giovedì 30 novembre 2017

VITA DI SAN FRANCESCO


IL DONO DEI FRATELLI 

Il lungo cammino di conversione di Francesco lo portò, pian piano, a scoprire la volontà del Signore, espressa in modo del tutto particolare nel Vangelo. 
Possiamo affermare che il contatto fisico con il “libro dei vangeli” può essere messo accanto al contatto fisico con la prigionia, la malattia, la grotta, i poveri, i lebbrosi, le chiese, i sacerdoti, il crocifisso di San Damiano, che diventano come dei quadri che parlano di una esperienza viva di ricerca inconscia di Cristo, che accompagnò Francesco almeno dal 1202 fino al 1208-09. 

Nel suo Testamento egli parla in modo molto sincero di questi immagini che lo hanno spinto a decifrare la presenza del Signore nei segni visibili, che prima non lo attiravano, ma che ora diventarono il suo programma di vita. 
L’episodio del 24 febbraio 1208 alla Porziuncola mise Francesco, per la prima volta, davanti alla parola scritta del Signore, che viene proclamata per echeggiare nelle orecchie del cuore. 
Tommaso da Celano ci dice che ogni tanto leggeva nei Libri Sacri, e scolpiva indelebilmente nel cuore ciò che anche una volta sola aveva immesso nell’animo. Per lui, la memoria teneva il posto dei libri, perché il suo orecchio, anche in una volta sola, afferrava con sicurezza ciò che l’affetto andava meditando con devozione (2C 102). 
Il Signore gli aveva parlato chiaramente nel testo evangelico che scoprì quel giorno alla Porziuncola. Tuttavia, Francesco era solo. Il suo progetto lo realizzava di giorno in giorno, prima con il restauro delle chiese povere e il chiedere l’elemosina come i poveri, e adesso con un nuovo stile di vestirsi, andando a predicare la buona novella a tutti. Ma era evidente che mancava il supporto umano, di cui ogni progetto ha bisogno per riuscire. 

Il Signore premiò la sua fede e aspettativa poco dopo l’episodio che abbiamo appena visto. Un numero crescente di persone veniva attirato dalla schiettezza e veracità dell’insegnamento e della vita di Francesco. Due anni dopo la sua conversione, alcuni uomini si sentirono stimolati dal suo esempio a fare penitenza e a unirsi a lui, rinunziando a tutto, indossando lo stesso saio e conducendo la stessa vita. 

Il primo fu Bernardo, di santa memoria. Considerando egli la perseveranza e il fervore di Francesco nel servire Dio, e come restaurava con dura fatica le chiese diroccate, conducendo un’esistenza così aspra, lui che in precedenza era vissuto nella comodità, prese la risoluzione in cuor suo di distribuire ai poveri ogni suo avere e di condividere fermamente l’ideale e la vita di Francesco. Un giorno, dunque, andò di nascosto dall’uomo di Dio, gli palesò la sua decisione, e si accordò con lui che venisse a trovarlo in una sera determinata. Francesco rese grazie a Dio e fu invaso dalla gioia: non aveva ancora nessun compagno e sapeva che messer Bernardo era un sant’uomo (L3C 27). 
Bernardo da Quintavalle era un riccho giovane di Assisi, che certamente conosceva molto bene Francesco. La sua casa si vede tuttora, nell’area che sta sotto la Piazza del Comune, vicino alla chiesa di Santa Maria Maggiore, in una strada che si chiama, appunto, Via Bernardo da Quintavalle. È una casa di apparenza nobile, con una facciata che ancora forse è quella medievale che ha visto Francesco, quando è andato quella sera a cenare e dormire dal suo amico.  
Alla sera convenuta, Francesco si recò alla casa di Bernardo con grande esultanza di cuore, e vi trascorse tutta quella notte. Tra le altre cose, messer Bernardo gli disse: “Se qualcuno per lunghi anni tenesse con sé i beni, molti o pochi, del suo padrone e poi non avesse più voglia di possederli, quale sarebbe il miglior modo di comportarsi?” Francesco rispose che dovrebbe restituire al padrone quello che aveva ricevuto da lui. Messer Bernardo seguitò: “E perciò, fratello, io voglio distribuire, nel modo che parrà a te più appropriato, tutti i miei beni temporali, per amore del mio Signore che me li ha dati”. Il Santo concluse: “Di buon mattino andremo in chiesa e consulteremo il libro dei Vangeli, per sapere quello che il Signore insegnò ai suoi discepoli”. Sul fare del giorno si alzarono, presero con sé un altro uomo di nome Pietro, che egualmente desiderava diventare loro fratello, ed entrarono nella chiesa di San Nicolò, vicina alla piazza della città di Assisi. 

