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martedì 15 novembre 2022

TRE gioielli



LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI LEZIONE I


RM-1 3-4

2 gennaio 1948


Introduzione  

   Agli inizi del 1943, Maria Valtorta, da nove anni inferma, fu invitata dal Padre Migliorini, suo direttore spirituale, a scrivere le memorie della propria vita. Dopo un’esitazione, ella acconsentì. Seduta nel letto e con il quaderno sulle ginocchia (era paralizzata dalla cintola in giù) riempì di getto 761 pagine in meno di due mesi, dando prova di un notevole talento letterario e aprendo l’anima con una confidenza senza veli.
    Si era come liberata del passato, affidato ai sette quaderni manoscritti consegnati al confessore, quando una voce già nota al suo spirito le dettò una pagina di sapienza divina, che fu il segnale di una svolta impensata. Era il 23 aprile 1943, venerdì santo.
    Maria si confidò con la fedele Marta e la spedì dal Padre Migliorini, che venne subito e la rassicurò sull’origine soprannaturale del “dettato”, avviandola con quell’approvazione ad una sorprendente attività di scrittrice mistica.
    Ella scrisse ogni giorno per anni, fino a riempire 122 quaderni, che si aggiunsero ai sette dell’Autobiografia.

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    I suoi scritti su svariati argomenti li abbiamo raccolti in successione cronologica e pubblicati in tre volumi:
    I quaderni del 1943,
    I quaderni del 1944,
    I quaderni del 1945-1950.
    Altri scritti sparsi, rimasti inediti per lunghi anni, sono stati raccolti e pubblicati sotto il titolo Quadernetti. Abbiamo anche iniziato la pubblicazione dell’epistolario con il volumetto delle Lettere a Mons. Carinci.

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    Negli stessi anni, e dopo l’Autobiografia – che è pubblicata in un volume a sé – Maria Valtorta scrisse le sue opere organiche, pubblicate con i seguenti titoli:
    L’Evangelo come mi è stato rivelato. Opera in 10 volumi sulla vita di Gesù.
    Libro di Azaria. Commento teologico e spirituale a 58 Messe festive.
    Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani. Sono le 48 lezioni raccolte nel presente volume.

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    Nata a Caserta da genitori lombardi il 14 marzo 1897, Maria Valtorta si spense a Viareggio il 12 ottobre 1961, dopo 27 anni e mezzo d’infermità. Le sue opere sono tradotte in molte lingue e si diffondono senza interruzione.

L’Editore

 

[1]Dice l’Autore Ss.:
   «“Dichiarato Figliuolo di Dio per propria virtù”. Quale? Una? Molte? Di che natura? Io te le dirò.
   Primo. Di natura divina.
   Il Figlio del Padre è Dio come il Padre, e l’aver preso carne umana non ha distrutto, né messo una pausa nell’unione fra il Padre dal quale il Figlio si genera e nel quale Figlio il Padre si compiace. Non solo. Il Figlio di Dio non cessa d’essere Dio per aver assunto natura d’uomo. Generato dal Padre Dio, per naturale espandersi dell’Amore perfetto, che per sua natura ha necessità di amare e che per sua dignità ha necessità di amare una Perfezione pari alla sua infinita - ogni altro amore di Dio, eccettuato quello per la Beatissima, nostro amore, è benignità di Dio - Egli solo, coll’amore di Figlio e di Figlio di Dio, soddisfa Dio con un amore degno di Lui.
   Prevengo la tua obbiezione dicendoti: Amando Maria, Dio ancor ama Se stesso, perché Egli l’ha formata piena di Grazia, per un pensiero di Grazia, perché partorisse la Grazia al mondo. Maria può dirsi: il seno di Dio, perché ha partorito il Figlio di Dio, la Grazia di cui era piena, e ha dato un Uomo, sulla Terra, degno del paterno Amore.
   Come circolare peschiera nella quale le acque defluiscono senza mai andare alla foce, così Maria, acqua purissima di fontana sigillata, uscì dall’incandescente fervore del Pensiero eterno e scorse per rive di pace, seco portando pace e purezza, e in Dio rientrò per accogliere Dio e generare il Figlio di Dio, e tornò fra le selvagge arene per dare ai deserti dei cuori la Luce, la Verità, la Vita, e nuovamente, compiuta la sua missione, come acqua aspirata dal sole assunse al grembo mistico che l’ha partorita a voi perché vi partorisse la Salvezza. E là è: inviolata Fonte di purezza, unico degno specchio alla Perfezione che tutto dimentica di ciò che è offesa guardando l’Immacolata.
   Non cessa il Verbo di essere Dio perché fattosi Uomo. Non è, l’Umanità presa, avvilimento della Divinità, sua eterna Natura. Ma è l’Umanità elevata, pur senza perdere la sua natura, a perfezione di unione con la Divinità, cosa attestata dai prodigi fatti dal Cristo. Il Padre sempre col Figlio. Il Figlio sempre Dio come il Padre. Perché la Divinità non può esser scissa o mutare natura per divisione apparente e annichilimento in natura inferiore a quella divina.
   Gesù Cristo è dunque Figliolo di Dio per la Natura divina del Verbo generato dal Padre, incarnatosi per opera di Spirito Santo per la salute dell’umanità.
   Ma - secondo modo - ma si è dichiarato Figlio di Dio anche per natura umana, virtuosa in maniera perfetta.
   
