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martedì 27 ottobre 2020

L'INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI

 


L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (15)

R. P. BARTHELEMY FROGET

[Maestro in Teologia dell’ordine dei fratelli Predicatori]

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI SECONDO LA DOTTRINA DI SAN TOMMASO D’AQUINO

PARIS (VI°) P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 1929  Approbation de l’ordre:  fr. MARIE-JOSEPH BELLON, des Fr. Pr. (Maitre en théologie).  Imprimatur:  Fr. Jos. Ambrosius LABORÉ, Ord. Præd. Prior Prov.Lugd.  Imprimatur, Parisiis, die 14 Februarii, 1900. E. THOMAS, V. G.

QUARTA PARTE

SCOPO ED EFFETTI DELLA MISSIONE INVISIBILE DELLO SPIRITO-SANTO E DELLA SUA INABITAZIONE NELLE ANIME.

CAPITOLO VII

Ultimi effetti dell’inabitazione di Dio  in noi: I FRUTTI DELLO SPIRITO SANTO E LE BEATITUDINI.

Conosciamo ora, se non in dettaglio, almeno con una veduta d’insieme, i principi di attività conferiti ai giusti dallo Spirito Santo, un magnifico e complesso organismo di santità che, secondo la bella espressione di un Padre della Chiesa, fa dell’uomo uno strumento musicale mirabilmente disposto a cantare la gloria e la potenza divina: Instrumentent musicum a Spiritu pulsatum, divinamque gloriam et potentiam canens (S. Greg. Naz., Orat. Ad Popul. XLIII, 67). E quando ha così preparato tutto, lo Spirito Santo, l’Artista incomparabile, si mette alla tastiera e, se non incontra resistenza, trae da questo strumento spirituale, meravigliosi accordi che deliziano il cuore di Dio e non tralasciano di piacere al mondo stesso, affascinato, malgrado tutto, da questa santa armonia. È la dolce e casta Agnese che canta sulla terra, per continuare in cielo, il canto delle vergini: « Io amo Cristo, di cui presto diventerò la sposa; il Cristo, di cui la Madre è vergine ed il Padre celeste genera senza corruzione….. Io sono fidanzata con Colui che è servito dagli Angeli e la cui bellezza è ammirata dal sole e dalla luna » (ex Offic. S. Agnetis). 

– È il martire Ignazio, esposto nell’anfiteatro e che, sentendo il ruggito dei leoni, grida nella sua impazienza di soffrire: « Io sono il frumento di Cristo; sarò macinato dai denti delle bestie per diventare un pane veramente puro. » È il grande Apostolo Paolo, che lancia questa fiera sfida a tutte le potenze nemiche: « Chi mi separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione? L’angoscia? La fame? La nudità? Il pericolo? La persecuzione? La spada?….. Sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le virtù, né qualsiasi altra creatura potrà mai separarmi dall’amore di Dio in Gesù Cristo, nostro Signore » (Rom. VIII, 35-39). 

– È l’innumerevole moltitudine dei Santi sparsi in tutto il mondo e che formano un immenso concerto, dove ognuno fa la sua parte e canta in modo speciale il trionfo della grazia sulla natura: una deliziosa sinfonia, dove tutte le voci si uniscono e si fondono in una meravigliosa armonia. Voci di bambini e di anziani, di vergini e di adolescenti, di uomini e di donne, che salgono dalla terra al cielo. Voci di innocenze preservate o faticosamente riconquistate. Voce di misericordiosa carità che richiama, per bocca di Vincenzo de’ Paoli, a tutte le miserie per alleviarle. Voce di fede trionfante nella persona di Pietro di Verona colpito a morte dall’eresia, e che ancora trova la forza di tracciare con la porpora del suo sangue questa parola sublime: Io credo. Voce di umiltà pronunciata dall’organo di Giovanni della Croce, una delle parole più belle ed eroiche mai pronunciate da una bocca umana, quando, alla domanda di Cristo di quale ricompensa chiedesse per tanto lavoro, rispondeva: « Signore, soffrire ed essere disprezzato per Voi. »  

– Che mirabile fioritura di virtù il soffio dello Spirito Santo fiorisce in anime docili alla sua azione! O piuttosto che frutti deliziosi e variegati fa loro produrre! Questi sono quelli di cui Nostro Signore ha parlato quando ha detto ai suoi Apostoli: « Io vi ho scelto e vi ho costituito perché andiate avanti senza sosta, perché portiate frutti e questi frutti rimangano: Ego elegi vos, et posui vos ut eatis, et fructum afferatis, et fructus vester maneat. » (Giov. XV, 16). Il giusto, in effetti, è paragonato, nei nostri Libri sacri, ad un albero piantato sul bordo delle acque e che dà i suoi frutti nel suo tempo (Ps. I, 3). Cosa sono questi frutti? L’Apostolo san Paolo ce li fa conoscere in questa bella enumerazione che leggiamo nel capitolo V della Lettera ai Galati: « I frutti dello Spirito Santo, dice, sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la longanimità, la dolcezza, la fede, la modestia, la continenza e la castità . » (Gal. V, 22-23). – Cosa intendiamo con questi “frutti dello Spirito Santo”? Perché sono così chiamati? Come si differenziano dalle virtù e dai doni? Qual è il loro numero?

I.

E innanzitutto, cosa si intende per frutti dello Spirito Santo? Con questo intendiamo – dice san Tommaso – « tutti gli atti di virtù che hanno raggiunto una certa perfezione e in cui l’uomo si diletta: Sunt enim fructus quæcumque virtuosa opéra in quibus homo delectatur » (S. Th., Ia IIæ, q. LXX, a. 2). Si chiamano frutti – dice sant’Ambrogio – perché riempiono l’anima di pura e santa delizia. – In senso naturale, il frutto è il prodotto finale e gustoso di una pianta o di un albero che ha raggiunto la perfezione, adattato alla sua specie (Ibid. ad 1); è il termine regolare della vegetazione, il risultato definitivo di questo meraviglioso lavorio in cui è impegnata la vita della pianta. Diversi in quanto diversi sono gli alberi da cui sono stati raccolti, i frutti hanno in comune il fatto che sono l’ultimo prodotto della pianta e che, una volta giunti a maturazione, hanno tutti un certo sapore, diverso a seconda della specie. Fructus sensibilis est id quod ultimum ex arbore expectatur, et cum quadam suavitate percipitur (S. Th., Ia IIæ, q. XI, a. 1).  Quand’anche deliziassero la vista con la luminosità dei loro colori e deliziassero l’olfatto con la dolcezza e la finezza del loro profumo, né le foglie né i fiori meritano questo bel nome di frutto; perché non è da questi ciò che ci si aspetta definitivamente dall’albero: quod ultimum ex arbore expectatur

 – Il frutto non è solo l’ornamento e la perfezione dell’albero, è la sua ragion d’essere, il suo scopo, il suo fine; è il frutto che conferisce all’albero il suo pieno valore e compensa la cura dedicata alla sua coltivazione. Ecco perché, parlando nella parabola di un albero di fico che aveva smesso di dare frutti diversi anni prima, il Salvatore ha detto: « Tagliatelo; perché occupa inutilmente il posto? Succide ergo illam; ut quid etiam terram occupât ? » (S. Luc. XIII, 7). Una grande lezione per il Cristiano, che, sotto pena di essere tagliato come un ramo inutile e gettato nel fuoco, non deve lasciare inattive le energie divine che gli sono state conferite come germi destinati a fiorire sotto il soffio dello Spirito di Dio e a produrre quelle opere sante degne della vita eterna che la Scrittura chiama i frutti dello Spirito Santo. Infatti, per analogia, nell’ordine spirituale, questo nome di frutto è dato al prodotto finale della grazia nelle anime, cioè agli atti di virtù, se non a tutti indistintamente, almeno a quelli che possiedono un certo grado di perfezione e di sapore. I frutti dello Spirito Santo non sono dunque delle abitudini, delle qualità permanenti, ma degli atti; non possono quindi essere confusi con le virtù e con i doni, ma si distinguono da essi come l’effetto si distingue dalla sua causa, il torrente dalla sua sorgente. 

