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sabato 3 dicembre 2016

Sermoni Domenicali di sant'ANTONIO: DOMENICA II DI AVVENTO


DOMENICA II DI AVVENTO
Temi del Sermone

– Vangelo della seconda domenica di Avvento: “Giovanni, avendo udito dal carcere le opere di Cristo”; si divide in tre parti.
– Anzitutto sermone per l’inizio del digiuno: “Scuotiti la polvere”.
– Parte I: Le quattro specie di peccatori: “Guai alla gente peccatrice!”
– Parte II: Sermone contro i superbi: “Chi è cieco se non colui che è stato venduto?”
– Contro l’ipocrita: “Gli zoppi camminano”.
– Contro i lussuriosi: “Naaman era un uomo potente”.
– Contro gli avari: “I sordi odono”.
– Contro i golosi: “I morti risorgono”.
– Ai poveri nello spirito, ai religiosi o ai claustrali: “Il Signore consolerà Sion”.
– Parte III: Sermone morale destinato in modo particolare ai claustrali e ai religiosi: “Che cosa siete andati a vedere?”, con ciò che segue.

esordio - sermone per l’inizio del digiuno

1. In quel tempo “Giovanni, avendo sentito in carcere le opere di Cristo”, ecc. (Mt 11,2).
Dice Isaia: “Scuotiti la polvere, àlzati e siediti, Gerusalemme! Sciogliti i legami dal collo, schiava figlia di Sion!” (Is 52,2). Fa’ attenzione a queste quattro parole: scuotiti, àlzati, siediti, sciogliti.
La polvere, così chiamata perché spinta dalla forza dal vento (lat. pulvis, da pulso, spingere), simboleggia la concupiscenza della carne la quale, sotto lo stimolo dell’istiga­zione diabolica, è trascinata a diversi peccati. Dice Giobbe: “Lo rapirà un vento infuocato” (Gb 27,21). Di questa polvere dice Isaia: “Pane del serpente” cioè del diavolo, “sarà la polvere” (Is 65,25). “O Gerusalemme, scuotiti dalla polvere”, vale a dire: O anima, scuotiti dai piaceri della tua carne, affinché il diavolo non ti divori insieme con essi. “Scuotete la polvere dai vostri piedi” (Mt 10,14), dice anche il Signore. “Ti potrà forse lodare la polvere?” (Sal 29,10).
Àlzati, dunque. Àlzati con l’anima e con il corpo, per compiere le opere di penitenza. È ciò che dice Salomone: “Togli la ruggine dall’argento e ne risulterà un vaso splendente” (Pro 25,4), come a dire: Scuotiti dalla polve­re, àlzati e siediti, cioè lìberati dal tumulto delle cose del mondo. Dice Geremia: “Se ne starà seduto da solo e in silenzio” (Lam 3,28); e Isaia: “Se ritornerete e starete in pace, sarete salvi” (Is 30,15).
“Sciogliti i legami dal collo!” Queste ultime parole sono in armonia con le prime: vengono inculcate le medesime cose affinché si imprimano più profondamente nella memoria. Il piacere della carne e la vanità del mondo sono i legami con i quali l’anima è tenuta schiava, legata per il collo, per impedirle di giungere alla libertà della confessione. “Sciogli, dunque, i legami dal tuo collo”. A questi legami accenna il brano evangelico di oggi dove dice: “Giovanni, avendo udito, mentre era in catene (in vinculis), le opere di Cristo…”, ecc.

2. In questo vangelo si devono notare tre fatti. Primo, la carcerazione di Giovanni: “Avendo udito in carcere”. Secondo, Cristo che compie i miracoli: “Andate e riferite a Giovanni”. Terzo, l’elogio di Giovanni fatto da Cristo: “Chi siete andati a vedere?”
Nella messa si canta l’introito: “Popolo di Sion, ecco il tuo Signore”. Si legge un brano della lettera ai Romani del beato Paolo: “Tutto ciò che fu scritto in passato” (Rm 15,4). Divideremo questo brano in tre parti e ne vedremo la concordanza con le tre parti del brano evangelico. La prima parte: “Tutto ciò che fu scritto in passato”. La seconda: “Accoglietevi gli uni gli altri”. La terza: “Il Dio della speranza”.

I. la carcerazione di giovanni

3. “Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere di Cristo, mandò due dei suoi discepoli a dirgli: Sei tu colui che deve venire, oppure dobbiamo attenderne un altro? “ (Mt 11,2-3). Altrove Matteo scrive che “Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in carcere per causa di Erodiade, moglie di suo fratello. Giovanni gli diceva: Non ti è lecito tenerla” (Mt 14,3-4).
Vediamo quale significato morale abbiano Erode e Erodiade, Giovanni e le sue catene, e i due discepoli. Erode è il mondo, Erodiade la carne, Giovanni lo spirito dell’uo­mo, le catene sono la vanità e il piacere, i due discepoli sono la speranza e il timore.
Erode e Erodiade s’interpretano “gloria della pelle”. Il mondo e la carne menano vanto della bellezza esteriore. Dice in proposito Isaia: “Che cosa farete nel giorno del rendiconto e quando da lontano vi arriverà la rovina? A chi ricorrerete per avere aiuto? E dove lascerete la vostra gloria?” (Is 10,3). E ancora: “In basso”, cioè nell’inferno, “la sua gloria”, cioè la gloria del mondo e della carne, “brucerà e avvamperà come la fiamma di un rogo” (Is 10,16). “Ti lancerà come un palla in una terra larga e spaziosa” (Is 22,18), vale a dire nell’“inferno, il quale ha aumentato la sua capacità (animam suam) e ha spalancato la sua bocca in modo smisurato”(Is 5,14): “là tu morirai, là finirà il carro della tua gloria” (Is 22,18).
Giovanni s’interpreta “grazia del Signore”, e raffigura lo spirito dell’uomo che nel battesimo ha ricevuto la grazia del Signore. Concordano con questo le parole di Isaia: “Verserò acqua sull’assetato, farò scorrere torrenti sul terreno arido. Spanderò il mio Spirito sulla tua discendenza e la mia benedizione sulla tua stirpe. E cresceranno tra le erbe come i salici lungo acque correnti. Questi dirà: Io sono del Signore; e quegli chiamerà nel nome di Giacobbe. Questi scriverà con la sua mano: Al Signore, e sarà designato con il nome di Israele” (Is 44,3-5).
Assetata e arida è l’anima prima del Battesimo. “Per natura”, dice l’Apostolo, “eravamo figli dell’ira” (Ef 2,3). Ma il Signore, con l’acqua battesimale ha effuso il suo Spirito e la sua benedizione per fare dei figli dell’ira figli della grazia, e siano così discendenza e stirpe, cioè figli, della santa chiesa, e crescano tra le erbe, cioè tra i santi, come i salici, cioè rigogliosi di fede e di virtù, lungo le acque correnti, cioè tra i carismi e le grazie.
“Questi dirà: Io sono del Signore”: ecco Giovanni, ecco la grazia del Signore. “E quegli”, cioè un altro fedele, “chiamerà” alla penitenza, come fece Giovanni, “nel nome di Giacobbe”, vale a dire per soppiantare (vincere) i vizi. “E questi” – sempre Giovanni – “scriverà con la sua mano”, cioè con le sue opere: “Al Signore”, vale a dire: a onore del Signore! “E sarà designato con il nome di Israele”, cioè con il significato di quel nome: uomo che vede Dio; adesso nella fede e nella speranza, e alla fine nella realtà.

4. È questo il Giovanni, così illuminato dalla grazia del Signore, che Erode ed Erodiade, cioè il mondo e la carne, legano con le loro catene: il mondo con la vanità, la carne con il piacere. La vanità del mondo consiste nella superbia e nell’avarizia; il piacere della carne nella gola e nella lussuria. Di questi quattro vizi Isaia dice: “Guai alla gente pecca­trice”, del peccato di superbia, “al popolo carico di iniquità”, di avarizia; “alla stirpe malvagia” della gola, “ e ai figli scellerati” (Is 1,4)della lussuria. Ecco con quali catene il nostro spirito viene tenuto schiavo.
Ma che cosa deve fare mentre si trova legato con queste catene? Appunto quello che sta scritto nel brano evangelico di oggi: “Giovanni, in catene, avendo sentito parlare delle opere di Cristo”, ecc.
Le opere di Cristo sono la creazione e la nuova creazione (la redenzione). E in ciò concordano le parole di Isaia: “Cetra e lira e timpano e flauto e vino sono nei vostri banchetti” – in tutto questo sono simboleggiati i piaceri dei sensi, dei quali si è parlato a lungo nel sermone della I domenica dopo Pentecoste –; “ma voi non guardate l’opera del Signore e non considerate le opere delle sue mani” (Is 5,12).
L’“opera del Signore” è la creazione la quale, ben considerata, porta colui che considera all’ammirazione del suo Creatore. Se c’è tanta bellezza nella creatura, quanta ce ne sarà nel creatore? La sapienza dell’artefice risplen­de nella materia. Ma coloro che sono schiavi dei sensi non vedono questo, e neppure considerano “le opere delle sue mani”, che sulla croce furono forate dai chiodi. Con le mani inchiodate sulla croce Cristo sconfisse il diavolo e strappò dalle sue mani il genere umano.
Quando sente parlare di queste opere di Cristo, il nostro spirito, posto in catene, deve subito mandare due discepoli. Dico che sente parlare di queste opere interiormente, con l’orecchio del cuore, dall’ispirazione dello Spirito; oppure esternamente, con l’orec­chio del corpo, dalla voce del predicatore. Quando incomincia a sentire così, deve mandare da Gesù la speranza e il timore, e dirgli: “Sei tu che” mi hai creato e ricreato, che mi hai fatto e mi hai redento?” – e da ciò nasce in me la speranza nella tua misericordia. “Sei tu colui che verrà” a giudicarmi secondo le mie opere?” – e da ciò nasce in me il timore della tua giustizia –. “Oppure dobbiamo attendere un altro”, che giudichi la terra con giustizia? No, di certo! Colui che ha creato e redento, è lo stesso che giudicherà. “Il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Gv 5,22).

5. Con questa prima parte del vangelo, concorda la prima parte dell’epistola: “Tutto ciò che è stato scritto in passato” (Rm 15,4), ecc. Dice il Signore a Isaia: “Su, esci e scrivi loro su una tavoletta di bosso e registrarlo con esattezza in un libro e sarà in perpetuo una testimonianza per l’ultimo giorno” (Is 30,8).
“Su una tavoletta di bosso”, dice, perché resti in perpetuo. La sintesi di tutte le cose che sono state scritte per nostro insegnamento consiste soprattutto in tre eventi: nella creazione, nella redenzione e nel giudizio dell’ultimo giorno. La creazione e la redenzione ci insegnano ad amare Dio, l’ultimo giudizio a temerlo, “affinché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture, teniamo viva la nostra speranza” (Rm 15,4).
Senti in che modo la sacra Scrittura consola chi è tribolato. Dice il Signore per bocca di Isaia: “Se attraverserai l’acqua io sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno. Se passerai in mezzo al fuoco non ti scotterai e la fiamma non ti brucerà. Perché io sono il Signore, Dio tuo” (Is 43,2-3). E di nuovo: “Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, e neppure voi, o morti di Israele. Io sono stato il tuo aiuto, dice il Signore: il tuo redentore è il Santo d’Israele” (Is 41,14). E ancora: “Io stesso vi consolerò. Chi sei tu, per aver paura di un uomo mortale e di un figlio dell’uomo, che si seccherà come il fieno?” (Is 51,12).
“Il Dio della perseveranza” che dice per bocca di Isaia: “Ho taciuto, sono stato in silenzio, ho avuto pazienza” (Is 42,14); “il Dio della consolazione”, che dice ancora: “Io vi consolerò e in Gerusalemme sarete consolati. Vedrete e gioirà il vostro cuore e le vostre ossa cresceranno come erba fresca”(Is 66,13-14), cioè i vostri corpi rivivranno nell’immor­talità; “ egli vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una sola voce rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (Rm 15,5-6).
E questo è ciò che dice Isaia: Due serafini “proclamavano uno all’altro e cantavano: Santo, santo, santo è il Signore, Dio degli eserciti; tutta la terra è piena della sua gloria” (Is 6,3). Serafino s’interpreta “ardente”. Serafini sono coloro che ardono di reciproca carità, che hanno gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo Gesù. Quando dunque dice: “Dio vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti”, ecc., afferma appunto: “Due serafini proclamavano uno all’altro”; e quando aggiunge: “perché con un solo animo e una sola voce rendiate gloria, ecc., dice: “e cantavano: Santo, santo, santo”, ecc.
Fratelli carissimi, preghiamo il Signore Gesù Cristo che ci liberi dalle catene del mondo e della carne, in modo che diventiamo capaci di onorare e glorificare con un solo spirito e una sola voce colui della cui gloria è piena tutta la terra.
A lui onore e gloria per i secoli eterni. Amen.