Gesù Cristo, il Figlio fatto al Padre dal seme di Davide, aveva volontà libera. E come Dio e come uomo. Questa libertà della sua volontà la mostrano le sue azioni, fatte a seconda che Egli voleva, quando voleva, su chi voleva. Né elementi né creature potevano opporsi alla sua volontà che era perfetta della libertà propria di Dio.
   Non potevano. Una sol volta poterono. Ma allora fu perché il Figlio di Dio non prevaricò. Non abusò di questa sua libera volontà potente per sfuggire alla morte di croce. Se lo avesse fatto, avrebbe fatto rapina, abuso, prevaricazione dei suoi infiniti poteri di Figlio di Dio. E Lucifero ribelle, più ancora che Lucifero, sarebbe divenuto.
   Ma il Cristo non fu mai ribelle. Nessuna cosa, neppure la naturale ripugnanza umana al supplizio, lo fece tale. Perché sopra la sua volontà libera era la Volontà del Padre. E il perfet­tissimo Figlio divino, della sua Natura uguale al Padre non se ne fece profitto, ma con riverenziale amore sempre disse a Colui che l’aveva generato: “Sia fatta la tua volontà”, e mite e ubbi­diente porse i polsi alle ritorte per essere trascinato al sacrificio.
   Ebbe dunque volontà libera. Ma la usò per essere perfetto come uomo, così come era perfetto come Dio.
   Si dice: “Non poteva peccare”. Questa parola sarebbe giusta qualora il Cristo fosse stato solo Dio. Dio non può peccare essendo perfezione. Ma la sua seconda natura è soggetta a tentazioni. E tentazioni sono mezzo al peccare, se non sono respinte. E dure tentazioni furono sferrate contro l’Uomo. Tutto l’odio contro di Lui. Tutto il rancore, la paura, l’invidia dell’Inferno e degli uomini, contro di Lui. Contro il Forte che sentivano Vincitore, anche se aveva mitezza d’agnello.
   Ma Gesù non volle peccare. Date al Forte il giusto riconoscimento della sua fortezza. Non peccò perché non volle peccare. E anche per questa sua perfezione di giustizia, contro tutte le insidie e gli eventi, Egli ha dichiarato d’esser Figlio di Dio.
   Non vi è detto, anche a voi: “Siate dèi e figli dell’Altissimo”?
   Egli lo fu perché nella sua umanità, pari alla vostra, fu dio e figlio dell’Altissimo per la giustizia di ogni suo atto.
   La Sapienza vi dice, o uomini, che la dichiarazione della figliolanza divina nel Gesù nato da Maria della stirpe di Davide, oltreché dalla parola del Padre, dai miracoli, dalla parola del Maestro e dalla sua risurrezione, è data da questa sua signoria sulle passioni dell’uomo e sulle tentazioni date all’Uomo. Santo per natura divina, volle esser santo anche secondo natura umana, Primogenito vero della famiglia eterna dei figli di Dio coeredi del Regno dei Cieli.
   Si è dichiarato infine Figliuolo di Dio per la sua risurrezione spontanea. Dio: Egli, a Se stesso: Dio-Uomo, ucciso dagli uomini per salute degli stessi, consumato il sacrificio, data la prova sicura di esser stato morto, si infuse nuovamente la vita, e da Se stesso, senza attese e giudizio, glorificò anche il suo Corpo vincitore su tutte le miserie conseguenti al primo originale peccato.»

[1]I rimandi ai brani della lettera paolina, che mettiamo in forma abbreviata, sono gli stessi che Maria Valtorta mette, per esteso, dopo le date e prima di iniziare a scrivere i “dettati” delle lezioni. Solo nelle lezioni 1ª e 3ª aggiunge al rimando il testo del brano, che noi omettiamo, sia per uniformità con le altre lezioni, sia perché abbiamo riportato all’inizio l’intero testo della Lettera ai Romani. 

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LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI LEZIONE II


