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sabato 25 ottobre 2014

"... Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». / Domenica 26 Ottobre 2014, XXX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 26 Ottobre 2014, XXX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 22,34-40.

Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "l'Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 9 Capitolo 596 pagina 387.

1Gesù entra nel Tempio ancor più affollato che nei giorni precedenti. È tutto bianco oggi, nella sua veste di lino. È una giornata afosa. Va ad adorare nell’atrio degli Israeliti e poi va ai portici, seguito da un codazzo di gente, mentre altra ha già preso le migliori posizioni sotto i porticati, e la maggioranza sono gentili che, non potendo andare oltre il primo cortile, oltre il portico dei Pagani, hanno approfittato del fatto che gli ebrei hanno seguito il Cristo per prendere posizioni di favore. 

Ma un gruppo ben numeroso di farisei li scompagina: sono sempre arroganti ad un modo, e si fanno largo con prepotenza per accostarsi a Gesù curvo su di un malato. Attendono che lo abbia guarito, poi gli mandano vicino uno scriba perché lo interroghi. Veramente fra loro c’era stata prima una breve disputa, perché Gioele detto Alamot voleva andare lui ad interrogare il Maestro. Ma un fariseo si oppone e gli altri lo sostengono dicendo: «No. Ci è noto che tu parteggi per il Rabbi, benché tu lo faccia segretamente. Lascia andare Uria...». «Uria no», dice un altro giovane scriba che non conosco affatto. «Uria è troppo aspro nel suo parlare. Ecciterebbe la folla. Vado io». E, senza ascoltare più le proteste degli altri, va vicino al Maestro proprio nel momento che Gesù congeda il malato dicendogli: «Abbi fede. Sei guarito. La febbre e il dolore non torneranno mai più».

2«Maestro, quale è il maggiore dei comandamenti della Legge?». Gesù, che lo aveva alle spalle, si volta e lo guarda. Una luce tenue di sorriso gli illumina il volto, e poi alza il capo, essendo a capo chino perché lo scriba è di bassa statura e per di più sta curvo in atto di ossequio, e gira lo sguardo sulla folla, lo appunta sul gruppo dei farisei e dottori e scorge il viso pallido di Gioele seminascosto dietro un grosso e impaludato fariseo. Il suo sorriso si accentua. È come una luce che vada a carezzare lo scriba onesto. Poi riabbassa il capo guardando il suo interlocutore e gli risponde: «Il primo di tutti i comandamenti è: “Ascolta, o Israele: il Signore Dio nostro è l’unico Signore. Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze”. Questo è il primo e supremo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non vi sono comandamenti maggiori di questi. Essi rinchiudono tutta la Legge e i Profeti».

 «Maestro, Tu hai risposto con sapienza e con verità. Così è. Dio è Unico e non vi è altro dio fuori che Lui. Amarlo con tutto il proprio cuore, con tutta la propria intelligenza, con tutta l’anima e tutte le forze, e amare il prossimo come se stesso, vale molto più di ogni olocausto e sacrificio. Molto lo penso quando medito le parole davidiche: “A Te non piacciono gli olocausti; il sacrificio a Dio è lo spirito compunto”». «Tu non sei lontano dal Regno di Dio, perché hai compreso quale sia l’olocausto che è gradito a Dio». «Ma quale è l’olocausto maggiormente perfetto?», chiede svelto, a bassa voce, lo scriba, come se dicesse un segreto.

 Gesù raggia d’amore lasciando cadere questa perla nel cuore di costui che si apre alla sua dottrina, alla dottrina del Regno di Dio, e dice, curvo su lui: «L’olocausto perfetto è amare come noi stessi coloro che ci perseguitano e non avere rancori. Chi fa questo possederà la pace. È detto: i mansueti possederanno la terra e godranno dell’abbondanza della pace. In verità ti dico che colui che sa amare i suoi nemici raggiunge la perfezione e possiede Dio».