II. Cristo compie i miracoli

6. “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete” (Mt 11,4). Con queste parole viene distrutto l’errore degli ereti­ci, i quali affermano che Giovanni è dannato, perché dubitò di Cristo quando disse: “Sei tu colui che ha da venire?”, e che, persistendo in quel dubbio, morì in carcere prima del ritorno dei discepoli che aveva mandato da Gesù.
Diventi muta quella lingua maledetta! Mai Giovanni dubitò di Cristo, al quale rese testimonianza: “Ecco l’agnello di Dio!” (Gv 1,36). Invece per confermare nella fede a Cristo i suoi discepoli, li mandò ad interrogarlo affinché, vedendo i suoi miracoli, neppure loro avessero più alcun dubbio. Infatti il Signore non rispose direttamente all’interrogazione di Giovanni, ma per rassicurare il cuore dei suoi discepoli disse: “I ciechi vedono, gli zoppi camminano” (Mt 11,5), ecc. Dice Gregorio: “Giovanni non dubita che Cristo sia il redentore del mondo, ma domanda di sapere se colui che di persona era venuto nel mondo, sarebbe anche disceso di persona agli inferi”.
E anche l’affermazione che fanno, che Giovanni sia morto prima del ritorno dei discepoli, risulta assolutamente falsa proprio dalle parole del santo Vangelo. O il Signore comandò ai discepoli una cosa impossibile, o gliene comandò una possibile, quando disse: “Andate e riferite...”. Mai il Signore comanda l’impossibile. Se Giovanni fosse morto in carcere prima che i discepoli ritornassero da lui, il Signore avrebbe comandato loro una cosa impossibile, quando disse: “Andate e riferite”. A chi avrebbero dovuto riferire? A un morto? No, di certo! È chiaro quindi che i discepoli trovarono Giovanni vivo e gli riferirono ciò che avevano udito e visto. Il Signore infatti comanda soltanto cose possibili.
“I ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, i poveri vengono evanzelizzati”(Mt 11,5). Vedremo quale sia il significato morale di questi sei miracoli. I ciechi sono i superbi; gli zoppi sono gli ipocriti; i lebbrosi sono i lussuriosi; i sordi sono gli avari, i morti sono i golosi, e i poveri sono gli umili.

7. “I ciechi vedono”. Questo è ciò che dice Isaia: “Libe­rati dalle tenebre e dall’oscu­rità, gli occhi dei ciechi vedranno” (Is 29,18); e “Chi è cieco se non il mio schiavo, se non il servo del Signore? Tu che vedi molte cose, forse che poi le osservi?” (Is 42,19-20). Chi sono oggi i ciechi, cioè i superbi, se non coloro che si chiamano servi del Signore, ma che hanno solo l’apparenza di esserlo, cioè i religiosi e i chierici? Chi sono i superbi se non coloro che vedono tante cose nelle sacre Scritture, che predicano e insegnano tante cose, ma poi essi non le osservano? Vedono molte cose per gli altri, ma nulla per se stessi.
Della superbia di tutti costoro Isaia, sotto l’immagine della “valle della visione” (Is 22,1), dice: “Che hai tu dunque che sei salita tutta quanta sulle terrazze, città rumorosa e tumultuante, città gaudente?” (Is 22,1-2). Come dicesse: Si può ancora capire che i secolari bramino le grandezze terrene! Ma voi religiosi, gente istruita, che sapete tante cose, come avete potuto anche voi dare la caccia alle grandezze della terra, mettervi a salire sulle terrazze della superbia, piene di rumore? La superbia infatti è rumorosa, come dice Isaia: “Guai al rumore di popoli immensi, rumore come il mugghio dei mari” (Is 17,12). Invece, di Cristo umile dice sempre Isaia: “Non griderà, non si sentirà nelle piazze la sua voce” (Is 42,2).
“Città tumultuante”, cioè molto popolata, “città gauden­te”. Di essa dice Isaia: “Sulla terra del mio popolo”, cioè nella mente degli umili, “cresceranno spine e pruni”, cioè trafitture e sofferenze; “ma molto di più in tutte le case in allegria di una città gaudente” (Is 32,13), che si gloria nella sua superbia, che acceca gli occhi della mente per non vedere la città dell’eterno gaudio. Sempre Isaia: “Guarda Sion, la città delle nostre feste: i tuoi occhi vedranno Gerusalemme; dimora opulenta” (Is 33,20). Per vederla, bagna i tuoi occhi con il collirio dell’umiltà, e così sarai degno di sentire: Védici! La tua umiltà ti ha illuminato. “I ciechi dunque vedono”.

8. “Gli zoppi camminano”. Zoppo si dice in lat. claudus, che suona quasi come clausus, chiuso, impedito nel camminare. L’ipocrita nella sua vita e nella sua condotta procede chiuso. Chi agisce disonestamente odia la luce, perché non tollera che le sue opere siano esposte e giudicate alla luce del sole (cf. Gv 3,20). Dice infatti Isaia: “Guai a quanti si rintanano nel profondo del cuore”, che dissimulano cioè la loro iniquità; “per nascon­dere al Signore i loro disegni; costoro operano nelle tenebre e dicono: Chi ci vede? Chi ci conosce?” (Is 29,15). L’ipocrita zoppica da un piede: tiene un piede alzato, e l’altro lo appoggia in terra. Mentre mostra la miseria nelle vesti, l’umiltà nella voce e il pallore in volto, tiene il piede alzato; ma quando per queste cose brama la lode e cerca di sembrare santo, allora non c’è dubbio che mette l’altro piede in terra.
In altro senso. Si legge nel secondo libro dei Re che Mifìboset era zoppo (storpio) da tutti e due i piedi (cf. 2Re 4,4). Mifìboset s’interpreta “uomo della confusione”, e simboleggia coloro che sono zoppi da tutti e due i piedi, nelle intenzioni e nelle opere. E coloro che zoppicano in questo modo sono degni dell’eterna confusione.
Dice in proposito Isaia: “Il re degli Assiri condurrà i prigionieri dell’Egitto e i deportati dell’Etiopia, giovani e vecchi, nudi e scalzi, con le natiche scoperte, a vergo­gna dell’Egitto” (Is 20,4). “Il re degli Assiri”, cioè il diavolo, “condurrà” all’inferno “i prigionieri dell’Egit­to”, cioè coloro che aveva tenuti schiavi con il peccato, “e i deportati dell’Etiopia”, cioè quelli che passano dalle virtù ai vizi; “i giovani”, gli ostinati nella loro malizia; “i vecchi”, gli invecchiati nel male; “i nudi”, senza la veste nuziale (cf. Mt 22,11); “gli scalzi”, coloro che sono senza il “giacinto” del desiderio delle cose celesti, per quanto riguarda le intenzioni, come dice Ezechiele: “Io ti diedi calzari color giacinto” (Ez 16,10); e coloro che sono privi dei calzari della mortificazione, per quanto riguarda le opere, come si legge nel libro di Rut: “Tògliti il calzare. E subito se lo tolse dal piede” (Rt 4,8). E la casa di costui – come è scritto nel libro del Deuteronomio – sarà chiamata in Israele casa dello scalzo (cf. Dt 25,10).
“Con le natiche scoperte” perché a tutti sia manifesta la sua infamia, “li condurrà, ripeto, a vergogna dell’Egitto”, cioè degli innamorati di questo mondo. Coloro che vogliono evitare questa vergogna facciano con i loro piedi passi onesti, coltivino cioè con la buona volontà il desiderio di fare il bene e con l’umiltà realizzino questo desiderio nelle opere buone. Meriteranno così di sentirsi dire: “Gli zoppi camminano”.

9. “I lebbrosi sono mondati”. Si legge nel quarto libro dei Re che Naaman era uomo potente e ricco, ma lebbroso (cf. 4Re 5,1), perché dove c’è abbondanza di ricchezze e di piaceri c’è anche la lebbra della lussuria. Infatti Isaia, dopo aver premesso: “La terra è piena di argento e d’oro, e senza fine sono i suoi tesori”, subito soggiunge: “E la loro terra è piena di cavalli” (Is 2,7-8), cioè di lussuriosi. Si legge nell’Esodo che con l’oro fu fabbricato un vitello (cf. Es 32,4), perché con l’oro dell’abbondanza si fabbrica il vitello della lussuria più sfrontata.
Dice Isaia: “Lì pascerà il vitello e lì si sdraierà: e distruggerà ogni arbusto” (Is 27,10). È la stessa cosa che dice Giobbe della lussuria: “È un fuoco che tutto divora fino alla distruzione, e che sradica tutti i germogli” (Gb 31,12). “Lavatevi”, o lebbrosi, “e purificatevi; togliete dalla vista del Signore il male” della lussuria “dei vostri pensieri: cessate di agire viziosamente” (Is 1,16)con il vostro corpo, affinché anche a voi venga detto: “I lebbrosi sono mondati”.

10. “I sordi odono”. E ciò che dice anche Isaia: “In quel giorno i sordi udranno le parole del libro” (Is 29,18). Sordo suona quasi come sordido: infatti negli orecchi ha il sudi­ciume(lat. sordes), dal quale vengono ostruite le vie dell’udito. I sordi sono gli avari e gli usurai, i cui orecchi sono otturati dal sudiciume del denaro. Dice il salmo: “Il loro furore è come quello del serpente, simile a quello della vipera sorda, che si tura le orecchie” (Sal 57,5).
Si dice che il serpente, per non sentire la voce dell’incantatore, appoggia un’orec­chio alla terra e si tura l’altro con la coda. L’orecchio è così chiamato (auris) perché prende avidamente, o anche perché raccoglie (lat. haurit) il suono. L’infelice avaro, o l’usuraio, si priva di sì grande dono di natura e di grazia; egli per non prendere con avidità la parola della vita, o per non raccogliere il suono, la voce del predicatore, si tura gli orecchi del cuore: e fa ciò con la terra, cioè con l’amore del denaro già accumulato, e con la coda, vale a dire con la turpe bramosia di accumularne ancora. Questi sventurati, se vogliono sentire la parole del libro, cioè del vangelo nel quale è detto “beati i poveri” (Mt 5,3), devono prima asportare dagli orecchi del cuore la terra del denaro disonestamente accumulato, ed estirpare totalmente la coda, cioè la brama di accumularne ancora. Solo allora si potrà dire di loro: “I sordi odono”.

11. “I morti risorgono”. Isaia dice: “I tuoi morti vivran­no, i miei uccisi risorgeranno” (Is 26,19). I morti sono i golosi. “La loro gola è un sepolcro aperto” (Sal 5,11), nel quale giacciono sepolti come i morti. Dice ancora Isaia: “Anche costoro sono divenuti insensi­bili per il troppo vino e vanno barcollando per l’ubriachezza; il sacerdote e il profeta affogano nel vino e hanno perduto il senno per l’ubriachezza,” (Is 28,7).
Come il boccone di pane mentre assorbe il vino, viene dal vino assorbito e va in fondo al bicchiere, così costo­ro, mentre assorbono vengono assorbiti, e poi sepolti nel­l’in­ferno del loro ventre. Il ricco che banchettava ogni giorno sontuosamente, durante la sua vita era in qualche modo sepolto nell’inferno. Invece Lazzaro, il mendìco, giaceva fuori alla porta, e non dentro(cf. Lc 16,19-20); giaceva pieno di fame fuori della porta, cioè privo dei piaceri dei cinque sensi. E anche il Signore, come dice l’Apostolo, patì fuori della porta (cf. Eb 13,12).
Il ricco invece ogni giorno seppelliva se stesso entro la porta, nell’inferno. E nell’inferno del ventre, o Signore, chi canta le tue lodi? (cf. Sal 6,6). E neppure i morti, o Signore, ti loderanno (cf. Sal 113,17). Coloro che vogliono cantare le lodi del Signore, escano dal sepolcro della gola, e dalle tenebre e dal caos dell’inferno entrino nella luce dell’astinenza dalle bevande e dai cibi. Dice Isaia in proposito: “Svegliatevi e cantate inni di lode, voi che abitate nella polvere, perché la tua rugiada è rugiada di luce” (Is 26,19). Come la rugiada tempera il calore del sole e la luce fuga le tenebre, così l’astinenza mitiga la bramosia della gola e dei vizi e fuga le tenebre della mente. E in questo modo “i morti risorgono”.