RM-1 17-17

4 gennaio 1948


   Dice l’Autore Ss.:
 «“Il giusto vive di fede”. Riportando queste parole l’Apostolo, un tempo orgoglioso della propria scienza rabbinica, si fa “fanciullo”, ossia umile e semplice, e confessa, anzi professa: “Io non mi vergogno del Vangelo, virtù di Dio a salvezza d’ogni credente... In esso infatti si manifesta la giustizia di Dio che vien dalla fede e tende alla fede”.
   Un tempo ci fu, per Paolo, in cui, ancor più che vergognarsi di credere in proprio nel Vangelo, si vergognava del Vangelo come di un obbrobrio gettato fra le ispirate parole, o le dotte parole della sapienza di Israele. E per cancellare quell’obbrobrio, scritto nelle menti dei seguaci del Nazareno, perseguitava gli stessi spegnendo, in uno, parole evangeliche e vita, credendo di vincere. Ma la Parola eterna, quella che nessuna forza umana o diabolica può far tacere, lo atterrò sulla via di Damasco, chiedendogli: “Perché mi perseguiti?”.
   Coloro che opprimono le piccole voci, coloro che opprimono quelli che parlano in nome di Dio, e che essi, i dotti di ora, sanno come erano chiamati nell’Antico Testamento, e sanno quale sia la loro missione - perché essi sono, e sempre saranno, fino alla fine del tempo, come araldi di Dio fra le turbe cieche - molto dovrebbero meditare e imparare da quel “mi perseguiti”, e temere di perseguitare il Verbo, e tremare di farlo.
   Nello strumento di Dio vive Dio. Vive non nella maniera comune, ma in maniera straordinaria. La personalità umana non è più che il velo che custodisce il Santo dei Santi operante, poiché Dio non è mai inerte sul suo trono, oltre il velo.
   Quando le feroci schiere dei Caldei, vinti gli Israeliti nella città capitale, non paghe ancora, arsero la casa di Dio e asportarono le ricchezze e le santità del Tempio; quando le potenti legioni romane distrussero per sempre, secondo la profezia di Gesù Cristo, il Tempio sul Moria, contro chi, veramente, si avventarono? Contro l’edificio, il sacerdozio, gli utensili del Tempio, o contro l’immateriale Ente che, nella mente degli Israeliti, lo empiva di Sé ?
   Dico “nella mente degli Israeliti” perché dall’ora di nona di quel Parasceve, che è abisso di Misericordia e abisso di Delitto, lo Spirito di Dio aveva abbandonato il Santo dei Santi, e vuota era, anche nelle ore dell’incenso, la gloria del Tabernacolo. Ma l’Idea era ancora. Ed era tutto per Israele quell’Idea.
   Contro chi perseguitò il nemico? Contro uomini e pietre, o contro l’Idea? Contro l’Idea. Per colpire il popolo, colpì l’Idea. Distrusse. Disperse.
   Oh! miseri, miseri uomini superficiali che, anche se cattolici praticanti, così tiepidi siete per l’Idea, per il Cristianesimo, per la Chiesa, che sono l’Idea che è forza, potenza, coesione, vittoria, salvezza contro le armate umane ed extraumane dei servi del Dragone, meditate questa grande lezione che viene dagli èvi: quando l’inerzia, il peccato, o il consentimento a dottrine sataniche, permettono che i nemici di Dio e degli spiriti assalgano, distruggano, disperdano l’Idea unica, santa, vera, eterna - Dio - in ciò che lo predica e lo rappresenta, tutto, dico tutto viene disperso e distrutto, anche ciò che non vorreste lo fosse: il vostro personale egoistico bene, la fortuna familiare, la quiete, la famiglia stessa talora.
   Sorgete, o cristiani. Un giorno, a Gesù che dormiva, fu gridato: “Svegliati, o Maestro, ché noi periamo”. Ma ora è Dio che vi grida: “Svegliatevi, o cristiani, perché se non vi svegliate voi perirete. La burrasca vi è sopra”. Al vecchio Israele era detto: “Alle tue tende, o Israele” per radunarlo a difesa della religione e della patria. A voi Io grido: “Ai tuoi tabernacoli, o popolo cristiano. Alla tua fede! Al tuo Signore Gesù Cristo! Alla Vincitrice che vince Satana! Sorgi! Riaccendi il lume e il fuoco della fede e della carità, svesti le vesti troppo carnali che ti fanno ottuso e pigro, e rivestiti di giustizia”.
   Tu, tu solo ti devi salvare. Nella tua volontà è la tua vittoria. Dio ti osserva, ma non ti salva più, per sua propria volontà. Tante volte lo ha fatto, e tu, della vittoria della salvezza, ti sei fatto gradino per scendere nelle tenebre, nel
   gelo, nel vizio. L’ho detto all’inizio del lavoro del piccolo Giovanni[2]. Avete riso, deriso o imprecato alla piccola voce che vi ripeteva le mie parole. Ma molte, perché divine, hanno già avuto compimento.
   Non ridete, non deridete, non imprecate per queste. Accoglietele. Difendete voi stessi, le vostre famiglie, la vostra quiete, il vostro benessere, difendendo l’Idea divina, la Chiesa, la Fede. Satana e i suoi servi cercano colpire l’Idea: la Chiesa, la Fede, ossia il cuore, il sangue, il respiro che mantengono viva la stessa vita vostra. Dolorosa, sì. Faticosa, sì. Ma se trionfasse Satana in un mondo senza più Dio, tre volte guai a voi.
   Non sapete! Non alzo il velo su quell’orrore che già è in atto e rinserra le file per sferrare l’attacco. Vi addito l’alto: il Cielo, Dio; vi addito il cuore della Cristianità: Roma vaticana; vi addito il tabernacolo. Difendeteli per essere difesi. E meditate bene le mie parole.
   E non siate, singolarmente, simili a coloro che si accingono a perseguitare Dio nell’Idea di Lui, nella Chiesa Romana, nella Fede, col perseguitare Gesù Cristo nelle sue piccole voci. Non perseguitate Gesù Cristo, dico. Perché Lui, a voi che opprimete i suoi strumenti, dice, con la sua divina, giusta sincerità: “Perché mi perseguiti?”.
   Sì. Voi, Lui perseguitate in questi ai quali non date pace. Sì. Voi, Lui perseguitate in questi, perché negate che in essi il Verbo parli, parli lo Spirito Santo che sempre è autore di ogni insegnamento divino.
   Imitate Paolo nel suo secondo tempo di vita mortale, posto che lo sapete imitare quando è ancor Saulo di Tarso, della tribù di Beniamino, fariseo e persecutore dei cristiani. E non vergognatevi di apprendere, voi, i novelli rabbi, cose di fede e sapienza sinora da voi ignorate, di apprenderle da una piccola voce.
   Rispetto al ricco, potente e imponente Gamaliele, simile a un re per fasto e per cortigiani, vivente libro della sapienza di Israele, il mite Maestro di Nazaret doveva apparire ben spregevole a Saulo di Tarso che ne conosceva la condizione sociale, il metodo di insegnamento e la maniera di vita... Ma quando gli caddero le scaglie del fariseismo, non dalle pupille degli occhi ma dello spirito, e con decenne applicazione penetrò nella sapienza del Vangelo “virtù di Dio a salvezza di ogni credente”, Paolo riconobbe che nel Vangelo “si manifesta la giustizia che vien dalla fede e tende alla fede”.
   Questa giustizia, resa luminosa, comprensibile dalla bontà della stessa Parola di Dio, che ha pietà di voi, si manifesta nel dono che la piccola voce vi ha dato in nostro Nome.
   I giusti amano. L’amore è luce. La luce permette di riconoscere. I giusti credono. Hanno una viva sete di sempre più credere. Comprendono che la conoscenza è grandissimo aiuto a credere. Sentono che il credere è vita perché è carità. E la carità è vita perché è Dio, il Vivente, accolto in loro, e loro accolti in Dio.
   Ed ecco che, per lunga via, abbiamo raggiunto la prima proposizione del dettato d’oggi: “Il giusto vive di fede”. E più il giusto ha cuor di fanciullo, più sa vivere di fede. Per questo il Maestro divino ha detto: “Se non divenite simili a fanciulli non entrerete nel Regno dei Cieli”. Il fanciullo sa credere. E per questo suo saper credere conosce Dio e merita di possederlo e goderlo eternamente, anche se muore prima di esser dotto quale voi siete.
   Veramente il molto sapere difficilmente è salvezza. Non fosse che perché “a chi più è stato dato più viene richiesto”, e “a chi si è impadronito di tesori difficilmente non viene assalto di ladroni”. Ma questo antico proverbio non lo conoscevate ancora né sapete di quali ladroni Io parlo. Voi, che dotti siete, cercate di conoscerli. Conoscendoli potrete difendervi dalla morte che essi sono armati a darvi.
   Ma i “piccoli fanciulli” non hanno questi pericoli. Essi sanno “vivere di fede”. Semplicemente. Essi confidano nel Signore, ed è detto che chi confida nel Signore comprende la verità. Perciò essi comprendono, anche senza scientificamente sapere. Comprendono: per la carità viva in loro, e perché hanno a mae­stri la Carità e il loro angelico custode.»

[2] piccolo Giovanni è il più frequente dei nomi dati a Maria Valtorta, che per spiritualità e missione viene accostata al

grande Giovanni, apostolo ed evangelista. L’inizio del lavoro del piccolo Giovanni può essere considerato il “dettato” del 23 aprile 1943, venerdì santo, riportato nel volume I quaderni del 1943.