3Lo scriba lo saluta con deferenza e se ne torna al suo gruppo, che lo rimprovera sottovoce di aver lodato il Maestro, e con ira gli dicono: «Che gli hai chiesto in segreto? Sei anche tu, forse, sedotto da Lui?». «Ho sentito lo Spirito di Dio parlare sulle sue labbra». «Sei uno stolto. Lo credi forse tu il Cristo?». «Lo credo». «In verità fra poco vedremo vuote le nostre scuole dei nostri scribi ed essi andar raminghi dietro quell’Uomo! Ma dove vedi, in Lui, il Cristo?». «Dove non so. So che sento che è Lui». «Pazzo!», gli voltano inquieti le spalle. Gesù ha osservato il dialogo e, quando i farisei gli passano davanti in gruppo serrato per andarsene inquieti, li chiama dicendo: «Ascoltatemi. Voglio chiedervi una cosa. Secondo voi, che ve ne pare del Cristo? Di chi è figlio?». «Sarà figlio di Davide», gli rispondono marcando il “sarà”, perché vogliono fargli capire che, per loro, Egli non è il Cristo. «E come dunque Davide, ispirato da Dio, lo chiama “Signore” dicendo: “Il Signore ha detto al mio Signore: ‘Siedi alla mia destra fino a che non avrò messo i tuoi nemici a sgabello ai tuoi piedi’ ”? Se dunque Davide chiama il Cristo “Signore”, come il Cristo può essergli figlio?». Non sapendo cosa rispondergli, si allontanano ruminando il loro veleno. 

4Gesù si sposta dal luogo dove era, tutto invaso dal sole, per andare più oltre, dove sono le bocche del tesoro, presso la sala del gazofilacio. Questo lato, ancora in ombra, è occupato da rabbi che concionano con grandi gesti rivolti ai loro ascoltatori ebrei, che aumentano sempre più come, col passar delle ore, aumenta di continuo la gente che affluisce al Tempio. I rabbi si sforzano di demolire coi loro discorsi gli insegnamenti che il Cristo ha dato nei giorni precedenti o quella stessa mattina. E sempre più alzano la voce più vedono aumentare la folla dei fedeli. Il luogo, infatti, benché vasto tanto, formicola di persone che vanno e vengono in ogni senso...
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

giovedì 18 settembre 2014

Col patire si distingue la paglia dal grano


Caritas patiens est.
L'anima che ama Gesù Cristo ama il patire.

1. Questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patimenti. La patria nostra, ove Dio ci ha preparato il riposo in un gaudio eterno, è il paradiso. In questo mondo poco tempo abbiamo da starvi; ma in questo poco tempo molti sono i travagli che abbiamo da soffrire. Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis (Iob. XIV, 1). 

Si ha da patire, e tutti han da patire: siano giusti, siano peccatori, ognuno ha da portar la sua croce. Chi la porta con pazienza si salva, chi la porta con impazienza si perde. Le stesse miserie, dice S. Agostino, mandano altri al paradiso, altri all'inferno: Una eademque tunsio bonos perducit ad gloriam, malos reducit in favillam. Colla pruova del patire, dice lo stesso santo, si distingue la paglia dal grano nella chiesa di Dio: chi nelle tribolazioni si umilia e si rassegna al divino volere è grano per lo paradiso; chi s'insuperbisce e si adira, e perciò lascia Dio, è paglia per l'inferno.


2. Nel giorno in cui avrà da giudicarsi la causa della nostra salute, per aver la sentenza felice de' predestinati, la nostra vita dovrà trovarsi uniforme alla vita di Gesù Cristo: Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Rom. VIII, 29). Questo fu il fine per cui l'Eterno Verbo discese in terra, per insegnarci col suo esempio a portare con pazienza le croci che Dio ci manda: Christus passus est pro vobis, scrisse S. Pietro, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius (I Petr. II, 21). Sicchè Gesù Cristo volle patire per animarci a patire. 

— Oh Dio! qual fu la vita di Gesù Cristo? Vita d'ignominie e di pene. Il Profeta chiamò il nostro Redentore: Despectum, novissimum virorum, virum dolorum (Is. LIII, 3): l'uomo disprezzato e trattato come l'ultimo, il più vile di tutti gli uomini, l'uomo de' dolori; sì, perchè la vita di Gesù Cristo fu tutta piena di travagli e di dolori...


mercoledì 17 settembre 2014

Questo capitolo è d'oro puro. Caritas patiens est, benigna est: caritas non aemulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum, non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati: omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet.


