sabato 5 settembre 2015

NECESSITA' DELLA FORMAZIONE


8. NECESSITA' DELLA FORMAZIONE
Fervore e decadenza nelle Religioni

Gli Istituti religiosi nei loro primordi furono per lo più fervorosi. Gli individui attendevano singolarmente alla propria santificazione, univano una soda virtù allo zelo dell'altrui salvezza, presentavano quella vicendevole unione che è uno dei più sicuri indizi dell'interiore carità. S. Atanasio così descrive il fervore dei discepoli del grande S. Antonio: "Regnava la concordia, nessuno recava danno, nessun maledico che andasse sparlando, ma una moltitudine di astinenti e una gara di sante opere". E conclude pieno di ammirazione con le parole Scritturali: Quanto son belli i tuoi padiglioni, o Giacobbe! E i tuoi tabernacoli, o Israele! Son come valli ubertose, come orti presso ad un fiume irriguo, come cedri vicini alle acque. La tua stirpe crescerà in grandi acque! (91).

S. Bonaventura scrive dei primi discepoli di S. Francesco: "In tutto e per tutto osservavano gl'insegnamenti del nostro santo Padre. La povertà li faceva pronti ad ogni obbedienza, forti nelle fatiche, lesti nei viaggi. L'amore del Vangelo li aveva resi tanto pazienti, da cercar sempre nuove sofferenze corporali".

Lo stesso dicasi di tanti altri Istituti nei loro inizi, come dell'Ordine di S. Benedetto, dell'Ordine Cistercense e, in tempi più recenti, dell'Ordine della Visitazione.

Ma non tutti continuarono nel fervore. Lo spirito umano, o meglio mondano, rientrò e prese il sopravvento sullo spirito religioso. Ed ecco: all'osservanza succedere la trascuratezza, al fervore la tiepidezza, all'unione i partiti e le scissioni. Già se ne lamentava S. Girolamo; più tardi S. Bernardo scriveva all'Abate Guglielmo: "Ormai l'economia è reputata avarizia, la sobrietà austerità, il silenzio tristezza. Invece la rilassatezza è detta discrezione, lo sperpero è scambiato con la liberalità, la loquacità con l'affabilità e cortesia. Vien detto allegria lo sghignazzare, decoro il lusso, pulizia la soverchia cura dei letti" (92).

S. Bonaventura a sua volta, divenuto Generale dell'Ordine, lagnavasi che notevoli disordini si fossero introdotti nelle Comunità. Il P. Consolatino, dell'Oratorio, nella sua vecchiaia piangeva non vedendo più nella Congregazione quello spirito di fervore che regnava vivente S. Filippo. E intanto alcune di queste istituzioni scomparvero, mentre altre si ridussero a poca cosa, avendo perduto quello splendore d'opere, quel fervore di vitalità che li distingueva nel loro inizio. Quali le cause del decadimento degli Istituti religiosi? Sulla scorta di S. Alfonso (93), le riduco a cinque.

1 - IL NUMERO: multitudo intrantium. E la ragione che porta il Santo è questa: che quando son molti, non si possono più formare così bene come quando son pochi. Per essere precisi si dovrebbe dire: la moltitudine di quelli che entrano senz'essere chiamati o che non corrispondono, privi perciò delle necessarie doti per lo stato abbracciato. Quante volte mi avete già udito dire: guai a spalancare la porta d'entrata! guai alla paura di mandar via!... Vi ripeto sempre le stesse cose; ma lo ripeto perché il numero mi spaventa, quando non sia accompagnato dalle necessarie virtù nei singoli membri. E' per questo che nei Monasteri del Carmelo, della Visitazione, ecc. è fissato il numero delle Suore d'ogni casa. E S. Vincenzo proibì ai suoi Religiosi di far proseliti.

2 - LA DEFICIENZA NEI SUPERIORI - Grande motivo questo! Può avvenire, infatti, che i Superiori non siano essi stessi debitamente formati e allora come possono formare gli altri allo spirito della Congregazione? Oppure che essi per i primi non siano osservanti, e come possono inculcare agli altri l'osservanza? E senza osservanza a che cosa si riduce una comunità? Diceva S. Giuseppe Calasanzio: "Guai a quel Superiore che con le parole esorta a ciò che con l'esempio distrugge!". Il Superiore in una Comunità è come la città posta sopra il monte; non può sottrarsi agli sguardi indagatori dei sudditi. S. Alfonso fa sua la sentenza del P. Doria, Carmelitano Scalzo: "che le Religioni decadono più per male di emicrania che di podagra". Cioè più per difetto di quelli che sono a capo, che non dei sudditi.