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RM-1 18-18

6 gennaio 1948


   Dice l’Autore Ss.:
   «Nella lezione avanti questa ho invitato a difendere l’Idea religiosa per avere salvezza e pace, perché quando un popolo cade in “empietà e ingiustizia” - e la più grande empietà, la più grande ingiustizia, è offendere Dio, deridere la Religione, attaccarla, spegnerla nelle menti, disubbidirla scientemente, premeditatamente, in tutti i suoi comandi - allora l’ira di Dio si manifesta dal Cielo.
   Non occorrono folgori perché sia manifesta. Non cataclismi. Non diluvi. Ma basta che Dio vi abbandoni a voi stessi perché vi diate da voi stessi la morte, l’angoscia, la disperazione. L’ira di Dio, più che manifestarsi con castighi, la vera, immutabile ira, si manifesterà coll’abbandonarvi a voi stessi. Quelle che voi chiamate ira di Dio - le guerre, i mezzi atroci di distruzione, i cataclismi, le pestilenze - ancora non sono ira senza mutazione, ira assoluta. Sono rimproveri e richiami di Padre, offeso, ma ancora premuroso di dare soccorso e perdono ai figli colpevoli.
   Ma quando ogni “empietà e ingiustizia” sarà nel cuore dei 99/100 dell’umanità, quando empietà e ingiustizia mentale o ma­teriale avrà invaso ogni classe sociale, e financo l’abominio sarà penetrato nella casa di Dio - l’abominio della desolazione di cui parla il profeta, e lo conferma il Verbo, né ancora avete dato il giusto significato alla parola “desolazione” di cui è detto che sarà segno della fine, e lo sarà - allora Dio non vi riprenderà più con paterni castighi - che purtroppo, è vero, salvano pochi, ma perché i più già sono servi di Satana - ma vi lascerà a voi stessi. Si ritirerà. Non farà più atto. Sino al momento in cui un baleno del suo Volere ordinerà ai suoi angeli di aprire i sette si­gilli, di suonare le quattro trombe, di liberare l’aquila dei tre guai, e poi - orrore - sarà dato fiato alla quinta tromba, e il Giuda dei tempi ultimi aprirà il pozzo d’abisso per farne uscire ciò che l’uomo avrà desiderato più di Dio.
   Quando? Quando? Già siete in quest’ora o state per entrarvi? Temete. Ve lo chiedete... Ma non vi pentite. Non vi sarà detto il quando. Esso è scritto nel cuore dei presenti profeti, “ma è sigillato quel che hanno detto i sette tuoni ad essi, ed essi non lo diranno”.
   E allora, come astro pacifico sull’orrore e terrore delle onde in tempesta - tutta la Terra sommossa come mare in tempesta e tutti gli uomini naufraganti come in mare in tempesta, meno i servi di Dio raccolti sulla barca di Pietro, fedeli al Nauta santo - e allora verrà l’aurora della Stella del Mare, precorritrice al sorgere, all’apparire ultimo della Stella del Mattino.
   Nella sua seconda, ultima venuta, l’Agnello di Dio, il Redentore, il Santo dei santi, avrà per precursore non il penitente del deserto, salato dalle macerazioni, e salante i peccatori per guarirli dalle pesantezze e farli agili ad accogliere il Signore, ma avrà per precursore l’Angelo nostro, Colei che, pur avendo carne, fu Serafino, Colei in cui abbiamo fatto Dimora - né più dolce e più degna non potevamo averla - l’Arca dilettissima[3] di puro oro che ancor ci contiene così come è da Noi contenuta, e che trasvolerà nei cieli, raggiando il suo amore per preparare al Re dei re la strada profumata e regale e per preparare - per generare e partorire, in un’ultima maternità - quanti più germi di viventi sono, e vorranno essere, partoriti al Signore.
   Guardate là, all’oriente dei tempi... Già sulle tenebre che coprono, sempre più folte e maledette, la Terra, si delinea un albore che più dolce non v’è. Esso è il tempo di Maria che sorge. L’estrema misericordia che il nostro Amore ha pensata per voi.
   Grande sarà la lunghezza del suo cammino. Contrastata dal suo eterno nemico, che, per essere vinto, non è meno ostinato a crucciarla e combatterla. Egli ottunde gli intelletti degli uomini per non far loro conoscere Maria. Spegne le fedi in Lei. Crea nebbie. Getta fango. Ma la Stella del Mare è troppo alta sulle onde inquinate. Trascorrerà, né il fango sporcherà l’orlo della sua veste. Scenderà solo, ratta come un Arcangelo, a scrivere, presso il segno del Tau, la sua sigla sulla fronte dei fedeli, dei salvati al Regno eterno. E fortezza e pace entrerà nei loro spiriti sotto il tocco della mano di Lei, Madre della Vita, Sorgente della Salute.
   Benedite Iddio che ha concesso alla Stella purissima di iniziare il suo cammino per attrarvi a Dio con la dolcezza del suo amore, Salvatrice pietosa, estrema, compensante gli spiriti buoni del sempre più profondo allontanarsi di Dio, disgustato dalle colpe degli uomini.
   Non vi sembri ingiusto questo ritiro di Dio. Si legge nei Maccabei che, quando con Antioco Epifane la corruzione entrò in Israele, ed Israele si allontanò dalla Legge per essersi asserviti molti capi d’Israele, “figli di iniquità”, alle “nazioni vicine”, sino al punto da far loro i perversi costumi delle stesse “vendendosi per fare il male”, il santuario restò desolato come un deserto, le feste solenni si cambiarono in lutti, i sabati in obbrobrio e la sua gloria fu annientata. Non solo, ma fu accettato “il culto degli idoli”. E ciò provocò la persecuzione dei pochi rimasti fedeli, e morte, rovina, violenza, dolore, divennero retaggio del popolo che aveva suscitato l’ira del Signore. Fate i confronti. Meditate. Scegliete.
   Una nuova volta Gesù vi dice ciò che disse agli ultimi Tabernacoli: “Ancora per poco sono con voi... e poi me ne andrò. E allora mi cercherete ma non mi troverete”.
   Sì, o dormienti. Parlo a voi più che ai nemici aperti. A voi che, se vi svegliaste, potreste far difesa all’Idea e al vostro bene. A voi che dormite mentre gli altri lavorano, e vi cullate nella illusione che Dio vi sia servo, che Gesù vi sia servo, e servo stolto, che dopo esser stato trascurato, non cercato, non seguito, sino a farlo persuaso di andarsene, data l’inutilità del suo rimanere fra voi, possa esser pronto e prono al vostro bisogno quando sarete per essere sommersi e finalmente, ma non per tutti in tempo, vi desterete.
   Cercate il Salvatore mentre ancora è fra voi, prima che l’odio lo mandi fuor dai vostri confini... in Efraim, fra popoli sorgenti alla luce mentre voi sprofondate fra le tenebre. Fra le tenebre che “soffocano la verità, non facendola vedere, alzando il muro delle tiepidezze, dei quietismi là dove non alzano quello delle empietà e ingiustizie”[4]

[3] l’Arca dilettissima… La frase sarà chiarita nella 14ª lezione.


[4] La citazione tra virgolette è un ampliamento di Romani 1,18, che è il tema della lezione. Vi sono compresi i quietismi,

 che sono gli atteggiamenti di indifferenza e di apatia, dovuti al concetto che l’infinita misericordia di Dio perdona anche senza la volontà di pentimento da parte dell’uomo. Più volte condannati nelle lezioni, i “quietisti” sono delineati particolarmente nelle lezioni 11ª e 18ª.



AVE MARIA PURISSIMA!



martedì 7 dicembre 2021

Lezioni d'oro SULL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI

LEZIONI SULL'EPISTOLA DI 

PAOLO AI ROMANI

Lezione II

4 gennaio 1948


   Dice l’Autore Ss.:
 «“Il giusto vive di fede”. Riportando queste parole l’Apostolo, un tempo orgoglioso della propria scienza rabbinica, si fa “fanciullo”, ossia umile e semplice, e confessa, anzi professa: “Io non mi vergogno del Vangelo, virtù di Dio a salvezza d’ogni credente... In esso infatti si manifesta la giustizia di Dio che vien dalla fede e tende alla fede”.


   Un tempo ci fu, per Paolo, in cui, ancor più che vergognarsi di credere in proprio nel Vangelo, si vergognava del Vangelo come di un obbrobrio gettato fra le ispirate parole, o le dotte parole della sapienza di Israele. E per cancellare quell’obbrobrio, scritto nelle menti dei seguaci del Nazareno, perseguitava gli stessi spegnendo, in uno, parole evangeliche e vita, credendo di vincere. Ma la Parola eterna, quella che nessuna forza umana o diabolica può far tacere, lo atterrò sulla via di Damasco, chiedendogli: “Perché mi perseguiti?”.