– E sebbene l’Apostolo san Paolo elenchi tra questi frutti la carità, la pazienza, la dolcezza, ecc., non è da intendere con queste espressioni le virtù stesse, ma le loro operazioni; poiché, per quanto perfette possano essere le virtù, esse non possono essere considerate come l’ultimo prodotto della grazia, essendo esse stesse ordinate, come principii, a dei prodotti successivi, cioè ai loro atti. 

 – Tuttavia per meritare il nome di frutto, gli atti di virtù devono essere accompagnati da una certa soavità. All’inizio, questi atti si compiono solo con difficoltà, richiedono fatica, alcuni sono addirittura amari per natura come un frutto non ancora maturo. « Ma – osserva un pio autore –  quando si è da tempo praticato con fervore nella pratica delle virtù, si acquisisce la possibilità di produrre i propri atti. Non proviamo più la ripugnanza che abbiamo provato all’inizio. Non dobbiamo più combattere o essere violenti. Siamo felici di fare quello che facevamo una volta con difficoltà. Poi succede alle virtù quello che succede agli alberi. Come questi frutti che, giunti a maturità, non hanno più l’acredine, ma sono dolci e di piacevole sapore; allo stesso modo, quando gli atti di virtù abbiano raggiunto una certa maturità, si fanno con piacere, e li si trova di un gusto delizioso » (Lallemant, Doctrine spirit.). Il mondo non capisce nulla di questo genere di delizie; perché – secondo l’osservazione di San Bernardo – vede la croce, ma non l’unzione: Crucem quidem vident, sed non etiam unctionem (Serm. 1 de Dedicat.); le afflizioni della carne, la mortificazione dei sensi, le fatiche della penitenza colpiscono il suo sguardo solo per il loro lato doloroso, e li ha in orrore, le consolazioni dello Spirito Santo sfuggono ad essa. Le anime sante, invece, dicono volentieri con la sposa del Cantico: « Mi sono seduto all’ombra di colui che avevo desiderato, e il suo frutto è dolce al mio palato » (Cant. II, 3). Sono numerosi i frutti dello Spirito Santo? San Paolo ne conta dodici, come abbiamo visto sopra. Perché questo numero di duodenario? Sembra che dovrebbero essere ammessi così tanti anche gli atti virtuosi. Questa è, infatti, la conclusione di san Tommaso: « I frutti – egli dice – sono tutti atti di virtù nei quali l’uomo trova piacere: Sunt fructus quæcumque virtuosa opera in quibus homo delectatur ». (S. Th., Ia IIæ, q. LXX, a. 2). 

– L’Apostolo avrebbe potuto includerne un numero maggiore o minore nella sua enumerazione, perché non pretendeva di elencarli tutti. Se si è fermato al numero di dodici, è stato prima perché questo numero, nello stile della Scrittura, si riferisce all’universalità; poi, perché tutti gli atti di virtù possono essere opportunamente ridotti a quelli nominati dall’Apostolo, poiché abbracciano l’intera vita cristiana. (Ibid. a 3, ad 4). 

– Noi parliamo di frutti; ma potremmo anche chiamarli fiori, se, invece di considerare le nostre buone opere come l’ultimo prodotto della grazia in questo mondo, le considerassimo in relazione alla vita eterna, di cui sono come l’annuncio e la promessa. Perché, così come si vede apparire il fiore, si concepisce la speranza di raccogliere un frutto, così  il darsi alla pratica delle opere sante e meritorie ci dà la speranza di raggiungere la vita e la beatitudine eterna.

II.

Al culmine della vita spirituale, quindi al di sopra degli atti di virtù ordinaria, al di sopra dei frutti dello Spirito Santo, vi sono le beatitudini, il coronamento dell’opera divina in noi, l’ultimo e più sublime effetto della presenza di Colui che il Padre si è degnato di inviarci per la nostra santificazione, l’anticipazione della felicità celeste.  Cosa intendiamo per beatitudini? Quante ce ne sono? Sono diversi da frutti, virtù e doni? 

 – Il nome “beatitudini” si riferisce ad alcuni atti della vita presente che, per la loro particolare perfezione, conducono direttamente e sicuramente alla beatitudine eterna. Sono chiamate così, beatitudini metonimiche, perché sono allo stesso tempo il pegno, la causa meritoria e, in una certa misura, i primi frutti della vera e perfetta beatitudine. La beatitudine propriamente detta, è essenzialmente una sola, e consiste nel possesso di Dio. È chiaro, infatti, che Dio, essendo il Bene sovrano, il Bene infinito, l’unico capace di soddisfare tutti i desideri, nessuno è felice se non nella misura in cui lo possiede. Da questo mondo, è vero, lo possediamo per grazia, ma imperfettamente; lo portiamo dentro di noi, ma nascosto alla vista; lo amiamo, lo godiamo, ma con il pericolo di perderlo. « Quindi, se parliamo di beatitudine qui sulla terra, possiamo solo intendere, naturalmente, una beatitudine imperfetta, una beatitudine desiderata e meritata, tutt’al più cominciata. » (Mgr. Gay: Sermons de l’Avent). 

– Le beatitudini menzionate nel Santo Vangelo e di cui ci stiamo occupando attualmente non significano, quindi, felicità assoluta, felicità vera e propria. Non è manifesto che la povertà, le lacrime, la fame e la sete, foss’anche di giustizia, le persecuzioni subite per la causa di Dio, non possono costituire una vera e perfetta beatitudine? Ma Nostro Signore afferma che questi sono mezzi, dei gradi, delle salite per raggiungere la beatitudine assoluta: mezzi così potenti, così efficaci, così sicuri, che chiunque li usi con perseveranza può ripetere seguendo l’Apostolo: « Sono salvato nella speranza » (Rom. VIII, 24). Non si dice di qualcuno che è giunto alla fine dei suoi voti, quando ha una fondata speranza di ottenerli? Ma come non concepire la speranza di ottenere un fine determinato, quando ci si muove verso di esso in modo costante e regolare, quando ci si avvicina, quando soprattutto si comincia già a gustare la dolcezza del bene atteso? (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 1.) Quando, dunque, un Cristiano, docile alle ispirazioni dello Spirito Santo, avanza quotidianamente nel cammino di bontà attraverso gli atti di virtù ed i doni, quando lo si vede realizzare gradualmente queste mirabili ascese di cui parla il Salmista (Ps LXXXIII, 6), ed avvicinarsi sempre di più al termine, come non sentire la fiducia che egli raggiungerà la perfezione del cammino e quella della patria, e non proclamarlo benedetto in anticipo? (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 2). 

Ma quali sono questi mezzi che conducono così sicuramente al termine della salvezza eterna, questi atti così pieni di soavità che possiamo considerarli come l’inizio della beatitudine? 