Come avviene questo?... Ah, quel Capitolo, quelle elezioni! Ne ho un po' di esperienza, sapete! Si prega, sì, davanti al SS. Sacramento, s'invocano i lumi dello Spirito Santo, ma poi invece di seguire i lumi celesti, si seguono quelli dell'amor proprio, dei gusti individuali, dello spirito di parte... e ne vengono fuori di tali Superiori e di tali Superiore!

Speriamo che nel nostro Istituto questa deficienza non abbia mai a riscontrarsi. Le Costituzioni parlano chiaro. I Capitolari s'impegnano con giuramento di eleggere quelli che stimano doversi eleggere davanti a Dio, e sono inoltre espressamente proibiti di procurare, sia direttamente che indirettamente, dei voti sia per sé e sia per gli altri. Stando alle Costituzioni, si eviteranno gli inconvenienti di cui parliamo.

3 - MUTAMENTO DI FINE - Ogni istituzione, e l'abbiamo veduto, ha il proprio fine particolare. Purtroppo alcune istituzioni non hanno più che il nome ad indicare il fine per cui vennero fondate. Il fine particolare del nostro Istituto è la conversione degli infedeli; se un giorno si dovessero aprir collegi, supponiamo in America, dovrebbero essere sempre e solo per questo fine: le Missioni fra gli infedeli.

4 - L'INTRODURSI DI ABUSI: e cioè lasciar introdurre a poco a poco usanze che non sono secondo lo spirito dei Fondatori. S'incomincia ad allungare le ricreazioni, si cambia il vitto, si trascura la puntualità d'orario... ed ecco la comunità cambiata. Si dice: "Son altri tempi!". No, è lo spirito che è un altro. Si dice: "Lo spirito è sempre quello"; invece lo spirito non c'è più.

5 - IL DISPREZZO DEI FERVOROSI: quando cioè s'incomincia a tacciare di scrupolosi, di esagerati coloro che sono fervorosi, che osservano il silenzio, la disciplina, la regola, ecc.

Che dire del nostro Istituto? Esso sussisterà, ma si manterrà sempre nel fervore? Ecco la grazia che dobbiamo chiedere incessantemente al Signore. Guai a lasciarlo decadere, perché è più facile fondare che riformare una Congregazione. S. Ignazio, a tener sempre vivo lo spirito della sua Congregazione, chiese al Signore le persecuzioni. Io non oso chiedere questo. Se le lotte saranno necessarie, le prenderemo. Ma se un giorno lo spirito dell'Istituto avesse a venir meno, spero di farmi sentire dal Paradiso!

Doveri dei Superiori

Dal fin qui detto risulta che il fervore o la rilassatezza delle comunità religiose può dipendere tanto dal buono o mal governo dei Superiori, quanto dalla buona o cattiva volontà dei sudditi. Diciamo dunque qualcosa dei doveri degli uni e degli altri. 

Dapprima i doveri dei Superiori.

1 - PREGARE - Quale è il primo dovere dei Superiori? Si legge nel libro di Giobbe che aveva sette figli e tre figlie, i quali già divisi di casa, si mantenevano tuttavia uniti nell'affetto fraterno e s'invitavano vicendevolmente a convito. Il santo uomo godeva di questo buon accordo e li benediceva; ma, terminato il turno dei conviti, offriva a Dio sacrificio per ciascuno di loro, per timore che avessero in qualche modo offeso Dio (94). Nello stesso modo sì regolano con voi i Superiori: preghiamo, vi benediciamo e specialmente vi raccomandiamo nella Santa Messa, perché non abbiate a offendere il Signore; o se in qualche modo aveste mancato ai vostri doveri, il buon Dio vi dia la grazia di emendarvi. Il primo dovere dei Superiori è dunque quello di pregare per i loro sudditi. In particolare vi raccomandiamo allo Spirito Santo e agli Angeli Custodi. Lo Spirito Santo vi darà il dono e la fortezza per vincere le difficoltà e combattere i quotidiani difetti, e anche il dono della pietà per riuscire veri uomini d'orazione. Gli Angeli Custodi poi, con le loro ispirazioni ed anche con i loro rimproveri, faranno le parti dei Superiori in ciò che questi non possono conoscere di voi o fare per voi.