   Coloro che opprimono le piccole voci, coloro che opprimono quelli che parlano in nome di Dio, e che essi, i dotti di ora, sanno come erano chiamati nell’Antico Testamento, e sanno quale sia la loro missione - perché essi sono, e sempre saranno, fino alla fine del tempo, come araldi di Dio fra le turbe cieche - molto dovrebbero meditare e imparare da quel “mi perseguiti”, e temere di perseguitare il Verbo, e tremare di farlo.


   Nello strumento di Dio vive Dio. Vive non nella maniera comune, ma in maniera straordinaria. La personalità umana non è più che il velo che custodisce il Santo dei Santi operante, poiché Dio non è mai inerte sul suo trono, oltre il velo.


   Quando le feroci schiere dei Caldei, vinti gli Israeliti nella città capitale, non paghe ancora, arsero la casa di Dio e asportarono le ricchezze e le santità del Tempio; quando le potenti legioni romane distrussero per sempre, secondo la profezia di Gesù Cristo, il Tempio sul Moria, contro chi, veramente, si avventarono? Contro l’edificio, il sacerdozio, gli utensili del Tempio, o contro l’immateriale Ente che, nella mente degli Israeliti, lo empiva di Sé ?


   Dico “nella mente degli Israeliti” perché dall’ora di nona di quel Parasceve, che è abisso di Misericordia e abisso di Delitto, lo Spirito di Dio aveva abbandonato il Santo dei Santi, e vuota era, anche nelle ore dell’incenso, la gloria del Tabernacolo. Ma l’Idea era ancora. Ed era tutto per Israele quell’Idea.


   Contro chi perseguitò il nemico? Contro uomini e pietre, o contro l’Idea? Contro l’Idea. Per colpire il popolo, colpì l’Idea. Distrusse. Disperse.


   Oh! miseri, miseri uomini superficiali che, anche se cattolici praticanti, così tiepidi siete per l’Idea, per il Cristianesimo, per la Chiesa, che sono l’Idea che è forza, potenza, coesione, vittoria, salvezza contro le armate umane ed extraumane dei servi del Dragone, meditate questa grande lezione che viene dagli èvi: quando l’inerzia, il peccato, o il consentimento a dottrine sataniche, permettono che i nemici di Dio e degli spiriti assalgano, distruggano, disperdano l’Idea unica, santa, vera, eterna - Dio - in ciò che lo predica e lo rappresenta, tutto, dico tutto viene disperso e distrutto, anche ciò che non vorreste lo fosse: il vostro personale egoistico bene, la fortuna familiare, la quiete, la famiglia stessa talora.


   Sorgete, o cristiani. Un giorno, a Gesù che dormiva, fu gridato: “Svegliati, o Maestro, ché noi periamo”. Ma ora è Dio che vi grida: “Svegliatevi, o cristiani, perché se non vi svegliate voi perirete. La burrasca vi è sopra. Al vecchio Israele era detto: “Alle tue tende, o Israele” per radunarlo a difesa della religione e della patria. A voi Io grido: “Ai tuoi tabernacoli, o popolo cristiano. Alla tua fede! Al tuo Signore Gesù Cristo! Alla Vincitrice che vince Satana! Sorgi! Riaccendi il lume e il fuoco della fede e della carità, svesti le vesti troppo carnali che ti fanno ottuso e pigro, e rivestiti di giustizia”.


   Tu, tu solo ti devi salvare. Nella tua volontà è la tua vittoria. Dio ti osserva, ma non ti salva più, per sua propria volontà. Tante volte lo ha fatto, e tu, della vittoria della salvezza, ti sei fatto gradino per scendere nelle tenebre, nel gelo, nel vizio. L’ho detto all’inizio del lavoro del piccolo Giovanni[2]. Avete riso, deriso o imprecato alla piccola voce che vi ripeteva le mie parole. Ma molte, perché divine, hanno già avuto compimento.


   Non ridete, non deridete, non imprecate per queste. Accoglietele. Difendete voi stessi, le vostre famiglie, la vostra quiete, il vostro benessere, difendendo l’Idea divina, la Chiesa, la Fede. Satana e i suoi servi cercano colpire l’Idea: la Chiesa, la Fede, ossia il cuore, il sangue, il respiro che mantengono viva la stessa vita vostra. Dolorosa, sì. Faticosa, sì. Ma se trionfasse Satana in un mondo senza più Dio, tre volte guai a voi.


   Non sapete! Non alzo il velo su quell’orrore che già è in atto e rinserra le file per sferrare l’attacco. Vi addito l’alto: il Cielo, Dio; vi addito il cuore della Cristianità: Roma vaticana; vi addito il tabernacolo. Difendeteli per essere difesi. E meditate bene le mie parole.


   E non siate, singolarmente, simili a coloro che si accingono a perseguitare Dio nell’Idea di Lui, nella Chiesa Romana, nella Fede, col perseguitare Gesù Cristo nelle sue piccole voci. Non perseguitate Gesù Cristo, dico. Perché Lui, a voi che opprimete i suoi strumenti, dice, con la sua divina, giusta sincerità: “Perché mi perseguiti?”.


   Sì. Voi, Lui perseguitate in questi ai quali non date pace. Sì. Voi, Lui perseguitate in questi, perché negate che in essi il Verbo parli, parli lo Spirito Santo che sempre è autore di ogni insegnamento divino.


   Imitate Paolo nel suo secondo tempo di vita mortale, posto che lo sapete imitare quando è ancor Saulo di Tarso, della tribù di Beniamino, fariseo e persecutore dei cristiani. E non vergognatevi di apprendere, voi, i novelli rabbi, cose di fede e sapienza sinora da voi ignorate, di apprenderle da una piccola voce.


   Rispetto al ricco, potente e imponente Gamaliele, simile a un re per fasto e per cortigiani, vivente libro della sapienza di Israele, il mite Maestro di Nazaret doveva apparire ben spregevole a Saulo di Tarso che ne conosceva la condizione sociale, il metodo di insegnamento e la maniera di vita... Ma quando gli caddero le scaglie del fariseismo, non dalle pupille degli occhi ma dello spirito, e con decenne applicazione penetrò nella sapienza del Vangelo “virtù di Dio a salvezza di ogni credente”, Paolo riconobbe che nel Vangelo “si manifesta la giustizia che vien dalla fede e tende alla fede”.


   Questa giustizia, resa luminosa, comprensibile dalla bontà della stessa Parola di Dio, che ha pietà di voi, si manifesta nel dono che la piccola voce vi ha dato in nostro Nome.


   I giusti amano. L’amore è luce. La luce permette di riconoscere. I giusti credono. Hanno una viva sete di sempre più credere. Comprendono che la conoscenza è grandissimo aiuto a credere. Sentono che il credere è vita perché è carità. E la carità è vita perché è Dio, il Vivente, accolto in loro, e loro accolti in Dio.


