperimentare la vita dei mendicanti, incontrare un lebbroso, sentire la voce di Cristo nel crocifisso di San Damiano, vivere da oblato in questa chiesetta, essere perseguitato dal padre fino ad apparire nudo davanti al vescovo Guido di Assisi, per diventare un uomo nuovo, per fare il salto nel buio da Francesco, figlio di Pietro di Bernardone, a frate Francesco, figlio del Padre che sta nei cieli.

Il futuro araldo di Cristo Re

AMDG et BVM

venerdì 24 novembre 2017

L’amore di Dio suonava come un grido di urgenza alle orecchie di Francesco ancora giovane.

 
Chiesa di san Francesco Piccolino

Sembra che Pietro di Bernardone non fu presente quando nacque Francesco. Forse stava in Francia per motivi di commercio. Sta di fatto che, appena tornato, non gli piaceva il nome Giovanni che fu dato al bambino, e lo chiamò Francesco, in memoria del paese che egli amava tanto. 
La L3C 2, dice: Francesco fu oriundo di Assisi, nella valle di Spoleto. Nacque durante un’assenza del padre, e la madre gli mise il nome Giovanni: ma, tornato il padre dal suo viaggio in Francia, cominciò a chiamare Francesco il suo figlio. Dal padre e dalla madre Francesco imparò il Francese, o meglio, il dialetto della Piccardia, patria della mamma. Sappiamo che, in vari momenti della sua vita, specialmente quando era pieno di gioia, si esprimeva in Francese. 
La L3C 10 dice: Infatti, parlava molto volentieri questa lingua, sebbene non la possedesse bene. 
Tommaso da Celano, nella Vita prima di San Francesco [1C], (1), parla molto male della famiglia di Francesco: 
Viveva ad Assisi, nella valle spoletana, un uomo di nome Francesco. Dai genitori ricevette fin dalla infanzia una cattiva educazione, ispirata alle vanità del mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso divenne ancor più leggero e vanitoso. 

(1) 1C fu scritta nel 1228-1229, due anni dopo la morte di S. Francesco.

 Quando Tommaso scrive la 2C, negli anni 1246-1247, cambia il tono e al par. 3 dice: Il servo e amico dell’Altissimo, Francesco, ebbe questo nome dalla divina Provvidenza, affinché per la sua originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto il mondo la fama della sua missione. 

Riguardo alla mamma di Francesco, continua a dire: Specchio di rettitudine, quella donna presentava nella sua condotta, per così dire, un segno visibile della sua virtù. Infatti, fu resa partecipe, come privilegio, di una certa somiglianza con l’antica santa Elisabetta, sia per il nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico. Quando i vicini manifestavano la loro ammirazione per la generosità d’animo e l’integrità morale di Francesco, ripeteva, quasi divinamente ispirata: “Cosa pensate che diverrà questo mio figlio? Sappiate, che per i suoi meriti diverrà figlio di Dio”. 
In realtà, era questa l’opinione anche di altri, che apprezzavano Francesco già grandicello per alcune sue inclinazioni, molto buone. Allontanava da sé tutto ciò che potesse suonare offesa a qualcuno e, crescendo con animo gentile, non sembrava figlio di quelli che erano detti suoi genitori. Come tutti i ragazzi della sua età che provenivano da famiglie ricche, Francesco fu mandato a scuola. 
La scuola era quella della cattedrale che si faceva accanto alla chiesa di San Giorgio, all’estremità orientale della città dove oggi sorge la basilica di Santa Chiara. 
Era la scuola dei canonici, dove Francesco imparò a leggere e a scrivere non molto bene il latino, che era la lingua usata dai notai, e che era importante saperla per fare il negozio e stendere contratti di compravendita. 
Il sogno di Pietro di Bernardone era naturalmente quello di fare di Francesco un abile commerciante, e perciò gli insegnava l’arte del commercio dei panni pregiati nel suo negozio. All’inizio Francesco ci stava, anche se non era del tutto portato a questo lavoro. 