2 - VIGILARE - Il secondo dovere dei Superiori è di vigilare. S. Paolo poneva sopra ogni altra cosa la sollecitudine sua per tutte le Chiese (95). Guai ai Superiori che non tengono continuamente aperti gli occhi sulla propria comunità e sui singoli individui! E' questo un grave dovere da cui dipende la vita e floridezza o la decadenza delle Congregazioni.

Vigilare sull'osservanza delle regole e dell'orario; vigilare che non s'introducano abusi anche minimi, perché ciò che è minimo oggi, sarà massimo domani; vigilare che si eseguisca ciò che è stato comandato; andar adagio a dar ordini, ma poi non transigere sull'esecuzione dei medesimi, altrimenti il suddito sarà portato a disprezzare tutto ciò che vien detto o comandato dal Superiore; vigilare perché ogni subalterno compia il proprio ufficio: gli Assistenti facciano gli Assistenti e ognuno si trovi al suo posto; vigilare che vi sia carità, che non si coltivino amicizie particolari, né si abbiano relazioni verbali o epistolari non approvate con quei di fuori; vigilare che non si concedano licenze che potrebbero aprir la porta a qualche abuso o fare cattiva impressione agli altri.

A ciò ottenere, è necessario che il Superiore sappia trovarsi dappertutto e tutto vedere e, non offendetevi se ciò vi dico, anche dubitare e pensare un po' male di tutti. E' S. Alfonso che dà questo avviso a chi presiede (96). Così faccio io. Sento la tremenda responsabilità di tutti voi, della vostra santificazione, della salvezza di tante anime. Sono un po' l'uomo della paura. Voglio presentarmi al tribunale di Dio con la coscienza di aver fatto il mio dovere di Superiore e finché le mie deboli forze lo permetteranno, spero di compierlo.

3 - CORREGGERE E AMMONIRE - E' un ufficio penoso, specialmente quando bisogna ripetere le stesse correzioni in pubblico o in privato, ma è un dovere e va fatto. Dice S. Bonaventura: che la differenza che passa fra una comunità fervorosa e un'altra rilassata, sta in questo: che nella prima ci sono bensì dei difetti, ma vengono corretti; non così nella seconda (97). S. Paolo non dubitò di rimproverare fortemente quei di Corinto e usare anche i castighi contro il maggiore colpevole. Dichiarava poi di non essere pentito di aver fatto questo, ma che ne godeva: non perché li aveva contristati, ma perché s'erano rattristati a penitenza (98). Lo Spirito Santo dice del padre di famiglia: Chi risparmia la verga, odia il figlio suo (99).

Ricordo sempre le direttive datemi dall'Arcivescovo Mons. Castaldi quando mi mandò Assistente in seminario. Mi disse: "Due cose ti raccomando. Prima grande carità, non mai dicendo parole aspre che possano offendere il giovane o fargli pensare che il Superiore non lo stimi. In secondo luogo, non lasciar mai passare alcun fallo senza correggerlo. Come un maestro di musica che non lascia passare alcuna nota falsa, con la scusa che è piccola". Il Superiore corregga possibilmente in bei modi, memore che una correzione amichevole giova più che un rimprovero aspro, come dice S. Ambrogio (100). Non sembri mai che il Superiore operi improvvisamente e con passione. Il tono stesso della voce sia calmo, paterno. Corregga inoltre a tempo opportuno, affinché la correzione riesca più fruttuosa. Quand'ero Direttore in seminario, ritardavo talora la correzione anche di un mese, cosicché i chierici non erano mai sicuri di averla fatta franca. Dicevano: "L'ammonizione non è ancora venuta, ma verrà". stavano più attenti.