Essendo dei semplici, non sapevano trovare le parole evangeliche riguardanti la rinuncia al mondo, e perciò pregavano devotamente il Signore affinché mostrasse la sua volontà alla prima apertura del libro (L3C 28). La chiesetta di San Nicolò l’abbiamo già incontrata, parlando della casa di Pietro di Bernardone, che si trovava probabilmente vicinissima. Oggi la chiesa non c’è più, ma esiste ancora la sua cripta romanica, dove c’è il museo del forum romano. La chiesa si trovava all’estremità della piazza, tra la Via Portica e Via di San Paolo, e si affacciava sulla Piazza del Comune di Assisi. 
Francesco conosceva bene quella chiesa, così vicina a casa sua, e dedicata a San Nicola, patrono dei commercianti. Finita la preghiera, Francesco prese il libro dei Vangeli ancora chiuso e, inginocchiandosi davanti all’altare, lo aprì. E subito gli cadde sott’occhi il consiglio del Signore: “Se vuoi essere perfetto, va’ e vendi tutti i tuoi beni e distribuiscili ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo” (Mt 19,21). 
Francesco, dopo aver letto il passo, ne fu molto felice e rese grazie a Dio. Ma, vero adoratore della Trinità, volle l’appoggio di tre testimoni; per cui aprì il libro una seconda e una terza volta. Nella seconda, incontrò quella raccomandazione: “Non portate nulla nei vostri viaggi” (Lc 9,3); e nella terza: “Chi vuole seguirmi, rinunzi a sé stesso” (Lc 9,23), ecc. Ad ogni apertura del libro, Francesco rendeva grazie a Dio, che approvava l’ideale da lui lungamente vagheggiato. Alla terza conferma che gli fu mostrata, disse a Bernardo e a Pietro: “Fratelli, ecco la vita e la regola nostra, e di tutti quelli che vorranno unirsi a noi. Andate dunque e fate quanto avete udito” (L3C 28-29). 
Il libro dei vangeli che consultò Francesco probabilmente era propriamente un Messale che esiste ancora nella collezione dei manoscritti di Walters Art Gallery a Baltimore, negli Stati Uniti, che risale all’epoca in cui visse Francesco, secondo studi appositamente compiuti su questo documento. Di nuovo, il contatto fisico con la parola di Cristo nel Vangelo, indica a Francesco il cammino da seguire. 

Il Signore gli aveva dato due nuovi fratelli: Bernardo da Quintavalle, e Pietro (non sappiamo se si trattasse di Pietro Cattanio), che avrebbero avuto molta importanza nel contesto della primitiva fraternità. Toccava adesso mettere in atto questo programma di vita. 
Andò messer Bernardo, che era assai ricco, e vendette ogni suo avere, ricavandone molto denaro, che distribuì interamente ai poveri della città. Anche Pietro eseguì il consiglio divino come gli fu possibile. Privatisi di tutto, entrambi indossarono l’abito che il Santo aveva preso poco dinanzi, dopo aver lasciato quello di eremita. E da quell’ora, vissero con lui secondo la forma del santo Vangelo, come il Signore aveva indicato loro. E così Francesco potè scrivere nel suo Testamento: “Il Signore stesso mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo” (L3C 29). Da questo momento nasce la prima fraternità intorno a Francesco d’Assisi. 

Dopo qualche tempo, fu arricchita con l’arrivo di un sacerdote, di nome Silvestro, che fece una vera e propria conversione, come ci raccontano i Tre Compagni. Il giorno che messer Bernardo stava distribuendo, come già abbiamo detto, i suoi beni ai poveri, Francesco era presente e mirava quell’opera stupenda del Signore, glorificandolo e lodandolo in cuor suo. 