   Ed ecco che, per lunga via, abbiamo raggiunto la prima proposizione del dettato d’oggi: “Il giusto vive di fede”. E più il giusto ha cuor di fanciullo, più sa vivere di fede. Per questo il Maestro divino ha detto: “Se non divenite simili a fanciulli non entrerete nel Regno dei Cieli”. Il fanciullo sa credere. E per questo suo saper credere conosce Dio e merita di possederlo e goderlo eternamente, anche se muore prima di esser dotto quale voi siete.


   Veramente il molto sapere difficilmente è salvezza. Non fosse che perché “a chi più è stato dato più viene richiesto”, e “a chi si è impadronito di tesori difficilmente non viene assalto di ladroni”. Ma questo antico proverbio non lo conoscevate ancora né sapete di quali ladroni Io parlo. Voi, che dotti siete, cercate di conoscerli. Conoscendoli potrete difendervi dalla morte che essi sono armati a darvi.


   Ma i “piccoli fanciulli” non hanno questi pericoli. Essi sanno “vivere di fede”. Semplicemente. Essi confidano nel Signore, ed è detto che chi confida nel Signore comprende la verità. Perciò essi comprendono, anche senza scientificamente sapere. Comprendono: per la carità viva in loro, e perché hanno a mae­stri la Carità e il loro angelico custode.»



[2] piccolo Giovanni è il più frequente dei nomi dati a Maria Valtorta, che per spiritualità e missione viene accostata al


 grande Giovanni, apostolo ed evangelista. L’inizio del lavoro del piccolo Giovanni può essere considerato il “dettato” del


 23 aprile 1943, venerdì santo, riportato nel volume I quaderni del 1943.







 

lunedì 6 dicembre 2021

“Dichiarato Figliuolo di Dio per propria virtù”.

LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO 
AI ROMANI 
LEZIONE I
RM-1 3-4
2 gennaio 1948

Introduzione  

   Agli inizi del 1943, Maria Valtorta, da nove anni inferma, fu invitata dal Padre Migliorini, suo direttore spirituale, a scrivere le memorie della propria vita. Dopo un’esitazione, ella acconsentì. Seduta nel letto e con il quaderno sulle ginocchia (era paralizzata dalla cintola in giù) riempì di getto 761 pagine in meno di due mesi, dando prova di un notevole talento letterario e aprendo l’anima con una confidenza senza veli.
    Si era come liberata del passato, affidato ai sette quaderni manoscritti consegnati al confessore, quando una voce già nota al suo spirito le dettò una pagina di sapienza divina, che fu il segnale di una svolta impensata. Era il 23 aprile 1943, venerdì santo.
    Maria si confidò con la fedele Marta e la spedì dal Padre Migliorini, che venne subito e la rassicurò sull’origine soprannaturale del “dettato”, avviandola con quell’approvazione ad una sorprendente attività di scrittrice mistica.
    Ella scrisse ogni giorno per anni, fino a riempire 122 quaderni, che si aggiunsero ai sette dell’Autobiografia.

*
    I suoi scritti su svariati argomenti li abbiamo raccolti in successione cronologica e pubblicati in tre volumi:
    I quaderni del 1943,
    I quaderni del 1944,
    I quaderni del 1945-1950.
    Altri scritti sparsi, rimasti inediti per lunghi anni, sono stati raccolti e pubblicati sotto il titolo Quadernetti. Abbiamo anche iniziato la pubblicazione dell’epistolario con il volumetto delle Lettere a Mons. Carinci.

*
    Negli stessi anni, e dopo l’Autobiografia – che è pubblicata in un volume a sé – Maria Valtorta scrisse le sue opere organiche, pubblicate con i seguenti titoli:
    L’Evangelo come mi è stato rivelato. Opera in 10 volumi sulla vita di Gesù.
    Libro di Azaria. Commento teologico e spirituale a 58 Messe festive.
    Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani. Sono le 48 lezioni raccolte nel presente volume.

*
    Nata a Caserta da genitori lombardi il 14 marzo 1897, Maria Valtorta si spense a Viareggio il 12 ottobre 1961, dopo 27 anni e mezzo d’infermità. Le sue opere sono tradotte in molte lingue e si diffondono senza interruzione.

L’Editore

 


[1]Dice l’Autore Ss.:
   «“Dichiarato Figliuolo di Dio per propria virtù”. Quale? Una? Molte? Di che natura? Io te le dirò.

   Primo. Di natura divina.
   Il Figlio del Padre è Dio come il Padre, e l’aver preso carne umana non ha distrutto, né messo una pausa nell’unione fra il Padre dal quale il Figlio si genera e nel quale Figlio il Padre si compiace. Non solo. Il Figlio di Dio non cessa d’essere Dio per aver assunto natura d’uomo. Generato dal Padre Dio, per naturale espandersi dell’Amore perfetto, che per sua natura ha necessità di amare e che per sua dignità ha necessità di amare una Perfezione pari alla sua infinita - ogni altro amore di Dio, eccettuato quello per la Beatissima, nostro amore, è benignità di Dio - Egli solo, coll’amore di Figlio e di Figlio di Dio, soddisfa Dio con un amore degno di Lui.

   Prevengo la tua obbiezione dicendoti: Amando Maria, Dio ancor ama Se stesso, perché Egli l’ha formata piena di Grazia, per un pensiero di Grazia, perché partorisse la Grazia al mondo. Maria può dirsi: il seno di Dio, perché ha partorito il Figlio di Dio, la Grazia di cui era piena, e ha dato un Uomo, sulla Terra, degno del paterno Amore.

   Come circolare peschiera nella quale le acque defluiscono senza mai andare alla foce, così Maria, acqua purissima di fontana sigillata, uscì dall’incandescente fervore del Pensiero eterno e scorse per rive di pace, seco portando pace e purezza, e in Dio rientrò per accogliere Dio e generare il Figlio di Dio, e tornò fra le selvagge arene per dare ai deserti dei cuori la Luce, la Verità, la Vita, e nuovamente, compiuta la sua missione, come acqua aspirata dal sole assunse al grembo mistico che l’ha partorita a voi perché vi partorisse la Salvezza. E là è: inviolata Fonte di purezza, unico degno specchio alla Perfezione che tutto dimentica di ciò che è offesa guardando l’Immacolata.

   Non cessa il Verbo di essere Dio perché fattosi Uomo. Non è, l’Umanità presa, avvilimento della Divinità, sua eterna Natura. Ma è l’Umanità elevata, pur senza perdere la sua natura, a perfezione di unione con la Divinità, cosa attestata dai prodigi fatti dal Cristo.

Il Padre sempre col Figlio. Il Figlio sempre Dio come il Padre. Perché la Divinità non può esser scissa o mutare natura per divisione apparente e annichilimento in natura inferiore a quella divina.