Ove poi i bei modi non bastino, il Superiore deve ricorrere alla severità e anche all'espulsione degli indegni. Ciò che S. Paolo scriveva a Timoteo riguardo alla predicazione, può ben applicarsi ai Superiori riguardo all'ammonizione: Insisti a tempo, fuori tempo; riprendi, supplica, esorta (101). S. Alfonso scriveva ad un Superiore: "Voi vi esponete alla dannazione per ragione del vostro seminario, per non aver il coraggio di prendere mezzi energici ( 102).

Lo so che non è un gusto il correggere. E' anzi un peso, col pericolo di farsi mal vedere; sarebbe assai più comodo pensare solo a se stessi. Fanno spavento le parole dello Spirito Santo: Un giudizio rigorosissimo si farà di quelli che presiedono (103). In Ezechiele, il Signore ammonisce la sentinella che, vedendo avvicinarsi il nemico, non dà l'allarme, e dice ch'essa risponderà del sangue versato (104). I Superiori sono le sentinelle poste da Dio a guardia della Congregazione, per la conservazione del fervore e del buon spirito. Se si accorgono che vi entra il male e non lo impediscono o non si industriano a toglierlo, oppure se per loro negligenza, non s'avvedono che c'è del male, dovranno rispondere davanti a Dio del danno che ne viene alle anime e all'Istituto. Era questo il pensiero che atterriva S. Bernardo. Sanguinem de manu speculatoris requiram! ( 105). Si tratta per noi del Sangue di N. S. Gesù Cristo che è il prezzo delle anime!

Ecco la responsabilità che i Superiori sentono di voi, di ciascuno di voi. Per parte mia, ve lo ripeto, non voglio aver da rispondere su questo punto, non voglio gravarmi la coscienza di deficienze nell'adempimento del mio dovere. Quand'ero Direttore in seminario, mi veniva sovente la tentazione di fuggire per sottrarmi a sì tremenda responsabilità. Quando i sacerdoti del Convitto alla fine d'anno se ne vanno, mi sento sollevato; prego per essi, ma non sono più responsabile. Per voi invece la mia responsabilità è anche maggiore ed è continua.

Voi queste cose dovete comprenderle ed essere riconoscenti ai Superiori, sempre che vi correggono, che non vi permettono di fare come volete, che tagliano, che potano. Siete tenere pianticelle nel giardino della Chiesa e il Signore vuole che, cresciate su bene, diritte, rigogliose. Ma per questo è necessario coltivarvi. E' bene che il vignaiolo in primavera tagli, sfrondi. La vite piange, ma egli pensa ai bei grappoli d'uva e non disarma. Ecco il dovere dei Superiori a vostro riguardo: tagliare tutto ciò che può esservi rimasto di mondano, tutto ciò che spunta fuori di difettoso, affinché possiate portare un giorno frutti abbondanti di santificazione e di apostolato.

Doveri dei sudditi

Ai doveri che incombono ai Superiori corrispondono altrettanti doveri da parte dei sudditi. Non parlo qui dei doveri che riguardano particolarmente questo o quel punto della vita religiosa; li vedremo in seguito. Qui accenno solo e di sfuggita a quelli che sono i vostri doveri di sudditi. Li riduco a tre: riverenza, amore, obbedienza.

1. RIVERENZA - I Superiori vanno riveriti, senza badare alle loro qualità personali, ma solamente alla loro qualità di Superiori, cioè di rappresentanti di Dio, ciascuno nella sfera della propria azione: cominciando dai più elevati, fino ai più bassi. L'avete voi questo spirito di fede pratica? Speciale riverenza dovete ancora ai sacerdoti non dimenticando mai la dignità di cui sono rivestiti. E ancora riverenza vicendevole, come figli di Dio aventi lo stesso fine che è la santificazione propria e la salvezza delle anime.

2 AMORE - Qui tutto dev'essere amore, sì da smentire il mondo il quale asserisce che i Religiosi vivono senza amarsi e muoiono senza piangersi. Bisogna amare i Superiori come altrettanti padri che per Voi sostengono pene e fatiche; l'affetto vostro li consolerà.