– Il Salvatore stesso ce li ha fatti conoscere in questo famoso sermone della montagna che apre il periodo della sua vita pubblica. « Beati – Egli dice – i poveri in spirito, perché il regno dei cieli è loro. Beati i miti, perché possederanno la terra. Beati coloro che piangono, perché saranno confortati….. Otto volte di fila ripete, con delle varianti, la stessa espressione « Beati », annunciando così al mondo stupito quelle che il linguaggio cristiano ha chiamato le otto beatitudini. Sono otto: la povertà di spirito, la mitezza, le lacrime, la fame e la sete di giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, l’amore per la pace, le persecuzioni subite a causa di Dio; ma l’ottava è solo la conferma e la manifestazione delle altre (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 3 ad 5.). Infatti, dal momento in cui l’uomo è rafforzato nella povertà spirituale, dalla mitezza e dalle altre beatitudini, la persecuzione non è più in grado di staccarlo da questi beni. 

– Le beatitudini non sono né virtù né doni dello Spirito Santo, ma degli atti che queste abitudini ci portano a produrre (Ibid. a. 1). Tuttavia, per la loro eccellenza e perfezione, questi atti devono essere considerati più come un prodotto dei doni che come un’emanazione delle virtù. Infatti, la virtù della povertà può anche ispirare questo distacco che fa usare con moderazione dei beni terreni, ma è il dono del timore, che ne ispira il disprezzo. La virtù della mitezza dà all’uomo l’energia necessaria a superare l’impetuosità della rabbia e a stare entro i limiti della giusta ragione; ma è il dono della pietà che assicura la calma, la serenità dell’anima, il perfetto possesso di sé e la completa sottomissione alla volontà di Dio. La temperanza mette il freno alle passioni che tendono al piacere sensibile e le mantiene entro i limiti; il dono della scienza eleva l’anima più in alto, e illuminandola sulla fragilità, la vanità, la breve durata di questi piaceri, insegna a rifiutarli del tutto, se necessario, e ad abbracciare volontariamente il dolore e le lacrime. Le beatitudini si distinguono anche dai frutti dello Spirito Santo, perché, benché  dilettando come questi, abbiano anche il vantaggio di perfezionare chi le possiede: sono, se volete, dei frutti, ma i più eccellenti, i più belli, i più squisiti; frutti giunti, con gli ultimi tocchi del Sole divino, ad una perfetta maturità; anch’esse contengono una dolcezza e perfezione tale da farci sentire e gustare in anticipo qualcosa della felicità celeste. Così è coronata da opere perfette, segni precursori della beatitudine di Dio e del suo pieno possesso, questa serie di meraviglie che lo Spirito Santo compie nelle anime dove ha stabilito la sua dimora.

III.

Prima di concludere questo già lungo studio, diamo un ultimo, rapido sguardo alle verità che ne sono state oggetto, così come, prima di varcare la soglia di un edificio che è stato visitato ed esaminato nel dettaglio, diamo uno sguardo per comprenderne le linee principali e ammirarne la sapiente armonia. Dio è ovunque, in ogni essere e in ogni luogo, come causa immediata di tutto ciò che esiste fuori di Lui; ma abita solo nel giusto, al quale si unisce in modo singolare, come oggetto di conoscenza e di amore. E non è solo con la sua immagine, la sua memoria, o i suoi doni, che Egli è così presente in essi; Egli stesso viene personalmente, inaugurando fin da quaggiù questa vita di unione e di godimento che deve essere consumata in cielo. Non appena una creatura che, fino ad allora era stata peccaminosa, ritorna in grazia al suo Creatore, Colui che è in Dio l’Amore sussistente, lo Spirito Santo, gli viene inviato a suggellare in qualche modo con la sua presenza il patto di riconciliazione, a lavorare alla grande opera di santificazione e a diventare in lui il principio efficace di una nuova vita, incomparabilmente superiore a quella della natura. Non è dunque una visita temporanea, per quanto preziosa, che si degna di fare, ma Egli viene a stabilirsi nell’anima con il Padre e il Figlio e per fissarvi la sua dimora. Quando vi entra, si dà Egli stesso, e questo è il suo grande dono. Si tratta quindi di abbellire e decorare il tempio vivente dove gli piace risiedere. A tal fine, c’è questa Grazia, di un valore infinito, chiamata santificante, che ha l’effetto di purificare da ogni sozzura, di cancellare il peccato, di giustificare, trasformare, divinizzare chi la riceve, farne un figlio di Dio e l’oggetto dei suoi piaceri, con diritto all’eredità celeste. Ma non è tutto, perché la grazia non va mai da sola; essa è sempre accompagnata da una moltitudine di virtù e di qualità sovraeminenti, che sono sia un ornamento per le nostre potenze, sia una fonte di attività soprannaturale. Queste sono le virtù teologali, la fede, la speranza e la carità; le virtù morali infuse e i doni dello Spirito Santo: essi sono i semi fecondi dei frutti che Dio vuole raccogliere in noi; le energie divine, fonte di quegli atti eccellenti che portano il nome di beatitudini perché sono la causa meritoria ed una sorta di anticipazione della felicità che speriamo. 


– In questo modo possiamo andare avanti; e, per spostarci efficacemente e in sicurezza verso le sponde eterne, tutto ciò che dobbiamo fare è ricevere questo impulso dallo Spirito Santo che è la parte dei figli di Dio (Rom. VIII, 14). Essa non si farà attendere. Dal profondo dell’anima dove Esso risiede, questo Spirito divino illumina la nostra intelligenza, riscalda i nostri cuori, ci eccita e ci spinge al bene. Chi conterà tutti i santi pensieri che suscita, i buoni movimenti che provoca, le sane ispirazioni di cui è la fonte? Perché invece ci sono sventurate e troppo frequenti resistenze che vengono più o meno a paralizzare la sua azione benefica e ad ostacolarne gli effetti? Questo spiega perché tanti Cristiani, abitualmente in possesso della grazia e delle energie divine che la accompagnano, rimangono tuttavia così deboli e lassi al servizio di Dio, così poco zelanti per la loro perfezione, così inclini verso la terra, così dimentichi delle cose del cielo, così facili da portarsi al male. Pertanto, l’Apostolo ci esorta a « non contristare lo Spirito Santo » con la nostra infedeltà alla grazia: Nolite contristare Spiritum sanctum Dei (Ephes. IV, 30), e soprattutto “non spegnerlo nei nostri cuori: Spiritum nolite extinguere. » (1 Tessal. V, 19). C’è un’altra causa che cerca di spiegare perché una semenza di grazie così abbondante spesso produca solo un raccolto così scarso. Questo avviene perché, conoscendo solo molto imperfettamente il tesoro di cui sono custodi, molti hanno solo una bassa stima di Esso e si impegnano poco nel farlo fruttificare. Eppure, quale forza, quale generosità, rispetto di sé, quale vigilanza, ma anche quale consolazione e quale gioia non li ispirerebbero per questo pensiero costantemente nutrito e piamente meditato: lo Spirito Santo abita nel mio cuore. Esso è lì, potente protettore, sempre pronto a difendermi dai miei nemici, a sostenermi nelle mie battaglie, ad assicurarmene la vittoria. Amico fedele, è sempre pronto a darmi udienza, e, « lungi dall’essere fonte di amarezza e di noia, la sua conversazione porta allegria e gioia:  Non enim habet amaritudinem conversatio illius, nec tædium convictus illius, sed lætitiam et gaudium. » (Sap.. VIII, 16). 


– Egli è lì, veglia sempre sui miei sforzi e sacrifici, contando, per ricompensarli un giorno, ognuno dei miei passi, seguendo tutti i miei passi, senza dimenticare nulla di quello che faccio per il suo amore e la sua gloria. 