   Gesù Cristo è dunque Figliolo di Dio per la Natura divina del Verbo generato dal Padre, incarnatosi per opera di Spirito Santo per la salute dell’umanità.

   Ma - secondo modo - ma si è dichiarato Figlio di Dio anche per natura umana, virtuosa in maniera perfetta.

   Gesù Cristo, il Figlio fatto al Padre dal seme di Davide, aveva volontà libera. E come Dio e come uomo. Questa libertà della sua volontà la mostrano le sue azioni, fatte a seconda che Egli voleva, quando voleva, su chi voleva. Né elementi né creature potevano opporsi alla sua volontà che era perfetta della libertà propria di Dio.

   Non potevano. Una sol volta poterono. Ma allora fu perché il Figlio di Dio non prevaricò. Non abusò di questa sua libera volontà potente per sfuggire alla morte di croce. Se lo avesse fatto, avrebbe fatto rapina, abuso, prevaricazione dei suoi infiniti poteri di Figlio di Dio. E Lucifero ribelle, più ancora che Lucifero, sarebbe divenuto.

   Ma il Cristo non fu mai ribelle. Nessuna cosa, neppure la naturale ripugnanza umana al supplizio, lo fece tale. Perché sopra la sua volontà libera era la Volontà del Padre. E il perfet­tissimo Figlio divino, della sua Natura uguale al Padre non se ne fece profitto, ma con riverenziale amore sempre disse a Colui che l’aveva generato: “Sia fatta la tua volontà”, e mite e ubbi­diente porse i polsi alle ritorte per essere trascinato al sacrificio.

   Ebbe dunque volontà libera. Ma la usò per essere perfetto come uomo, così come era perfetto come Dio.

   Si dice: “Non poteva peccare”. Questa parola sarebbe giusta qualora il Cristo fosse stato solo Dio. Dio non può peccare essendo perfezione. Ma la sua seconda natura è soggetta a tentazioni. E tentazioni sono mezzo al peccare, se non sono respinte. E dure tentazioni furono sferrate contro l’Uomo. Tutto l’odio contro di Lui. Tutto il rancore, la paura, l’invidia dell’Inferno e degli uomini, contro di Lui. Contro il Forte che sentivano Vincitore, anche se aveva mitezza d’agnello.

   Ma Gesù non volle peccare. Date al Forte il giusto riconoscimento della sua fortezza. Non peccò perché non volle peccare. E anche per questa sua perfezione di giustizia, contro tutte le insidie e gli eventi, Egli ha dichiarato d’esser Figlio di Dio.

   Non vi è detto, anche a voi: “Siate dèi e figli dell’Altissimo”?

   Egli lo fu perché nella sua umanità, pari alla vostra, fu dio e figlio dell’Altissimo per la giustizia di ogni suo atto.

   La Sapienza vi dice, o uomini, che la dichiarazione della figliolanza divina nel Gesù nato da Maria della stirpe di Davide, oltreché dalla parola del Padre, dai miracoli, dalla parola del Maestro e dalla sua risurrezione, è data da questa sua signoria sulle passioni dell’uomo e sulle tentazioni date all’Uomo. Santo per natura divina, volle esser santo anche secondo natura umana, Primogenito vero della famiglia eterna dei figli di Dio coeredi del Regno dei Cieli.

   Si è dichiarato infine Figliuolo di Dio per la sua risurrezione spontanea. Dio: Egli, a Se stesso: Dio-Uomo, ucciso dagli uomini per salute degli stessi, consumato il sacrificio, data la prova sicura di esser stato morto, si infuse nuovamente la vita, e da Se stesso, senza attese e giudizio, glorificò anche il suo Corpo vincitore su tutte le miserie conseguenti al primo originale peccato.»


[1]I rimandi ai brani della lettera paolina, che mettiamo in forma abbreviata, sono gli stessi che Maria Valtorta mette, per esteso, dopo le date e prima di iniziare a scrivere i “dettati” delle lezioni. Solo nelle lezioni 1ª e 3ª aggiunge al rimando il testo del brano, che noi omettiamo, sia per uniformicon le altre lezioni, sia perché abbiamo riportato all’inizio l’intero testo della Lettera ai Romani.

AMDG et DVM

lunedì 14 marzo 2016

SAN PAOLO AI ROMANI: Bisogna saper tutti capire, compatire, aiutare con carità

LETTERA AI ROMANI

Capo XIV.


I cristiani non devono gli uni condannare gli altri


[1]In quanto a colui che è debole nella fede, accoglietelo senza discuterne le opinioni. 2Altri crede di poter mangiare qualunque cosa; chi è debole mangi pure degli erbaggi. 3Ma chi mangia non disprezzi colui che non mangia, e chi non mangia non condanni colui che mangia, perché Dio l’ha fatto suo.

4E chi sei tu da condannare il servo altrui? O che egli stia ritto o cada, è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli starà in piedi perché Dio ha la potenza di sostenerlo. 5Uno distingue tra giorno e giorno, un altro li fa tutti uguali: ognuno segua la sua coscienza6Chi distingue i giorni, li distingue per amore del Signore; e chi mangia, lo fa per amore del Signore; infatti rende grazie a Dio. Ed anche chi non mangia, non mangia, per amore del Signore e rende grazie a Dio. 

7Poiché nessuno di noi vive per se medesimo, né per se stesso muore; 8ma se viviamo, viviamo pel Signore, e se moriamo, moriamo pel Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore; 9perché Cristo è morto e risuscitato per essere Signore dei vivi e dei morti. 10Ma tu perché giudichi il tuo fratello? O perché tu disprezzi il tuo fratello? Tutti invece compariremo davanti al tribunale di Cristo. 11Sta scritto infatti: «Io sono il vivente, dice il Signore, e davanti a me si piegherà ogni ginocchio, ed ogni lingua darà gloria a Dio». 12Così adunque ognuno di noi renderà conto di se stesso a Dio.

Bisogna guardarsi dallo scandalizzare i deboli


13Cessiamo adunque dal giudicarci a vicenda; ma guardiamo invece di non mettere inciampo o scandalo sulla via del fratello. 14Io so e son persuaso nel Signore Gesù che nulla è in se stesso impuro; ma per colui che stima impura una cosa, essa per lui diventa impura. 15Or se per un cibo fai rattristare il tuo fratello, tu non cammini più secondo la carità. Non rovinare col tuo cibo uno per il quale Cristo è morto. 16Non sia dunque bestemmiato il nostro bene. 17Perché il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere, ma è giustizia e pace e gaudio nello Spirito Santo. 18Chi serve Cristo in questa maniera piace a Dio ed è approvato dagli uomini. 19Cerchiamo dunque ciò che giova alla pace, e pratichiamo ciò che serve alla mutua edificazione.