Capitò colà un sacerdote, di nome Silvestro, da cui Francesco aveva comprato pietre per il restauro di San Damiano. Vedendo distribuire tutto quel denaro per consiglio dell’uomo di Dio, Silvestro fu preso da morbosa cupidigia e gli disse: “Francesco, non mi hai pagato come dovevi le pietre acquistate da me”. Udendo la recriminazione ingiusta, il Santo, che abominava l’avarizia, si accostò a messer Bernardo, affondò la mano nel suo mantello gremito di monete, e la tirò fuori piena di soldi, che versò al prete borbottone. Ne agguantò poi un’altra manciata, dicendo: “Sei pagato a dovere, adesso, messer sacerdote?” Rispose Silvestro: “Oh, sì, fratello”. E tutto gongolante tornò a casa col denaro. Ma pochi giorni dopo, il prete Silvestro, ispirato dal Signore, si mise a riflettere sul gesto di Francesco. 
E diceva fra sé: “Sono proprio un miserabile! Eccomi vecchio, e ancora a concupire e cercare insaziabilmente le cose di questo mondo; mentre questo giovane le disprezza e calpesta per amore di Dio”. La notte seguente, vide in sogno una immensa croce, la cui sommità toccava il cielo e il cui piede stava appoggiato alla bocca di Francesco, e i bracci si stendevano da una parte e dall’altra del mondo. Svegliatosi, il sacerdote capì e fermamente credette che Francesco era vero amico e servo di Cristo, e il suo movimento religioso si sarebbe dilatato prodigiosamente in tutto il mondo. Cominciò a temere Dio e a fare penitenza a casa sua. E poco tempo dipoi entrò nel nuovo Ordine, vi condusse una vita santa e finì con una morte gloriosa (L3C 30-31). 
I tre nuovi compagni, cioè, Bernardo da Quintavalle, Pietro (Cattanio?) e Silvestro, andarono con Francesco a vivere accanto alla cappellina di Santa Maria della Porziuncola. In questo luogo si potrebbe affermare che è nato l’Ordine dei Frati Minori, perché era qui che, da principio, i frati trovarono rifugio e potevano pregare nella cappella della Vergine degli Angeli, che Francesco aveva restaurato con le proprie mani. 

Sull’importanza della Porziuncola nella vita di Francesco e dei primi frati torneremo più tardi. Il giorno 23 aprile 1208, la nuova fraternità viene di nuovo arricchita con il dono di un fratello. Alcuni giorni più tardi, un assisano, Egidio, scese da loro, e con sincero rispetto e devozione, in ginocchio, pregò l’uomo di Dio di riceverlo con sé. Francesco, toccato dalla fede e bontà di lui e presagendo che potrebbe ottenere da Dio molta grazia (come poi accadde in effetto), lo ricevette lietamente (L3C 32). Egidio doveva essere uno dei frati più noti nella storia della prima generazione francescana. Francesco, a voce alta e chiara, cantava in francese le lodi del Signore, benedicendo e glorificando la bontà dell’Altissimo. Tanta era la loro gioia, che pareva avessero scoperto un magnifico tesoro nel podere evangelico della signora Povertà, per amore del quale si erano generosamente e spontaneamente sbarazzati di ogni avere materiale, considerandolo alla stregua di rifiuti. L’uomo di Dio non teneva ancora delle prediche al popolo ma, attraversando città e castelli, tutti esortava ad amare e temere Dio, a fare penitenza dei loro peccati. Egidio esortava gli uditori a credere nelle parole di Francesco, dicendo che dava ottimi consigli (L3C 33). Questa era la prima iniziativa di evangelizzazione della piccola fraternità. 
Egli è rimasto uno dei legami più forti con Francesco, particolarmente dopo la morte del santo, quando egli si era ritirato nel convento di Monteripido, presso Perugia, dove morì nell’aprile 1262. Dal primo istante, Francesco dimostrò un affetto del tutto particolare verso frate Egidio, forse per causa della sua semplicità e umiltà. 31 Francesco aveva ormai capito che la vocazione sua e dei frati era quella di annunziare il vangelo sul modello di Cristo e degli apostoli, conducendo una vita itinerante e povera. Appena il Signore gli donò i fratelli, si mise subito all’opera il suo grande progetto di evangelizzazione. Francesco, unitamente a Egidio andò nella Marca di Ancona, gli altri due si posero in cammino verso un’altra regione. Andando verso la Marca, esultavano giocondamente nel Signore.

