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giovedì 7 dicembre 2017

DON BOSCO


            Vi fu un tempo in cui, gl'imperatori di Costantinopoli mossero una violenta persecuzione contro a' cattolici perchè veneravano le sacre immagini. Tra questi fu Leone Isaurico. Costui per abolirne affatto il culto uccideva ed imprigionava chiunque fosse {55 [247]} denunziato di aver dato segno di venerazione alle immagini od alle reliquie dei Santi e specialmente della Beata Vergine. Per ingannar poi il semplice popolo fece chiamare alcuni vescovi ed abati e a forza di danaro e di promesse li indusse a stabilire che non si dovessero venerare le immagini di Gesù crocifisso, nè della Vergine nè dei Santi.
            Ma in que' tempi viveva il dotto e celebre s. Giovanni Damasceno. Per combattere gli eretici ed anche per dare un antiveleno in mano ai cattolici, Giovanni scrisse tre libri nei quali difendeva il culto delle sante immagini. Gl'Iconoclasti (così chiamavansi quegli eretici perchè sprezzavano le sacre immagini) furono grandemente offesi da tali scritti, perciò l'accusarono di tradimento presso il principe. Essi dicevano che aveva mandate lettere sottoscritte di sua mano per far rompere l'alleanza che esso aveva con principi stranieri, e che co' suoi scritti perturbava la pubblica tranquillità. Il credulo imperatore incominciò a sospettare del {56 [248]} santo, e quantunque fosse innocente, lo condannò al taglio della mano destra.
            Ma questa perfidia ebbe un esito molto più felice di quello che egli non si aspettava, poichè la Madonna SS. volle rimunerare il suo servo dello zelo avuto verso di Lei.
            Come si fece sera s. Giovanni si prostra avanti l'immagine della Madre di Dio, e sospirando pregò gran parte della notte e diceva: O Vergine SS. pel zelo verso Voi e le sante immagini mi fu tagliata la destra, accorrete dunque in mio soccorso e fate che possa continuare a scrivere le vostre lodi e quelle del vostro figliuolo Gesù. Così dicendo si addormentò.
            In sogno vide l' immagine della madre di Dio che lo guardava lietamente e gli diceva: Ecco, la tua mano è guarita. Su adunque levati e scrivi le mie glorie. Svegliatosi trovò effettivamente la mano guarita attaccata al braccio.
            Sparsa la notizia di sì grande miracolo ognuno lodava e glorificava la {57 [249]} B. Vergine che rimunera tanto largamente i suoi divoti che patiscono per la fede. Ma alcuni nemici di Cristo vollero sostenere che la mano non si era tagliala a lui, ma ad un suo servo, e dicevano: non vedete che Giovanni sta in casa sua cantando e sollazzandosi come se si celebrasse un festino da nozze? Fu adunque nuovamente arrestato Giovanni e condotto al principe. Ma qui un nuovo prodigio. Mostrando la destra si vedeva in essa come una linea rilucente che dimostrò verissima l'amputazione.
            Stupito il principe a questo prodigio, gli domandò qual medico gli avesse resa la sanità, e qual medicina avesse adoperata. Egli allora ad alta voce narrò il miracolo. È il mio Dio, dice, medico onnipotente che mi restituì la sanità. Il principe allora si mostrò pentito del male operato, e lo voleva innalzare a grandi dignità. Senonchè il Damasceno avverso alle umane grandezze amò meglio la vita privata, e finchè visse impiegò il suo ingegno a scrivere e a pubblicare la {58 [250]}potenza dell'augusta Madre del Salvatore[7].

            Se Dio spesse volte concede grazie straordinarie a chi promuove le glorie dell'augusta sua Genitrice, non di rado però punisce terribilmente anche nella vita presente coloro che sprezzano Lei o le sue immagini.

