giovedì 17 novembre 2016

La beata Vergine Maria. Ce ne parla sant'Antonio


14. La beata Vergine Maria. 

“Il re Salomone si costruì un trono”, ecc. 
La beata Maria è chiamata “il vero trono di Salomone”. Infatti dice l’Ecclesiastico di lei: “Io abito nei cieli altissimi e il mio trono è in una colonna di nubi” (Eccli 24,7). Come dicesse: Io che abito nei cieli altissimi, presso il Padre, ho scelto il mio trono in una madre poverella. 

Osserva che la beata Vergine, trono del Figlio di Dio, è chiamata “colonna di nubi”: colonna, perché sorregge la nostra fragilità; di nubi, perché immune dal peccato. 
E questo trono fu di avorio, perché la beata Maria fu candida per l’innocenza, e fredda perché esente dal fuoco della concupiscenza. 

In Maria ci furono i sei gradini, come è scritto nel vangelo di Luca: L’angelo Gabriele fu mandato... ad una vergine, ecc. (cf. Lc 1,26-38). 

Il primo gradino fu la verecondia (il pudore): “A queste parole ella rimase turbata”. Di qui il detto: All’adolescente viene raccomandata la verecondia, al giovane la giovialità, all’anziano la prudenza. 

Il secondo gradino fu la prudenza: sul momento non disse né sì né no, ma incominciò a riflettere: “Si domandava che senso avesse un tale saluto”. 

Il terzo gradino fu la modestia; infatti domandò all’angelo: “Come è possibile questa cosa?” 

Il quarto gradino fu la costanza nel suo santo proposito: “Io non conosco uomo”. 

Il quinto gradino fu l’umiltà: “Ecco, sono la serva del Signore”. 

Il sesto gradino fu l’obbedienza: “Avvenga di me quello che hai detto”. 

E questo trono fu rivestito dell’oro della povertà. O aurea povertà della Vergine gloriosa, che hai avvolto in misere fasce il Figlio di Dio e l’hai adagiato in una mangiatoia! E giustamente è detto che Salomone rivestì d’oro il trono: infatti la povertà riveste l’anima di virtù, invece la ricchezza la spoglia. 

“E la sommità del trono era rotonda nel suo lato posteriore”. Il culmine della perfezione della beata Vergine Maria fu la carità, per la quale, nel suo lato posteriore, cioè nell’eterna beatitudine, è assisa nel posto più eccelso, è rivestita della gloria più fulgente che non ha né principio né termine. 

“E da una parte e dall’altra due bracci, quasi a sorreggere il seggio”. 
Il seggio, cioè lo sgabello d’oro, fu l’umiltà della Vergine Maria, sorretta come da due braccia, cioè la vita attiva e la vita contemplativa. 
Ella fu ad un tempo Marta e Maria. 
Fu Marta quando andò in Egitto e poi ritornò in Galilea; fu Maria quando serbava tutte queste parole e le meditava nel suo cuore (cf. Lc 2,19). 

“E due leoni”, cioè Gabriele e Giovanni Evangelista, oppure Giuseppe e Giovanni Battista, “stavano in testa ai due bracci”: Giuseppe in riferimento alla vita attiva, Giovanni a quella contemplativa. 
“E dodici leoni più piccoli”, cioè i dodici apostoli, da una parte e dall’altra in atto di ossequio e venerazione davanti a lei. 

In verità, in verità, in nessun altro regno fu mai costruita un’opera simile, perché “come Maria mai ci fu donna al mondo, né mai ci sarà in futuro” (Liturgia). Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti, ma la beata Vergine Maria le ha superate tutte (cf. Pro 31,29). 
E un altro autore dice di lei: “Se anche la Vergine tacerà, nessun’altra voce al mondo potrà risuonare” 21 . 

15. “Quando ebbe finito di parlare, Gesù disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca” (Lc 5,4). In latino è detto duc in altum, alla lettera: conduci dove è profondo. Altus significa sia profondo che alto, e quindi può riferirsi tanto a ciò che sta sopra come a ciò che sta sotto. Si può dire sia alto cielo, che alto mare. A Simone, come ad ogni vescovo, viene detto: “Prendi il largo!”, e subito dopo, ai loro suffraganei, ai loro collaboratori: “Calate le reti per la pesca”. 
Infatti, se la barca della chiesa non viene dal presule condotta al largo, cioè alle altezze della santità, i sacerdoti non calano le reti per la pesca, ma fanno cadere le vittime nel profondo. 

Leggiamo in Osea: “Ascoltate questo, o sacerdoti, contro di voi si fa il giudizio, perché siete diventati un laccio, invece di sorvegliare, e come una rete tesa sul Tabor. E avete fatto cadere le vittime nel profondo” (Os 5,1-2). 