12. “I poveri vengono evangelizzati”. Dei poveri dice Isaia: “I primogeniti dei poveri saranno saziati e i miseri riposeranno con fiducia” (Is 14,30); e ancora: “I miti si rallegreranno nel Signore ogni giorno di più, e i poveri esulteranno nel Santo d’Israele” (Is 29,19). Soltanto i poveri, cioè gli umili, vengono evangelizzati, perché solo la concavità è in grado di ricevere ciò che vi si versa, mentre il rigonfiamento, la convessità, lo respinge. Chi ha sete, venga a me e beva (cf. Gv 7,37), dice il Signore; perché, come egli dice ancora per bocca di Isaia: “Farò scorrere l’acqua su colui che ha sete e torrenti sul terreno arido” (Is 44,3).
Oggi sono i poveri, i semplici, gli indotti, i rozzi e le vecchierelle che hanno sete della parola della vita, dell’acqua della sapienza salvatrice. Invece i cittadini di Babilonia, che si ubriacano al calice d’oro della grande meretrice, i sapienti consiglieri del faraone, i quali, come è detto in Giobbe, sono pieni di parole e sono spinti dalla loro morbosa sensualità, e il loro ventre è pieno di mosto che non trova sfogo, che squarcia gli otri nuovi (cf. Gb 32,18-19), – credete a me – non costoro, ma solo “i poveri saranno evangelizzati”.

13. “E beato colui che non si scadalizza di me” (Mt 11,6). Cristo è la verità. In Cristo ci fu la povertà, l’umiltà e l’obbedienza. Chi si scandalizza di queste cose, si scandalizza di Cristo. I veri poveri non si scandalizzano, perché solo essi vengono evangelizzati, vengono cioè nutriti con la parola del vangelo, perché essi sono il popolo del Signore e le pecore del suo pascolo (cf. Sal 94,7).
Di questo popolo, nell’introito della messa di oggi si canta: “Popolo di Sion, ecco che il Signore viene a salvare le nazioni”. È la stessa cosa che dice Isaia: “Per primo dirà a Sion: èccomi! E a Gerusalemme, cioè alla chiesa, darò un evangelista, un messaggero di liete notizie” (Is 41,27), affinché i poveri siano evangelizzati e le nazioni siano salvate mediante il vangelo; e il Signore farà sentire la gloria della sua lode per la gioia del vostro cuore (cf. Is 30,30).

14. Dice ancora Isaia: “Il Signore consolerà Sion e consolerà tutte le sue rovine; del suo deserto farà un luogo di delizie, della sua steppa quasi un giardino del Signore. Giubilo e gioia saranno in essa, azioni di grazie e inni di lode” (Is 51,3). Sion s’inter­preta “specola”, punto di osservazione. Il popolo di Sion sono i poveri nello spirito i quali, sollevati dalle cose terrene e posti sul più alto punto di osservazione della povertà, contemplano il Figlio di Dio, pellegrino qui in terra, ma glorioso nella patria celeste. Questa è la Sion che il Signore consola. Il Signore consola con i beni suoi coloro che sono privi dei beni temporali; infatti dice: “E consolerà tutte le sue rovine”. Quando crolla l’edificio della consolazione umana, subito il Signore innalza la casa della consolazione interiore.
“E farà del suo deserto un luogo di delizie”. Infatti il deserto della povertà esteriore crea le delizie della soavità interiore. Il Signore definisce spine le ricchezze di questo mondo (cf. Mt 13,22). Isaia chiama delizie il deserto della povertà. O spine del mondo! O delizie del deserto! Quanto è lontana la verità dalla menzogna, la luce dalle tenebre e la gloria dalla pena, altrettanta è tra voi la differenza. Le prime deliziano, le seconde feriscono. In quelle c’è la quiete e il riposo, in queste “la vanità e l’afflizione di spirito” (Eccle 1,14).
Delle delizie il Signore dice: “Le mie delizie consistono nello stare con i figli degli uomini” (Pro 8,31), che la natura ha generato poveri – “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò” (Gb 1,21)–, ma che la malizia ha fatto ricchi, perché “coloro che vogliono diventare ricchi, cadono nel laccio del diavolo” (1Tm 6,9). Le mie delizie dunque consistono nello stare con i figli degli uomini, non con i figli dei demoni. O povertà, bene ripugnante per i figli dei demoni, le tue delizie offrono a coloro che ti amano il diletto dell’eterna dolcezza!
“Farò della sua steppa quasi un giardino del Signore”. La povertà ama la solitudine perché, come dice Isaia: “Nella solitudine dimora il giudizio” (il diritto) (Is 32,16). E Geremia: Spinto dalla tua mano sedevo solitario, perché mi avevi riempito di amarezza (cf. Ger 15,17). Chi vuole istituire un giudizio su di sé, deve stare per lo meno nella solitudine della mente, della quale dice l’Ecclesiastico: Scrivi la sapienza nel tempo della quiete (lett. “La sapienza dello scriba è dovuta al suo tempo di quiete(Eccli 38,25).
Dove c’è il giudizio, lì c’è la sapienza; dove c’è la sapienza, lì c’è il giardino del Signore, cioè il paradiso. E poiché la vera povertà è sempre lieta, aggiunge: “Giubilo e gioia saranno in essa”. E commenta la Glossa: In Sion, che è paragonata al paradiso, ci devono essere soltanto gaudio e letizia, riconoscenza e canto di lode, affinché ci applichiamo già qui in terra alle occupazioni che avremo in cielo, insieme con gli angeli.

15. Con questa seconda parte del vangelo concorda la seconda parte del brano dell’epistola: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi per la gloria di Dio” (Rm 15,7). Come Cristo ha accolto il ciechi per illuminarli, gli zoppi per farli camminare, i lebbrosi per mondarli, i sordi per restituire loro l’udito, i morti per risuscitarli e i poveri per evangelizzarli, così noi dobbiamo accoglierci vicendevolmente.
Se il tuo prossimo è cieco per la superbia, per quanto sta in te procura di illuminare i suoi occhi con l’esempio della tua umiltà; se è zoppo per l’ipocrisia, raddrizzalo con l’opera della verità; se è lebbroso per la lussuria, purificalo con la parola e l’esempio della castità; se è sordo per l’avarizia, proponigli l’esempio della povertà del Signore; se è morto per la golosità e per l’ubriachez­za, risuscitalo con l’esempio e con la virtù dell’astinen­za; ed evangelizza i poveri, esortandoli a imitare la vita di Cristo.
Fratelli carissimi, imploriamo Cristo perché si degni di curarci dalle infermità spirituali sulle quali abbiamo meditato e voglia accoglierci presso di sé: lui che è benedetto nei secoli. Amen.

III. l’elogio del beato giovanni

16. “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Chi siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re” (Mt 11,7-8). Vedremo quale significato morale abbiano il deserto, la canna e l’uomo avvolto in morbide vesti.
Il deserto simboleggia la religione, l’ordine religioso. E su questo concordano le parole di Isaia: “Si rallegrerà il deserto e la terra inaccessibile, esulterà la solitudine e fiorirà come giglio. Germoglierà e crescerà, esulterà di gioia e proromperà in canti di lode” (Is 35,1-2).
In ogni ordine religioso si devono osservare in modo assoluto tre virtù: la povertà, la castità e l’obbedienza; tre virtù che sono richiamate nella citazione di Isaia. La povertà quando dice: “Si rallegrerà il deserto”; la castità quando aggiunge: “Fiorirà come giglio”; l’obbedienza quando conclude: “Germoglierà e crescerà”.
La povertà: “Si rallegrerà il deserto”. Il religioso che vuole osservare veramente la povertà, deve fare tre atti: primo, rinunciare ad ogni bene terreno; secondo, non avere alcuna volontà di possederne in futuro; terzo, sopportare con pazienza le privazioni inerenti alla stessa povertà. Questi tre atti sono indicati nelle parole: deserto, terra inaccessibile, e solitudine.
La vita del religioso dev’essere deserta, nella rinuncia ad ogni bene terreno; inaccessibile(lat. inviasenza via), che cioè nella sua volontà non resti neanche l’ombra del desiderio di possedere qualcosa. Dice in proposito Isaia: “Il deserto diventerà un Carmelo e il Carmelo sarà considerato una valle” (Is 32,15). Carmelo s’interpreta “cono­scenza della circoncisione”. Quindi il deserto, cioè l’ordine religioso, diventerà un Carmelo, cioè una circoncisioneper quanto riguarda la rinuncia ai beni terreni; e la rinuncia ai beni sarà una valle, per ciò che riguarda la volontà di non possedere. Chi è sciolto da questi due legami, a buon diritto può rallegrarsi e cantare: L’anima mia è sciolta dal laccio dei cacciatori (cf. Sal 123,7). Si rallegrerà dunque il deserto e la terra inaccessibile.
A queste due qualità si deve aggiungere la terza: il religioso sappia patire la fame e la sete e sopportare le privazioni (cf. Fil 4,12). E così ci sarà la “solitudine che esulterà” quando sopporterà con pazienza questi disagi e altri simili.

17. La castità: “Fiorirà come giglio”. Il giglio (in lat. lilium, che suona quasi come lacteum, latteo) simboleggia il candore della castità. Dice Geremia: “I suoi nazirei erano più candidi della neve e più bianchi del latte” (Lam 4,7).
Ad essi il Signore promette per bocca di Isaia: Non dica l’eunuco, cioè colui che si è reso tale per il regno dei cieli, che ha promesso la continenza: Ecco io sono come albero secco, perché questo dice il Signore: Agli eunuchi che osservano i miei sabati,cioè la purezza del cuore che è il sabbato dello spirito, e hanno scelto ciò che io voglio, cioè la castità del corpo, della quale dice l’Apostolo: Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione, affinché ognuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto(1Ts 4,3-4)e hanno osservato il mio patto, il patto concluso con me nel battesimo, darò nella mia casa, nella quale ci sono molti posti, e dentro le mie mura,di cui è detto nell’Apocalisseche sono costruite con diaspro (Ap 21,18), pietra preziosa di color verde che raffigura l’esultanza dell’eterna viridità(giovinezza); a costorodarò un postodel quale dice Giovanni: Vado a prepararvi un posto(Gv 14,2), e un nome più bello, cioè più eccellente, che avrà più valore cheaver generato figli e figlieun nome eterno, del quale dice l’Apocalisse: Scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme, e il mio nome nuovo(Ap 3,12). Avrà il nome di Dio perché sarà simile a Dio e lo vedrà come egli è (cf. 1Gv 3,2):Io dissi: Siete Dei (Sal 81,6); avrà il nome di Gerusalemme perché sarà nella pace; avrà il nome di Gesù perché è stato salvato. Avrà un nome eterno che mai sarà cancellato(Is 56,3-5), che mai cadrà in dimenticanza.

18. Obbedienza: “Germoglierà e crescerà, ed esulterà di gioia e proromperà in canti di lode”. Osserva che la vera obbedienza ha in se stessa cinque qualità, indicate proprio nelle cinque parole suddette. La vera obbedienza è umile, ossequiente, pronta, gioconda e perseverante.
Umile nel cuore: questo indica la parola “germoglierà”. Il germoglio è come l’inizio del fiore, e l’umiltà è l’inizio di ogni opera buona.
Ossequiente nella voce, indicato dalla parola “cresce­rà”. Dall’umiltà del cuore procede il rispetto, anche nel tono della voce.
Pronta al comando, e a questo si riferisce la parola “esulterà”. Dice il salmo: “Esulterà come un prode che percorre la via” (Sal 18,6).
Gioconda nella sofferenza, e questo è indicato dalla parola “con gioia”.
Perseverante nell’esecuzione degli ordini, e allora sarà anche “piena di lode”, perché ogni lode si canta alla fine.
O religiosi, così dev’essere il deserto del nostro ordine, nel quale siete venuti ad abitare uscendo dalla vanità del mondo. Perciò a voi ha detto il Signore: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto?”.