– Lo Spirito Santo abita nel mio cuore! Io sono il suo tempio, il tempio della santità per essenza; devo quindi diventare io stesso santo, perché il primo carattere della casa di Dio è la santità. Domum tuam, Domine, Domine, decet sanctitudo (Ps XCII, 5). Dirò dunque con il Salmista, con la mia condotta più che con le mie parole: « O Signore, ho amato la bellezza della tua casa e del luogo dove abita la tua gloria: Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ. » Cosa c’è di più efficace di queste riflessioni per determinarci a vivere, secondo la parola di san Paolo, « in modo degno di Dio, sforzandoci di piacergli in ogni cosa e di portare ogni sorta di frutti di buone opere? Ut ambuletis digne Deo per omnia placentes, in omni opera bono fructificantes » (Col. X, 10). Lavoriamo dunque per crescere nella scienza di Dio, crescentes in scientia Dei, applicandoci ogni giorno per conoscere meglio, per apprezzarli di più, i doni divini. Amiamo, onoriamo, invochiamo spesso lo Spirito Santo, siamo docili alle sue ispirazioni; e se un giorno vogliamo occupare il trono di gloria che ci è stato preparato in cielo, iniziamo glorificando qui sulla terra e nella nostra anima e nel nostro corpo questa Santissima Trinità di cui siamo dimora e tempio. 

Glorificate et portate Deum in corpore vestro! (1 Cor. VI, 20).


http://www.exsurgatdeus.org/category/spirito-santo/


AMDG et DVM

martedì 1 gennaio 2019

VIENI SPIRITO SANTO, VIENI





Chiediamo insistentemente
[ ossia come ad ogni respiro ]
il Dono dello Spirito Santo:

Vieni, Spirito Santo, vieni:  per mezzo della potente intercessione del Cuore Immacolato di Maria, tua Sposa amatissima”



domenica 20 maggio 2018

27 aprile 1947.



DCXL. 

La discesa dello Spirito Santo. Fine del ciclo messianico. 

   27 aprile 1947.
 
 1 Non ci sono voci e rumori nella casa del Cenacolo. Non c'è presenza di discepoli, almeno io non sento nulla che mi autorizzi a dire che in altri ambienti della casa siano raccolte delle persone. Ci sono soltanto la presenza e le voci dei Dodici e di Maria Ss., raccolti nella sala della Cena.
   Sembra più ampia la stanza, perché le suppellettili, messe diversamente, lasciano libero tutto il centro della stanza e anche due delle pareti. Contro la terza è spinto il tavolone usato per la Cena, e fra esso e il muro, e anche ai due dei lati più stretti del tavolo, sono messi i sedili-lettucci usati nella Cena e lo sgabello usato da Gesù per la lavanda dei piedi. Però non sono, questi lettucci, messi verticalmente alla tavola, come per la Cena, ma parallelamente, di modo che gli apostoli possono stare seduti senza occuparli tutti, pur lasciando un sedile, l'unico messo verticale rispetto alla tavola, tutto per la Vergine benedetta, che è al centro della tavola, al posto che nella Cena occupava Gesù.
   La tavola è nuda di tovaglie e stoviglie, nude le credenze, denudati i muri dei loro ornamenti. Solo il lampadario arde al centro, ma con la sola fiamma centrale accesa; l'altro giro di fiammelle che fanno da corolla al bizzarro lampadario sono spente.
   Le finestre sono chiuse e sbarrate dalla pesante sbarra di ferro che le traversa. Ma un raggio di sole si infiltra baldanzoso da un forellino e scende come un ago lungo e sottile sino al pavimento, dove mette un occhiolino di sole.

 2 La Vergine, seduta sola sul suo sedile, ha ai lati, sui lettucci, Pietro e Giovanni: alla destra Pietro, alla sinistra Giovanni. Mattia, il novello apostolo, è tra Giacomo d'Alfeo e il Taddeo. Davanti a Lei, la Madonna ha un cofano largo e basso di legno scuro, chiuso. Maria è vestita di azzurro cupo. Ha sui capelli il velo bianco e sopra questo il lembo del suo manto. Gli altri sono tutti a capo scoperto.
   Maria legge lentamente a voce alta. Ma, per la poca luce che giunge sin là, io credo che più che leggere Ella ripeta a memoria le parole scritte sul rotolo che Ella tiene spiegato. Gli altri la seguono in silenzio, meditando. Ogni tanto rispondono se ne è il caso.
   Maria ha il viso trasfigurato da un sorriso estatico. Chissà cosa vede di così capace da accenderle gli occhi, come due stelle chiare, e da arrossarle le guance d'avorio, come se su Lei si riflettesse una fiamma rosata? È veramente la mistica Rosa…
   Gli apostoli si sporgono in avanti, stando un poco per sbieco, per vederla in viso mentre così dolcemente sorride e legge, e pare la sua voce un canto d'angelo. E Pietro se ne commuove tanto che due lucciconi gli cascano dagli occhi e per un sentiero di rughe, incise ai lati del suo naso, scendono a perdersi nel cespuglio della barba brizzolata. Ma Giovanni riflette il sorriso verginale e si accende come Lei di amore, mentre segue col suo sguardo ciò che la Vergine legge sul rotolo e, quando le porge un nuovo rotolo, la guarda e le sorride.

   La lettura è finita. Cessa la voce di Maria. Cessa il fruscio delle pergamene svolte e avvolte. Maria si raccoglie in orazione segreta, congiungendo le mani sul petto e appoggiando il capo contro il cofano. Gli apostoli la imitano…

 3 Un rombo fortissimo e armonico, che ha del vento e dell'arpa, che ha del canto umano e della voce di un organo perfetto, risuona improvviso nel silenzio del mattino. Si avvicina, sempre più armonico e più forte, ed empie delle sue vibrazioni la Terra, le propaga e imprime alla casa, alle pareti, alle suppellettili. La fiamma del lampadario, sino allora immobile nella pace della stanza chiusa, palpita come se un vento l'investisse, e le catenelle della lumiera tintinnano vibrando sotto l'onda di suono soprannaturale che le investe.

   Gli apostoli alzano il capo sbigottiti e, come quel fragore bellissimo, in cui sono tutte le note più belle che Dio abbia dato ai Cieli e alla Terra, si fa sempre più vicino, alcuni si alzano pronti a fuggire, altri si rannicchiano al suolo coprendosi il capo con le mani e il manto, o battendosi il petto domandando perdono al Signore, altri ancora si stringono a Maria, troppo spaventati per conservare quel ritegno verso la Purissima che hanno sempre.

   Solo Giovanni non si spaventa, perché vede la pace luminosa di gioia che si accentua sul volto di Maria, che alza il capo sorridendo ad una cosa nota a Lei sola e che poi scivola in ginocchio aprendo le braccia, e le due ali azzurre del suo manto così aperto si stendono su Pietro e Giovanni, che l'hanno imitata inginocchiandosi.
 Ma tutto ciò, che io ho tenuto minuti a descrivere, si è fatto in men di un minuto.

 4 E poi ecco la Luce, il Fuoco, lo Spirito Santo, entrare, con un ultimo fragore melodico, in forma di globo lucentissimo, ardentissimo, nella stanza chiusa, senza che porta o finestra sia mossa, e rimanere librato per un attimo sul capo di Maria, a un tre palmi dalla sua testa, che ora è scoperta, perché Maria, vedendo il Fuoco Paraclito, ha alzato le braccia come per invocarlo e gettato indietro il capo con un grido di gioia, con un sorriso d'amore senza confini. E dopo quell'attimo in cui tutto il Fuoco dello Spirito Santo, tutto l'Amore è raccolto sulla sua Sposa, il Globo Ss. si scinde in tredici fiamme canore e lucentissime, di una luce che nessun paragone terreno può descrivere, e scende a baciare la fronte di ogni apostolo.