CAPITOLO IV
Quanto noi siamo obbligati
ad amar Gesù Cristo.

1. Gesù Cristo come Dio merita per sè da noi tutto l'amore; ma egli, coll'amore che ci ha dimostrato, ha voluto metterci per così dire in necessità di amarlo almeno per gratitudine di quanto ha fatto e patito per noi. Egli ci ha amati assai per esser assai da noi amato. Ad quid amat Deus, nisi ut ametur?scrisse S. Bernardo. E prima lo disse Mosè: Et nunc, Israel, quid Dominus Deus petit a te, nisi ut timeas Dominum Deum tuum... et diligas eum? (Deut. X, 12). Perciò il primo precetto ch'egli ci diede fu questo: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo (Deut. VI, 5).

2. E dice S. Paolo che l'amore è la pienezza della legge: Plenitudo legis est dilectio (Rom. XIII, 10). Plenitudo, dice il testo greco complexio legis, il compimemto della legge è l'amore. Ma chi mai, a vista d'un Dio crocifisso che muore per amore nostro, potrà resistere a non amarlo? Troppo gridano quelle spine, quei chiodi, quella croce, quelle piaghe e quel sangue, cercando da noi che amiamo chi ci ha tanto amato. È troppo poco un cuore per amar questo Dio così innamorato di noi. Per compensar l'amore di Gesù Cristo, bisognerebbe che un altro Dio morisse per suo amore. «Ah perchè, esclamava S. Francesco di Sales, non ci gettiamo sovra di Gesù crocifisso per morir sulla croce con colui che ha voluto morirvi per amore di noi?» Ben ci fa sapere l'Apostolo che Gesù Cristo a questo fine ha voluto morire per tutti noi, acciocchè tutti non viviamo più a noi, ma solo a quel Dio che per noi è morto: Pro nobis mortuus est Christus, ut et qui vivunt iam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis mortuus est (II Cor. V, 15).

3. Qui fa quello che raccomanda l'Ecclesiastico: Gratiam fideiussoris ne obliviscaris, dedit enim pro te animam suam (Eccli. XXIX, 20). Non ti dimenticare del tuo mallevadore che, per soddisfare i tuoi peccati, ha voluto pagare colla sua morte la pena da te dovuta. — Oh quanto gradisce Gesù Cristo che noi spesso ci ricordiamo della sua Passione! e quanto gli rincresce che noi trascuriamo di pensarci! Se uno patisse per un suo amico ingiurie, percosse e carceri, quanto si affliggerebbe in saper che l'amico niente poi se ne ricorda, e neppure vuol sentirne parlare! All'incontro quanto gradirebbe il saper che l'amico sempre ne parla con tenerezza, e sempre ne lo ringrazia! Così Gesù Cristo molto si compiace che noi ci ricordiamo con riconoscenza d'amore de' suoi dolori e della morte che per noi sofferse.
Gesù Cristo è stato il desiderio di tutti gli antichi padri, egli è stato il desiderio di tutte le genti, quando ancora non era venuto in questa terra. Or quanto più egli dee esser l'unico nostro desiderio ed unico nostro amore, ora che il vediamo già venuto, e sappiamo quanto ha fatto ed ha patito per noi, sino a morir crocifisso per nostro amore?

4. A questo fine egli istituì il sagramento dell'Eucaristia nel giorno antecedente alla sua morte, e ci raccomandò che semprechè ci fossimo cibati delle sue carni sagrosante, ci fossimo ricordati della sua morte: Accipite et manducate: hoc est corpus meum...: hoc facite in meam commemorationem etc. Quotiescumque enim manducabitis panem hunc... mortem Domini annuntiabitis (I Cor. XI, 24 et 26). Quindi poi la S. Chiesa prega: Deus qui nobis sub Sacramento mirabili Passionis tuae memoriam reliquisti etc. Ed inoltre canta: O sacrum convivium, in quo Christus sumitur, recolitur memoria Passionis eius etc. Da ciò argomentiamo quanto gradisce Gesù Cristo coloro che spesso pensano alla sua Passione, giacchè a posta si è lasciato sagramentato sugli altari, affinchè noi avessimo continua e grata memoria di quel che ha patito per noi, e così sempre crescesse in noi l'amore verso di lui. S. Francesco di Sales chiamava il monte Calvario, il monte degli amanti. Non è possibile ricordarsi di quel monte e non amar Gesù Cristo che volle ivi morire per nostro amore.