3 OBBEDIENZA - Ci vuole obbedienza vera, d'intelletto, senza critiche e mormorazioni nelle cose grandi e nelle piccole, come praticano tutti i Religiosi di spirito. Infelice quella comunità dove manca questo spirito di obbedienza! In tutte le comunità i sudditi devono compiere questi doveri, ma molto più nella nostra, nella quale non sono semplici collegiali e cristiani, ma Religiosi e Missionari che formano una vera famiglia, che devono vivere tutti e per tutta la vita in santa unione di mente e di cuore. Se si adempiranno questi obblighi, l'Istituto sarà un Paradiso anticipato, altrimenti riuscirà un inferno o poco meno. A questa santa pace avete sospirato tutti voi entrando in questa Casa, ed avete diritto di trovarla e che nessuno la turbi.

A chi spetta la formazione

Non vi offendete se con S. Paolo vi dico: A me importa pochissimo di essere giudicato da voi, o in giudizio umano. Anzi nemmeno fo giudizio di me medesimo. Perocché non sono consapevole di cosa alcuna: ma non per questo sono giustificato; e chi mi giudica è il Signore (106). I vostri giudizi a mio riguardo, le vostre lodi, io li conto per poco. Tanto meno i giudizi del mondo, sia che lodino sia che biasimino. Neppure mi assicura il mio giudizio, sebbene sia certo della divina volontà nell'aver dato principio all'Istituto: perché si è molto pregato, si è chiesto consiglio e soprattutto ebbi la parola certa del Cardinal Arcivescovo. [ Il Cardinale Agostino Richelmy (1850-1923) fu arcivescovo di Torino dal 1897 al 1923. Fu compagno di seminario dell'Allamano e ammiratore di lui. Devotissimo della SS. Consolata, fu chiamato il "Cardinale della Consolata". Fu anche chiamato il "Cardinale delle Missioni della Consolata" perché volle, approvò e benedisse l'Istituto fondato dall'Allamano. Alla lettera che il SErvo di Dio gli scrisse il 24 aprile 1900 esponendo i pro e i contro alla fondazione dell'Istituto, l'Eminentissimo Arcivescovo rispose: "La fondazione devi farla, perché Dio la vuole" (V.L. Sales, "Il S. di Dio Giuseppe Allamano, 3° ediz., pag. 157)] Tuttavia il mio giudizio non basta per l'esecuzione della volontà di Dio. Avrò fatto ogni cosa con la sola mira di piacere a N. S. Gesù Cristo? Certamente la coscienza mi accerta che fin da principio purificai la mia intenzione di fare ogni cosa solo a gloria di Dio, unicamente per compiere la sua volontà. A ciò ottenere, pregai il Signore a non risparmiarmi se necessario - le prove e le pene. Ne ebbi infatti molte che voi non conoscete. Rinnovai in seguito il retto fine. Ma con tutto ciò, non mi giudico da me, perché è il Signore, solo Lui, che dovrà giudicarmi. E se anche potessi dire con S. Paolo che non sono consapevole di cosa alcuna, dovrei aggiungere con lui: non per questo sono giustificato. Solamente quando il Signore verrà e rischiarerà i nascondigli delle tenebre e manifesterà i consigli dei cuori (107), solo allora, se sarò lodato, sarà lode vera. E allora ciascuno avrà lode da Dio (108).

Ma di che mi giudicherà e darà lode il Signore? Egli costituì me e i vostri Superiori quali ministri e dispensatori di Dio, cioè della sua volontà e delle sue grazie a vostro riguardo. A noi quindi spetta giudicare della vostra vocazione all'apostolato, a noi soli il formarvi al vero spirito dell'Istituto, veri Missionari della Consolata. Di questo dovremo rendere stretto conto a Dio: del come avremo adempito questa particolare missione, se saremo stati ministri e dispensatori fedeli delle grazie che riceviamo, per riversarle nelle anime vostre. In una parola, dobbiamo essere tutto animo per rendervi idonei alla vocazione. Guai a noi se saremo stati dispensatori infedeli per paura del mondo!

Che se Iddio ci ha posti qui a guidarvi, ne consegue che per voi non vi è altra via da seguire all'infuori di quella che vi indichiamo noi. Se siamo noi i dispensatori della grazia di Dio a vostro riguardo, ne consegue che nessun altro, né sacerdote né secolare, anche se più santo e più dotto di noi, può e deve ingerirsi o dar consigli. Come sbagliano i protestanti a volersi confessare direttamente a Dio, così sbagliano quei sudditi che cercano lo spirito dell'istituzione da altri, che non siano i legittimi Superiori, o credono di regolarsi secondo il proprio spirito. Voi dovrete solo rispondere davanti a Dio d'aver obbedito a me e a chi in nome mio vi comanda. Si potrebbe qui applicare, in certo qual modo, il detto di S. Paolo: Se alcuno vi evangelizzerà oltre quello che avete appreso da noi, sia anatema! ( 109).