Fa’ attenzione alle tre parole: laccio, rete e fatto cadere, perché esse indicano i tre vizi dei sacerdoti: la negligenza, l’avarizia, e la gola unita alla lussuria. 

La negligenza: “Siete diventati un laccio, invece di sorvegliare”. I sacerdoti hanno il compito di sorvegliare, ma, per la loro negligenza, i sudditi che sono loro affidati cadono nel laccio del diavolo (cf. 1Tm 6,9). 

L’avarizia: “E come una rete tesa sul Tabor”. Sul Tabor si trasfigurò il Signore, e il nome s’interpreta “luce che viene”, e sta a indicare l’altare sul quale avviene la trasfigurazione, cioè la transustanziazione delle specie del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo, e per mezzo di questo sacramento entra la luce nelle anime dei fedeli. 
Su questo monte Tabor i sacerdoti, anzi per meglio dire, i mercanti, tendono la rete della loro avarizia per ammassare denaro. Celebrano la messa per denaro, e se non fossero sicuri di ricevere i soldi, certamente non celebrerebbero la messa; e così il sacramento della salvezza lo fanno diventare strumento di cupidigia. [!!!]

La gola e la lussuria: “Avete fatto cadere le vittime nel profondo”. Le vittime sono le offerte dei fedeli, che essi fanno cadere nel profondo, che vuol dire procul a fundo, cioè lontano dal fondo, vale a dire le impiegano per soddisfare la gola e la lussuria. La vittima è così chiamata perché cade percossa da un colpo (lat. victima, ictu percussa cadit). Infatti con le offerte dei fedeli, che spellano, i sacerdoti ingrassano i loro cavalli e puledri, le loro concubine e i loro figli. La Legge comandava che il mamzer, cioè il figlio di una prostituta, non venisse ammesso al servizio della casa del Signore (cf. Dt 23,2). Ed ecco invece che i figli delle prostitute non solo entrano nella casa del Signore, ma perfino ne mangiano i beni. 


16. Con questa seconda parte del vangelo concorda la seconda parte dell’epistola: “Chi vuole amare la 21 Non si conosce l’autore di questa sentenza. vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra da parole d’inganno...; il volto del Signore è contro coloro che fanno il male” (1Pt 3,10-12). Il beato Pietro prese queste parole dal salmo di Davide (cf. Sal 33,13-15), nel quale sono poste in evidenza tre cose: la gloria eterna dei giusti, la vita dei penitenti, e il castigo di chi fa il male. La gloria eterna: “Chi vuole amare la vita”; la vita dei penitenti: “trattenga la sua lingua”; il castigo di chi fa il male: “Il volto del Signore è contro coloro che fanno il male”. La vera penitenza consiste in queste sei pratiche: trattenere la lingua dal male: “Credo che la prima delle virtù consista nel tenere a freno la lingua; imponendo silenzio si corregge una mala lingua” (Catone). Non dire parole d’inganno. Sta scritto: “Signore, chi abiterà nella tua tenda?” Certamente “chi non ha tramato inganni con la sua lingua” (Sal 14,1.3). Evitare il male. Ma questo non basta, bisogna poi fare il bene. Cerca la pace: cerca la pace dentro, in te stesso; e se la troverai, avrai senza dubbio la pace anche con Dio e con il prossimo; e persèguila (conquistala) con la perseveranza finale. Sopra coloro che fanno tutto questo si posano gli occhi della misericordia del Signore, e gli orecchi della sua benevolenza sono aperti alle loro preghiere. Il castigo degli empi: “Il volto del Signore è contro coloro che fanno il male” (cf. Sal 33,1617). La parola latina vultus si può intendere come vultuositas, volto corrucciato e severo. Queste tre cose, cioè la gloria, la penitenza e il castigo, Gesù Cristo le proclamò alle turbe, dopo essere salito sulla barca, e il suo vicario non cessa di proclamarle ogni giorno a tutti i fedeli. Fratelli carissimi, preghiamo dunque lo stesso Signore Gesù Cristo, che faccia salire anche noi, per mezzo dell’obbedienza, sulla barca di Simone, ci faccia sedere sul trono d’avorio dell’umiltà e della castità, ci faccia condurre la nostra barca in alto mare, cioè alle altezze della contemplazione, ci faccia gettare le nostre reti per la pesca, per poter giungere con la maggior quantità possibile di buone opere a lui che è Dio sommamente buono. Ce lo conceda egli stesso, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.  
 Sermoni di sant'Antonio, V  Dom. dopo Pentecoste