20Non voler per un cibo distruggere l’opera di Dio. Certamente tutte le cose sono pure, ma fa male un uomo che mangia scandalizzando. 21Bene è non mangiar carne e non bere vino, né fare alcuna cosa che sia per il tuo fratello occasione di caduta o di scandalo o di debolezza. 22Tu hai una convinzione? Tientela per te dinanzi a Dio. Beato colui che non condanna se stesso in quello che sceglie. 23Ma chi fa distinzione, se mangia, è condannato, perché non agisce secondo coscienza. Tutto ciò che non è secondo la coscienza è peccato.


sabato 12 marzo 2016

SAN PAOLO AI ROMANI: cap. XIII


LETTERA AI ROMANI

Capo XIII.



Doveri verso l’autorità


[1]Ogni persona sia sottomessa alle autorità superiori,[restando però salvi i diritti della coscienza e della fede, e rendendo sempre a Dio quello che è di Dio] perché non v’è autorità che non venga da Dio, e quelle che esistono sono istituite da Dio; 2e quindi chi si oppone alle autorità si oppone all’ordine di Dio, e chi si ribella si attirerà la condanna; 3infatti i magistrati non son da temere per le opere buone, ma per le malvagie. Vuoi tu non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene, e da essa ne avrai lode, 4essendo l’autorità ministra di Dio per il tuo bene. Se poi fai del male, temi, perché non porta invano la spada, quale ministra di Dio vendicatrice, che punisce i malfattori. 5È necessario dunque esser sottomessi, non solo per timore del castigo, ma anche per obbligo di coscienza. 6Per questa ragione voi pagate i tributi, perché i magistrati sono ministri di Dio e continuamente occupati nel loro ufficio. 7Rendete dunque a ciascuno ciò che gli dovete: a chi l’imposta, l’imposta; a chi il tributo, il tributo; a chi il rispetto, il rispetto; a chi l’onore, l’onore.

L’amore è il compendio della legge


8Non vi resti con nessuno che il debito dello scambievole amore; perché chi ama il prossimo ha adempito la legge. 9Difatti, «non commettere adulterio; non ammazzare, non rubare, non dire il falso testimonio; non desiderare» e qualunque altro comandamento che ci possa essere, si riassume in questa parola: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»10L’amore non fa alcun male al prossimo: è dunque l’amore il compimento della legge.

Esortazione alla vita cristiana


11E ciò dovete farlo riflettendo al tempo in cui siamo, essendo già l’ora di svegliarsi dal sonno; perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando credemmo. 12La notte è inoltrata e il giorno si avvicina: gettiam dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Viviamo onestamente, come di giorno; non nelle crapule e nelle ubriachezze; non nelle mollezze e nell’impudicizia; non nella discordia e nella gelosia; 14ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo, senza aver tanta cura della carne da svegliarne le concupiscenze.

«Siate gioiosi nel sottomettervi con umiltà a ogni prova fisica e morale che il Signore desidera inviarvi. La prova è una Grazia incomparabile» (Manduria 23.11.2001).

domenica 6 marzo 2016

SAN PAOLO AI ROMANI - Bellissimo cap. XII


LETTERA AI ROMANI

  

Alla fine anche Israele sarà salvo


[25]Affinché dentro di voi non vi stimiate sapienti, non voglio che ignoriate, o fratelli, questo mistero: l’accecamento prodottosi in una parte d’Israele durerà finché non sia entrata la totalità dei Gentili. 26E così Israele sarà salvato, conforme sta scritto: Da Sion verrà il Liberatore che toglierà l’empietà da Giacobbe, 27e questa sarà la mia alleanza con essi, quando avrò tolti i loro peccati.
28Veramente, riguardo al Vangelo, son nemici a causa di voi, ma riguardo all’elezione sono carissimi a causa dei loro padri; 29perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimenti. 30E come voi in passato non avete creduto a Dio ed ora avete ottenuto misericordia per la loro incredulità, 31così anch’essi non hanno creduto per la misericordia fatta a voi; ma per ottenere anche loro misericordia. 32Infatti, Dio coinvolse tutti nell’incredulità per usare a tutti misericordia.

Inno alla divina sapienza

33O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono incomprensibili i suoi giudizi ed imperscrutabili le sue vie! 34Chi ha conosciuto il pensiero del Signore? E chi gli è stato consigliere?35Chi gli ha dato per il primo, per averne da ricevere il contraccambio?
36Da lui e per lui e in lui son tutte le cose. A lui gloria nei secoli. Così sia.


Capo XII.


Doveri verso Dio

[1]Io vi esorto dunque, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrifizio vivente, santo, gradito a Dio, il ragionevole vostro culto. 2E non vogliate conformarvi al presente secolo; ma riformate voi stessi col rinnovamento del vostro spirito, per distinguere quale sia la volontà di Dio, buona, gradita e perfetta.

Doveri verso il corpo sociale


3In virtù della grazia che m’è stata data, io dico a ciascuno di voi di non voler sapere più del necessario, ma tanto che basti, secondo la misura di fede che Dio ha distribuito a ciascuno. 4Infatti, come in un sol corpo noi abbiamo molte membra, e non tutte le membra hanno la medesima funzione, 5così noi, sebben molti, formiamo un unico corpo in Cristo e individualmente siamo uno membro dell’altro. 

6Avendo noi dei doni differenti secondo la grazia che ci è stata donata; chi ha la profezia (l’eserciti) secondo la regola della fede;7chi il ministero, amministri; chi l’insegnamento, insegni; 8chi ha l’esortazione, esorti; chi distribuisce (lo faccia) con semplicità; chi presiede, con sollecitudine; chi fa opere di misericordia, con ilarità.

Come devono amare i cristiani


9La vostra carità non sia finta. Odiate il male; affezionatevi al bene. 10Amatevi scambievolmente con amore fraterno, prevenendovi gli uni gli altri nel rendervi onore. 11Non pigri nello zelo, ferventi nello spirito, servite al Signore. 12Siate allegri per la speranza, pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera.
13Provvedete ai bisogni dei santi; praticate l’ospitalità. 14Benedite quelli che vi perseguitano: benedite e non vogliate maledire. 15Rallegratevi con chi gioisce; piangete con chi piange, avendo gli stessi sentimenti l’uno per l’altro. Non aspirate alle cose alte, ma adattatevi alle umili, e non vi stimate saggi da voi stessi.17Non rendete ad alcuno male per male, e cercate di fare il bene non soltanto davanti a Dio, ma anche davanti a tutti gli uomini.

18Se è possibile, per quanto è da voi, vivete in pace con tutti. 19Non vi vendicate da voi stessi, o carissimi, ma lasciate fare, all’ira (divina); perché sta scritto: A me la vendetta; io farò giustizia, dice il Signore. 20Se pertanto il tuo nemico ha fame, dàgli da mangiare; se ha sete, dàgli da bere; e tu, così facendo, ammasserai carboni ardenti sopra la sua testa. 21Non ti lasciar vincere dal male ma vinci col bene il male.


Vieni, Signore Gesù!