   Ma la fiamma che scende su Maria non è una lingua di fiamma dritta sulla fronte che bacia, ma è una corona che abbraccia e cinge come un serto il capo verginale, incoronando Regina la Figlia, la Madre, la Sposa di Dio, l'incorruttibile Vergine, la Tutta Bella, l'eterna Amata e l'eterna Fanciulla che nulla cosa può avvilire e in nulla, Colei che il dolore aveva invecchiata ma che è risorta nella gioia della Risurrezione, avendo in comune col Figlio un accentuarsi di bellezza e di freschezza di carni, di sguardi, di vitalità… avendone già un anticipo della bellezza del suo glorioso Corpo assunto al Cielo ad essere il fiore del Paradiso.

   Lo Spirito Santo rutila le sue fiamme intorno al capo dell'A­mata. Quali parole le dirà? Mistero! Il viso benedetto è trasfigurato di gioia soprannaturale e ride del sorriso dei Serafini, mentre delle lacrime beate sembrano diamanti giù per le gote della Benedetta, percosse come sono dalla luce dello Spirito Santo.
   Il Fuoco rimane così per qualche tempo… E poi dilegua… Della sua discesa resta a ricordo una fragranza che nessun terrestre fiore può sprigionare… Il profumo del Paradiso…

 5 Gli apostoli tornano in loro stessi… Maria resta nella sua estasi. Soltanto si raccoglie le braccia sul petto, chiude gli occhi, abbassa il capo… Continua il suo colloquio con Dio… insensibile a tutto… Nessuno osa turbarla.
   Giovanni, accennandola, dice: «È l'Altare. E sulla sua gloria si è posata la Gloria del Signore…».
   «Sì. Non turbiamo la sua gioia. Ma andiamo a predicare il Signore e siano manifeste le sue opere e le sue parole fra i popoli», dice Pietro con soprannaturale impulsività.
   «Andiamo! Andiamo! Lo Spirito di Dio arde in me», dice Giacomo d'Alfeo.
   «E ci sprona ad agire. Tutti. Andiamo ad evangelizzare le genti».
   Escono, come fossero spinti o attratti da un vento o da una forza gagliarda…
   
*        

 6 Dice Gesù:
 «E qui l'Opera che il mio amore per voi ha dettata, e che voi avete ricevuta per l'amore che una creatura ha avuto per Me e per voi, è finita.
   È finita oggi, commemorazione di Santa Zita da Lucca, umile servente che servì il suo Signore nella carità in questa Chiesa di Lucca, nella quale Io, da luoghi lontani, ho portato il mio piccolo Giovanni perché mi servisse nella carità e con lo stesso amore di S. Zita per tutti gli infelici. Zita dava pane ai poverelli ricordando che in ognuno di essi Io sono e beati saranno, al mio fianco, coloro che avranno dato pane e bevanda a coloro che hanno sete e fame. 
Maria-Giovanni ha dato le mie parole a coloro che languiscono nell'ignoranza o nella tiepidezza o dubbio sulla Fede, ricordando che è detto dalla Sapienza che coloro che si affaticano per far conoscere Iddio splenderanno come stelle nell'eternità, dando gloria al loro Amore col farlo noto e amato, e a molti.

   E ancora è finita oggi, giorno nel quale la Chiesa eleva agli altari il puro giglio dei campi Maria Teresa Goretti, dallo stelo spezzato mentre ancor la corolla era un boccio. E da chi spezzato se non da Satana, invido di quel candore, splendente più del suo antico aspetto d'angelo? Spezzato perché sacro all'Amatore divino. Vergine e martire, Maria, di questo secolo d'infamie, nel quale si vilipende anche l'onore della Donna, sputando la bava dei rettili a negare il potere di Dio di dare una dimora inviolata al suo Verbo incarnantesi per opera di Spirito Santo a salvare coloro che credono in Lui. 
Anche Maria-Giovanni è martire dell'Odio, che non vuole celebrate le mie meraviglie con l'Opera, arma potente a strappargli tante prede. Ma anche Maria-Giovanni sa, come sapeva Maria-Teresa, che il martirio, qualunque nome e aspetto abbia, è chiave per aprire senza indugio il Regno dei Cieli a quelli che lo patiscono per continuare la mia Passione.

 7 L'Opera è finita. E con la sua fine, con la discesa dello Spirito Santo, si conclude il ciclo messianico, che la mia Sapienza ha illuminato dal suo albore: il Concepimento immacolato di Maria, al suo tramonto: la discesa dello Spirito Santo. 
Tutto il ciclo messianico è opera dello Spirito d'Amore, per chi sa ben vedere. Giusto, dunque, iniziarlo col mistero dell'immacolato Concepimento della Sposa dell'Amore e concluderlo con il sigillo di Fuoco Paraclito sulla Chiesa di Cristo.
   Le opere manifeste di Dio, dell'Amore di Dio, hanno fine con la Pentecoste. Da allora in poi continua l'intimo, misterioso operare di Dio nei suoi fedeli, uniti nel Nome di Gesù nella Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana; e la Chiesa, ossia l'adunanza dei fedeli — pastori, pecore e agnelli — può procedere e non errare per la spirituale, continua operazione del­l'Amore, Teologo dei teologi, Colui che forma i veri teologi, che sono coloro che sono persi in Dio ed hanno Dio in loro — la vita di Dio in loro per la direzione dello Spirito di Dio che li conduce — che sono coloro che veramente sono "figli di Dio" secondo il concetto di Paolo.

 
8 E al termine dell'Opera devo mettere ancora una volta il lamento messo alla fine di ogni anno evangelico, e nel mio dolore di veder spregiato il dono mio vi dico: "Non avrete altro, poiché non avete saputo accogliere questo che vi ho dato"
E dico anche ciò che vi feci dire per richiamarvi sulla via retta nella passata estate: "Non mi vedrete finché non venga il giorno nel quale diciate: 'Benedetto colui che viene in nome del Signore'"».
                       
      
Vieni, Spirito Santo, vieni:  per mezzo della potente intercessione del Cuore Immacolato di Maria, tua Sposa amatissima”

Cambiate! Cambiate subito! Subito!

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Eletti, amici cari, lo Spirito scenda su di voi, lo Spirito della Verità che procede dal Padre. Egli vi farà capire molte cose ancora nascoste che vi saranno chiare un po’ alla volta e vi annuncerà le cose che devono accadere, perché voi le annunziate agli altri. Amici cari del Mio Cuore, grandi cose devono accadere in questo tempo. Siate pronti.



Sposa amata, lo Spirito di Verità, che procede dal Padre, farà capire ai Miei amati, alle Mie fedeli spose le cose grandi che ha preparato proprio per questo tempo; crescerà la gioia nel vostro cuore e con essa la pace.

