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venerdì 7 febbraio 2020

E' sorprendente

UN SACERDOTE, DOPO DIO, E' TUTTO.


Il SACERDOTE 
compie il Sacrificio Eucaristico in Persona di Gesù Cristo 
e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo. Lumen Gentium

Vive ed opera nel mondo, ma non appartiene al mondo.

È figlio di uomini, ma ha l'autorità di renderli figli di Dio.

È povero, ma ha il potere di comunicare ai fratelli ricchezze infinite.

È debole, ma rende forti i deboli col pane della vita.
È servitore,ma davanti a lui si inginocchiano gli Angeli.

È mortale, ma ha il compito di trasmettere l'immortalità.

Cammina sulla terra, ma i suoi occhi sono rivolti al cielo.

Collabora al benessere degli uomini, ma non li distoglie 
dalla meta finale che è il Paradiso.

Può fare cose che neppure Maria e gli Angeli possono compiere:
celebra la S. Messa e perdona i peccati.

Quando celebra ci sovrasta di qualche gradino, 
ma la sua azione tocca il cielo. 

Quando assolve rivela la potenza di Dio 
che perdona i peccati e ridona la vita.

Quando insegna propone la Parola di Gesù: 
« Io sono la Via, la Verità e la Vita ».

Quando prega per noi il Signore lo ascolta, perché lo ha costituito "Pontefice",  cioè ponte di collegamento fra Dio e i fratelli.

Quando lo accogliamo diventa l'amico più sincero e fedele. 

È l'uomo più amato e più incompreso; il più cercato e il più rifiutato.

È la persona più criticata, perché deve confermare con il suo esempio l'autenticità del messaggio. 

È il fratello universale,
il cui mandato è solo quello di servire, senza nulla pretendere.

Il Sacerdote è il vertice  di tutte le grandezze
S. Agostino 

Nessuno è più grande di questo povero, piccolo uomo che celebra i Sacramenti.
Monsabré

Se incontrassi simultaneamente un Angelo e un Sacerdote, saluterei prima il Sacerdote, perché egli è un altro Cristo.
S. Francesco

Il Sacerdote non si appartiene perché è tutto e solo di Dio e dei fratelli.
Fulton Sheen

Lasciate per vent'anni una parrocchia senza prete e vi si adoreranno le bestie.
S. Giovanni Vianney, il Curato dArs

Quando celebro la S. Messa sono sospeso sulla croce con Gesù.
San Padre Pio

Tu Signore, sei con me, mi hai scelto, mi hai chiesto di rimanere nel Tuo Amore.
Papa Giovanni Paolo II

Il più grande dono che Dio possa fare a una famiglia è un figlio Sacerdote.
San Giovanni Bosco

È SORPRENDENTE...
IL SACERDOTE, DOPO DIO, E' TUTTO.

È dono e mistero; è umiltà e grandezza; è perdono e Grazia! 
È luogo d'incontro fra il Cielo e la Terra.


È meraviglioso. Nel Sacerdote, Gesù si fa vicino e cammina con noi.

Chi tornava da Ars, 
dopo averne visto l'umile Parroco, San Giovanni Maria Vianney, 
esclamava con stupore: «Abbiamo visto Dio in un uomo».
Per questo, ogni Sacerdote deve pregare così: 
«Signore, fa che coloro che vedono me, riconoscano Te !».
Quando penso...    a quello che i sacerdoti fanno per noi, scrive Enrico Medi, 
ho la certezza che qualunque ricompensa sia inadeguata.
Enrico Medi 

Se è santo, lo ignoriamo; se è mediocre, lo disprezziamo.
Se è generoso, lo sfruttiamo; se è "interessato", lo critichiamo.
Se siamo nel bisogno, lo assilliamo; se vengono meno le necessità, 
lo dimentichiamo. 
E solo quando ci sarà sottratto comprenderemo quanto ci fosse indispensabile e caro.

E' SORPRENDENTE... IL SACERDOTE, DOPO DIO, E' TUTTO.

E' Dono e Mistero; è umiltà e grandezza, è perdono e Grazia.
E' luogo d'incontro fra il Cielo e la Terra.

Il nostro GRAZIE più vero consiste nel pregare per li Sacerdoti di Dio 
nel sostenerli con la nostra amicizia.

di Don Novello Pederzini -  Bologna



martedì 11 luglio 2017

Parliamone, non solo

IL SACERDOTE


Il Sacerdote compie il Sacrificio Eucaristico
in Persona di Gesù Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo.
Lumen Gentium



Il Sacerdote...


vive ed opera nel mondo, ma non appartiene al mondo.

È figlio di uomini, ma ha l'autorità di renderli figli di Dio.
È povero, ma ha il potere di comunicare ai fratelli ricchezze infinite.
È debole, ma rende forti i deboli col pane della vita.
È servitore,ma davanti a lui si inginocchiano gli Angeli.
È mortale, ma ha il compito di trasmettere l'immortalità.
Cammina sulla terra, ma i suoi occhi sono rivolti al cielo.

