mercoledì 16 novembre 2016

ALLA SCUOLA DEL SANTO


13. L’anima. 

“Il re Salomone si costruì un trono”. 
Da notare che per intraprendere un’opera sono necessarie due cose: intelligenza e impegno; con l’intelligenza si progetta, con l’impegno si realizza. Gesù Cristo, che è sapienza e potenza di Dio (cf. 1Cor 1,24), si costruì un trono sul quale riposare. 

Il trono è l’anima del giusto, che Gesù Cristo con la sua sapienza ha creato, quando non esisteva; con la sua potenza l’ha ricreata, cioè redenta, quando era andata in rovina. 
Si costruì dunque un trono nel quale riposare, perché l’anima del giusto è la sede della sapienza (cf. Sap 7,27), e per bocca di Isaia disse: Su chi volgerò lo sguardo, se non sull’umile, sul pacifico e su chi teme le mie parole? (cf. Is 66,2); e Salomone: “Il re che siede in trono dìssipa ogni male con il suo sguardo” (Pro 20,8). 
Così Gesù Cristo, re dei re, siede in trono, cioè riposa nell’anima: distrugge ogni male della carne, del mondo e del diavolo con il suo sguardo, cioè con lo sguardo della sua grazia. 

“Costruì un grande trono d’avorio”, ecc. Vediamo quale sia il significato dell’avorio, dell’oro lucente, dei sei gradini, della sommità arrotondata, della parte posteriore, dei due bracci e del sedile, dei due leoni e dei dodici leoni più piccoli.

 Avorio, in lat. ebur, viene da barrus (parola indiana), elefante. 
C’è da osservare che tra gli elefanti e i draghi c’è un’eterna lotta, e vengono tesi gli agguati con questo stratagemma. 
I draghi, questi grossi serpenti, si nascondono vicino ai sentieri solitamente battuti dagli elefanti; lasciano passare i primi e assalgono gli ultimi affinché i primi non possano correre in aiuto. Dapprima li allacciano ai piedi perché, legate le zampe, impediscono loro di camminare. Allora gli elefanti si appoggiano ad alberi o a massi per uccidere i draghi schiacciandoli con il loro peso immane. Il motivo principale di questa lotta sta nel fatto che gli elefanti hanno il sangue piuttosto freddo, e quindi i draghi li assaltano con grandissima avidità quando il clima è torrido. E per questo motivo li assaltano soltanto quando gli elefanti sono appesantiti dall’aver bevuto a sazietà: le loro vene sono allora molto turgide e quindi, dopo averli atterrati, possono succhiare a sazietà. 
E si attaccano soprattutto agli occhi, che sono i più vulnerabili, oppure anche all’interno delle orecchie. 
Gli elefanti sono figura dei giusti e i draghi dei demoni, tra i quali ci sarà eterna guerra. 
I demoni tendono agguati ai piedi dei giusti, cioè ai loro sentimenti, e i giusti proprio con i sentimenti uccidono i draghi, e così questi vengono uccisi proprio là dove volevano inoculare il veleno. 
La focosa lussuria dei demoni tende a distruggere la castità dei santi; i demoni li assalgono specialmente se li vedono abbandonarsi ai piaceri della gola, la quale riesce a dar fuoco anche ai rigori della castità. 
E attaccano soprattutto gli occhi, perché sanno che gli occhi sono i primi strali della lussuria. 

Oppure: attaccano prima gli occhi, cioè la ragione e l’intelletto che sono gli occhi dell’anima, per estirparli, e tentano di chiudere gli orecchi, perché non possano sentire la parola di Dio. Giustamente quindi è detto: “Costruì un grande trono di avorio”: di avorio, in riferimento alla castità; grande, in riferimento alla sublimità della contemplazione. 

“Lo rivestì di oro splendente”. 
La veste dell’anima è la fede, che è d’oro se è illuminata dalla luce della carità. Di questa veste leggiamo nel libro della Sapienza: “Nella veste talare di Aronne c’era (disegnato) tutto l’orbe terracqueo” (Sap 18,24). Nella veste della fede, che opera per mezzo della carità, ci devono essere i quattro elementi, di cui tutto il mondo è formato: il fuoco della carità, l’aria della contemplazione, l’acqua della compunzione e la terra dell’umiltà. 

“E il trono aveva sei gradini”, che sono il ripudio del peccato, l’accusa del peccato stesso, il perdono dell’offesa ricevuta, la partecipazione alle sofferenze del prossimo, il disprezzo di sé e del mondo, il conseguimento della perseveranza finale. 

“La sommità del trono, sul lato posteriore, era rotonda”. 
La sommità del trono simboleggia il desiderio, di cui l’anima arde, di vedere Dio; l’anima sarà rotonda (cioè perfetta) nel lato posteriore, vale a dire alla fine della vita, perché passerà dalla speranza alla visione. 

Dice il salmo: “L’estremità del dorso della colomba splende di riflessi d’oro” (Sal 67,14). L’estremità del dorso della colomba, cioè dell’anima, è l’eterna beatitudine: splenderà di riflessi d’oro, splenderà cioè nella contemplazione della maestà divina. 

“E aveva due bracci, uno per parte, come per sostenere il sedile”, cioè lo sgabello che era d’oro. Il sedile è il simbolo dell’obbedienza, sorretta come da due braccia che sono la memoria della passione del Signore, e il ricordo della propria cattiveria. 

Alla fine di questi bracci stanno due leoni, vale a dire la speranza e il timore. La speranza sta presso il braccio della passione del Signore, sul cui esempio volentieri obbedisce, e per mezzo del quale spera di conseguire ciò in cui crede. E presso il braccio del ricordo della propria cattiveria sta il leone del timore, il quale, se manca l’obbedienza, minaccia il pericolo della morte eterna. 

“E da una parte e dall’altra dei sei gradini erano disposti sei piccoli leoni”. 
Essi raffigurano quelle dodici virtù che l’apostolo Paolo enumera nella sua lettera ai Galati: “Il frutto dello Spirito è la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la longanimità, la bontà, la benignità, la mansuetudine, la fede, la modestia, la castità e la continenza” (Gal 5, 22-23). 
Lo spirito del giusto, che è come il primo dei sei piccoli leoni, coltiva in se stesso queste dodici virtù. 
Domenica V dopo Pentecoste - Sermoni di Sant'Antonio di Padova