Mi dici: “Dolce Amore, le Tue Parole mi ricolmano di viva gioia, sempre più intensa. Agisci su di noi con la Tua Potenza, con la Tua Infinita Sapienza. Noi, tutti Tuoi, siamo pronti col nostro: “Eccomi” a fare qualunque cosa Tu voglia da noi. Signore adorato, il mondo è ancora incredulo e freddo, il mondo non Ti conosce bene; se Ti conoscesse, Ti amerebbe. Non può accadere che uno conoscendoTi, anche solo un poco, non giunga ad amarTi perdutamente; proprio in questo tempo vuoi farTi conoscere di più. I Tuoi piccoli più piccoli, stretti alla Madre del Cielo, proprio altro desiderio non hanno che quello di amarTi sempre più, di fare la Tua sublime Volontà, di testimoniarTi nel mondo perché creda e la vita di ogni uomo divenga un soave canto d’amore volto a Te ed il cuore sia sempre in umile adorazione”.

Sposa amata, se il mondo non Mi conosce ancora non è perché Io, Io, Gesù, non abbia concesso le Grazie di conoscerMi, ma perché non ha avuto interesse ad approfondire la Mia conoscenza. Sappi, sposa amata che Io, Io, Gesù, non Mi dono a chi non Mi apre il cuore per accoglierMi: non voglio essere amato per forza.

Mi dici: “Dolcissimo Amore, con pena profonda penso a tutti coloro che non si impegnano a conoscerTi sempre di più per servirTi meglio: quale fine sarà la loro? Che conclusione avrà la loro esistenza terrena e poi quella ultraterrena? Sono molti che dicono e ripetono: “Credo nel nulla eterno”. Adorato Gesù, questa frase, pronunciata troppo spesso nel tempo presente, è come una freccia infuocata che mi colpisce il cuore. Mi chiedo come possa essere accaduto questo nelle menti e nei cuori di molti, di giungere, cioè, a tale rovina interiore. Capisco, Dolce Amore, capisco che il nemico si è scatenato con la sua furia proprio su questa presente generazione: i giovani del presente stanno attraversando una grave crisi. Essi sono la società del domani; ma quale orrenda società si prepara? Mi sentirei assai triste a questo pensiero, se non andassi alle Tue sublimi Promesse: “Farò una terra nuova, un nuovo Cielo, una nuova Creazione. Questa non sarà opera di uomo, ma Opera Mia, Opera di Dio”. Queste Tue sublimi Parole mi tolgono la tristezza e mi riempiono di grande speranza. L’uomo senza fede, che vede ciò che sta accadendo, dice, sospirando: “Come sarà il futuro? Certo, cupo, certo, catastrofico, certo, da apocalisse”. Dice questo e sente venire meno la speranza; ma l’uomo che ha fede, immerso nel Tuo Oceano d’Amore, vede ogni cosa e pensa con gioia viva: “C’è Gesù! Certo, Egli non vuole la distruzione del mondo, ma lo rinnoverà: il Suo Spirito renderà nuove tutte le cose”. Questo pensa, Gesù, l’uomo che ha fede in Te e, ad occhi chiusi, si getta tra le Tue Braccia, come fa il bimbo tra quelle del padre: forse che egli ha paura a gettarsi verso il padre che lo chiama a sé? No, certo! Chiude gli occhi e si getta sorridendo. Gesù adorato, mi dici che non vuoi essere amato da chi non desidera farlo. Ti supplico, Dolce Amore, concedi ancora le Grazie che trasformino i cuori di pietra in cuori di carne. Chi non Ti ama, pur avendoTi conosciuto, ha un cuore come un macigno. Non si può conoscerTi anche solo un po’, senza amarTi perdutamente ed ardere dal desiderio di approfondire la Tua conoscenza. Certo, nel pensiero viene la figura di Giuda che, pur conoscendoTi da vicino, non Ti ha amato, Ti ha tradito; ma su questo pensiero non voglio indugiare neppure per un istante, perché la mente si rifiuta di accoglierlo. Gesù adorato, Gesù, Amore Infinito, Gesù, Delizia di ogni anima, non riuscirò mai a capire come un cuore umano possa concepire l’idea di Giuda: solo un nemico terribile, entrato in esso, può averlo influenzato. Gesù adorato, venga presto il tempo nel quale il nemico sia cacciato ed ogni uomo possa fare della sua vita un canto d’amore per Te, Gesù, Delizia Infinita di ogni anima”.

Sposa amata, l’uomo può sempre scegliere per il Bene o per il male; se fa questa seconda scelta, non è più lui che agisce, ma il nemico che si è infilato nel suo cuore come serpe, pronta ad inoculare il suo veleno. Chi liberamente ha scelto la via del male ne diviene schiavo; lo Spirito Santo non può più operare su di lui. Amata sposa, ricorda le Mie Parole dette negli intimi colloqui: “Quando l’ultimo avrà fatto la sua libera scelta, tutto accadrà, improvvisamente”. Ti dico, Ti ripeto che questo tempo è prossimo. Il mondo ribelle non avrà il Dono dello Spirito Santo, se non lascia la sua ribellione; ma gli umili, i docili, gli obbedienti alle Mie Leggi sentiranno in sé un nuovo vigore, vivranno in una nuova Luce, sempre più fulgida. Lo Spirito scenderà sui Miei ardenti adoratori e li renderà forti e vigorosi, come fiori bagnati dalla rugiada.

Mi dici: “Dolce Amore, Santissimo Gesù, vogliamo vivere dello Spirito. Vogliamo noi, i Tuoi piccoli più piccoli, camminare secondo lo Spirito”.

Sposa amata, così sia. Resta felice nel Mio Cuore. Scenda su di te il Consolatore Perfetto, l’Ospite dolce dell’anima. Ti amo.
Vi amo.

                                                                                              Gesù


Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi


31.05.09


La Mamma parla agli eletti



Figli cari e tanto amati, procedete con gioia nel cammino di Luce. Gesù vi ama teneramente e non vi fa mancare le Grazie per giungere al traguardo. Accogliete il Dono dello Spirito Santo che viene su di voi e vi prepara agli eventi che devono accadere. Figli amati, chi ha lo Spirito Santo, Che opera nel suo essere, ha tutto e non manca di nulla: vede i segni, comprende alla Luce Divina e procede felicemente verso il grande traguardo, che Dio ha preparato per quelli che sono umili e docili alla Sua Volontà. Vi prego, figli cari, permettete allo Spirito d’Amore, permetteteGli di plasmarvi a modo Suo; non opponete resistenze, ma siate docili, docili alla Sua Opera!

Mi dice la Mia piccola: “Madre amata, Tu sei il Tabernacolo dello Spirito Santo, sei la Dolce Madre nostra Che veglia sul cammino dei Suoi figli. Facci simili a Te in tutto. Vogliamo fermamente essere plasmati dallo Spirito Santo, come lo fosTi Tu, Madre Dolce, come furono plasmati i primi discepoli che testimoniarono con coraggio la loro fede e non furono timorosi. Siamo tutti intorno a Te, Madre Ti facciamo corona, come stelle che vogliono brillare della Tua Stessa Luce: figli docili ed obbedienti, simili in tutto alla Meravigliosa Madre”.