5. Oh Dio, e perchè gli uomini non amano questo Dio che tanto ha fatto per essere amato dagli uomini! Prima dell'Incarnazione del Verbo potea dubitare l'uomo se Dio lo amasse con vero amore; ma dopo la venuta del Figlio di Dio, e dopo essere egli morto per amore degli uomini, come mai possiamo più dubitarne? Uomo, dice S. Tommaso da Villanova, guarda quella croce, quei dolori e quella morte acerba che per te ha sofferta Gesù Cristo: dopo tali e tanti testimoni del suo amore non puoi aver più dubbio ch'egli t'ama e t'ama assai: Testis crux, testes dolores, testis amara mors quam pro te sustinuit.E S. Bernardo dice che grida la croce ed ogni piaga del nostro Redentore per farci intendere l'amore che ci porta.

6. In questo gran mistero della Redenzione umana bisogna considerare il pensiero e la premura ch'ebbe Gesù Cristo di trovar diverse maniere per farsi da noi amare. Se voleva egli morire per salvarci, bastava che morisse insieme cogli altri bambini uccisi da Erode; ma no, volle prima di morire fare per 33 anni una vita piena di stenti e di pene, ed in questa sua vita, per tirarci ad amarlo, volle a noi comparire in tante sembianze diverse. Prima si fe' vedere nato da povero bambino in una stalla, poi da garzoncello in una bottega, e finalmente da reo giustiziato su d'una croce. Ma prima di morire in croce volle prendere altre diverse sembianze compassionevoli, e tutte per farsi amare: volle farsi vedere nell'orto agonizzante e tutto bagnato di sudore di sangue: di poi nel pretorio di Pilato lacerato da' flagelli: di poi trattato da re di scena con una canna in mano, uno straccio purpureo sulle spalle ed una corona di spine sulla testa: indi in mezzo alla via pubblica strascinato alla morte colla croce sulle spalle: e finalmente sul Calvario appeso a tre uncini di ferro. Merita o no di essere da noi amato un Dio che ha voluto soffrir tante pene e praticar tanti modi per cattivarsi il nostro amore? Diceva il P. Giovanni Rigoleu: «Io non farei altro che piangere d'amore per un Dio condotto dall'amore a morire per la salute degli uomini».

7. Magna res amor, dice S. Bernardo (Ser. 83 in Cant.). Gran cosa, preziosa cosa è l'amore. Parlando Salomone della divina sapienza, ch'è la santa carità, la chiamò tesoro infinito, poichè chi ha la carità è fatto partecipe dell'amicizia di Dio: Infinitus enim thesaurus est hominibus, quo qui usi sunt participes facti sunt amicitiae Dei (Sap. VII, 14). Dice S. Tommaso l'Angelico (Tr. de virt. a. 3) che la carità non solo è la regina di tutte le virtù, ma è quella che dove regna trae seco tutte le altre virtù come in suo corteggio, e tutte le indrizza a più unirci con Dio; ma la carità propriamente è quella che con Dio ci unisce, come dice S. Bernardo: Caritas est virtus coniungens nos Deo. E ben più volte sta espresso nelle sagre Scritture che Dio ama chi l'ama: Ego diligentes me diligo (Prov. VIII, 17). Si quis diligit me... Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus (Io. XIV, 23). Qui manet in caritate in Deo manet et Deus in eo (I Io. IV, 16). Ecco la bella unione che opera la carità: unisce l'anima con Dio. — Inoltre l'amore dà forza di fare e patire ogni gran cosa per Dio. Fortis ut mors dilectio (Cant. VIII, 6). Scrive S. Agostino: Nihil tam durum, quod non amoris igne vincatur (Lib. de Mor. Eccl. c. 22): non vi è cosa così difficile che non si superi col fervor dell'amore; perocchè, dice il santo, in ciò che si ama, o non si sente la fatica o la stessa fatica è amata: In eo quod amatur aut non laboratur aut labor amatur.