Francesco ed Egidio partivano da Assisi dalla strada vecchia che, dalla Porta Parlascio, andava nella Marca di Ancona. Fu questa una delle regioni che ascoltò per prima il messaggio di pace e di gioia del poverello di Assisi. 
Sul modello dei discepoli che andarono a due a due per predicare, Francesco e i primi compagni si misero subito all’opera di evangelizzazione. 

La reazione iniziale della gente era una di sospetto di fronte a questi girovaghi giullari di Dio. Gli ascoltatori si domandavano l’un l’altro: “Chi sono questi due? Cosa ci stanno dicendo?” A quei tempi l’amore e il timor di Dio erano come spenti nei cuori, quasi dappertutto; la penitenza era ignorata, anzi la si riteneva una insensataggine ... Su questi uomini evangelici correvano perciò opinioni contrastanti. Alcuni li consideravano dei pazzoidi e dei fissati; altri sostenevano che i loro discorsi provenivano tutt’altro che da demenza. Uno degli uditori osservò: “Questi qui o sono uniti a Dio in modo straordinariamente perfetto, o sono dei veri insensati, poiché menano una vita disperata: non mangiano quasi niente, camminano a piedi nudi, hanno dei vestiti miserabili”. 
Ciò nonostante, vedendo quel modo di vivere così austero eppure così lieto, furono presi da trepidazione. Nessuno però osava seguirli. Le ragazze, al solo vederli da lontano, scappavano spaventate, nella paura di restare affascinate dalla loro follia. Percorsa che ebbero quella provincia, fecero ritorno al luogo di Santa Maria (L3C 34). 

La fraternità di questi poveri continava a crescere di giorno in giorno. Le Fonti non sono tutti concordi sui nomi degli altri fratelli che si univano a Francesco, Bernardo, Pietro, Silvestro ed Egidio. I Tre Compagni parlano di altri tre fratelli, Sabbatino, Morico, e Giovanni da Cappella, che si unirono alla fraternità quando Francesco e gli altri tornarono dalla loro prima missione e si stabilirono alla Porziuncola. La reazione dei cittadini di Assisi di fronte alla nuova fraternità non era inizialmente accogliente. Nessuno poteva capire come mai questi giovani, molti dei quali prima erano ricchi, adesso conducevano una vita da miserabili e, cosa ancora più grave, andavano in città a chiedere elemosina. Da parte loro, i genitori e i consanguinei, non li potevano vedere; gli altri concittadini li schernivano come eccentrici scervellati. A quei tempi infatti nessuno osava abbandonare i propri averi e andare a chiedere la carità di porta in porta (L3C 35). 

Per Francesco, l’avventura iniziale, anche se era molto bella, doveva essere mitigata con un certo stile di vita, man mano che la fraternità cresceva di numero. Certo, non si poteva continuare a vivere allo sbando, con il pericolo molto grave di essere ritenuti degli eretici e cacciati da ogni luogo in cui andavano a predicare e chiedere elemosina. 
Per questo, è impensabile che Francesco avrebbe potuto accogliere nuovi fratelli e associarli al suo progetto di vita, senza il permesso, o almeno la conoscenza, di qualcuno che era responsabile del gruppo agli inizi. Questa persona, stando ai Tre Compagni, era il vescovo Guido di Assisi.

Solo il vescovo di Assisi, al quale l’uomo di Dio ricorreva di frequente per consigliarsi, lo riceveva con benevolenza. Una volta gli ebbe a dire: “La vostra vita mi sembra dura e aspra, poiché non possedete nulla a questo mondo”. Rispose il Santo: “Messere, se avessimo dei beni, dovremmo disporre anche di armi per difenderci. È dalla ricchezza che provengono questioni e liti, e così viene impedito in molte maniere tanto l’amore di Dio quanto l’amore del prossimo. Per questo non vogliamo possedere alcun bene materiale a questo mondo” (L3C 35). 

Nell’estate del 1208 si unì alla fraternità Filippo Longo. Finalmente il loro numero divenne sette con frate Filippo, al quale il Signore aveva toccato e purificato le labbra con il carbone ardente, così che parlava di Dio con mirabile dolcezza. Interpretava la Scrittura, spiegando il significato più recondito, senza aver studiato nelle scuole (1C 25). Filippo Longo fu noto visitatore generale delle Clarisse nel 1219-1220 e nel 1228-1246. 