Miei piccoli, Gesù è qui davanti a Me, sente le vostre parole e legge le intenzioni che avete. Figli amati, vedo che alza la Mano per benedirvi tutti, uno ad uno, e vi prepara a vivere già in terra un anticipo di Paradiso. Vedete perché vi invito alla gioia ed a bandire la tristezza, anche se i problemi si sono moltiplicati e le difficoltà non mancano? Siate forti, figli amati, siate grandi nell’amore, siate i veri ed arditi testimoni di Gesù. Il Suo Sguardo vi abbraccia tutti: avrete le Grazie per perseverare fino alla fine; lo Spirito vi farà sempre più forti, pronti ad affrontare il futuro, qualunque cosa accada. Sono Felice per i figli docili ed obbedienti. Il Mio Cuore trabocca di Felicità per le belle scelte dei Miei cari figli, ma sono molto triste e preoccupata per quelli che non vogliono aprirsi a Dio, benché scendano copiose le Grazie di salvezza. Voglio dire a questi figli, che pur tanto amo: guardate come scorre rapido il tempo, guardate come le stagioni si alternano. Vi ho già parlato a lungo del tempo, del suo significato, della sua preziosità; voi, però, non avete ascoltato le Mie Parole, non osservate come tutto sta mutando, non avete attenzione ai segni, le Parole di Dio non penetrano nei vostri cuori. Vi ho chiamati a conversione; ma voi siete tanto freddi! Alcuni di voi sono come quei grossi macigni che nessuno riesce a smuovere, anche usando potenti leve. Voi non volete convertirvi e ripetete frasi dure a Dio. Ancora vi chiedo di cambiare, ancora vi chiamo, perché Dio Me lo permette; ma vi chiedete quanto tempo ancora avete? Non volete comprendere che il tempo non vi appartiene e che vi può essere tolto da un momento all’altro. Figli amati, Dio vi ha posto vicino degli angeli per aiutarvi. Voi li avete al vostro fianco, ma non ve ne accorgete; le Grazie che Dio vi concede, le ignorate! Quale sarà la vostra fine, se continuate così? Figli, Dio vi vuole salvare, ma voi rifiutate. Cambiate! Cambiate subito! Subito! Insieme a Me, intonate il canto d’amore a Gesù, Egli è grande nell’Amore e lento all’Ira: vi concederà le Grazie che servono. Adoriamo, adoriamo, adoriamo! Vi amo tutti.
Ti amo, angelo Mio.

                                                                                              Maria Santissima

AMDG et DVM

venerdì 12 gennaio 2018

Se ci fanno un dono e noi non sappiamo accoglierlo con mente e cuore, fanno bene a non farcene più

Vieni, Spirito Santo, vieni…


640. La discesa dello Spirito Santo. 
Fine del ciclo messianico. 
Mc 16, 20; Atti 2, 1-4 


Non ci sono voci e rumori nella casa del Cenacolo. Non c’è presenza di discepoli, almeno io non sento nulla che mi autorizzi a dire che in altri ambienti della casa siano raccolte delle persone. Ci sono soltanto la presenza e le voci dei Dodici e di Maria Ss., raccolti nella sala della Cena. 

Sembra più ampia la stanza, perché le suppellettili, messe diversamente, lasciano libero tutto il centro della stanza e anche due delle pareti. Contro la terza è spinto il tavolone usato per la Cena, e fra esso e il muro, e anche ai due dei lati più stretti del tavolo, sono messi i sedili-lettucci usati nella Cena e lo sgabello usato da Gesù per la lavanda dei piedi. Però non sono, questi lettucci, messi verticalmente alla tavola, come per la Cena, ma parallelamente, di modo che gli apostoli possono stare seduti senza occuparli tutti, pur lasciando un sedile, l’unico messo verticale rispetto alla tavola, tutto per la Vergine benedetta, che è al centro della tavola, al posto che nella Cena occupava Gesù. 

La tavola è nuda di tovaglie e stoviglie, nude le credenze, denudati i muri dei loro ornamenti. Solo il lampadario arde al centro, ma con la sola fiamma centrale accesa; l’altro giro di fiammelle che fanno da corolla al bizzarro lampadario sono spente. Le finestre sono chiuse e sbarrate dalla pesante sbarra di ferro che le traversa. Ma un raggio di sole si infiltra baldanzoso da un forellino e scende come un ago lungo e sottile sino al pavimento, dove mette un occhiolino di sole. 

La Vergine, seduta sola sul suo sedile, ha ai lati, sui lettucci, Pietro e Giovanni: alla destra Pietro, alla sinistra Giovanni. Mattia, il novello apostolo, è tra Giacomo d’Alfeo e il Taddeo. Davanti a Lei, la Madonna ha un cofano largo e basso di legno scuro, chiuso. Maria è vestita di azzurro cupo. Ha sui capelli il velo bianco e sopra questo il lembo del suo manto. Gli altri sono tutti a capo scoperto. 

Maria legge lentamente a voce alta. Ma, per la poca luce che giunge sin là, io credo che più che leggere Ella ripeta a memoria le parole scritte sul rotolo che Ella tiene spiegato. Gli altri la seguono in silenzio, meditando. Ogni tanto rispondono se ne è il caso. 

Maria ha il viso trasfigurato da un sorriso estatico. Chissà cosa vede di così capace da accenderle gli occhi, come due stelle chiare, e da arrossarle le guance d’avorio, come se su Lei si riflettesse una fiamma rosata? È veramente la mistica Rosa... 

Gli apostoli si sporgono in avanti, stando un poco per sbieco, per vederla in viso mentre così dolcemente sorride e legge, e pare la sua voce un canto d’angelo. E Pietro se ne commuove tanto che due lucciconi gli cascano dagli occhi e per un sentiero di rughe, incise ai lati del suo naso, scendono a perdersi nel cespuglio della barba brizzolata. Ma Giovanni riflette il sorriso verginale e si accende come Lei di amore, mentre segue col suo sguardo ciò che la Vergine legge sul rotolo e, quando le porge un nuovo rotolo, la guarda e le sorride.  La lettura è finita. Cessa la voce di Maria. Cessa il fruscio delle pergamene svolte e avvolte. Maria si raccoglie in orazione segreta, congiungendo le mani sul petto e appoggiando il capo contro il cofano. Gli apostoli la imitano... 

Un rombo fortissimo e armonico, che ha del vento e dell’arpa, che ha del canto umano e della voce di un organo perfetto, risuona improvviso nel silenzio del mattino. Si avvicina, sempre più armonico e più forte, ed empie delle sue vibrazioni la Terra, le propaga e imprime alla casa, alle pareti, alle suppellettili. La fiamma del lampadario, sino allora immobile nella pace della stanza chiusa, palpita come se un vento l’investisse, e le catenelle della lumiera tintinnano vibrando sotto l’onda di suono soprannaturale che le investe. 

Gli apostoli alzano il capo sbigottiti e, come quel fragore bellissimo, in cui sono tutte le note più belle che Dio abbia dato ai Cieli e alla Terra, si fa sempre più vicino, alcuni si alzano pronti a fuggire, altri si rannicchiano al suolo coprendosi il capo con le mani e il manto, o battendosi il petto domandando perdono al Signore, altri ancora si stringono a Maria, troppo spaventati per conservare quel ritegno verso la Purissima che hanno sempre. 

Solo Giovanni non si spaventa, perché vede la pace luminosa di gioia che si accentua sul volto di Maria, che alza il capo sorridendo ad una cosa nota a Lei sola e che poi scivola in ginocchio aprendo le braccia, e le due ali azzurre del suo manto così aperto si stendono su Pietro e Giovanni, che l’hanno imitata inginocchiandosi. Ma tutto ciò, che io ho tenuto minuti a descrivere, si è fatto in men di un minuto. 

E poi ecco la Luce, il Fuoco, lo Spirito Santo, entrare, con un ultimo fragore melodico, in forma di globo lucentissimo, ardentissimo, nella stanza chiusa, senza che porta o finestra sia mossa, e rimanere librato per un attimo sul capo di Maria, a un tre palmi dalla sua testa, che ora è scoperta, perché Maria, vedendo il Fuoco Paraclito, ha alzato le braccia come per invocarlo e gettato indietro il capo con un grido di gioia, con un sorriso d’amore senza confini. E dopo quell’attimo in cui tutto il Fuoco dello Spirito Santo, tutto l’Amore è raccolto sulla sua Sposa, il Globo Ss. si scinde in tredici fiamme canore e lucentissime, di una luce che nessun paragone terreno può descrivere, e scende a baciare la fronte di ogni apostolo. 