Collabora al benessere degli uomini, ma non li distoglie dalla meta finale che è il Paradiso.

Può fare cose che neppure Maria e gli Angeli possono compiere:
celebra la S. Messa e perdona i peccati.

Quando celebra ci sovrasta di qualche gradino, ma la sua azione tocca il cielo. Quando assolve rivela la potenza di Dio che perdona i peccati e ridona la vita.
Quando insegna propone la Parola di Gesù: « Io sono la Via, la Verità e la Vita».
Quando prega per noi il Signore lo ascolta, perché lo ha costituito "Pontefice",  cioè ponte di collegamento fra Dio e i fratelli.

Quando lo accogliamo diventa l'amico più sincero e fedele. È l'uomo più amato e più incompreso; il più cercato e il più rifiutato.
È la persona più criticata, perché deve confermare con il suo esempio l'autenticità del messaggio. È il fratello universale,
il cui mandato è solo quello di servire, senza nulla pretendere.
Se è santo, lo ignoriamo; se è mediocre, lo disprezziamo.
Se è generoso, lo sfruttiamo; se è "interessato", lo critichiamo.
Se siamo nel bisogno, lo assilliamo; se vengono meno le necessità, lo dimentichiamo. E solo quando ci sarà sottratto comprenderemo quanto ci fosse indispensabile e caro.

Il Sacerdote è il vertice  di tutte le grandezze
S. Agostino 

Nessuno è più grande di questo povero, piccolo uomo che celebra i Sacramenti.

Monsabré

Se incontrassi simultaneamente un Angelo e un Sacerdote, saluterei prima il Sacerdote, perché egli è un altro Cristo.

S. Francesco

Il Sacerdote non si appartiene perché è tutto e solo di Dio e dei fratelli.

Fulton Sheen

Lasciate per vent'anni una parrocchia senza prete e vi si adoreranno le bestie.

S. Giovanni Vianney, il Curato dArs

Quando celebro la S. Messa sono sospeso sulla croce con Gesù.

San Padre Pio

Tu Signore, sei con me, mi hai scelto, mi hai chiesto di rimanere nel Tuo Amore.

Papa Giovanni Paolo II

Il più grande dono che Dio possa fare a una famiglia è un figlio Sacerdote.

San Giovanni Bosco

È SORPRENDENTE...

IL SACERDOTE, DOPO DIO, E' TUTTO.

È dono e mistero; è umiltà e grandezza; è perdono e Grazia! 

È luogo d'incontro fra il Cielo e la Terra.


È meraviglioso!   
Nel Sacerdote, Gesù si fa vicino e cammina con noi.
Chi tornava da Ars, dopo averne visto l'umile Parroco, 
esclamava con stupore: «Abbiamo visto Dio in un uomo».
Per questo, ogni Sacerdote deve pregare così: 
«Signore, fa che coloro che vedono me, riconoscano Te !».

Quando penso...   
a quello che i sacerdoti fanno per noi, scrive Enrico Medi, 
ho la certezza che qualunque ricompensa sia inadeguata. 
Il nostro GRAZIE più vero consiste nel pregare per loro 
e nel sostenerli con la nostra amicizia.


Don Novello Pederzini
Bologna

AMDG et BVM

giovedì 17 novembre 2016

La beata Vergine Maria. Ce ne parla sant'Antonio


14. La beata Vergine Maria. 

“Il re Salomone si costruì un trono”, ecc. 
La beata Maria è chiamata “il vero trono di Salomone”. Infatti dice l’Ecclesiastico di lei: “Io abito nei cieli altissimi e il mio trono è in una colonna di nubi” (Eccli 24,7). Come dicesse: Io che abito nei cieli altissimi, presso il Padre, ho scelto il mio trono in una madre poverella. 

Osserva che la beata Vergine, trono del Figlio di Dio, è chiamata “colonna di nubi”: colonna, perché sorregge la nostra fragilità; di nubi, perché immune dal peccato. 
E questo trono fu di avorio, perché la beata Maria fu candida per l’innocenza, e fredda perché esente dal fuoco della concupiscenza. 

In Maria ci furono i sei gradini, come è scritto nel vangelo di Luca: L’angelo Gabriele fu mandato... ad una vergine, ecc. (cf. Lc 1,26-38). 

Il primo gradino fu la verecondia (il pudore): “A queste parole ella rimase turbata”. Di qui il detto: All’adolescente viene raccomandata la verecondia, al giovane la giovialità, all’anziano la prudenza. 

Il secondo gradino fu la prudenza: sul momento non disse né sì né no, ma incominciò a riflettere: “Si domandava che senso avesse un tale saluto”. 

Il terzo gradino fu la modestia; infatti domandò all’angelo: “Come è possibile questa cosa?” 

Il quarto gradino fu la costanza nel suo santo proposito: “Io non conosco uomo”. 

Il quinto gradino fu l’umiltà: “Ecco, sono la serva del Signore”. 

Il sesto gradino fu l’obbedienza: “Avvenga di me quello che hai detto”. 