Lasciamo il racconto di questi anni della giovinezza di Francesco alla penna dei Tre Compagni, nella L3C 2: 
Arrivato alla giovinezza, vivido com’era di intelligenza, prese a esercitare la professione paterna, il commercio di stoffe, ma con stile completamente diverso. Francesco era tanto più allegro e generoso, gli piaceva godersela e cantare, andando a zonzo per Assisi giorno e notte con una brigata di amici, spendendo in festini e  divertimenti tutto il denaro che guadagnava o di cui poteva impossessarsi. A più riprese, i genitori lo rimbeccavano per il suo esagerato scialare, quasi fosse rampollo di un gran principe anziché figlio di commercianti. Ma siccome in casa erano ricchi, e lo amavano teneramente, lasciavano correre, non volendolo contristare per quelle ragazzate ... 
Non era spendaccione soltanto in pranzi e divertimenti, ma passava ogni limite anche nel vestirsi. Si faceva confezionare abiti più sontuosi che alla sua condizione sociale non si convenisse e, nella ricerca dell’originalità, arrivava a cucire insieme nello stesso indumento stoffe preziose e panni grossolani. 
Ancora durante la sua giovinezza, Francesco dimostrava delle qualità spirituali rare. Le fonti ci dicono che era di indole cortese e gentile, forse perché ammirava le stesse qualità in Pica, sua madre. Aveva un cuore tenero, specialmente verso i poveri. 
La L3C 3 fa vedere queste qualità, che sono diventate la base di una ulteriore conversione nel cuore di Francesco: 
Per indole, era gentile nel comportamento e nel conversare. E seguendo un proposito nato da convinzione, a nessuno rivolgeva parole ingiuriose o sporche; anzi, pur essendo un ragazzo brillante e dissipato, era deciso a non rispondere a chi attaccava discorsi lascivi. Così la fama di lui si era diffusa in quasi tutta la zona, e molti che lo conoscevano, predicevano che avrebbe compiuto qualcosa di grande. 

Queste virtù spontanee furono come gradini che lo elevarono fino a dire a se stesso: “Tu sei generoso e cortese verso persone da cui non ricevi niente, se non una effimera vuota simpatia; ebbene, è giusto che sia altrettanto generoso e gentile con i poveri, per amore di Dio, che contraccambia tanto largamente”. Da quel giorno incontrava volentieri i poveri e distribuiva loro elemosine in abbondanza; infatti, benché fosse commerciante, aveva il debole di sperperare le ricchezze. 

Un giorno che stava nel suo negozio, tutto intento a vendere delle stoffe, si fece avanti un povero a chiedergli l’elemosina per amore di Dio. Preso dalla cupidigia del guadagno e dalla preoccupazione di concludere l’affare, egli ricusò l’elemosina al mendicante, che se ne uscì. Subito però, come folgorato dalla grazia divina, rinfacciò a se stesso quel gesto villano, pensando: “Se quel povero ti avesse domandato un aiuto a nome di un grande conte o barone, lo avresti di sicuro accontentato. A maggior ragione avresti dovuto farlo per riguardo al re dei re e al Signore di tutti”. Dopo questa esperienza, prese risoluzione in cuor suo di non negare mai più nulla di quanto gli venisse domandato in nome di un Signore così grande. 
Francesco, da giovane, cominciò a notare un fatto non del tutto palese agli altri cittadini di Assisi, e cioè, che c’erano molte persone che non contavano a niente perché non entravano nelle categorie sociali dei maiores o minores, che avevano in mano le sorti della vita civile della città, insieme con l’alto clero e i monaci che reggevano le anime, ma che si immischiavano in questioni di natura politica e nell’acquistare terreni e ricchezze. 
Erano i poveri che non contavano niente che attiravano l’attenzione del giovane Francesco, che elargiva loro l’elemosina con un cuore tenero, cortese e generoso. Erano i mendicanti e gli accattoni che vivevano per strada, e che si incontravano nei portali di tutte le chiese di Assisi chiedendo l’elemosina per amore di Dio. 
L’amore di Dio suonava come un grido di urgenza alle orecchie di Francesco ancora giovane. Dal negozio di suo padre, pieno di stoffe preziose che si vendevano a caro prezzo alle ricche signore nobili di Assisi, egli non poteva immaginare la durezza della vita che dovevano soffrire i poveri. 

Era troppo ricco per vedere la miseria. A casa sua, sopra il fondaco del padre, non mancava niente. Più tardi, quando cominciava a sentire un forte cambiamento interiore, cominciava a donarsi con maggiore slancio di affetto e generosità al servizio dei poveri. Nel frattempo, tuttavia, doveva trascorrere due anni di gloria e di umiliazione, due anni che lasciavano il suo animo pieno di amarezza al vedere gli odi e le guerre degli uomini, e che aprivano il suo cuore a diventare un angelo della vera pace (S. Bonaventura, Leggenda Maggiore di S. Francesco [LM], Prologo, 1).

VITA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI Noel Muscat ofm Kunvendi Françeskan «Zoja Rruzarë» Arra e Madhe Shkodër – Albania 2003

SALVE SANCTE PATER