Alla fine dell’estate Francesco decise di mandare i nuovi fratelli in una nuova missione evangelizzatrice. 
I Tre Compagni ci riportano le parole di incoraggiamento che il santo disse ai suoi frati prima di accomiatarli. Francesco, pieno della grazia dello Spirito Santo, ai sei frati sopra citati, convocandoli presso di sé dalla selva che si estendeva presso la Porziuncola, nella quale entravano spesso per pregare, predisse quello che sarebbe avvenuto. 

Disse: “Fratelli carissimi, consideriamo la nostra vocazione. Dio, nella sua misericordia, ci ha chiamati non solo per la nostra salvezza, ma anche per quella di molti altri. Andiamo dunque per il mondo, esortando tutti, con l’esempio più che con le parole, a fare penitenza dei loro peccati e a ricordare i comandamenti di Dio”. 
E proseguì: “Non abbiate paura di essere ritenuti insignificanti o squilibrati, ma annunciate con coraggio e semplicità la penitenza. Abbiate fiducia nel Signore, che ha vinto il mondo! Egli parla con il suo Spirito in voi e per mezzo di voi, ammonendo uomini e donne a convertirsi a Lui e ad osservare i suoi precetti. Incontrerete alcuni fedeli, mansueti e benevoli, che riceveranno con gioia voi e le vostre parole. Molti di più saranno però gli increduli, orgogliosi, bestemmiatori, che vi ingiurieranno e resisteranno a voi e al vostro annunzio. Proponetevi, in conseguenza, di sopportare ogni cosa con pazienza e umiltà”. Udendo l’esortazione, i fratelli cominciarono ad aver paura. 
Ma il Santo seguitò: “Non abbiate timore, poiché fra non molto verranno a noi parecchi dotti e nobili, e si uniranno a noi nel predicare ai re, ai principi e ai popoli. In gran numero si convertiranno al Signore, che moltiplicherà e aumenterà la sua famiglia nel mondo intero” (L3C 36). 

In questa seconda missione, Francesco scelse la regione della valle di Rieti, che doveva rimanere uno dei luoghi più sacri della tradizione francescana. Secondo una tradizione locale, il santo arrivò nel paese di Poggio Bustone, salutando la popolazione locale con le parole: buon giorno, buona gente! Era un saluto che augurava la pace secondo lo stile evangelico che Francesco abbracciò. Ed era proprio a Poggio Bustone che Francesco, dopo una preghiera angosciosa in cui chiede perdono dei suoi peccati passati, si sente pienamente perdonato e sperimenta una pace interiore mai sentita prima di quel giorno. 

Tommaso da Celano ci racconta questo fatto, che viene ancora ricordato nello speco che i frati dimostrano a poca distanza dal convento di Poggio Bustone. Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo: “O Dio, sii propizio a me peccatore!” A poco a poco si sentì inondare nell’intimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l’angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell’animo per timore del peccato, scomparvero, e gli fu infusa la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi, come rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente, poté contemplare liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro (1C 26). 
Era il punto di liberazione dalle angoscie passate nella cripta vicino ad Assisi, quando con lacrime invocava il Signore di rivelargli la sua volontà. Anche se Francesco adesso ebbe una risposta assai chiara da parte di Cristo, con l’invito del crocifisso di San Damiano, con la scoperta dei testi del vangelo, con l’arrivo dei fratelli, sentì un intimo bisogno di essere pienamente riconciliato con il suo passato, e di aprirsi con fiducia incondizionata al futuro. Allora fece ritorno ai suoi frati e disse loro pieno di gioia: 
“Carissimi, confortatevi e rallegratevi nel Signore: non vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, Egli ci renderà una innumerevole moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Sono costretto a raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; sarebbe più opportuno conservare il segreto, se la carità non mi costringesse a parlarne. Ho visto una gran quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l’abito della santa Religione e secondo la Regola del nostro beato Ordine. Risuona ancora nelle mie orecchie il rumore del loro andare e venire conforme al comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro, provenienti da quasi tutte le nazioni: accorrono francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi; sopraggiunge la folla di altre varie lingue” (2C 27). 