E questo trono fu rivestito dell’oro della povertà. O aurea povertà della Vergine gloriosa, che hai avvolto in misere fasce il Figlio di Dio e l’hai adagiato in una mangiatoia! E giustamente è detto che Salomone rivestì d’oro il trono: infatti la povertà riveste l’anima di virtù, invece la ricchezza la spoglia. 

“E la sommità del trono era rotonda nel suo lato posteriore”. Il culmine della perfezione della beata Vergine Maria fu la carità, per la quale, nel suo lato posteriore, cioè nell’eterna beatitudine, è assisa nel posto più eccelso, è rivestita della gloria più fulgente che non ha né principio né termine. 

“E da una parte e dall’altra due bracci, quasi a sorreggere il seggio”. 
Il seggio, cioè lo sgabello d’oro, fu l’umiltà della Vergine Maria, sorretta come da due braccia, cioè la vita attiva e la vita contemplativa. 
Ella fu ad un tempo Marta e Maria. 
Fu Marta quando andò in Egitto e poi ritornò in Galilea; fu Maria quando serbava tutte queste parole e le meditava nel suo cuore (cf. Lc 2,19). 

“E due leoni”, cioè Gabriele e Giovanni Evangelista, oppure Giuseppe e Giovanni Battista, “stavano in testa ai due bracci”: Giuseppe in riferimento alla vita attiva, Giovanni a quella contemplativa. 
“E dodici leoni più piccoli”, cioè i dodici apostoli, da una parte e dall’altra in atto di ossequio e venerazione davanti a lei. 

In verità, in verità, in nessun altro regno fu mai costruita un’opera simile, perché “come Maria mai ci fu donna al mondo, né mai ci sarà in futuro” (Liturgia). Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti, ma la beata Vergine Maria le ha superate tutte (cf. Pro 31,29). 
E un altro autore dice di lei: “Se anche la Vergine tacerà, nessun’altra voce al mondo potrà risuonare” 21 . 

15. “Quando ebbe finito di parlare, Gesù disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca” (Lc 5,4). In latino è detto duc in altum, alla lettera: conduci dove è profondo. Altus significa sia profondo che alto, e quindi può riferirsi tanto a ciò che sta sopra come a ciò che sta sotto. Si può dire sia alto cielo, che alto mare. A Simone, come ad ogni vescovo, viene detto: “Prendi il largo!”, e subito dopo, ai loro suffraganei, ai loro collaboratori: “Calate le reti per la pesca”. 
Infatti, se la barca della chiesa non viene dal presule condotta al largo, cioè alle altezze della santità, i sacerdoti non calano le reti per la pesca, ma fanno cadere le vittime nel profondo. 

Leggiamo in Osea: “Ascoltate questo, o sacerdoti, contro di voi si fa il giudizio, perché siete diventati un laccio, invece di sorvegliare, e come una rete tesa sul Tabor. E avete fatto cadere le vittime nel profondo” (Os 5,1-2). 

Fa’ attenzione alle tre parole: laccio, rete e fatto cadere, perché esse indicano i tre vizi dei sacerdoti: la negligenza, l’avarizia, e la gola unita alla lussuria. 

La negligenza: “Siete diventati un laccio, invece di sorvegliare”. I sacerdoti hanno il compito di sorvegliare, ma, per la loro negligenza, i sudditi che sono loro affidati cadono nel laccio del diavolo (cf. 1Tm 6,9). 

L’avarizia: “E come una rete tesa sul Tabor”. Sul Tabor si trasfigurò il Signore, e il nome s’interpreta “luce che viene”, e sta a indicare l’altare sul quale avviene la trasfigurazione, cioè la transustanziazione delle specie del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo, e per mezzo di questo sacramento entra la luce nelle anime dei fedeli. 
Su questo monte Tabor i sacerdoti, anzi per meglio dire, i mercanti, tendono la rete della loro avarizia per ammassare denaro. Celebrano la messa per denaro, e se non fossero sicuri di ricevere i soldi, certamente non celebrerebbero la messa; e così il sacramento della salvezza lo fanno diventare strumento di cupidigia. [!!!]

La gola e la lussuria: “Avete fatto cadere le vittime nel profondo”. Le vittime sono le offerte dei fedeli, che essi fanno cadere nel profondo, che vuol dire procul a fundo, cioè lontano dal fondo, vale a dire le impiegano per soddisfare la gola e la lussuria. La vittima è così chiamata perché cade percossa da un colpo (lat. victima, ictu percussa cadit). Infatti con le offerte dei fedeli, che spellano, i sacerdoti ingrassano i loro cavalli e puledri, le loro concubine e i loro figli. La Legge comandava che il mamzer, cioè il figlio di una prostituta, non venisse ammesso al servizio della casa del Signore (cf. Dt 23,2). Ed ecco invece che i figli delle prostitute non solo entrano nella casa del Signore, ma perfino ne mangiano i beni. 