8. Udiamo quel che dice S. Giovanni Grisostomo di quel che fa il divino amore in quell'anime ove regna: «Quando l'amore di Dio si è impadronito di un'anima, produce in essa un'insaziabile brama di operar per l'amato; tanto che, per molte e grandi opere che faccia, e per molto tempo che spenda in suo servigio, tutto le sembra nulla, e sempre si affligge di far poco per Dio; e se le fosse lecito di morire e distruggersi per lui, ne resterebbe contenta. Ond'è ch'ella si tiene sempre per inutile in tutto ciò che fa; poichè insegnandole l'amore quel che Dio merita, a quel chiaro lume vede tutti i difetti delle sue azioni, e così cava da tutto confusione e pena, conoscendo esser molto basso il suo operare per un Signore sì grande».

9. Oh quanto s'inganna, dice S. Francesco di Sales, chi ripone la santità in altro che in amare Dio! «Altri, scrive il santo, pongono la perfezione nell'austerità, altri nelle limosine, altri nell'orazione, altri nella frequenza de' sagramenti. Io per me non conosco altra perfezione che quella di amare Iddio di tutto cuore; poichè tutte le altre virtù senza l'amore non sono che una massa di pietre. E se non godiamo perfettamente questo santo amore, il difetto viene da noi, perchè non finiamo di darci tutti a Dio».

10. Disse un giorno il Signore a S. Teresa: «Ogni cosa che non dà gusto a me è vanità». Oh intendessero tutti questa verità! — Porro unum est necessarium. Non è già necessario l'esser ricchi in questa terra, il farci stimare dagli altri, il fare una vita comoda, l'avere dignità, l'aver fama di dotto; solo è necessario l'amare Dio e far la sua volontà. A questo solo fine egli ci ha creati e ci conserva la vita, e solamente così noi possiamo esser ammessi al paradiso. — Pone me ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum (Cant. VIII, 6). Così dice il Signore ad ogni anima sua sposa: mettimi come segno sovra il tuo cuore e sovra il tuo braccio, affinchè a me indirizzi tutti i tuoi desideri e tutte le tue azioni; sovra il tuo cuore, acciocchè non v'entri altro amore fuori del mio; sovra il tuo braccio, acciocchè in tutto quel che fai non abbi altro fine che me. — Oh come ben corre alla perfezione chi in ogni sua operazione non guarda che Gesù crocifisso, e non pretende altro che dargli gusto!

11. Questa dunque ha da essere tutta la nostra cura, di acquistare un vero amore verso Gesù Cristo.
I maestri di spirito descrivono i segni del vero amore. L'amore, dicono, è timoroso, e 'l suo timore non è altro che di dar disgusto a Dio. È generoso, poichè, fidato in Dio, non si sgomenta d'imprendere ogni gran cosa di sua gloria. È forte, mentre vince tutti gli appetiti malvagi, anche in mezzo alle tentazioni più violente ed alle desolazioni più tenebrose. È ubbidiente, perchè subito cerca di eseguir le voci divine. È puro, poichè ama Iddio solo, e solo perchè merita d'esser amato. È ardente, perchè vorrebbe accender tutti e vederli consumati di divino amore. È inebriante, che fa vivere l'anima quasi fuori di sè, come più non vedesse, non sentisse, nè avesse più sensi per le cose terrene, intenta solo ad amare Dio. È unitivo, che unisce strettamente la volontà della creatura colla volontà del suo Creatore. È sospirante, perchè riempie l'anima di desideri di lasciar questa terra per volare ad unirsi perfettamente con Dio nella patria beata, affin di amarlo ivi con tutte le forze.