Certamente, è una visione che non poteva essere possibile storicamente nel lontano 1208, quando i primi fratelli erano soltanto otto, ma va vista alla luce dello sviluppo ulteriore dell’Ordine. Sta di fatto che Francesco ebbe una assicurazione che il piccolo gruppo di frati era destinato a crescere e ad abbracciare membri provenienti da tutte le nazioni. 
È assai probabile che ci fosse anche una terza missione dei frati. Francesco decide di mandare i frati a due a due nelle quattro direzioni, secondo il precetto evangelico. Nello stesso tempo entrò nell’Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro numero fu portato a otto. 

Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno, e disse loro: 
“Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno”. Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano davanti al beato padre, che, abbracciandoli con tenerezza e devozione, diceva ad ognuno: “Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te” (Sal 54,23). Questa frase egli ripeteva ogni volta che mandava qualche frate ad eseguire l’obbedienza. 
Allora frate Bernardo con frate Egidio partì per Compostella, al santuario di San Giacomo, in Galizia; 
san Francesco con un altro compagno scelse un’altra parte; gli altri quattro, a due a due, si incamminarono verso le altre direzioni (1C 29-30). 

Questa missione faceva sperimentare tutte le conseguenze del precetto evangelico di andare a due a due per annunziare il regno di Dio senza portare niente lungo la strada. La reazione iniziale della gente era, naturalmente, una di sospetto verso questi uomini che sembravano, stando ai Tre Compagni, degli “esseri boschivi”. Ognuno che li vedeva, ne era fortemente meravigliato, per quel loro modo di vestire e di vivere così differente da qualunque altro: sembravano proprio degli esseri boschivi. Dove entravano, fosse una città, un castello, un villaggio, un’abitazione, annunziavano la pace, esortando uomini e donne a temere e amare il Creatore del cielo e della terra, e ad osservare i suoi comandamenti (L3C 37). 
In questo contesto di incomprensione, i primi frati dovevano pur presentarsi agli altri. Non potevano certo dire che erano un Ordine religioso approvato dalla chiesa. Di fatto, stando alle leggi ecclesiastiche, erano soltanto un gruppo di penitenti che avevano il beneplacito del vescovo Guido di Assisi. Quando Francesco mandava i suoi frati fuori della diocesi di Assisi, stava rischiando grosso sulla sua e la loro reputazione. Tutto questo fa vedere anche quanto Francesco fosse inizialmente inesperto nella organizzazione del suo gruppo, e certamente che non aveva mai in testa di formare un Ordine religioso. Lo studioso Francescano Kajetan Esser parla di un periodo iniziale in cui i primi frati con Francesco erano semplicemente una fraternitas di penitenti, e che solo dopo, con l’approvazione papale, loro divennero un ordo. 

La distinzione tra fraternitas e ordo è molto importante per capire lo sviluppo storico di quello che poi divenne l’Ordine dei Frati Minori
I Tre Compagni sembrano confermare questa affermazione quando scrivono: C’era chi li stava ad ascoltare volentieri e chi al contrario li beffava. Per lo più venivano bersagliati di una tempesta di domande. Dicevano alcuni: “Da dove venite?” Altri chiedevano a che Ordine appartenessero. Benché riuscisse fastidioso rispondere a tante interrogazioni, essi confessavano con semplicità di essere dei penitenti, oriundi di Assisi. Infatti, il loro Ordine non era ancora detto Religione (L3C 37). La distinzione tra una semplice fraternitas di penitenti e una religio (ordine religioso) appare chiara in questo contesto. I primi frati erano consci di vivere una vita di penitenti, proprio come vivevano tanti altri movimenti laicali nel medioevo, come abbiamo già dimostrato sopra. Forse il nome viri poenitentiales de civitate Assisi oriundi costituisce il primo appellattivo che i frati davano a sé stessi. 

Questo stato di cose naturalmente metteva i frati in pericolo di essere perseguitati. Così avvenne, stando sempre ai Tre Compagni, a Bernardo e Egidio quando questi si fermarono a Firenze, e chiesero un alloggio per la notte vicino ad un forno. Furono cacciati via, ma l’indomani mattina la padrona di casa li trovò in chiesa che pregavano devotamente. 
Fu più impressionata quando vide che loro rifiutavano con dolcezza le elemosine in denaro che un uomo di nome Guido li elargiva. Anche lui rimase stupito che non si comportavano come gli altri poveri, ma Bernardo spiegò a lui che loro avevano lasciato tutte le ricchezze del mondo di spontanea volontà per vivere il vangelo. Fu così che la donna si avvicinò ad essi e si convinse della loro santità, mentre Guido li accolse a casa sua. 