16. Con questa seconda parte del vangelo concorda la seconda parte dell’epistola: “Chi vuole amare la 21 Non si conosce l’autore di questa sentenza. vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra da parole d’inganno...; il volto del Signore è contro coloro che fanno il male” (1Pt 3,10-12). Il beato Pietro prese queste parole dal salmo di Davide (cf. Sal 33,13-15), nel quale sono poste in evidenza tre cose: la gloria eterna dei giusti, la vita dei penitenti, e il castigo di chi fa il male. La gloria eterna: “Chi vuole amare la vita”; la vita dei penitenti: “trattenga la sua lingua”; il castigo di chi fa il male: “Il volto del Signore è contro coloro che fanno il male”. La vera penitenza consiste in queste sei pratiche: trattenere la lingua dal male: “Credo che la prima delle virtù consista nel tenere a freno la lingua; imponendo silenzio si corregge una mala lingua” (Catone). Non dire parole d’inganno. Sta scritto: “Signore, chi abiterà nella tua tenda?” Certamente “chi non ha tramato inganni con la sua lingua” (Sal 14,1.3). Evitare il male. Ma questo non basta, bisogna poi fare il bene. Cerca la pace: cerca la pace dentro, in te stesso; e se la troverai, avrai senza dubbio la pace anche con Dio e con il prossimo; e persèguila (conquistala) con la perseveranza finale. Sopra coloro che fanno tutto questo si posano gli occhi della misericordia del Signore, e gli orecchi della sua benevolenza sono aperti alle loro preghiere. Il castigo degli empi: “Il volto del Signore è contro coloro che fanno il male” (cf. Sal 33,1617). La parola latina vultus si può intendere come vultuositas, volto corrucciato e severo. Queste tre cose, cioè la gloria, la penitenza e il castigo, Gesù Cristo le proclamò alle turbe, dopo essere salito sulla barca, e il suo vicario non cessa di proclamarle ogni giorno a tutti i fedeli. Fratelli carissimi, preghiamo dunque lo stesso Signore Gesù Cristo, che faccia salire anche noi, per mezzo dell’obbedienza, sulla barca di Simone, ci faccia sedere sul trono d’avorio dell’umiltà e della castità, ci faccia condurre la nostra barca in alto mare, cioè alle altezze della contemplazione, ci faccia gettare le nostre reti per la pesca, per poter giungere con la maggior quantità possibile di buone opere a lui che è Dio sommamente buono. Ce lo conceda egli stesso, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.  
 Sermoni di sant'Antonio, V  Dom. dopo Pentecoste 