            Costantino Copronimo, figliuolo di Leone Isaurico salì al trono paterno al tempo del sommo Pontefice s. Zaccaria (741-75). Costui seguendo le empietà di suo padre proibì di invocare i santi, di onorare le reliquie, e di implorarne l'intercessione. Profanava le chiese, distruggeva i monasteri, perseguitava ed imprigionava i monaci, invocava con notturni sacrifizi l'aiuto degli stessi demonii. Ma il suo odio era specialmente rivolto contro la Santa Vergine. Per confermare quanto diceva era solito di prendere in mano una borsa piena di monete {59 [251]} d'oro, e la mostrava ai circostanti dicendo: Quanto vale questa borsa? Molto, dicevan quelli. Gettatone poi l'oro, nuovamente domandava di qual prezzo fosse la borsa. Rispondendo essi che niente valeva, così tosto ripigliava quell' empio, cosi è della Madre di Dio; per quel tempo, che aveva Cristo in sè, era grandemente da onorarsi, ma dal punto che lo diede in luce niente più differisce dalle altre donne.
            Queste enormi bestemmie meritavano certamente un esemplare castigo che Dio non tardò a mandare all'empio bestemmiatore.
            Costantino Copronimo venne punito con vergognose infermità, con ulceri che si cangiarono in pustole infuocate, che gli facevano mandare alte grida, mentre un' ardentissima febbre lo divorava. Così smaniando e gridando come se fosse arso vivo, mandò l'ultimo respiro.

            Il figlio seguì le pedate del padre. Egli si compiaceva molto delle gemme e dei diamanti e vedendone le {60 [252]} molte e belle corone che l'imperatore Maurizio aveva dedicate alla Madre di Dio ad ornamento della chiesa di santa Sofia in Costantinopoli, le fece prendere e se le pose sul capo e portolle nel proprio palazzo. Ma sull' istante la sua fronte fu coperta da pestiferi carbonchi che di quel medesimo giorno trassero a morte colui che osò sporgere la sacrilega mano contro l'ornamento del vergineo capo di Maria[8].

AVE MARIA PURISSIMA!

venerdì 14 novembre 2014

Il tempio, luogo di Dio e la venerazione verso Oriente in san Giovanni Damascen

"In realtà Dio pervade tutte le cose senza mescolarsi, e partecipa a tutte la sua operosità secondo l'attitudine e la potenza accoglitrice di ciascuna [...]. Perciò è detto luogo di Dio quello che partecipa maggiormente della sua operosità e della sua Grazia. 
Per questo il cielo è detto suo trono [...] e la terra [è detta] sgabello dei suoi piedi (infatti in questa egli ha vissuto fra gli uomini attraverso la carne): e, in contrasto, piede di Dio è chiamata la sua santa carne. Anche la chiesa è detta luogo di Dio: infatti lo abbiamo delimitato per la sua glorificazione, come un recinto sacro nel quale facciamo a lui le nostre suppliche". 
(Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 1, 13).

"Noi non prestiamo venerazione [volgendoci] verso Oriente superficialmente o a caso. Ma poiché siamo composti di natura visibile e invisibile, ossia intellettuale e sensibile, presentiamo al Creatore anche una duplice venerazione: così come cantiamo con la mente e con le labbra, siamo battezzati con l'acqua e con lo Spirito, e siamo uniti al Cristo in modo duplice partecipando ai sacramenti e alla grazia dello Spirito.

Quindi, poiché 'Dio è luce' intellettuale e poiché Cristo è chiamato nelle Scritture 'sole di giustizia' e 'Oriente', occorre dedicargli l'Oriente per la venerazione. Infatti bisogna dedicare ogni cosa bella a Dio, dal quale ogni cosa è resa buona. 

Anche il divino Davide dice: 'Cieli della terra, cantate a Dio, cantate inni al Signore, che cavalca sul cielo dei cieli, ad Oriente'. E ancora la Scrittura dice: 'Dio piantò un giardino in Eden, ad Oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato'; ma poi lo cacciò dopo che aveva trasgredito, e 'lo fece abitare di fronte al giardino delle delizie', cioè ad Occidente.


Perciò noi veneriamo Dio desiderando l'antica patria e volgendo gli occhi ad essa. 
E la tenda di Mosé aveva il velo e il propiziatorio ad Oriente. 
La tribù di Giuda, come più onorevole, si accampava ad Oriente. 
Nel famoso tempio di Salomone la porta del Signore era posta ad Oriente. 