Queste prime esperienze di evangelizzazione missionaria erano la prova della vocazione dei primi frati. Ogni volta che Francesco mandava i frati in missione, pregava che ritornassero alla Porziuncola sani e salvi per ringraziare il Signore per il suo aiuto nella loro impresa. Passato breve tempo, san Francesco, desiderando di rivederli tutti, pregò il Signore, il quale raccoglie i figli dispersi d’Israele, che si degnasse nella sua misericordia di riunirli presto. E tosto, secondo il suo desiderio e senza che alcuno li chiamasse, si ritornarono insieme e resero grazie a Dio. Prendendo il cibo insieme manifestano calorosamente la loro gioia nel rivedere il pio pastore e la loro meraviglia per aver avuto il medesimo pensiero (1C 30). 

Durante questo tempo si aggregarono a loro e si fecero discepoli di Francesco altri quattro uomini degni e virtuosi (1C 31). Tommaso da Celano sembra alludere a Giovanni da San Costanzo, Barbaro, Bernardo di Vigilante e Angelo Tancredi, anche se non c’è nessun accordo riguardo all’identità esatta dei primi dodici compagni. Tuttavia, con questi quattro, il numero dei fratelli diventò dodici, e preparò così la decisione di Francesco di portare il gruppo a Roma dal Papa Innocenzo III. 

L’esperienza della prima fraternità era per Francesco un richiamo all’umiltà delle origini, in modo tale che nel suo Testamento, parla chiaramente di questo momento come un periodo d’oro nella vita dell’Ordine. E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più. Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i ‘Pater noster’; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti. Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta. Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: “Il Signore ti dia la pace” (Testamento, 16-23). 

Questo ritratto della vita dei primi frati è confermato dalle Fonti Francescane. I Tre Compagni scrivono: Occupavano la giornata nell’orazione e lavorando con le loro mani, in maniera da evitare risolutamente l’ozio, nemico dell’anima. A mezza notte si alzavano per la preghiera, animata da gemiti e lacrime. 

Si amavano l’un l’altro con un  affetto profondo, e a vicenda si servivano e procuravano il necessario, come farebbe una madre col suo unico figlio teneramente amato. Tale era l’affetto che ardeva loro in cuore, che erano pronti a consegnarsi alla morte senza esitare, non solo per amore di Cristo, ma anche per salvare l’anima o il corpo dei fratelli (L3C 41). Pian piano i fratelli guadagnavano la simpatia delle persone che prima li avevano perseguitati e ritenuti come pazzi. Molte persone, vedendo i frati sereni nelle tribolazioni, alacri e devoti nella preghiera, non avere ne ricevere denaro, coltivare tra loro amore fraterno, da cui si riconosceva che erano veramente discepoli del Signore, impressionate e dispiaciute, venivano da loro, e domandavano scusa delle offese fatte. Essi perdonavano di cuore, dicendo: “Il Signore vi perdoni!”, e davano consigli utili alla loro salvezza (L3C 41). 

Così, i primi frati si erano organizzati come una vera e propria famiglia evangelica. Tuttavia, mancava un programma ben definito. Francesco si rese conto che la scoperta del vangelo come norma di vita aveva bisogno di essere, in un certo modo, codificata, per dare più consistenza al piccolo gruppo di fratelli. Non sapeva affatto come avrebbe affrontato questa nuova esigenza. Sapeva soltanto che aveva bisogno di un appoggio forte per continuare in quella avventura evangelica, senza mettere i fratelli in un grave pericolo di essere presi per eretici. Per questo decise di andare a Roma dal Papa Innocenzo III. 

Una decisione coraggiosa e, in un certo modo, troppo ardita. Tuttavia, non era il primo ad affrontare un Papa così grande come Innocenzo III, e probabilmente sapeva che il Papa aveva già dato la sua benedizione, se non anche l’approvazione, ad altre simili forme di vita, come quella degli Umiliati in Lombardia. Francesco prese il rischio e, probabilmente di propria iniziativa, decise di portare i dodici fratelli a Roma da Innocenzo III. 
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AMDG et BVM

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