19. “Una canna sbattuta dal vento?”. La canna è detta in lat. arundo, che suona quasi come arida, o anche come auraducta, spinta dall’aria. Osserva che la canna ha le radici nel fango, simbolo della gola e della lussuria; è bella fuori ma vuota dentro, e in ciò sono indicate l’ipocrisia e la vanagloria; è agitata qua e là dal vento, e questo raffigura l’in­costanza della volontà.
Sventurato quel chiostro, maledetto il deserto di quell’ordine religioso nel quale viene posta a dimora e cresce tale pianta: “la scure sarà posta alla sua radice, per essere tagliata e gettata nel fuoco” (cf. Mt 3,10; Lc 3,9). Dice il Signore per bocca di Isaia: “Metterò nel deserto l’abete insieme con l’olmo e il bosso” (Is 41,19), ma non la canna agitata dal vento. Nell’abete è raffigurata la familiarità con le cose celesti; nell’olmo, che sostiene la vite, la partecipazione alle sofferenze del prossimo; nel bosso, che è di colore smorto, la mortificazione del corpo. Con queste piante dev’essere coltivato e ornato il deserto benedetto, il paradiso (il giardino) dell’ordine religioso, e non con la canna agitata dal vento, destinata ad essere bruciata nel fuoco.
“Ma che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti?”. Lo stesso evangelista Matteo ci racconta che “Giovanni portava una veste di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; suo cibo erano le locuste e il miele selvatico” (Mt 3,4). Guardate un po’, vi prego, se i religiosi del nostro tempo indossano queste vesti e se si nutrono con questi cibi. “Ecco, quelli che indossano morbide vesti stanno nelle case dei re”. Non dico religio, ma legio dæmonum(non religione, ma legionedi demoni) è quella che ha fatto del deserto un palazzo, del chiostro un castello, della solitudine una corte reale. Tanto il religio­so che l’uomo d’armi si fanno il vestito della stessa stoffa.
Invece l’amante del deserto, il più grande dei profeti, ebbe la sua veste di peli di cammello. Se il beato Giovanni, preannunciato dall’angelo, santificato nel seno materno, encomiato dal Signore – “Tra i nati di donna, non è sorto uno più grande di Giovanni” (Lc 7,28)–, visse in tanta austerità, che cosa non dobbiamo fare noi, concepiti nel peccato, carichi di peccati, degni di essere rigettati dal Signore, se non interviene la sua misericordia: con quante castighi, con quanta severità dobbiamo punirci!
Quindi nel deserto della penitenza ci sia la povertà del vestito, l’austerità del vitto, per poter essere chiamati con verità religiosi, “relegati”, cioè lontani da ogni piacere della carne.

20. Con questa terza parte del vangelo concorda anche la terza parte dell’epistola: “Il Dio della speranza” (Rm 15,13). Dice Isaia: “ Quelli che sperano nel Signore riacqui­ste­ranno forza, metteranno ali come aquile, correranno e non si stancheranno, cammineranno e non verranno meno” (Is 40,31).
Quelli che sperano non in sé ma nel Signore, che è il Dio della speranza, riacquisteranno forza, per essere forti in lui, e deboli in questo mondo: “Questo è il cambiamento prodotto dalla destra dell’Altissimo” (Sal 76,11). Metteranno le ali della duplice carità, con le quali volare in cielo come aquile. L’aquila, a quanto dicono i naturalisti, sfre­gando contro una pietra il becco, smussaro per l’eccessiva vecchiaia, ringiovanisce. Così quelli che eliminano l’invec­chiamento del peccato per mezzo della pietra che è Cristo (cf. 1Cor 10,4), morendo al mondo si rinnovano in Dio. Si rinnoverà come aquila la tua giovinezza (cf. Sal 102,5).
“Correranno” per conquistare il premio dell’eterna felici­tà, “e non si stancheranno” perché per colui che ama nulla è difficile; “cammineranno” di virtù in virtù e “non verranno mai meno” perché vivranno in eterno.
“Vi riempia di ogni gioia…”. Dice Isaia: “Godete con lei”, cioè con Gerusalemme, “voi tutti che piangevate su di essa; così succhierete e vi sazierete all’abbondanza della sua consolazione” (Is 66,10-11); “… e di pace”; della quale dice Isaia: “Costituirò tuo sovrano la pace” (Is 60,17); “nella fede”: “Se non crederete, non avrete stabilità” (Is 7,9); “perché abbondiate nella speranza e la nella virtù dello Spirito Santo”(Rm 15,13); ed Isaia: “Sei stato sostegno al povero, sostegno al bisognoso nella sua sofferenza, riparo dalla tempesta”, cioè dalla suggestione diabolica, “ombra contro l’ardore del sole” (Is 25,4), cioè contro la tentazione della carne.
Ogni religioso sia ricolmo di questi tre doni, cioè della speranza, della gioia e della pace: della speranza per quanto riguarda la povertà, la quale spera solo in Dio; della gioia per ciò che concerne la castità, senza la quale non c’è gioia della coscienza; della pace, nei riguardi dell’obbedienza, fuori della quale non c’è pace per nes­suno: “Non c’è pace per gli empi, dice il Signore” (Is 57,21); se il religioso sarà ricolmo di questi doni, sia certo che abbonderà anche nella speranza e nella grazia dello Spirito Santo, per vivere fiducioso nel deserto dell’ordine religioso.
Fratelli carissimi, imploriamo il Signore nostro Gesù Cristo che ci preservi dall’essere canna sbattuta dal vento o uomini avvolti in morbide vesti; ci faccia invece abitare nel deserto della penitenza, poveri, casti e obbedienti.
Ce lo conceda colui che è degno di lode, soave e amabile, Dio benedetto e beato nei secoli eterni. E ogni religione, pura e senza macchia, dica: Amen. Alleluia!

 AMDG et BVM

domenica 27 novembre 2016

DOMENICA I DI AVVENTO Temi del sermone – Vangelo della prima domenica di Avvento: “Ci saranno segni nel sole e nella luna”; lo divideremo in quattro parti. – Anzitutto, sermone ai penitenti o ai religiosi: “In quel giorno, il germoglio del Signore”. – La confessione: “La gloria del Libano”; oppure: “In quel giorno il Signore raderà il capo”. – Parte I: Annunciazione e natività del Signore: “Vidi il Signore”, e “Il vasaio seduto al suo lavoro”. – Passione del Signore e le sue cinque piaghe: “Ci saranno cinque città”. – Parte II: Sermone ai penitenti o ai religiosi: “Mosè, preso il sangue”. – Sermone ai claustrali: “Verrà a te la gloria del Libano”, e “Nell’anno in cui morì il re Ozia”. – Sermone contro gli oratori e i sapienti di questo mondo: “In quel giorno l’uomo getterà via gli idoli”; la talpa e il pipistrello. – Sermone ai penitenti: “Álzati, àlzati”. – Parte III: Sermone sul momento della morte o sulla sepoltura del defunto: “Guarderà in alto”. – Sermone contro i lussuriosi e i golosi: “Vi vergognerete dei giardini che avete scelto”. – Parte IV: Sermone sul giorno del giudizio e sulla dannazione dei peccatori: “Andrà in pezzi la terra”, e “Urlate, perché è vicino il giorno del Signore”, e “Il Signore avanza come un prode”, e “La spada del Signore è coperta di sangue”.


P R O L O G O
Tributiamo l’omaggio della lode e inni di grazie al Dio Uno e Trino, perché con il suo aiuto, nell’esposizione dei vangeli domenicali siamo giunti alla prima domenica dell’Avvento del Signore.
Ricordiamo che durante tutto l’Avvento la chiesa ci fa leggere il libro del profeta Isaia: vogliamo, per quanto il Signore ce lo concederà, trovare la concordanza delle varie citazioni di questo profeta con i brani dei vangeli e delle epistole dello stesso Avvento.


DOMENICA I DI AVVENTO
Temi del sermone

– Vangelo della prima domenica di Avvento: “Ci saranno segni nel sole e nella luna”; lo divideremo in quattro parti.
– Anzitutto, sermone ai penitenti o ai religiosi: “In quel giorno, il germoglio del Signore”.
– La confessione: “La gloria del Libano”; oppure: “In quel giorno il Signore raderà il capo”.
– Parte I: Annunciazione e natività del Signore: “Vidi il Signore”, e “Il vasaio seduto al suo lavoro”.
– Passione del Signore e le sue cinque piaghe: “Ci saranno cinque città”.
– Parte II: Sermone ai penitenti o ai religiosi: “Mosè, preso il sangue”.
– Sermone ai claustrali: “Verrà a te la gloria del Libano”, e “Nell’anno in cui morì il re Ozia”.
– Sermone contro gli oratori e i sapienti di questo mondo: “In quel giorno l’uomo getterà via gli idoli”; la talpa e il pipistrello.
– Sermone ai penitenti: “Álzati, àlzati”.
– Parte III: Sermone sul momento della morte o sulla sepoltura del defunto: “Guarderà in alto”.
– Sermone contro i lussuriosi e i golosi: “Vi vergognerete dei giardini che avete scelto”.
– Parte IV: Sermone sul giorno del giudizio e sulla dannazione dei peccatori: “Andrà in pezzi la terra”, e “Urlate, perché è vicino il giorno del Signore”, e “Il Signore avanza come un prode”, e “La spada del Signore è coperta di sangue”.

esordio - sermone ai penitenti o ai religiosi, e sulla confessione

1. In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle” (Lc 21,25).
Dice Isaia: “In quel giorno il germoglio del Signore crescerà in magnificenza e gloria e il frutto della terra sarà sublime” (Is 4,2). Questa espressione sarà applicata dapprima in senso allegorico al Verbo incarnato; e quindi in senso morale al peccatore convertito.
Senso allegorico. “In quel tempo”, cioè nel momento della grazia, quando a coloro che erano immersi nelle tenebre (cf. Mt 4,15)rifulse “lo splendo­re della luce eterna” (Sap 7,26), ci sarà – dice Isaia con profetica sicurezza – il germoglio del Signore, cioè il Figlio del Padre, che la beata Maria, albero della vita, produsse come un germoglio nella sua nascita. Infatti Isaia implora: “Fate scendere dall’alto la vostra rugiada, o cieli”. La Glossa aggiunge: Venga Gabriele, ci mandi con il suo annuncio la rugiada; “e le nubi piovano il Giusto”, e cioè i profeti, irrigando i nostri cuori di benefica pioggia, annuncino la nascita di Cristo. “Si apra la terra”, Maria cioè creda all’annuncio dell’an­gelo, e così “faccia germogliare il Salvatore” (Is 45,8). Egli crebbe “in magnificenza” con la predicazione e compiendo i miracoli, e “in gloria” nella sua risurrezione; egli è “il frutto della terra”, cioè della beata Vergine, e fu “sublime” nella sua ascensione al cielo.
Della magnificenza dei miracoli parla Isaia: “Dio stesso verrà e ci salverà. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi, si schiuderanno le orecchie dei sordi. Allora lo zoppo salterà come cervo e la lingua dei muti parlerà” (Is 35,4-6). E della gloria della risurrezione, accennando agli apostoli, dice ancora: “Essi vedranno la gloria del Signore e lo splendore del nostro Dio” (Is 35,2). E Giovanni: “Abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre” (Gv 1,14). E della sublimità dell’Ascensione, il Padre, con le parole di Isaia, dice: “Ecco, il mio Servo avrà successo; sarà innalzato ed esaltato, sarà veramente sublime” (Is 52,13). Il Figlio è detto “servo del Padre”, poiché fu a lui obbediente fino alla morte.