Ma la fiamma che scende su Maria non è una lingua di fiamma dritta sulla fronte che bacia, ma è una corona che abbraccia e cinge come un serto il capo verginale, incoronando Regina la Figlia, la Madre, la Sposa di Dio, l’incorruttibile Vergine, la Tutta Bella, l’eterna Amata e l’eterna Fanciulla che nulla cosa può avvilire e in nulla, Colei che il dolore aveva invecchiata ma che è risorta nella gioia della Risurrezione, avendo in comune col Figlio un accentuarsi di bellezza e di freschezza di carni, di sguardi, di vitalità... avendone già un anticipo della bellezza del suo glorioso Corpo assunto al Cielo ad essere il fiore del Paradiso. 

Lo Spirito Santo rutila le sue fiamme intorno al capo dell’Amata. Quali parole le dirà? Mistero! Il viso benedetto è trasfigurato di gioia soprannaturale e ride del sorriso dei Serafini, mentre delle lacrime beate sembrano diamanti giù per le gote della Benedetta, percosse come sono dalla luce dello Spirito Santo. Il Fuoco rimane così per qualche tempo... E poi dilegua... Della sua discesa resta a ricordo una fragranza che nessun terrestre fiore può sprigionare... Il profumo del Paradiso... 

Gli apostoli tornano in loro stessi... Maria resta nella sua estasi. Soltanto si raccoglie le braccia sul petto, chiude gli occhi, abbassa il capo... Continua il suo colloquio con Dio... insensibile a tutto... Nessuno osa turbarla. 

Giovanni, accennandola, dice: «È l’Altare. E sulla sua gloria si è posata la Gloria del Signore...». 
«Sì. Non turbiamo la sua gioia. Ma andiamo a predicare il Signore e siano manifeste le sue opere e le sue parole fra i popoli», dice Pietro con soprannaturale impulsività.
 «Andiamo! Andiamo! Lo Spirito di Dio arde in me», dice Giacomo d’Alfeo. «E ci sprona ad agire. Tutti. Andiamo ad evangelizzare le genti». Escono, come fossero spinti o attratti da un vento o da una forza gagliarda... 


 Dice Gesù: 

«E qui l’Opera che il mio amore per voi ha dettata, e che voi avete ricevuta per l’amore che una creatura ha avuto per Me e per voi, è finita. 

È finita oggi, commemorazione di Santa Zita da Lucca (vergine lucchese del 13° secolo, domestica e patrona delle domestiche, molto venerata a Lucca che ne celebra la festa il 27 aprile), umile servente che servì il suo Signore nella carità in questa Chiesa di Lucca, nella quale Io, da luoghi lontani, ho portato il mio piccolo Giovanni perché mi servisse nella carità e con lo stesso amore di S. Zita per tutti gli infelici. Zita dava pane ai poverelli ricordando che in ognuno di essi Io sono e beati saranno, al mio fianco, coloro che avranno dato pane e bevanda a coloro che hanno sete e fame. Maria-Giovanni ha dato le mie parole a coloro che languiscono nell’ignoranza o nella tiepidezza o dubbio sulla Fede, ricordando che è detto dalla Sapienza che coloro che si affaticano per far conoscere Iddio splenderanno come stelle nell’eternità, dando gloria al loro Amore col farlo noto e amato, e a molti. (Sapienza 3, 1-9; Daniele 12, 3-4.) 

E ancora è finita oggi, giorno nel quale la Chiesa eleva agli altari il puro giglio dei campi Maria Teresa Goretti (martire della purezza [1890-1902], beatificata il 27 aprile 1947 e canonizzata nel 1950), dallo stelo spezzato mentre ancor la corolla era un boccio. E da chi spezzato se non da Satana, invido di quel candore, splendente più del suo antico aspetto d’angelo? Spezzato perché sacro all’Amatore divino. Vergine e martire, Maria, di questo secolo d’infamie, nel quale si vilipende anche l’onore della Donna, sputando la bava dei rettili a negare il potere di Dio di dare una dimora inviolata al suo Verbo incarnantesi per opera di Spirito Santo a salvare coloro che credono in Lui. Anche Maria-Giovanni è martire dell’Odio, che non vuole celebrate le mie meraviglie con l’Opera, arma potente a strappargli tante prede. Ma anche Maria-Giovanni sa, come sapeva Maria-Teresa, che il martirio, qualunque nome e aspetto abbia, è chiave per aprire senza indugio il Regno dei Cieli a quelli che lo patiscono per continuare la mia Passione. 
L’Opera è finita. (Ma non sono finite le “visioni” e i “dettati” fuori del ciclo messianico dichiarato concluso con la discesa dello Spirito Santo. Perciò saranno messi, a completamento dell’Opera, altri scritti, ad essa pertinenti, di vari anni e soprattutto del 1951. Di conseguenza, il Commiato all’Opera, scritto il 28 aprile 1947 e che sui quaderni autografi segue immediatamente il presente “dettato”, sarà riportato al termine del completamento dell’Opera). E con la sua fine, con la discesa dello Spirito Santo, si conclude il ciclo messianico, che la mia Sapienza ha illuminato dal suo albore: il Concepimento immacolato di Maria, al suo tramonto: la discesa dello Spirito Santo. Tutto il ciclo messianico è opera dello Spirito d’Amore, per chi sa ben vedere. Giusto, dunque, iniziarlo col mistero dell’immacolato Concepimento della Sposa dell’Amore e concluderlo con il sigillo di Fuoco Paraclito sulla Chiesa di Cristo. 

Le opere manifeste di Dio, dell’Amore di Dio, hanno fine con la Pentecoste. Da allora in poi continua l’intimo, misterioso operare di Dio nei suoi fedeli, uniti nel Nome di Gesù nella Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana; e la Chiesa, ossia l’adunanza dei fedeli - pastori, pecore e agnelli - può procedere e non errare per la spirituale, continua operazione dell’Amore, Teologo dei teologi, Colui che forma i veri teologi, che sono coloro che sono persi in Dio ed hanno Dio in loro - la vita di Dio in loro per la direzione dello Spirito di Dio che li conduce - che sono coloro che veramente sono “figli di Dio” secondo il concetto di Paolo. (Espresso in: Romani 8, 14-17). 

E al termine dell’Opera devo mettere ancora una volta il lamento messo alla fine di ogni anno evangelico (cioè al Vol 2 Cap 140, al Vol 5 Cap 312 e al Vol 8 Cap 540) , e nel mio dolore di veder spregiato il dono mio vi dico: “Non avrete altro, poiché non avete saputo accogliere questo che vi ho dato”. E dico anche ciò che vi feci dire per richiamarvi sulla via retta nella passata estate: (precisamente il 21-5-46, data inserita a questo punto da MV e che si riferisce ad un “dettato” riportato nel volume “I quaderni dal 1945 al 1950”) “Non mi vedrete finché non venga il giorno nel quale diciate: ‘Benedetto colui che viene in nome del Signore’ ”». 

 Finita l’Opera oggi 27 aprile 1947 Viareggio – 
Via Fratti 113 ?(257) = Maria Valtorta

“Non mi vedrete finché non venga il giorno nel quale diciate: ‘Benedetto colui che viene in nome del Signore’ ”
Bene. QUEL giorno s'avvicina