La forma che dovete prendere nell'Istituto è quella che il Signore mi ispirò e mi ispira; ed io, atterrito dalla mia responsabilità, voglio assolutamente che l'Istituto si perfezioni e viva vita perfetta. Son d'avviso che il bene bisogna farlo bene; altrimenti, fra tante mie occupazioni, non mi sarei addossata ancor questa gravissima della fondazione di sì importante istituzione. L'esperienza di comunità, di cui vissi tutta la vita, voglio applicarla a questo Istituto. Voi badate ai miei comandi, alle mie esortazioni ed anche ai semplici desideri, che ben conoscete. Il miglior regalo che potrete sempre fare ai Superiori, sarà quello di lasciarvi formare.

Tempo accettevole

S. Paolo chiama tempo accettevole, cioè da accettarsi con riconoscenza e amore, il tempo del Vangelo, già da Isaia profetizzato come tale: Ecco ora il tempo accettevole, ecco il giorno della salute (110). La santa Chiesa applica molto a proposito queste parole al tempo Quaresimale, che è vero tempo di grazia e di salute; ed esorta i fedeli, come già faceva S. Paolo, a non rendere vana la grazia di Dio, bensì a farne frutto.

Le stesse parole rivolgo a voi, carissimi figli, applicandole alla grazia della vocazione e al tempo che trascorrete in questa Casa, per formarvi alle virtù proprie del Sacerdote, del Religioso e del Missionario, e così è questo il tempo accettevole, son questi i giorni della salute.

Riflettete bene: è questo per voi il tempo opportuno per ricevere le grazie secondo la vostra volontà e il vostro bisogno. Questa Casa fu eretta precisamente ed unicamente a questo scopo: prepararvi all'apostolato. Or voi sapete ciò che diceva S. Girolamo, vissuto a lungo in Gerusalemme: "Non è il vivere in Gerusalemme che conta, ma il vivervi santamente". Questa Casa è la vostra Gerusalemme. Non basta però esservi entrati, non basta rimanervi e occuparvi un posto, come non basta chiamarsi Missionari; ciò che importa è vivere da Missionari, lasciandovi formare al vero spirito missionario.

Ma per ciò fare - lo ripeterò mai abbastanza - non dovete aspettare d'essere in Missione, né i giovani del ginnasio debbono aspettare d'essere chierici e i chierici postulanti d'essere professi. Ogni giorno che trascorrete in questa Casa è per voi tempo accettevole, è per voi giorno di grazia: per formarvi alla scienza sacra e ad ogni cosa utile al missionario. E' qui, è adesso che vi dovete formare gli abiti di virtù, che resistano poi a tutte le prove dell'apostolato. Sbaglia assai chi pensasse di farsi poi santo in Missione. No, no, no! Se non sarete santi qui, se non sarete santi prima di partire, non lo sarete più. In Missione, credete a me, raccoglierete il seminato e nulla più.

Infelice pertanto chi si annoia, chi non ama la propria formazione per mezzo delle regole e dei Superiori. Vi ripeto e ve lo ripeterò di continuo: lasciatevi coltivare, amate di essere corretti, cercate la vostra perfezione secondo la natura e il fine dell'Istituto!

Spirito dell'Istituto

Voi non siete dei semplici cristiani, anche se buoni cristiani. Per essere tali non c'era bisogno di venire nell'Istituto. Per i semplici cristiani c'è tutta Torino, c'è il mondo intero. Questa Casa, con i suoi ambienti e con le sue regole, è solo per i Missionari della Consolata. Voi dunque siete dei Missionari della Consolata. 

Ma lo siete di fatto o solo di nome? Dimostrerete di esserlo veramente, se avrete lo spirito dell'Istituto e regolerete la vostra vita di ogni giorno e di ogni ora in conformità al medesimo. Lo spirito è ciò che dà forma e vita alle singole istituzioni, come ai singoli membri. Ogni istituzione ha il proprio spirito, del quale e per il quale vive; e gl'individui in tanto son membri vivi dell'Istituto cui appartengono, in quanto ne hanno lo spirito. Dovete avere lo spirito dei Missionari della Consolata nei pensieri, nelle parole e nelle opere.