2. Senso morale. “In quel giorno”, ecc. Il giorno è il sole che splende sulla terra. Quando il sole della grazia illumina la terra, cioè la mente del peccatore, questa produce da sé il germoglio del Signore, nel quale è simboleggiata la contrizione. Infatti Isaia dice: “Discendono dal cielo la pioggia e la neve, impregnano e inebriano la terra e la fanno germogliare, ed essa produce la semente per il seminatore e il pane da mangiare” (Is 55,10). Nella pioggia e nella neve è raffigurata la grazia dello Spirito Santo.
Sul significato della neve, vedi il sermone della II domenica di Quaresima, parte II, “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni”, ecc.
La grazia, a guisa di pioggia e di neve che scendono dal cielo, cioè dalla misericordia divina, scende e inebria la terra, vale a dire il peccatore dèdito alle cose terrene, affinché ne diventi insensibile, si penta fino alle lacrime e metta a nudo il segreto del suo peccato. L’ebbrezza produce appunto questi tre effetti: rende insensibile, provoca le lacrime, e fa scoprire i segreti. “La impregna” dello spirito di povertà, del quale, sempre Isaia dice: “Sia infuso in noi uno spirito dall’al­to” (Is 32,15), affinché non si accenda in essa [la terra, la mente del peccatore] la sete della cupidigia (cf. Gb 18,9). “La faccia germogliare” in modo meraviglioso, il che avviene quando il peccatore si pente in modo as­soluto di tutti i peccati commessi e di tutte le omissioni; allora “produce la semente” delle opere buone “per il seminatore”, cioè per il penitente che semina nelle lacrime, e “il pane da mangiare”, perché raccoglie nella gioia (cf. Sal 125,5). Ecco dunque che “in quel giorno il germoglio del Signore crescerà in magnificenza”.
“E in gloria”. Dal germoglio della contrizione scaturisce la gloria della confessione, della quale Isaia dice all’anima penitente: “Le è stata data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron” (Is 35,2). Libano s’interpreta “candidezza”, Carmelo “circonci­sione" e Saron “canto di tristezza”. La confessione ha appunto questi tre effetti: rende candida l’anima, elimina le cose superflue, si lamenta e canta mestamente: “L’ani­ma mia è triste fino alla morte” (Mt 26,38). “La donna infatti quando partorisce è nella tristezza” (Gv 16,21).
Sulla purificazione dell’anima dai peccati, dice Isaia: “Il Signore laverà le brutture delle figlie di Sion, e il sangue dall’interno di Gerusalemme con lo spirito del giudizio e lo spirito del fuoco” (Is 4,4). Nelle brutture è indicata l’impurità; infatti dice Geremia: “Le sue brutture sono nei suoi piedi” (Lam 1,9), cioè negli affetti; nel sangue è indicata la lussuria della carne. Il Signore lava tali sozzure dalle figlie di Sion, cioè dalle anime di Sion, le anime che appartengono alla chiesa, “con lo spirito del giudizio”, che è la confessione, nella quale il penitente giudica e condanna se stesso; “e con lo spirito del fuoco”, che è la contrizione, nella quale l’anima, come infiammata, si scioglie in lacrime di compunzione.
Sulle cose superflue che devono essere eliminate con la confessione, Isaia dice: “In quel giorno il Signore, con un rasoio affilato, o preso a prestito, raderà il capo e il pelo dei piedi (delle gambe) e tutta la barba, a quelli che sono al di là del fiume” (Is 7,20). Il rasoio, detto in lat.novacula, come facesse nuovo l’uomo, raffigura la confessione, la quale rende veramente nuovo lo spirito dell’uomo. Dice Geremia: “Dissodate il terreno incolto e non seminate tra le spine” (Ger 4,3), perché quando saranno nate non soffochino (cf. Lc 8,7)la parola della confessione. Questo rasoio è detto “affilato”, o “preso a prestito”: affilato, perché taglia il peccato e le sue circostanze; preso a prestito, perché il peccatore, nell’opera della sua salvezza, deve come noleggiarlo con una certa somma, che è la devozione e l’umiltà. Con questo rasoio il Signore “rade il capo”, ecc., “a coloro che sono “al di là del fiume”, che hanno attraversato il fiume, che hanno cioè ricevuto il battesimo. Nel capo e nei piedi sono indicati l’inizio e la fine della vita, nella barba l’in­tre­pidezza nel fare il bene.
Con la lama tagliente di una vera confessione il Signore recide nel penitente i vizi, raffigurati nei peli, dall’inizio della sua conversione fino alla conclusione della sua vita. Rade anche tutta la barba, perché non confidi in alcuna delle opere buone che ha fatto, come se le avesse fatte lui. Dobbiamo infatti confidare solo in colui che ha fatto noi, e non in quello che noi abbiamo fatto. Colui che ha fatto noi è tutto il Bene, il sommo Bene; invece il bene che abbiamo fatto noi è come il panno di una donna immonda (cf. Is 64,6). Tu stesso quindi devi capire in quale bene si deve confidare. Unicamente nel Signore, nel buon Gesù, al quale il profeta dice: “Buono sei tu, o Signore” (Sal 118,68).
Parimenti, del canto di tristezza dice Isaia: “Salirà piangendo per l’erta di Luith, e per la strada di Coronaim alzeranno grida di pentimento” (Is 15,5).
Vedi su questo argomento il sermone della domenica X dopo Pentecoste, parte III.
“E il frutto della terra sarà sublime”. Il frutto della terra è la soddisfazione, cioè l’opera penitenziale. Dice Isaia: “E tutto il frutto è questo: che sia tolto il suo peccato” (Is 27,9). Il frutto della penitenza è sublime quando il penitente è umile, e si umilia di fronte al vero sole, umile e sublime, cioè a Cristo che si degnò di velare lo splendore della sua luce con il cilicio della nostra condizione mortale. Per questo il brano evangelico di oggi dice: “Ci saranno segni nel sole”, ecc.

3. Considera che quattro sono gli “avventi” (venute) del Signore.
Il primo avvento fu nella carne, e di esso è detto: “Ecco, verrà il grande Profeta: egli rinnoverà Gerusalemme” (Liturgia della I Domenica di Avvento, 5a antifona delle Lodi).
Il secondo avvento si compie nella mente; è detto infatti: “Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Il terzo avvento si verificherà nel momento della morte; è detto: “Beato quel servo che il Signore, al suo ritorno, troverà al lavoro” (Lc 12,43).
Il quarto avvento si compirà nella gloria; leggiamo nell’Apocalisse: “Ecco, verrà sulle nubi, e ogni occhio lo vedrà” (Ap 1,7).

Questi quattro avventi sono indicati nelle prime quattro parole di questo santo vangelo: le considereremo ognuna singolarmente.
Nell’introito della messa di oggi si canta: “A te, Signore, innalzo la mia anima” (Sal 24,1), e si legge il brano della lettera del beato Paolo ai Romani: “Sapete che è ormai ora di svegliarci dal sonno” (Rm 13,11). Confronteremo questo brano della lettera ai Romani con il primo avvento, e anche con il secondo, quello che avviene nella mente. Invece l’introito della messa lo confronteremo con il terzo e il quarto avvento.
Consideriamo anzitutto il primo avvento.

I. il primo avvento di Cristo nella carne

4. “Ci saranno segni nel sole e nella luna”. Il sole, così chiamato perché risplende solitario (lat. solsolus), è Gesù Cristo che, solo, abita una luce inaccessibile (cf. 1Tm 6,16), e lo splendore di tutti i santi quasi scompare, paragonato al suo splendore, cioè alla sua santità. Dice infatti Isaia: “Siamo divenuti tutti come cosa impura”, cioè come lebbrosi, “e tutte le nostre opere di giustizia sono come panno di donna mestruata”(Is 64,6). Questo “sole”, come è detto nell’Apocalisse, “divenne nero come un sacco fatto di crine” [detto anche cilicio] (Ap 6,12). Infatti Cristo, con il sacco della nostra umanità coprì la luce della sua divinità: “Ho indossato come vestito un sacco fatto di crine” (Sal 68,12).
Ma quale rapporto ci può essere, o Figlio di Dio, fra te e il cilicio? Di tale veste deve coprirsi non Dio ma il reo, non il Creatore ma, ben a ragione, il peccatore; è la veste del peccatore e non di colui che rimette i peccati. Quale rapporto dunque fra te e il cilicio? Un profondo rapporto, e assolutamente necessario all’uomo peccatore, perché mi sono pentito di aver fatto l’uomo (cf. Gn 6,7), vale a dire: un grande dispiacere soffro a riguardo dell’uomo. Dice infatti Isaia: “Mi hai fatto una grande offesa con i tuoi peccati, mi hai stancato con le tue iniquità”, e ancora: “Sono stanco di sopportarli” (Is 43,24; 1,14).
Ecco dunque che “il sole è divenuto nero come un sacco fatto di crine” (cilicio). Infatti sotto il cilicio della carne nascose se stesso, “fulgore della luce eterna” (Sap 7,26). Di lui dice Isaia: Principio della vita “sei tu, o Dio, e fuori di te non c’è Dio. Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, Salvatore!” (Is 45,14-15). E ancora: “Il suo volto è come nascosto” (Is 53,3). Giustamente dice “nascosto”; l’amo della divinità venne nascosto nell’esca dell’umanità per uccidere, come dice sempre Isaia, il cetaceo, il mostro che vive nel mare (cf. Is 27,1), cioè il diavolo che è in questo mondo malsano e amaro.
Dice Giobbe: “Catturerà Beemoth (il mostro marino) per gli occhi, quasi con un amo” (Gb 40,19). L’umile cattura il superbo; il nostro “Bambino”, avvolto in fasce, cattura l’antico serpente. E Isaia: “Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide, il bambino metterà la mano nel covo dei serpenti velenosi (Is 11,8). Il nostro “Bambino”, avvolto in fasce, adagiato nella mangiatoia (cf. Lc 2,7.12), con la mano della sua potenza strappò l’aspide e il serpente dal foro e dalla caverna, cioè il diavolo dalla coscienza dei peccatori.
Ecco dunque che “il sole è divenuto nero come il sacco fatto di crine”.
O Primo! O Ultimo! O Eccelso! O Umile e disprezzato! “E noi l’abbiamo considerato come un lebbroso, castigato da Dio e umiliato” (Is 53,4).

5. Sull’umiliazione di Cristo, concordano ancora le parole di Isaia: “Io vidi il Signore seduto su un trono eccelso ed elevato” (Is 6,1). Vediamo il significato di queste parole: seduto, trono, eccelso, ed elevato.
“Il Signore seduto” raffigura l’umile abbassamento della sua divinità nella nostra umanità. Leggiamo nell’Ecclesiastico: “Il vasaio, seduto al suo lavoro, gira con i piedi la ruota, ed è sempre attento alla sua opera” (Eccli 38,32). Il vasaio è il Figlio di Dio, del quale il salmo dice: “Ha plasmato ad uno ad uno i loro cuori” (Sal 32,15). Egli “è seduto al suo lavoro”, cioè si è umiliato nella carne per la nostra salvezza.
Sempre Isaia: [Verrà il Signore] “per compiere l’opera sua: opera non rispondente alla sua natura, opera per lui assai inconsueta” (Is 28,21). San Gregorio commenta così queste parole misteriose: “Verrà nel mondo per compiere la sua opera: per redimere il genere umano. Ma è un’opera non rispondente alla sua natura: non conviene certo alla sua divinità essere coperto di sputi, essere flagellato e appeso ad una croce”. Egli, con i piedi della sua umanità, fa girare verso la vita la ruota della nostra natura, che prima girava verso la morte; affinché, a colui al quale dapprima era stato detto: Sei terra e alla terra ritornerai (cf. Gn 3,19), si possa ora dire: “Sarai beato e godrai di ogni bene” (Sal 127,2).
E con quanto amore egli si sia impegnato per compiere la sua opera durante trentatré anni, lo testimoniano con molta evidenza i vangeli. E il salmo dice: “Io correvo assetato” (Sal 61,5). Correva con tanta brama alla croce, come il vasaio alla fornace, per realizzare e completare la sua opera, che neppure si fermò a rispondere a Pilato, proprio per non ritardare l’opera della nostra salvezza.