mercoledì 2 novembre 2016

IL SACERDOTE


LA CARITÀ COMPASSIONEVOLE VERSO TUTTI
Il sacerdote è debitore a Dio e al prossimo: a Dio deve la preghiera, al prossimo deve una tenera e compassionevole carità.
Nostro Signore che nell’Evangelo ci ha dato un si grande numero di divini insegnamenti di tenerezza verso i peccatori e ci ha insegnato le parabole si commoventi del figlio prodigo, della pecorella sperduta, la storia della donna adultera, è egli stesso il modello della tenera carità che deve avere il pastore delle anime.
«Che il pastore, scrive San Gregorio, sia avvicinato da tutti i suoi fedeli per la sua compassione: che con le viscere della sua misericordia attiri a sé e prenda su di sé per caricarle, le infermità di tutti. Che il pastore si mostri in modo tale che i fedeli non abbiano alcuna ripugnanza a rivelargli quanto hanno di più segreto, e quando i piccoli sono agitati dai flutti delle tentazioni facciano ricorso a lui, come al seno d’una madre, «quas; ad matris sinum!».
CAPITOLO VII
L’UNIONE A DIO NELLA PREGHIERA
Quando la carità compassionevole, la tenerezza paterna e anche materna deve avvicinare il pastore ai suoi fedeli, altrettanto lo zelo della preghiera deve mantenerlo unito a Dio.
Il pastore è l’uomo di Dio: non può nulla se non con l’aiuto della grazia: deve ricevere da Dio le istruzioni di Dio: da Dio deve sollecitare le grazie necessarie e a sé e al suo gregge. Come farà se prima di tutto egli non sarà uomo di preghiera?
Dice San Paolo: Noi siamo gli ambasciatori di Gesù Cristo: «Pro Christo legatione fungimur» (2 Cor. 5,20). Ora, ogni ambasciatore deve ricevere le istruzioni di colui che lo manda per farne gl’interessi: perciò come il sacerdote potrà adoperarsi per gl’interessi di Dio presso le anime se da Dio non ebbe una parola? E come avrà egli una parola da Dio se non con la preghiera?
E qui ritorna l’affermazione di San Pietro che abbiamo più volte ricordata: «Noi invece ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6,4). Dove si vede che l’Apostolo pone prima di ogni cosa la preghiera nella quale riceverà le luci di Dio che poi trasmetterà ai fedeli con la predicazione. «Preghiera e ministero della parola». La parola che non è stata «pregata» sarà sempre un vano rumore; impotente e infeconda: invece di essere la parola di Dio sarà la parola dell’uomo. Perciò, prima di tutto e sopra tutto: bisogna pregare.
CAPITOLO VIII
L’UMILTÀ
Il sacerdote ha doppiamente bisogno della grazia di Dio: ne ha bisogno per se stesso, ne ha bisogno per il suo gregge. Siccome poi Iddio, seguendo la più che saggia legge della sua misericordia e della sua giustizia, resiste ai superbi e dà la sua grazia agli umili, ne consegue che il sacerdote ha una duplice necessità, una necessità più viva, di quanto ne hanno i fedeli, di essere veramente umile. Ha bisogno di conoscere le vie di Dio e i suoi segreti; ha bisogno di conciliarsi la grazia di Dio e di conciliarla alle anime delle quali è pastore. Come potrà egli essere mediatore associato a Dio se non è umile? Forse Iddio si rivelerà all’uomo che vuol penetrare nei suoi segreti per rapirgli la sua gloria e attribuirla a sé stesso? Farà Iddio canale della sua grazia l’uomo che col suo orgoglio si fa nemico della grazia? Come potrà trattare con Dio della riconciliazione delle anime colpevoli chi pone sé stesso in rivolta con Dio col suo orgoglio?
Senza umiltà non c’è ministero possibile: Dio certamente ci vuole elargire la sua grazia, ma non vuole che lo rapiniamo della sua gloria: e dal momento che un sacerdote cerca la gloria per sé, cessa di essere il mediatore della grazia: «Dio resiste ai superbi; agli umili invece dà la sua grazia» (Giac. 4,6).
CAPITOLO IX
DELLO ZELO DELLA GIUSTIZIA
Lo zelo della giustizia è perfetta abnegazione agli interessi di Dio e negli interessi di Dio sono necessariamente compresi gl’interessi delle anime: perché Dio vuole la salvezza delle anime; è lo stesso interesse di Dio, dal momento che lì sta la sua maggior gloria.
Gl’interessi di Dio sovente sono compromessi dagli uomini: in questo caso il pastore, che sta tra Dio e gli uomini, si troverà spesse volte in lotta con gli uomini per difendere gl’interessi di Dio. Lotta che non è senza difficoltà: poiché se il pastore deve sé stesso a Dio di cui è l’uomo, deve anche sé stesso alle anime delle quali è pastore, e pastore responsabile. Se egli vede gl’interessi di Dio, per così dire con un occhio solo, si affaticherà in un modo imperfetto e comprometterà le anime: e, per altro, se mira a non compromettere le anime, potrà tuttavia mancare gl’interessi di Dio.
La difficoltà è grande, sovente estrema: vi è un pericolo d’ambo i lati. Da un lato il pastore dovrà temere di venir meno nei riguardi di Dio e dall’altro di mancare verso le anime.
In un tale modo di essere le cose, lo zelo non è un consigliere sufficiente: può, se è solo, far cadere negli eccessi e può compromettere lo stesso bene che cerca. Con lo zelo ci vuole anche la scienza; con la scienza, l’umiltà, la purezza delle vedute e dell’intenzione; cose tutte che il pastore non troverà mai se non è prima di tutto uomo di preghiera: «Orationi… instantes erimus».
AVE MARIA!

sabato 20 giugno 2015

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Basilica Vaticana Domenica, 20 giugno 2010



Radio Vaticana, 20.06.2010
Il Papa ordina 14 diaconi: conformatevi alla volontà di Dio, senza ricercare il potere personale. All’Angelus, appello per la pace in Kirghizistan
Il vero sacerdote non aspira ad accrescere il proprio prestigio personale, ma cerca di conformarsi alla volontà di Dio: è uno dei passaggi forti dell’omelia di Benedetto XVI, che stamani in una solenne Messa nella Basilica di San Pietro ha conferito l’ordinazione sacerdotale a 14 diaconi della diocesi di Roma. La Messa è stata concelebrata dal cardinale vicario Agostino Vallini, assieme ai vescovi ausiliari, i rettori dei seminari romani e numerosi sacerdoti. All’Angelus, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha rivolto un pressante appello per la pace in Kirghizistan. Quindi, nella Giornata Mondiale del Rifugiato, ha chiesto che vengano riconosciuti i diritti di quanti sono costretti a fuggire dalla propria terra d’origine. Il servizio di Alessandro Gisotti   Canti 

Conformatevi alla volontà di Dio, testimoniando il Vangelo con coraggio, senza cedere alle mode e alle opinioni del momento: è la viva esortazione di Benedetto XVI ai 14 nuovi sacerdoti della diocesi di Roma, ordinati in una Basilica Vaticana gremita di fedeli. Il Papa ha subito sottolineato che l’intera Chiesa di Roma rende grazie a Dio per questi nuovi presbiteri e ripone fiducia e speranza nel loro domani: 

“Sì, la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena”.

 Si è così soffermato sulla liturgia della Domenica, che presenta il passo del Vangelo in cui Pietro, differenziandosi dall’opinione della gente, riconosce in Gesù il Cristo di Dio. Benedetto XVI ha indicato nella preghiera la sorgente di questo atto di fede. Dallo stare con il Signore, spiega, “deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù”. Un’indicazione, questa, “ben precisa per la vita e la missione del sacerdote”:

 “Nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità”.