1. NEI PENSIERI - Son degni di Missionari i pensieri che lungo il giorno nutrite nella vostra mente? Son essi rivolti costantemente a considerare il fine per cui siete venuti nell'Istituto? Siete cioè desiderosi di farvi santi, per rendervi fin d'ora idonei alla salvezza delle anime mediante le vostre sante intenzioni? Siete sempre pronti ad allontanare dalla vostra mente e dal vostro cuore ogni pensiero non buono, ogni fine non retto, ogni affetto anche solo un po' umano? La vostra mente è piena di Dio, di Gesù e delle sue cose? La sentite veramente in tutto come la sente Nostro Signore? Potete proprio ripetere con S. Paolo di avere il senso di N. S. Gesù Cristo: nos autem sensum Christi labemus? ( 111 ).

2. NELLE PAROLE - Le vostre parole, i vostri discorsi sono anch'essi degni di Missionari? Sono cioè - almeno frequentemente - di Dio o di cose che conducono a Dio? Se così dev'essere di tutti i cristiani, come insegna S. Paolo, quanto più di voi! Nelle ricreazioni dovreste sovente parlare di cose spirituali o almeno di cose utili al vostro futuro apostolato; aiutarvi a vicenda ad avanzare nelle virtù e nella scienza, col fine di poter un giorno salvare un maggior numero di anime.

Invece tante volte sono discorsi così insulsi!... Tutto tempo perso, miei cari, per la vostra formazione. Vedendo uno un po' deboluccio negli studi, perché - in belle maniere e senza darvi l'aria d'insegnanti - perché non invitarlo a ripassare insieme la lezione di scuola? Così dicasi della meditazione del mattino, della lettura spirituale o di quella del refettorio, ecc.; tutto questo vi può offrire argomento di sante e utili conversazioni. Basterebbe che uno avesse il coraggio di fare il primo; invece non si osa. E sì che tutti, in cuor loro, ne sarebbero contenti!

Questo mi sta molto a cuore per la vostra formazione. Fate questo sacrificio - se può dirsi sacrificio, - fatelo per amore delle anime. E' il fine della vostra vocazione, è lo spirito di cui dovete vivere. Tutte le vostre conversazioni siano pertanto animate da questo spirito. Ricordate la domanda che Gesù fece ai due discepoli dì Emmaus: Di che cosa state discorrendo? (112). Essi parlavano di Lui, e Gesù li premiò con accompagnarsi a loro, poi ancora col manifestarsi nella frazione del pane. Così vorrei che fosse di voi: che i vostri discorsi fossero sempre degni di santi Missionari.

3. NELLE OPERE - In quanto alle opere, esaminatevi sovente come se doveste rendere conto a Dio. Non bastano, ripeto, le opere di buoni cristiani, ma ci vogliono le opere di buoni Missionari. Se un buon cristiano è ubbidiente ai suoi Superiori, tanto più deve esserlo un religioso-missionario. Se un buon cristiano non deve cercare le comodità, tanto più deve farne a meno il Missionario. Così dicasi della pietà, del lavoro e di tutte le virtù. Non basta l'abito e non bastano le parole a dimostrarvi veri Missionari, ci vogliono le opere. Son queste che devono rendere testimonianza di voi davanti al mondo. Le opere che io faccio, recano testimonianza di Me ( 113).

Non siate dunque semplici buoni cristiani, non ombre o maschere di Missionari, ma perfetti Missionari della Consolata. Tutti insieme, e ciascuno individualmente, mettetevi di buona volontà ad acquistare lo spirito dell'Istituto, in modo da formare una comunità, se non perfetta, almeno con buona volontà di perfezione. Chi fosse andato un po' indietro, si riprenda; chi fosse ben incamminato, procuri di non arrestarsi, ma di progredire nel buon spirito. Io dico: conducetevi secondo lo spirito ( 114), affinché nel servizio di Dio possiate corrispondere al fine della vostra vocazione: Siate ferventi di spirito, servite il Signore ( 115).

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