6. “Su di un trono”. Il trono, detto in lat. solium, quasi come solidum, è l’umanità di Cristo che, fondata sulle sette colonne (cf. Pro 9,1), fu in tutti i sensi solida e stabile. Dice Isaia: “In quel giorno sette donne afferreranno un unico uomo e gli diranno: Mangeremo il nostro pane, ci copriremo con le nostre vesti; lascia solo che siamo chiamate con il tuo nome: tòglici la nostra vergogna” (Is 4,1).
Le sette donne simboleggiano i sette doni dello Spirito Santo, che sono detti donne, in quanto nessuno può essere generato a Dio se non per opera dello Spirito. L’uomo è Cristo – unico, cioè il solo senza peccato –, che i sette doni afferreranno, per tenerlo saldamente e non perderlo. Tutti gli uomini passano, fino a Cristo, ma i “sette doni” non afferrano nessuno di essi. Non c’è infatti uomo senza peccato: in tutti lo Spirito ha una ospitalità di tribolazione, e non una dimora di riposo. Lo Spirito fu nei profeti e in altri giusti: ma poiché erano uomini, e quindi peccatori, fu in essi, ma in essi non si fermò. Perciò soltanto di Cristo è detto in Giovanni: “Colui sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito Santo, egli è colui che battezza” (Gv 1,33).
“Afferreranno un unico uomo e diranno: “Mangeremo il nostro pane”, ecc. Commenta la Glossa: Chi ha pane e vesti non ha bisogno di altro. “Mangeremo il nostro pane e indos­seremo le nostre vesti”, vuol dire: Con lo Spirito Santo, insieme con il Padre e il Figlio, possedere tutto e non avere più bisogno di nulla. “Soltanto, fa’ che siamo chiamati con il tuo nome”, e questo significa: Da te siano chiamati cristiani, coloro che bramano fruire della nostra dimora. “Tòglici la nostra vergogna”, perché, scacciati (i doni) dal cuore degli uomini per il fetore dei vizi, non siamo più costretti a cambiare così spesso dimora.

7. L’umanità di Cristo, dunque, sulla quale siede – cioè si umiliò – come su di un trono la divinità, fu eccelsa ed elevata. Fu eccelsa per la sua ineguagliabile santità di vita. Dice Giovanni: “Colui che viene dall’alto è al di sopra tutti” (Gv 3,31)per la sublimità della vita. E anche Isaia: “Mangerà burro e miele, finché non imparerà a rifiu­tare il male e a scegliere il bene” (Is 7,15).
Osserva che dal latte di pecora si ricavano due alimenti: il burro e il formaggio. Il burro è dolce e grasso, il formaggio è arido e asciutto. La pecora fu Adamo la cui natura, prima del peccato, fu come il burro per l’innocenza e la purezza; dopo il peccato fu come il formaggio, arrido e secco. Perciò: “Sia maledetta la terra”, cioè la tua carne, “nel tuo lavoro. Ti produrrà solo triboli e spine” (Gn 3,17-18). Quando dunque venne l’Ema­nuele, colui che la Vergine concepì e partorì, egli non mangiò formaggio ma burro, perché non assunse carne corrotta o soggetta al vizio, ma assunse carne purissima dalla carne della purissima Vergi­ne. Mangiò anche miele, che viene dall’alto, nel quale è raffigurata l’assoluta perfezione della sua vita.
Parimenti l’umanità di Cristo fu elevata, vale a dire innalzata sul patibolo della croce. Infatti dice Giovanni: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32)con l’uncino della croce, nella quale il nostro “sole” fu coperto con il cilicio e marcato con cinque “segni”. Per questo è detto: “Ci saranno dei segni nel sole”.

8. I “segni nel sole” furono le cinque piaghe nel corpo di Cristo. Esse sono “le cinque città in terra d’Egitto, che parlano la lingua di Canaan, la prima delle quali si chiamerà Città del Sole” (Is 19,18).
Egitto s’interpreta “mestizia” o “tenebre”. La terra d’Egitto raffigura la carne di Cristo, che fu nella mesti­zia; infatti nella lettera agli Ebrei è detto: “Offrendo con lacrime e forti grida” (Eb 5,7); e fu nelle tenebre: “Mi ha relegato nelle tenebre, come i morti da gran tempo” (Sal 142,3).
In questa terra ci furono cinque città, cioè cinque piaghe, che sono le città­rifugio, nelle quali chiunque si rifugia sarà liberato dalla morte. Fuggi dunque, rifugiati nelle città fortificate, perché chi sarà trovato fuori di esse sarà ucciso. È detto infatti nella Genesi che ogni essere che si troverà fuori dell’ar­ca, sarà distrutto dalle acque del diluvio (cf. Gn 7,21-23). Solo nell’arca infatti c’è la vita. Fuggi ad essa come fece Ruth, alla quale Booz disse: “Pieno salario riceverai dal Signore, Dio d’Israele, al quale sei venuta e sotto le cui ali ti sei rifugiata” (Rt 2,12). Cristo con le braccia aperte sulla croce, quasi come due ali, accoglie coloro che a lui accorrono, e nel rifugio delle sue piaghe li nasconde dalla minaccia dei demoni.
“Che parlano la lingua di Canaan”, nome che s’interpreta “cambiata”. Infatti le piaghe di Gesù Cristo, come con un totale cambiamento di linguaggio, parlano di noi al Padre non per ottenere vendetta, ma per impetrare misericordia. Dice l’Apostolo agli Ebrei: “Vi siete accostati al Mediato­re della Nuova Alleanza, Gesù, e al sangue dell’aspersione, dalla voce più eloquente di quella del sangue di Abele” (Eb 12,22.24): il sangue di Abele gridava vendetta, il sangue di Cristo grida misericordia.
Dice ancora Bernardo: O uomo, hai un accesso sicuro a Dio, perché davanti al Figlio trovi la Madre, e davanti al Padre trovi il Figlio. La Madre mostra al Figlio il petto e le mammelle, il Figlio mostra al Padre il costato e le piaghe. Non potrà quindi esservi rifiuto, dove sono riuniti tanti segni di amore.
“La prima sarà chiamata città del sole”. La piaga del costato è la città del sole. Con l’a­pertura del costato del Signore venne aperta la porta del paradiso, dalla quale rifulse a noi lo splendore della luce eterna. Si legge nella StoriaNaturaleche il sangue estratto dal fianco della colomba elimina le macchie dagli occhi; così il sangue estratto dal costato di Cristo con la lancia del soldato, illuminò gli occhi del cieco nato, cioè del genere umano.

9. Con questo primo avvento del Signore, concorda la prima parte dell’epistola di oggi: “È ormai tempo che noi ci destiamo dal sonno” (Rm 13,11).
Come nell’ultimo avvento “suonerà la tromba e i morti risorgeranno” (1Cor 15,52), così in questo primo avvento suona la tromba della predicazione: “È ormai tempo”, ecc. Questo tempo è l’anno della benignità (cf. Sal 64,12), “la pienezza dei tempi, in cui Dio mandò il Figlio suo, nato da donna, nato sotto la legge” (Gal 4,4). Svegliamoci dunque dal sonno, cioè dall’amore delle cose temporali, delle quali Isaia dice: “Vedono cose vane, dormono e amano i sogni” (Is 56,10), cioè le cose temporali che chiudono gli occhi del cuore alla contemplazione delle cose eterne. Le vane immaginazioni sulle cose di questo mondo, che illudono i dormienti nelle prime ore del giorno, vengano fugate dal sorgere del sole. Il sacco fatto di crine, il cilicio, il misero pannicello nel quale Gesù fu avvolto, l’umile luogo del presepio nel quale fu adagiato, ci invitano a svegliarci dal sonno e a scacciare le vane fantasie. “È veramente tempo di svegliarsi dal sonno”.
Ma guai a noi che neppure in quest’unica ora possiamo vegliare con il Signore, perché non lo vogliamo. Il Signore ha vegliato, poiché dice Geremia: “Vedo una verga vigilan­te” (Ger 1,11). Gesù Cristo fu la verga, flessibile per la sua obbedienza e umiltà, sottile per la povertà: egli vegliò con queste virtù, ma noi non vogliamo vegliare con lui. Gli uomini, schiavi delle ricchezze dormirono il loro sonno (cf. Sal 75,6); invece le ricchezze [vere] degli uomini, cioè l’umiltà e la povertà dei giusti, vegliano con il Signore e quindi possono dire in tutta sincerità: “Adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti” (Rm 13,11). E questo è ciò che dice anche Salomone: “La via dei giusti è simile alla luce che incomincia a risplendere, e cresce fino a pieno giorno” (Pro 4,18). “Luce che risplende”, cioè “quando diventammo credenti”; “fino a giorno pieno”, cioè “la nostra salvezza è più vicina”. La luce splendente si ebbe nell’in­carnazione del Verbo, dalla quale scaturì la fede; il giorno pieno si verificò nella passione, con la quale fu più vicina la salvezza. “Che cosa ci sarebbe servito l’essere nati, se non fossimo stati redenti?” (dal canto Exultetdel sabato santo).
Fratelli carissimi, supplichiamo dunque Gesù Cristo che nel primo avvento si coprì per noi di cilicio, e che si contrassegnò con i segni della passione per intercedere per noi, affinché ci svegli dal sonno, ci faccia vegliare con lui, in modo da poter meritare nel suo ultimo avvento l’eredità dell’eterna salvezza.
Ce lo conceda lui stesso, che è benedetto nei secoli. Amen.

II. il secondo avvento di cristo nella mente

10. “Ci saranno segni nella luna”. I segni nella luna sono quelli descritti da Giovanni nell’Apocalisse: “La luna diventò tutta simile al sangue” (Ap 6,12), e da Gioele: “La luna si cambierà in sangue” (Gl 2,31).
Dio creò due grandi luci, la maggiore e la minore (cf. Gn 1,16); vale a dire, creò due creature ragionevoli. La luce maggiore è lo spirito angelico, la luce minore è l’anima umana. Per questo si dice luna, come a dire “una tra le luci”. Infatti l’anima umana fu creata per essere una di quegli spiriti celesti, in grado di comprendere le cose del cielo; perché lodasse il creatore e fosse felice insieme con i figli di Dio (cf. Gb 38,7). Ma per la troppa vicinanza alla terra contrasse la negrezza e perdette la sua luminosità: e quindi, se vuole ricuperarla, è necessario che prima diventi tutta sangue.
Il sangue simboleggia la contrizione del cuore. L’Apo­stolo nella lettera agli Ebrei dice: “Mosè, preso il sangue (dei vitelli e dei capri) con acqua, lana scarlatta e issopo, ne asperse il libro stesso e tutto il popolo, dicendo: Questo è il sangue dell’alleanza che Dio ha stabilito per noi. Alla stessa maniera asperse con il sangue anche la tenda e tutti i vasi adibiti al culto. (Secondo la Legge infatti), tutte le cose vengono purifica­te con il sangue e senza spargimento di sangue non c’è perdono” (Eb 9,19-22). Ecco dunque in che modo la luna è diventata tutta come sangue.
Vedremo ora quale significato morale abbiano Mosè, il sangue, l’acqua, la lana scarlatta e l’issopo, il libro e il popolo, la tenda e i vasi.
Quando Gesù Cristo, misericordioso e benigno, entra nella mente del peccatore, allora “Mosè prende il sangue”, ecc. Mosè è lo stesso peccatore già convertito; liberato dalle acque dell’Egitto, egli deve accogliere in sé queste quattro entità: il sangue della dolorosa contrizione, l’acqua della lacrimosa confessione, la lana dell’innocenza, scarlatta per la correzione fraterna, e l’issopo della vera umiltà. Con queste cose deve aspergere il libro, cioè il segreto del suo cuore, e tutto il popolo dei suoi pensieri, e la tenda, cioè il suo corpo, e tutti i suoi vasi, vale a dire i cinque sensi. Nel sangue della contrizione tutte le cose vengono purificate, tutto viene perdonato, purché ci sia il proposito di confessarsi. Infatti senza il sangue della contrizione non c’è remissione di peccato.