Ha così rammentato che il discepolo è chiamato a seguire Gesù sulla strada della Croce, a “perdere se stesso” per ritrovare pienamente se stesso in Cristo. Ecco allora, è stato il suo monito, che “il sacerdozio non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale”:

“Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica”.

 “Per essere considerato – ha proseguito - dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi”. Un uomo che imposti così la sua vita, ha detto ancora, “un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso”:

“Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero”.

 Benedetto XVI non ha poi mancato di mettere l’accento sul legame tra l’Eucaristia e il Sacramento dell’Ordine, ricordando che al sacerdote “è affidato il sacrificio redentore di Cristo, il suo corpo dato e il suo sangue versato”. Quando celebriamo la Santa Messa, ha soggiunto, “teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio che è Cristo”:

 “È qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore!”.

 Il Papa ha quindi invocato il Signore affinché dia ai nuovi sacerdoti “una coscienza sempre vigile ed entusiasta” del dono dell’Eucaristia, centro del loro essere preti. Ed ha auspicato che possano “vivere questo ministero con coerenza e generosità, ogni giorno”. Alla cura per la celebrazione eucaristica, ha detto ancora, si accompagni “sempre l’impegno per una vita eucaristica”, vissuta cioè nell’obbedienza alla grande legge dell’amore. Cari sacerdoti, ha concluso il Papa, “la strada che ci indica il Vangelo di oggi è la strada della vostra spiritualità e della vostra azione pastorale, della sua efficacia e incisività, anche nelle situazioni più faticose ed aride”. E’ questa “la strada sicura per trovare la vera gioia”.

Canti

Dopo la Messa, il Papa si è affacciato dalla finestra del suo studio per la recita dell’Angelus. Benedetto XVI ha rivolto un pressante appello affinché “la pace e la sicurezza siano ristabilite nel Kirghizistan meridionale” dopo “i gravi scontri verificatisi nei giorni scorsi”. Alle vittime di questa tragedia, il Pontefice ha espresso la sua “commossa vicinanza”:

“Invito, inoltre, tutte le comunità etniche del Paese a rinunziare a qualsiasi provocazione o violenza e chiedo alla comunità internazionale di adoperarsi perché gli aiuti umanitari possano raggiungere prontamente le popolazioni colpite”. 

 Il Papa ha poi ricordato la celebrazione della Giornata Mondiale del Rifugiato. Una ricorrenza, ha detto, che deve “richiamare l’attenzione ai problemi di quanti hanno lasciato forzatamente la propria terra”, “giungendo in ambienti che, spesso, sono profondamente diversi”:  
“I rifugiati desiderano trovare accoglienza ed essere riconosciuti nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali; in pari tempo, intendono offrire il loro contributo alla società che li accoglie. Preghiamo perché, in una giusta reciprocità, si risponda in modo adeguato a tale aspettativa ed essi mostrino il rispetto che nutrono per l’identità delle comunità che li ricevono”. 

 Riprendendo la riflessione sviluppata nella Messa in San Pietro, il Papa ha ribadito che tutti i fedeli sono chiamati a seguire Gesù “sulla strada impegnativa dell’amore fino alla Croce”. Prendere la Croce, ha aggiunto, significa “impegnarsi per sconfiggere il peccato che intralcia il cammino verso Dio”, accrescere la fede “soprattutto dinnanzi ai problemi, alle difficoltà, alla sofferenza”. Ed ha citato l’esempio di Edith Stein, che ha testimoniato la fede in un tempo di persecuzione:

  “Anche nell’epoca attuale molti sono i cristiani nel mondo che, animati dall’amore per Dio, assumono ogni giorno la croce, sia quella delle prove quotidiane, sia quella procurata dalla barbarie umana, che talvolta richiede il coraggio dell’estremo sacrificio”.


OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Domenica, 20 giugno 2010

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Ordinandi,
Cari Fratelli e Sorelle!

come Vescovo di questa Diocesi sono particolarmente lieto di accogliere nel «presbyterium» romano quattordici nuovi Sacerdoti. Insieme col Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari e tutti i Presbiteri ringrazio il Signore per il dono di questi nuovi Pastori del Popolo di Dio. Vorrei rivolgere un particolare saluto a voi, carissimi ordinandi: oggi voi state al centro dell’attenzione del Popolo di Dio, un popolo simbolicamente rappresentato dalla gente che riempie questa Basilica Vaticana: la riempie di preghiera e di canti, di affetto sincero e profondo, di commozione autentica, di gioia umana e spirituale. In questo Popolo di Dio, hanno un posto particolare i vostri genitori e familiari, gli amici e i compagni, i superiori ed educatori del Seminario, le varie comunità parrocchiali e le diverse realtà di Chiesa da cui provenite e che vi hanno accompagnato nel vostro cammino e quelle che voi stessi avete già servito pastoralmente. Senza dimenticare la singolare vicinanza, in questo momento, di tantissime persone, umili e semplici ma grandi davanti a Dio, come, ad esempio, le claustrali, i bambini, i malati e gli infermi. Esse vi accompagnano con il dono preziosissimo della loro preghiera, della loro innocenza e della loro sofferenza.