Invece il Signore, quando era in croce, guardava verso Occidente e così noi prestiamo venerazione volgendo lo sguardo verso di lui. 
Mentre era assunto in alto fu portato verso Oriente, e così gli apostoli lo venerarono: 
e così egli verrà nel modo con cui fu visto andare in cielo, come il Signore stesso disse: 'Come la folgore viene da oriente e brilla fino ad occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo'. Quindi noi aspettandolo prestiamo venerazione verso Oriente. 

Questa è la tradizione non scritta degli apostoli: infatti molte cose essi ci hanno tramandato senza scriverle". (Ibid., 4, 12).




mercoledì 26 marzo 2014

San Giovanni Damasceno, difensore delle Immagini sante. "Il più prezioso di tutti i beni è conoscere".

27 MARZO

SAN GIOVANNI DAMASCENO,  
CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA

Il culto delle sacre Immagini.
Nella prima Domenica di Quaresima i Greci celebrano la festa dell'Ortodossia. La nuova Roma, mostrando chiaramente di non aver nulla a che fare con l'indefettibilità dell'antica, aveva percorso tutto il cammino delle eresie concernenti il dogma del Dio fatto uomo; tanto che dopo aver rigettato prima la consustanzialità del Verbo, quindi l'unità di persona nell'Uomo-Dio ed infine l'integrità della sua duplice natura, sembrava che non fosse sfuggita nessun'altra negazione alla sagacità dei suoi imperatori e patriarchi. Tuttavia mancava il coronamento di tutti gli errori passati nel tesoro dottrinale di Bisanzio: restava ancora da proscrivere quaggiù le immagini di quel Cristo che sul suo celeste trono, non era più soggetto a mutilazione.

L'eresia iconoclasta.
L'eresia degli iconoclasti, cioè dei frantumatori delle immagini, segnava sul terreno della fede nel Figlio di Dio l'ultima involuzione degli errori orientali. Era dunque giusto che la festa destinata a ricordare la restaurazione delle sacre immagini si gloriasse del nome di festa dell'Ortodossia; celebrando infatti l'ultima sconfitta del dogmatismo bizantino, essa ricorda tutte le altre che ricevette nei Concili, dal primo di Nicea fino al secondo che porta lo stesso nome, il settimo ecumenico. Un'altra particolarità della detta celebrazione era che l'imperatore, stando ritto sul trono, davanti alla Croce ed alle Immagini sante, ripeteva in S. Sofia tutti gli anatemi formulati nei diversi tempi contro gli avversari della verità rivelata.

La persecuzione.
Del resto Satana, il nemico del Verbo, aveva mostrato all'evidenza che, dopo tutte le precedenti sconfitte, non gli rimaneva altro baluardo che la dottrina iconoclasta. Non c'è eresia che abbia moltipllcato per questo in Oriente tanti martiri e rovine. Per difenderla sembrarono rivivere Nerone e Diocleziano nei Cesari battezzati: Leone Isaurico, Costantino Copronimo, Leone l'Armeno, Michele e suo figlio Teofilo. Riapparvero così gli editti di persecuzione, una volta banditi a proteggere gl'idoli, per sfociare di nuovo nell'idolatria, di cui la Chiesa, essi dicevano, s'era imbrattata.
Invano san Germano di Costantinopoli proclamò alto che i cristiani non adoravano le immagini, ma solo le veneravano con un culto relativo alla persona dei Santi ch'esse effigiavano. L'esilio del patriarca fu la risposta del cesare pontefice. La soldataglia che aveva l'incarico d'eseguire le volontà del principe si scagliò a saccheggiare le chiese e le case dei privati; d'ogni parte le statue venerate caddero sotto il martello dei demolitori; si coprirono di calce gli affreschi delle pareti; si lacerarono e ridussero in pezzi i paramenti sacri, i vasi dell'altare, per distruggere gli smalti istoriati e l'ornato delle immagini.