11. “Ci saranno segni nella luna”. Per mezzo dei segni esteriori del penitente si conoscono i segni interiori della contrizione. Quando risplenderà nel corpo la castità, l’umiltà nell’agire, l’astinenza nel mangiare, la modestia nel vestire: questi saranno gli indizi della santificazione interiore. E in merito a queste quattro pratiche, Dio, per bocca di Isaia, promette all’anima penitente: “Verrà a te la gloria del Libano: l’abete, il bosso e il pino insieme, per ornare il luogo della tua santificazione” (Is 60,13).
La gloria del Libano è la castità del corpo, della quale l’anima si gloria: “Come un cedro mi innalzai sul Libano” (Eccli 24,17): Libano s’interpreta appunto “bianchezza”. Il cedro, con il suo profumo, scaccia i serpenti. Nel Libano dunque, cioè nel corpo che pratica la castità, l’anima viene innalzata come un cedro, perché con il profumo della sua condotta santa mette in fuga i serpenti della suggestione diabolica e della concupiscenza carnale. Di queste cose dice ancora Isaia: “Su tutta la gloria, la protezione” (Is 4,5). Dove c’è la gloria della castità, lì c’è la protezione della divina misericordia, che custodisce tutte le opere buone.
Parimenti, l’abete, detto in lat. abies, perché svetta più in alto (lat. abeo) di tutte le altre piante, raffigura l’umiltà, che è la più sublime di tutte le virtù. Infatti, in merito a questa virtù, concordano le parole di Isaia: “Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore che sedeva sopra un trono eccelso ed elevato; e la casa era piena della sua maestà, e le cose che erano sotto di lui riempivano il tempio” (Is 6,1).
Il re Ozia, superbo e lebbroso, raffigura il vizio della superbia: se nell’uomo questo vizio muore, il Signore siede in lui come su di un trono. L’anima del giusto è sede della sapienza. Infatti nell’anima, sublimata dall’umiltà, sollevata dalle cose terrene alla contemplazione celeste, riposa il Signore, e allora la casa dei cinque sensi è piena della sua maestà. Tutte le membra sono nello stato di quiete, quando il Signore riposa nella mente. Dice infatti il Signore per bocca di Isaia: “Il mio popolo”, quando io dimorerò in lui, “si troverà in una pace meravigliosa” per l’onestà della vita, “e nelle tende della confidenza” per la sicurezza della coscienza, “nella quiete e nella ricchezza”(Is 32,18), cioè con la ricchezza della buona fama. E infatti continua: “E le cose che erano sotto di lui riempivano il tempio”. Quando il Signore dimora nella nostra mente, tutto ciò che facciamo sotto il suo sguardo, essendo fatte nell’umiltà, riempiono il tempio, cioè danno buon esempio ed edificano il prossimo.
Ancora: il bosso, pianta di colore pallido, simboleggia l’astinenza dal cibo e dalla bevanda. Dice Isaia: “Il Signore ti darà pane duro e poca acqua” (Is 30,20), e di nuovo: “Gli asinelli che lavorano la terra”, cioè i peni­tenti che castigano il loro corpo, mangeranno una mistura di orzo e paglia” (Is 30,24), nella quale è raffigurata la frugalità dei cibi.
E infine il pino, dal quale si ricava la pece (resina), raffigura la mediocrità, la povertà delle vesti: ventre digiuno e abito dimesso implorano Dio con grande sentimento. Dobbiamo espiare con la scarsezza del cibo e la modestia delle vesti l’eccesso dei passati piaceri e dello sfarzo, affinché, come dice Isaia, “invece del profumo ci sia sentore di povertà, invece della cintura una corda, invece dei riccioli la calvizie, invece della fascia pettorale il cilicio” (Is 3,24). Queste quattro cose ornano il luogo della santificazione del Signore, cioè l’anima del penitente nella quale dimora il Signore. Infatti egli dice: “Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).



12. Con questo secondo avvento concorda la seconda parte dell’epistola: “La notte è avanzata, il giorno è vicino” (Rm 13,12). Questo è ciò che dice Isaia: “L’antico errore è scomparso: conserverai la pace; la pace, perché in te abbiamo sperato”, o Signore (Is 26,3).
La notte e l’errore simboleggiano la cecità del peccato; il giorno e la pace l’illuminazione della grazia. La ripetizione della parola pace, sta ad indicare la quiete interiore e quella esteriore, di cui l’uomo gode quando il Signore siede sopra un trono eccelso ed elevato.
“Gettiamo via, perciò, le opere delle tenebre” (Rm 13,12). Anche Isaia dice: “In quel giorno l’uomo getterà via i suoi idoli di argento e le sue statue d’oro, che raffiguravano talpe e pipistrelli, che si era fabbricato per adorarli” (Is 2,20). Nell’argento è indicata l’eloquenza, nell’oro la sapienza; nelle talpe l’avarizia e nei pipistrelli la vanagloria. La talpa, essendo priva di occhi, scava la terra; il pipistrello poi non vede di giorno perché è senza il liquido cristallino, e ha poi le ali allacciate con i piedi.
L’uomo carnale, che conosce e sa solo di terra, con l’argento dell’eloquenza e l’oro della sapienza si fabbrica degli idoli, vale a dire le talpe dell’avarizia e i pipi­strelli della vanagloria, che sono le opere delle tenebre. Infatti l’avarizia, che è priva della luce della povertà, scava la terra e ama le cose terrene. La vanagloria, mentre piace al “giorno umano”, non vede il “giorno divino”; infatti le sue ali, cioè le opere con quali avrebbe potuto volare al cielo, sono allacciate ai piedi, cioè agli affetti carnali; infatti brama essere veduta e lodata dagli uomini.
Ahimè, quanti predicatori e prelati del nostro tempo, con l’eloquenza e la sapienza che Dio ha loro elargito, si fabbricano degli idoli, e li adorano. Cercano infatti di arricchirsi, di essere onorati, di essere chiamati rabbi, maestro, e di essere salutati nelle piazze(cf. Mt 23,7). Ma in quel giorno, cioè nell’illuminazione della grazia, della quale è detto appunto “il giorno è vicino”, l’uomo getta via le talpe e i pipistrelli che non vedono la luce, e che raffigurano le opere delle tenebre. Allora si adempirà ciò che segue: “Indossiamo le armi della luce” (Rm 13,12).

13. Dice in proposito Isaia: “Àlzati, àlzati, rivèstiti della tua fortezza, o Sion. Indossa le vesti della tua gloria, Gerusalemme, città del Santo” (Is 52,1). Sion e Gerusalemme sono simbolo dell’anima che, quando pecca, si rende schiava del diavolo, mentre quando fa penitenza si libera e si eleva in alto. Álzati dunque con la contrizione, àlzati con la confessione, rivèstiti della fortezza della perseveranza finale, indossa le vesti della tua gloria, cioè della duplice carità, e così sarai la città dello Spirito Santo.
“Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno” (Rm 13,13). Sempre Isaia: “Si vedrà in te la gloria del Signo­re, i popoli cammineranno alla tua luce e i re allo splen­dore del tuo sorgere” (Is 60,1.2-3). I popoli sono i sensi del corpo; i re gli affetti della mente. Quelli cammineran­no nella luce di un onesto comportamento e questi nello splendore della purezza, quando l’anima dell’uomo sarà illuminata della gloria di Dio.
“Non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze” (Rm 13,13). Sempre Isaia: “Si sono riempiti di vino e ubriacati; nella loro ubriachezza sono usciti di strada e non hanno ricono­sciuto il veggente”, cioè Dio che tutto vede; “non hanno conosciuto la giustizia. Tutte le mense sono piene di vomito e di sudiciume e non c’è più un posto pulito” (Is 28, 7-8). “Non fra impurità e licenziosità” (Rm 13,13). E Isaia: “Sarà come la tana dei draghi e il pascolo degli struzzi” (Is 34,13), ecc.
Vedi anche il sermone della domenica I di Quaresima, parte II, “Gesù fu condotto nel deserto”.
“Non in contese e gelosie” (Rm 13,13). Isaia: “Ciascuno divorerà la carne del suo braccio” (Is 9,20), infierirà cioè contro il suo prossimo, con contese e invidie. “Manasse contenderà contro Efraim ed Efraim contro Manasse”: vale a dire, i laici contenderanno contro i chierici e i chierici contro i laici; “tutti e due insieme combatteranno contro Giuda” (Is 9,20), cioè contro i religiosi.
“Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo” (Rm 13,14). Ed Isaia: “Mi rivestì delle vesti della salvezza”, cioè delle virtù, “e mi avvolse nel manto della giustizia” (Is 61,10), cioè di Gesù Cristo. “Quanti infatti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo” (Gal 3,27).
Fratelli carissimi, imploriamolo devotamente che cambi la luna, che tramuti cioè tutta l’anima nostra nel sangue della contrizione, con la quale, gettando via le opere delle tenebre, meritiamo di camminare in pieno giorno e di rivestirci di lui, che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

III. il terzo avvento di cristo nell’ora della morte

14. “Ci saranno segni nelle stelle”. Anche i segni delle stelle sono quelli di cui parla Giovanni nell’Apocalisse: “Le stelle del cielo caddero sopra la terra, come quando un fico, investito da un grande vento, lascia cadere i fichi immaturi” (Ap 6,13).
Dell’uomo che soffre nel travaglio dell’agonia, dice il profeta: “Guarderà in alto e rivolgerà lo sguardo sulla terra: ed ecco sofferenza e tenebre; sfinimento, angustia e caligine lo tormenteranno: e non potrà liberarsi dalle sue angustie” (Is 8,21-22). Nel momento della morte c’è la sofferenza della malat­tia, l’oscurità negli occhi perché, come dicono, in quel momento sono privi della luce; c’è lo sfinimento di tutte le membra, l’angustia della morte e la caligine che tormenta, cioè la paura della geenna, ossia la presenza del diavolo che tenta in ogni modo di impadronirsi dell’anima che sta per uscire dal corpo.
Ahimè! Il misero essere umano sia che guardi in alto, sia che rivolga lo sguardo a terra, non potrà più liberarsi dal suo tormento, se non ritornando alla terra e in essa trasformandosi.
Dice Isaia: “È caduta, è caduta Babilonia”, cioè la carne dell’uomo, “e tutte le statue dei suoi dèi”, cioè i piaceri dei sensi, “sono a terra in frantumi” (Is 21,9), perché sei terra e alla terra ritornerai (cf. Gn 3,19). Questo è dunque il significato della frase: “le stelle”, cioè gli uomini viventi, “caddero dal cielo”, dal firmamento, vale a dire dal loro stato, nel quale credevano molto sicuri e di vivere molto a lungo, caddero sulla terra, dalla quale sono stati creati. “Come il fico, investito da un grande vento”, ecc. Il fico è la natura umana la quale, quando è investita dal grande vento della morte, lascia cadere i fichi immaturi, perde cioè i sensi e le membra, e così si riduce all’impotenza. Questi sono i segni nelle stelle. Beato sarà perciò quel servo che il Signore, quando viene e bussa alla porta, troverà sveglio (cf. Lc 12,36-37).

15. Beato colui che nell’ora della sua morte potrà cantare ciò che si canta nell’introito della messa di oggi: “A te, Signore, ho innalzato l’anima mia” (Sal 24,1). E questo concorda con ciò che dice Isaia: “Àlzati, àlzati, lèvati su, Gerusalemme!” (Is 51,17). O anima, àlzati dalle lusinghe della tua carne, àlzati dalla concupiscenza del mondo, sollèvati alle gioie eterne. Nel momento della morte sarà tranquillo e sereno colui che in questo modo avrà innalzato a Dio la sua anima.
“Dio mio, in te confido” (Sal 24,2). Ed Isaia: “In quel giorno il resto d’Israele non si appoggerà più su chi li ha percossi”, cioè sugli Assiri, vale a dire sul diavolo; “ma si appoggerà sul Signore, sul Santo d’Israele” (Is 10,20). “In te confido”, non nella carne, non nel mondo. E di questa fiducia dice Isaia: “Ecco, tu confidi nell’Egitto, in questo sostegno di canna spezzata, che punge e trafigge la mano di chi vi si appoggia” (Is 36,6). L’abbondanza del mondo e la salute del corpo sono quasi una canna che ha le sue radici nel fango, bella di fuori ma vuota all’interno. Questa canna, quando l’uomo si appoggia su di essa, si spezza al momento della morte, e quando è spezzata ferisce l’ani­ma, la quale così ferita cade nella geenna.
“Non sarò confuso” (Sal 24,2). È vero, è vero, colui che in vita confida nel Signore, nell’ora della morte non sarà confuso, ma esultando potrà dire con Isaia: “Io gioisco pienamente nel Signore, e la mia anima esulta nel mio Dio” (Is 61,10). Mentre lo stesso Isaia, minaccia così coloro che confidano nel mondo: “Vi vergognerete dei giardini che vi siete scelti, poiché sarete come le querce dalle foglie avvizzite, e come un giardino senza acqua, e la vostra forza sarà come il fuoco di stoppie, e le vostre opere come una scintilla, ed entrambe saranno bruciate e non ci sarà chi spenga il fuoco” (Is 1,29-31).
Alla fine della loro vita i carnali si vergogneranno “dei giardini” della gola e della lussuria, che si erano scelti durante la vita. Saranno nudi e aridi “come la quercia dalle foglie avvizzite”, simbolo delle loro ricchezze e piaceri; saranno come “un giardino senz’ac­qua”, perché ogni piacere cesserà. Per i canali dei sensi infatti non scorreranno più le acque dei piaceri mondani, per inebriare la concupiscenza della carne. E allora “la loro fortezza”, cioè la loro superbia nella quale confidavano, “sarà come il fuoco delle stoppie”, le quali ben presto si consumano, “e le loro opere come una scintilla”, cioè di nessun valore; “ed entrambe”, cioè la fortezza della superbia e le opere dell’avarizia, “saranno bruciate” dai demoni, “e non ci sarà chi spenga il fuoco”. Conclude infatti Isaia: “Il loro verme non morirà e il loro fuoco non si spegnerà” (Is 66,24).
“Non mi deridano i miei nemici” (Sal 24,3). Di questa irrisione, dice Geremia nelle Lamentazioni: “Contro di te applaudirono con le mani quanti passavano per la via; fischiarono e scossero il capo sulla figlia di Gerusalemme: È questa la città che dicevano bellezza perfetta e gioia di tutta la terra? Spalancarono contro di te la bocca tutti i tuoi nemici; fischiarono e digrignarono i denti e disse­ro: L’abbiamo divorata! Questo è il giorno che aspettavamo: siamo arrivati a vederlo!” (Lam 2,15-16).
Alla fine della vita, saranno sicuri da questa irrisione coloro che hanno posto la loro fiducia nel Signore; ad essi il Signore ha promesso: “Voi partirete con gioia”, dal vostro corpo, “e sarete condotti nella pace”, alla patria celeste. “I monti”, vale a dire gli angeli, “e i colli”, cioè gli apostoli, “canteranno la lode davanti a voi, e tutti gli alberi della regione”, cioè le anime dei santi, “batteranno le mani”(Is 55,12) per la gioia della vostra presenza, esultando e lodando con voi il Figlio di Dio.
Fratelli carissimi, chiediamogli umilmente che quando arriverà il nostro ultimo giorno e la fine della nostra vita, ci liberi dalla irrisione dei demoni e ci faccia partire nella gioia e condurre alla pace per mano degli angeli. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli. Amen.