È, dunque, l’intera Chiesa di Roma che oggi rende grazie a Dio e prega per voi, che ripone tanta fiducia e speranza nel vostro domani, che aspetta frutti abbondanti di santità e di bene dal vostro ministero sacerdotale. Sì, la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena. Ci sentiamo, allora, tutti invitati ad entrare nel «mistero», nell’evento di grazia che si sta realizzando nei vostri cuori con l’Ordinazione presbiterale, lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio che è stata proclamata.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta un momento significativo del cammino di Gesù, nel quale egli chiede ai discepoli che cosa la gente pensi di lui e come lo giudichino essi stessi. Pietro risponde a nome dei Dodici con una confessione di fede, che si differenzia in modo sostanziale dall’opinione che la gente ha su Gesù; egli infatti afferma: Tu sei il Cristo di Dio (cfr Lc 9,20). Da dove nasce questo atto di fede? Se andiamo all’inizio del brano evangelico, costatiamo che la confessione di Pietro è legata ad un momento di preghiera: «Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui», dice san Luca (9,18). I discepoli, cioè, vengono coinvolti nell’essere e parlare assolutamente unico di Gesù con il Padre. E in tal modo viene loro concesso di vedere il Maestro nell’intimo della sua condizione di Figlio, viene loro concesso di vedere ciò che gli altri non vedono; dall’«essere con Lui», dallo «stare con Lui» in preghiera, deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù, alla verità. Qui ci viene fornita un’indicazione ben precisa per la vita e la missione del sacerdote: nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità. Ovunque siamo, qualunque cosa facciamo, dobbiamo sempre «rimanere con Lui».

Un secondo elemento vorrei sottolineare del Vangelo di oggi. Subito dopo la confessione di Pietro, Gesù annuncia la sua passione e risurrezione e fa seguire a questo annuncio un insegnamento riguardante il cammino dei discepoli, che è un seguire Lui, il Crocifisso, seguirlo sulla strada della croce. Ed aggiunge poi – con un’espressione paradossale – che l’essere discepolo significa «perdere se stesso», ma per ritrovare pienamente se stesso (cfr Lc 9,22-24). Cosa significa questo per ogni cristiano, ma soprattutto cosa significa per un sacerdote? 

La sequela, ma potremmo tranquillamente dire: il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. 
Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. 

Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero.

Carissimi ordinandi, vorrei proporre alla vostra riflessione un terzo pensiero, strettamente legato a quello appena esposto: l’invito di Gesù a «perdere se stesso», a prendere la croce, richiama il mistero che stiamo celebrando: l’Eucaristia. A voi oggi, con il sacramento dell’Ordine, viene donato di presiedere l’Eucaristia! A voi è affidato il sacrificio redentore di Cristo, a voi è affidato il suo corpo dato e il suo sangue versato. Certo, Gesù offre il suo sacrificio, la sua donazione d’amore umile e totale alla Chiesa sua Sposa, sulla Croce. E’ su quel legno che il chicco di frumento lasciato cadere dal Padre sul campo del mondo muore per diventare frutto maturo, datore di vita. Ma, nel disegno di Dio, questa donazione di Cristo viene resa presente nell’Eucaristia grazie a quella potestas sacra che il sacramento dell’Ordine conferisce a voi presbiteri. 

Quando celebriamo la Santa Messa teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio, che è Cristo, chicco spezzato per moltiplicarsi e diventare il vero cibo della vita per il mondo. È qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore! E’ un’esperienza sempre nuova di stupore vedere che nelle mie mani, nella mia voce il Signore realizza questo mistero della Sua presenza!

Come allora non pregare il Signore, perché vi dia una coscienza sempre vigile ed entusiasta di questo dono, che è posto al centro del vostro essere preti! Perché vi dia la grazia di saper sperimentare in profondità tutta la bellezza e la forza di questo vostro servizio presbiterale e, nello stesso tempo, la grazia di poter vivere questo ministero con coerenza e generosità, ogni giorno. La grazia del presbiterato, che tra poco vi verrà donata, vi collegherà intimamente, anzi strutturalmente, all’Eucaristia. Per questo, vi collegherà nel profondo del vostro cuore ai sentimenti di Gesù che ama sino alla fine, sino al dono totale di sé, al suo essere pane moltiplicato per il santo convito dell’unità e della comunione. È questa l’effusione pentecostale dello Spirito Santo, destinata a infiammare il vostro animo con l’amore stesso del Signore Gesù. È un’effusione che, mentre dice l’assoluta gratuità del dono, scolpisce dentro il vostro essere una legge indelebile – la legge nuova, una legge che vi spinge ad inserire e a far rifiorire nel tessuto concreto degli atteggiamenti e dei gesti della vostra vita d’ogni giorno l’amore stesso di donazione di Cristo crocifisso. 