12. Ma niuno meglio insegna quali siano i caratteri e la pratica della vera carità, che il gran predicatore della carità S. Paolo. Egli nella sua prima lettera a' Corinti al Capo XIII dice primieramente che senza la carità l'uomo è nulla, e nulla gli giova: Et si habuero omnem fidem, ita ut montes transferam, caritatem autem non habuero, nihil sum. Et si distribuero in cibos pauperum omnes facultates meas, et si tradidero corpus meum, ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest. Sicchè se uno avesse una tal fede che giungesse a smuovere i monti, come fece S. Gregorio Taumaturgo, ma non avesse la carità, egli niente vale. Se dispensasse tutti i suoi beni a' poveri, se anche soffrisse volontariamente il martirio, ma senza la carità, in modo che ciò facesse per altro fine che per piacere a Dio, niente gli giova. — Indi S. Paolo ci addita i contrassegni della vera carità, ed insieme c'insegna la pratica di quelle virtù che sono figlie della carità; e siegue a dire così: Caritas patiens est, benigna est: caritas non aemulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum, non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati: omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet.
Anderemo dunque nel presente libro considerando queste sante pratiche, così per vedere se veramente in noi regna l'amore che dobbiamo a Gesù Cristo, come anche per intendere in quali virtù dobbiamo principalmente esercitarci per conservare in noi ed aumentare questo santo amore.

Affetti e preghiere.
O amabilissimo ed amantissimo Cuore di Gesù, misero quel cuore che non v'ama! Oh Dio, voi moriste sulla croce per amore degli uomini, abbandonato da ogni sollievo, e come poi gli uomini vivono così scordati di voi?

O amore divino! o ingratitudine umana! O uomini, uomini, deh guardate l'Agnello di Dio innocente che agonizza su quella croce e muore per voi, affin di pagare alla divina giustizia i vostri peccati e così tirarvi al suo amore. Mirate, come nello stesso tempo sta pregando l'Eterno Padre che vi perdoni. Miratelo ed amatelo.

Ah Gesù mio, quanto son pochi quelli che v'amano! Misero me, che anch'io per tanti anni son vivuto scordato di voi, e perciò vi ho tanto offeso. Caro mio Redentore, non tanto mi fa piangere la pena che mi sono meritata, quanto l'amore che voi m'avete portato.

O dolori di Gesù, o ignominie di Gesù, o piaghe di Gesù, o morte di Gesù, o amore di Gesù, fissatevi nel mio cuore, e resti ivi per sempre la vostra dolce memoria a ferirmi continuamente ed infiammarmi d'amore.
V'amo, Gesù mio; v'amo, mio sommo bene; v'amo, mio amore, mio tutto: v'amo e voglio sempre amarvi.

Deh! non permettete ch'io vi lasci e vi perda più.
Rendetemi tutto vostro; fatelo per li meriti della vostra morte. A questa io fermamente confido.


E molto confido ancora alla vostra intercessione, o Maria. Regina mia, fatemi amare Gesù Cristo, e fatemi amare ancora voi, madre e speranza mia.

domenica 14 settembre 2014

Domenica 14 Settembre 2014, Esaltazione della santa Croce, festa

Maria Valtorta



Domenica 14 Settembre 2014, Esaltazione della santa Croce, festa

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 3,13-17. 


In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: «Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 


................
tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
“Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”

Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe
d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti... vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora... Ma i potenti... non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”

“Torniamo in Galilea?”
“No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi... Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta...”
“Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.

“Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia. Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo. Gli ho detto le ultime... discussioni del Sinedrio su Te.”
“Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
“Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto... cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri... e così Giuseppe... Capisci, Maestro.”
“Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone. E ho deciso anche di
allontanarmi da Gerusalemme.”
“Ci odi perché non ti amiamo!”
“No. Non odio neppure i nemici.”
“Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”

“No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
“Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
“No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
Accorrono i due.
“Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
“Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
“Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
“Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
“E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
“Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
“Noi ti perdiamo, allora!”
“No, Nicodemo. Dal Battista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
“Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
“Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”


Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa. Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri... Ma non tutti. Lo vedi... Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele.
Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele.
Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”

“Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”

“Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? 
Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”

Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”

“Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
“Meditando.”
“Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”

Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”

“Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. 

Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il
nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa.
Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”

“Come può avvenire questo?”

Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. 

Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!... Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. Quale è il mio Nome, Nicodemo?”

“Gesù.”

No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre
che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?

“Maestro... sì. Quando potrò parlarti ancora?”
“Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
“Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
La mia pace sia teco.

Nicodemo esce con Giovanni.
Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
Tutto ha fine.