Il martirio.
Mentre nelle pubbliche piazze il rogo inceneriva quei capolavori, alla presenza delle popolazioni che ne avevano nutrita la pietà, anche l'audace artista che aveva tentato di continuare a riprodurre le sembianze di Nostro Signore, di Maria e dei Santi, era gettato nel fuoco e soffriva ogni genere di torture, insieme ai fedeli rei solamente di non aver potuto trattenere i loro sentimenti alla vista di quello scempio. Così in breve tempo, ahimè! nell'ovile desolato spadroneggiò il terrore, ed alcuni capi del gregge, curvando la testa sotto quell'uragano, si prestarono a lamentevoli compromessi.
Fu allora che la nobile discendenza di san Basilio, monaci e vergini consacrate, insorsero compatti a tener testa ai tiranni: a prezzo dell'esilio, delle orride prigioni, e della morte causata dalla fame e dalle torture, dai flutti e dalla spada, essi poterono salvare le tradizioni dell'arte antica e la fede degli avi. La quale, in quell'ora della storia, si può dire personificata nel santo monaco e pittore che porta il nome di Lazzaro, che, tentato da lusinghe e minacce, quindi torturato e messo ai ferri, e finalmente, quale eroico recidivo, con le mani bruciate da lame incandescenti, non di meno continuò a esercitare la sua arte per amore dei Santi, per i suoi fratelli e per Dio, sopravvivendo agli stessi persecutori.
Fu allora anche che si affermò definitivamente l'indipendenza temporale dei Romani Pontefici. Allorché Leone Isaurico minacciava di venire fino a Roma a fare in pezzi la statua di san Pietro, tutta l'Italia accorse a bloccare ai nuovi barbari le sue sponde e a difendere i tesori delle sue Basiliche e a sottrarre il Vicario dell'Uomo-Dio al residuo di patronaggio che Bisanzio ancora si attribuiva.
Fu un'epoca gloriosa che, durata per ben centovent'anni, abbraccia la successione dei grandi Papi che va da san Gregorio II a san Pasquale I, e i due punti estremi sono illustrati in Oriente da due nomi: Teodoro Studita, che nella sua incrollabile fermezza prepara il trionfo finale; Giovanni Damasceno che, all'inizio, ne segnalò la burrasca.
Sino ai tempi nostri si lamentava che un'epoca i cui ricordi riempivano i fasti della Liturgia greca, non fosse commemorata da nessuna festa nel calendario delle Chiese latine. La lacuna fu colmata sotto il pontificato di Leone XIII; così dal 1890, Giovanni Damasceno, il protetto di Maria, il monaco la cui eminente dottrina gli valse il nome di fiume d'oro, ricorda in Occidente l'eroica lotta in cui l'Oriente ebbe altissimi meriti presso la Chiesa e il mondo tutto.

L'insegnamento della Chiesa.
Concludiamo col riportare qui i punti più salienti delle definizioni con le quali la Chiesa, prima nell'VIII secolo e più tardi nel XVI, rivendicò le sante Immagini dalla proscrizione cui le aveva condannate l'inferno. "È cosa legittima, dichiara il secondo concilio di Nicea, porre nelle chiese a modo di affresco, o di tavola, sui paramenti e vasi sacri, come anche nelle case e per le strade, sia le immagini in dipinto, che in mosaico o d'altra materia conveniente, rappresentanti Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, la purissima Vergine e santa Madre di Dio, gli Angeli e tutti i Santi; così che si possano incensare e accendere lumi davanti a loro (2.o Concilio di Nicea, sess. 7). - Non certo, continuano i Padri di Trento contro i Protestanti, è da credere ch'esse abbiano una divinità o una virtù propria, o che si debba riporre fiducia proprio nell'immagine, come una volta i pagani nei loro idoli; ma,riferendosi al prototipo l'onore ad esse attribuito [1], è a Cristo stesso che, per esse, vanno le nostre adorazioni, ed ai Santi l'onore che noi attribuiamo alla loro effige" (Concilio di Trento, sess. 25).