Riascoltiamo la voce dell’apostolo Paolo, anzi in questa voce riconosciamo quella potente dello Spirito Santo: «Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27). Già con il Battesimo, e ora in virtù del Sacramento dell’Ordine, voi vi rivestite di Cristo. Alla cura per la celebrazione eucaristica si accompagni sempre l’impegno per una vita eucaristica, vissuta cioè nell’obbedienza ad un’unica grande legge, quella dell’amore che si dona in totalità e serve con umiltà, una vita che la grazia dello Spirito Santo rende sempre più somigliante a quella di Cristo Gesù, Sommo ed eterno Sacerdote, servo di Dio e degli uomini.

Carissimi, la strada che ci indica il Vangelo di oggi è la strada della vostra spiritualità e della vostra azione pastorale, della sua efficacia e incisività, anche nelle situazioni più faticose ed aride. Di più, questa è la strada sicura per trovare la vera gioia. Maria, la serva del Signore, che ha conformato la sua volontà a quella di Dio, che ha generato Cristo donandolo al mondo, che ha seguito il Figlio fino ai piedi della croce nel supremo atto di amore, vi accompagni ogni giorno della vostra vita e del vostro ministero. Grazie all’affetto di questa Madre tenera e forte, potrete essere gioiosamente fedeli alla consegna che come presbiteri oggi vi viene data: quella di conformarvi a Cristo Sacerdote, che ha saputo obbedire alla volontà del Padre e amare l’uomo sino alla fine.

Amen!

venerdì 19 dicembre 2014

Il sacerdote



Il sacerdote assolve 
dai peccati con la potestà da Cristo a lui trasmessa


III. Se alcuno ben consideri che gran cosa è poter avvicinarsi a quella beata e intatta natura, pur essendo uomo e ancora plasmato di carne e sangue, vedrà allora bene di quanto onore la grazia dello Spirito abbia degnato i sacerdoti. 

Per loro mezzo infatti queste cose si compiono, ed altre ancora per nulla inferiori a queste, sia per dignità, sia in rapporto con la nostra salvezza; quelli che dimorano in terra e sono posti in questa condizione, vengono ordinati ad amministrare le cose celesti e hanno ricevuto una potestà che Dio non ha conferito né agli angeli né agli arcangeli; poiché non fu detto a questi: "Ogni cosa che legherete sulla terra sarà legata anche nel cielo; e ogni cosa che scioglierete, sarà sciolta" (Mt. 18,18). 

Anche i dominatori sulla terra hanno il potere di legare, ma soltanto i corpi; invece questo legame si applica all’anima stessa e trascende i cieli; onde, checché i sacerdoti compiano quaggiù, questo conferma Dio in alto, e la deliberazione dei servi viene sancita dal padrone. E che vuol dire ciò, se non che ha loro conferito ogni potestà celeste? Dice infatti: "I peccati di coloro ai quali li rimetterete, saranno rimessi; quelli di coloro a cui li riterrete, saranno ritenuti" (Gv. 2,23). Qual potere maggiore di questo? 

Il Padre ha dato al Figlio ogni giudizio; or io vedo che essi ne furono fatti dal Figlio pienamente depositari. Come se già fossero assunti nei cieli, trascesa l’umana natura e sciolti dalle nostre miserie, così furono elevati a questa dignità. Inoltre, se un re partecipasse a qualcuno dei suoi sudditi quest’onore di poter gettare in prigione chiunque gli piacesse e nuovamente liberarlo, sarebbe costui invidiato e celebrato da tutti; colui poi che da Dio ha ricevuto una potestà tanto più grande quanto il cielo è più augusto della terra, e le anime dei corpi, parrà mai ad alcuno aver egli ricevuto sì piccolo onore, da poter anche solo pensare che altri abbia a mostrare disprezzo verso i depositari di sì eccelse cose? Lungi tale insania! 

È per vero insania palese, il guardar dall’alto in basso una dignità senza la quale non è dato di ottenere né la salvezza né i beni che ci furono annunziati. Ché se "nessuno può entrare nel regno de’ cieli, se non venga rigenerato per acqua e Spirito, e colui che non mangia la carne del Signore e non beve il suo sangue, viene escluso dalla vita eterna" (Gv. 3,5), e tutte queste cose si compiono da nessun altro fuorché da quelle sacre mani, dico del sacerdote, come potrà alcuno indipendentemente da loro, sia fuggire il fuoco della geenna, sia ottenere le corone riservate? 

A loro infatti, a loro fu affidata la generazione spirituale, e il partorire per mezzo del battesimo; per mezzo loro rivestiamo il Cristo, siamo consepolti col Figlio di Dio, e fatti membri di quel beato capo. Pertanto dovrebbero essere per noi giustamente più temibili che dominatori e re, non solo, ma anche più venerandi che padri; questi invero ci hanno generati "dal sangue e dalla volontà della carne" (Gv. 1,13), quelli invece ci sono strumento della generazione di Dio, di quella beata rigenerazione, della verace libertà e dell’adozione secondo la grazia.

Sacerdozio: San Giovanni Crisostomo