IV. il quarto avvento di cristo nella maestà

16. “E vi sarà sulla terra costernazione di popoli” (Lc 21,25). Di questa costernazione dice Isaia: “Sarà stritolata la terra, sarà frantumata la terra, crollando crollerà la terra, barcollerà la terra come un ubriaco” (Is 24,19-20).
Come l’ubriaco non sa quello che fa, così tutti quelli che sono sulla terra saranno come ubriachi per l’enormità dei mali e saranno come istupiditi di fronte agli eventi. Il fatto che la terra sia qui nominata quattro volte, indica quattro specie di peccatori: i superbi, i lussurio­si, gli avari e gli iracondi. I superbi saranno stritolati: “Dio stritolerà i denti dei leoni” (Sal 57,7). I lussuriosi saranno frantumati: “Il Signore li schiaccerà con duplice stritolamento” (Ger 17,18); perché coloro che hanno peccato con l’anima e con il corpo, nell’anima e nel corpo siano puniti. Gli avari crolleranno: “Saranno come paglia di fronte al vento, e come favilla che il turbine disperde” (Gb 21,18). Gli iracondi barcolleranno: “Vidi che coloro che fanno opere inique e seminano affanni e li raccolgono, al soffio di Dio periscono e sono annientati dallo sfogo della sua ira” (Gb 4, 8-9).
“Saranno angosciati per il fragore del mare e dei flutti” (Lc 21,25). E Isaia: “All’im­prov­viso, subito, dal Signore degli eserciti sarai visitata con tuoni, terremoti e grande frastuono di uragano e tempesta e fuoco divorato­re” (Is 29,6). Gli elementi della natura faranno vendetta in nome del loro autore. La rovina dei dannati avverrà all’im­provviso. “Il giorno del Signore verrà di notte come il ladro. E quando diranno: pace e sicurezza, allora all’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie di una donna incinta; e nessuno scamperà” (1Ts 5,2-3). Dice ancora l’Apocalisse: “Ecco, io vengo subito, Amen. Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20).
Allora il peccatore sarà sorpreso dal tuono del cielo e dal terremoto sulla terra. La terra, oppressa dal peso eccessivo dei suoi peccati, si scrollerà di dosso il peccatore. Nell’aria ci sarà il frastuono dell’uragano e nel mare il fragore della tempesta. Dove fuggirà lo sventurato? Dove si nasconderà? Se vorrà salire al cielo, sarà sbattuto via dal tuono; se vorrà salvarsi nell’aria, sarà travolto dall’uragano; se vorrà restare sulla terra, non sarà in grado di resistere al suo scuotimento perché, come dice Giobbe, “la terra si rivolterà contro di lui” (Gb 20,27); se si rivolgerà al mare, sarà respinto dai suoi flutti. Che cosa resta al misero, al quale non è rimasto un posto in tutto il mondo, se non cadere nell’abisso di fiamma del fuoco divoratore? Dice infatti Giobbe: “Lo divorerà il fuoco non acceso da uomo” (Gb 20,26).

17. “Gli uomini resteranno come inariditi e rinsecchiti per il terrore e per l’attesa di ciò che dovrà accadere in tutta la terra” (Lc 21,26). Ed è ciò che dice anche Isaia: “Urlate, perché è vicino il giorno del Signore; esso viene come una devastazione da parte dell’Onnipotente. Perciò tutte le mani si sfibreranno e il cuore di ogni uomo verrà meno e si spezzerà. Spasimi e dolori li assaliranno; si contorceranno come una partorien­te; ognuno osserverà sgomento il suo vicino; i loro volti saranno come bruciati da una fiamma. Ecco, viene il giorno del Signore: giorno implacabile, pieno di indignazione, d’ira e di furore, per fare della terra un deserto e per sterminare i peccatori che sono su di essa. Le stelle del cielo e il loro splendore non daranno più luce alcuna; il sole sarà oscurato fin dal suo levare e neppure la luna spanderà più la sua luce. Io punirò tutti i mali del mondo e gli empi per la loro iniquità. Farò cessare la superbia degli infedeli e umilierò l’arroganza dei prepotenti” (Is 13,6-11).
“Le potenze dei cieli saranno sconvolte” (Lc 21,26), per lo stupore. Isaia: “Tutta la milizia celeste si dissolverà e i cieli si chiuderanno in se stessi come un libro (Is 34,4). Commenta la Glossa: Quest’aria sarà avvolta nel fuoco e sembrerà chiudersi come un libro. Infatti dopo che tutti i peccati saranno letti e svelati, verranno chiusi i libri che erano stati aperti; perché in essi mai più vengano registrati i delitti. Dice infatti Daniele: “Incominciò il giudizio e furono aperti i libri” (Dn 7,10). “E allora vedranno il Figlio dell’uomo venire nelle nubi con grande potenza e maestà” (Lc 21,27). Fa’ attenzione al­le due parole: potenza e maestà. La potenza riguarderà coloro che saranno condannati, la maestà coloro che saranno salvati. Consideriamo i due eventi.

18. Riguardo alla potenza, concordano le parole del profeta Isaia: “Il Signore avanzerà come un prode, come un guerriero ecciterà il suo ardore”, per i giusti castighi; “griderà e lancerà urla di guerra e sarà forte contro i suoi nemici. Ho sempre taciuto, ho fatto silenzio, sono stato paziente; ora griderò come una partoriente: distruggerò e divorerò insieme. Ridurrò a deserto i monti e i colli, e farò inari­dire ogni loro germoglio” (Is 42,13-15).
Il Signore tacque come un agnello quando fu condotto alla passione; e anche ora sta in silenzio, perché non interviene con i castighi; infatti dice Giobbe: La verga di Dio non si abbatte su di loro (cf. Gb 21,9). È paziente e aspetta che ognuno faccia penitenza: “ Tu fingi di non vedere i peccati degli uomini, nell’attesa che facciano penitenza” (Sap 11,24). Ma nel giorno del giudizio griderà come una partoriente, lasciando libero corso al rammarico sì a lungo represso. Allora disperderà tutte le ricchezze accumulate e distrug­gerà il loro potere; renderà deserti i monti e i colli, abbatterà cioè la superbia sia dei prelati che dei sottopo­sti, e farà inaridire ogni germe di gola e di lussuria.
Di questa potenza dice ancora Isaia: “La spada del Signore è piena di sangue, imbrattata di grasso, del sangue di agnelli e di capri, delle viscere grasse dei montoni: ci sarà la vittima del Signore in Bozra, una grande strage nel paese di Edom. Cadranno i loro unicorni e i tori con i potenti; la loro terra si ubriacherà di sangue e i loro campi del grasso dei corpi, perché è il giorno della vendetta del Signore, è l’anno della giusta retribuzione di Sion. I suoi torrenti saranno cambiati in pece, la sua polvere in zolfo, e la sua terra diventerà come pece ardente. Non si spegnerà mai più, né di giorno né di notte, e s’innalzerà il suo fumo di generazione in generazione” (Is 34,6-10).
Nel giorno del giudizio “la spada”, cioè la potenza “del Signore” che farà vendetta dei suoi nemici, sarà “piena di sangue e imbrattata di grasso: punirà cioè i peccati e la tracotanza dei carnali; [sarà piena] “del sangue degli agnelli”, cioè degli ipocriti che si fingono agnelli mentre sono lupi rapaci; “e dei capri”, cioè dei libidinosi; “e delle viscere grasse dei montoni”, cioè dei corpulenti abati e priori, che sono alla guida del gregge.
“La vittima del Signore”, cioè la sua vendetta “sarà in Bozra”, che s’interpreta “fortificata”, e raffigura la comunità dissoluta e in discordia che vive nel chiostro; è difesa dalle mura all’esterno, ma è esposta all’interno a tutti i vizi che vi entrano. Dice Isaia: “Hai fatto il tuo corpo come terra e come strada per tutti quelli che passavano” (Is 51,23). “E una grande strage nel paese di Edom”. Edom s’interpreta “di sangue” o “terreno”, e simboleggia quei chierici che sono contaminati dal sangue della lussuria e dal fango del denaro.
“E i suoi unicorni”, cioè gli imperatori e i re di questo mondo, “e i tori”, cioè i vescovi mitrati, che hanno sulla testa due corna (la mitria) come i tori; tutti costoro, che non avranno fatto una vera penitenza dei loro peccati, “cadranno giù insieme con i potenti”, cioè con i prìncipi e le autorità; cadranno nell’inferno, che è la terra dei morenti, la quale “sarà come ubriacata dal loro sangue e dal loro grasso”, cioè dalla loro malizia e superbia.
L’ultima parte della citazione di Isaia [i suoi torrenti, ecc.] non ha certo bisogno di spiegazioni.

19. Sulla maestà del Signore concorda sempre ciò che dice Isaia: “Il Signore sarà per te luce sempiterna e saranno finiti i giorni del tuo lutto”(Is 60,20), perché le sofferen­ze di prima sono dimenticate e sono ormai nascoste allo sguardo di coloro che in questa vita hanno aspettato nella santità e nella giustizia il Signore, che sarebbe venuto per il giudizio. Di questi si dice nell’introito della messa: “Tutti coloro che ti aspettano non saranno delusi” (Sal 24,3).
È vero, è vero, Signore, non saranno delusi: anzi esulteranno per l’eternità. Della gloria dei buoni e del castigo dei cattivi, tu prometti con le parole di Isaia: “Ecco che i miei servi mangeranno, e voi patirete la fame; ecco che i miei servi berranno, e voi patirete la sete; ecco che i miei servi saranno nella gioia e voi nella delusione; ecco che i miei servi, nella felicità del loro cuore, canteranno lodi, e invece voi griderete per il dolore del cuore e urlerete per la tortura dello spirito” (Is 65,13-14).
Fratelli carissimi, preghiamo il Signore Gesù Cristo perché, quando verrà nel giorno dell’ultimo giudizio per rendere a ciascuno secondo le sue opere, quando verrà con grande potenza e maestà, non voglia esercitare la sua potenza verso di noi, mettendoci con coloro che saranno dannati, ma ci renda beati, di fronte alla sua maestà, insieme con coloro che saranno salvati: possiamo anche noi con loro mangiare e bere, esultare ed essere felici nel regno dei cieli.
Ce lo conceda lui stesso, che è benedetto e glorioso per i secoli eterni. E ogni anima beata dica: Amen. Alleluia.