VITA. - San Giovanni nacque verso l'anno 676. Apparteneva ad una ricca famiglia di Damasco; a somiglianza di suo padre, esercitò un'importante carica presso la corte del califfo. Quindi abbandonò il mondo e si ritirò nella solitudine di S. Saba. In alcune sue Lettere dommatiche rimaste celebri, egli divenne, contro l'imperatore iconoclasta Leone Isaurico, l'intrepido difensore del culto delle immagini. Sue cure principali furono: insegnare, scrivere e predicare. In lui rifulsero di vivo splendore le virtù dell'obbedienza e dell'umiltà; nutrì una filiale pietà verso la Madre di Dio ed un ardente zelo per la salute delle anime; amante intransigente della verità, non lo fu meno della concordia fraterna. Morì nel 749 e fu sepolto a S. Saba. Ben presto cominciò il suo culto; nel 7.o Concilio ecumenico fu additato come difensore instancabile della tradizione cattolica e dell'unità della Chiesa; finalmente, con un decreto del 19 agosto 1890, Papa Leone XIII lo proclamò Dottore della Chiesa e ne fissò la festa il 27 marzo.

L'arte e la preghiera.
<<O difensore delle Immagini sante, concedi, come prega la Chiesa (Colletta del giorno), che imitiamo le virtù e siamo protetti da coloro ch'esse rappresentano. L'immagine ci fa venerare e pregare il nostro re Cristo ed i suoi Santi. Essa è un libro per coloro che non sanno leggere; anzi molti letterati traggono a volte più profitto da un rapido sguardo gettato su d'un eloquente quadro, che nella lettura prolungata d'una quantità di volumi. Nel suo lavoro, l'artista cristiano fa nel contempo un atto di religione e di apostolato, così che non è da stupirsi se in ogni epoca turbolenta l'odio infernale scatena sconvolgimenti atti a distruggere le loro opere.

Con te, dunque, diremo, o san Giovanni Damasceno:

"Va' via, Satana, con la tua invidia, tu che non puoi tollerare di farci contemplare l'immagine di Nostro Signore e di santificarci alla sua vista; tu che non vuoi farci considerare le sue salutari sofferenze, ammirare la sua condiscendenza, godere lo spettacolo dei suoi miracoli per trarne occasione di meglio conoscere e lodare la potenza della sua divinità. Invidioso dei Santi e degli onori che hanno ottenuto da Dio, tu non puoi sopportare che abbiamo sotto gli occhi la loro gloria, per paura che quella vista non ci muova a imitarne il coraggio e la fede; non puoi sopportare l'aiuto che ci ripromettiamo ai corpi e alle anime nostre per la confidenza che in esse riponiamo. Ma noi, demonio geloso e nemico degli uomini, non ti seguiremo" (Delle Immagini, 3,3).

Lode.
"Sii pertanto la nostra guida, tu che vieni salutato dalla sacra scienza come uno dei suoi primi luminari. Il più prezioso di tutti i beni è il conoscere, dicevi (Dialetica, 1). E l'unica tua ambizione fu sempre quella di portare le intelligenze al solo maestro immune da ogni falsità, a Cristo, forza e sapienza di Dio.
Un giorno Maria, apparendo alla guida dei tuoi primi passi monastici, alla quale obbedivi come a Dio stesso, predisse il successo della vostra dottrina e delle vostre opere, dicendo: "Lascia scorrere la sorgente dalle dolci e limpide acque; nel suo corso percorrerà l'universo e disseterà le anime avide di scienza e di purezza; e nella sua potenza arginerà il mareggiar dell'eresia, trasformandola in una meravigliosa dolcezza". Continuando nel suo dire, la Regina delle celesti armonie aggiungeva che tu avevi ricevuto la profetica cetra e il salterio, per intonare nuovi inni al Signore Dio nostro, gareggianti con quelli dei Cherubini (Giovanni di Gesù, Vita di G. Damasceno, 31). Perché le Chiese cantassero la morte e la risurrezione di Cristo (ibid.), bisognava che avessero in te un maestro di coro. Dalle feste dell'esilio e dalla Pasqua del tempo, guidaci attraverso il Mar Rosso e il deserto all'eterna festa, ove tutte le immagini di questa terra svaniscono dinanzi alle celesti realtà, ove ogni scienza si eclissa nella chiara visione e dove regna Maria, tua diletta ispiratrice, tua e nostra Regina">>.


[1] Tale formula, che contiene la vera teologia del culto delle immagini, è stata mutuata dal Concilio di Trento dal secondo di Nicea, che testualmente la trasse da san Giovanni Damasceno: De fide orthodoxa, 4,16.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 887-891