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sabato 29 luglio 2017

Apritevi al dono più grande di Dio, al suo amore che, mediante la Croce di Cristo, si è manifestato al mondo quale amore misericordioso.

domenica 8 marzo 2015

Falsario e ingannatore sperimentato


L’ASSALTO DI SATANA E DEGLI ANGELI RIBELLI DURANTE LA QUARESIMA


L’ASSALTO DI SATANA E DEGLI ANGELI RIBELLI DURANTE LA QUARESIMA
Satana è il «padre della menzogna» (Gv. 8,44) e da questo spirito fraudolento derivano tutta una serie di stratagemmi che, per permissione di Dio, i diavoli usano per ingannarci e per deviare noi uomini dalla retta ragione, per confonderci, per allontanarci da Gesù e dalla Chiesa. La Tradizione ci insegna che Satana e gli altri angeli decaduti possono addirittura “occupare” temporaneamente, sempre per concessione di Dio,  il corpo di un essere umano, giovane o anziano che sia, come pure quello di un animale, ed in questo caso dobbiamo parlare di possessione diabolica; essi possono anche “impossessarsi” momentaneamente  di un edificio o di un oggetto, ed in questo caso trattasi di infestazione; ma, ancor più grave, è il caso della loro “trasfigurazione”, ovvero, è loro consentito di assumere l’aspetto di «angeli di luce», dunque di Angeli, di Santi, della Vergine Maria e di Gesù Cristo medesimo, come l’Apostolo san Paolo insegna (2Cor. 11,14) 

... San Luigi Maria Grignion de Montfort nel suo «Trattato della vera devozione a Maria» spiega la logica astuta che si cela dietro talune “manifestazioni” diaboliche: 
«Il demonio, come un falsario e ingannatore sperimentato, ha già raggirato e fatto perdere tante anime con una falsa devozione alla Santa Vergine; e ogni giorno, nella sua diabolica esperienza, si dà da fare per perderne molte altre, illudendole e facendole addormentare nel peccato, con il pretesto di qualche preghiera, recitata male, e di qualche pratica esteriore da lui suggerita. Come un falsario non contraffa di solito che l’oro e l’argento e solo raramente gli altri metalli, perché non ne vale la pena, così lo spirito maligno non falsifica tante altre devozioni, ma quelle di Gesù e di Maria, cioè la devozione all’Eucaristia e quella mariana, perché queste rappresentano ciò che l’oro e l’argento sono in confronto agli altri metalli».

Il maligno, che ben conosce la natura umana macchiata dal peccato originale, sa benissimo che può colpire facendo leva sulla suggestione del soggetto, spingendo così sul sentimento del medesimo sicché, una volta “tramutatolo” in sentimentalismo, rendere l’uomo simile alla bestia, facendogli dimenticare cosa è realmente «la fede», ovvero la virtù teologale del «credere senza vedere», motivo per cui è detta anche «virtù imperfetta», visto che, raggiunta l’agognata salvezza (per grazia di Dio e per meriti nostri), l’uomo non ha più bisogno di fede, poiché vede, bensì vive di carità infinita, di amore acceso, questa sì che è la «virtù perfetta».

La carità, terrore per il maligno, «non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità» (1Cor. 13,6). La carità, che è diversa dalla semplice filantropia, in cosa consiste precisamente? Per usare le parole dell’Apostolo dell’Amore, di «colui che sembra aver svelato i segreti del Sacratissimo Cuore di Gesù» (Cf. Mortalium Animos, Pio XI): «in questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (1Gv. 5,3); è fin troppo chiaro perché Satana vuole allontanarci dalla vera carità, per renderci così servi della menzogna, del mondo, e per farci trasgredire, al pari dei selvaggi, le leggi di Dio (oggi ricordate per mezzo della Chiesa nei Comandamenti e nei Precetti).

È dunque iniziata la Quaresima (18 febbraio 2015) che richiede una difficile preparazione spirituale alla morte (cui segue la risurrezione) di Nostro Signore Gesù Cristo, pertanto la schiera di angeli ribelli capitanati da Satana è, proprio adesso, particolarmente fomentata contro l’uomo col fine di turbare ancor di più, insinuando nell’uomo i terribili, peccaminosi, carnali e futili pensieri, i tanti desideri malsani sì da agevolare il vizio ed allontanarci dall’esercizio delle virtù, è il tempo della dura prova.

Satana ci induce, così, a «commettere ciò che è indegno», “dominando” il nostro intelletto e facendoci disprezzare il Creatore; si capisce chiaramente il perché dell’ammonizione di san Paolo
«Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa» (Rom. 1,26-31).

Ricordiamoci, però, che nella lotta dello spirito contro la carne, dobbiamo essere armati: ecco per quale motivo la santa Chiesa ci raccoglie nei suoi templi per iniziarci alla Milizia spirituale. San Paolo ci ha già fatto conoscere i dettagli della difesa con queste parole: «Siate dunque saldi, cingendo il vostro fianco con la verità, vestiti della corazza della giustizia, avendo i piedi calzati in preparazione al Vangelo di pace. Prendete soprattutto lo scudo della fede, l’elmo della saldezza e la spada dello spirito, cioè la Parola di Dio» (Ef. 6,14-17). 
Il principe degli Apostoli, san Pietro, aggiunge: «Poiché dunque Cristo soffrì nella carne, anche voi armatevi degli stessi sentimenti; chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto definitivamente col peccato» (1Pt. 4,1). Ricordandoci, oggi, la Chiesa questi apostolici insegnamenti, ne aggiunge un altro non meno eloquente, obbligandoci a risalire al giorno della prevaricazione, che rese necessario quelle lotte che stiamo per intraprendere e le espiazioni attraverso le quali dobbiamo passare 
(Cf. L’anno liturgico, dom Prosper Guéranger, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 463-467)
Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (Ha scritto e pubblicato clicca qui) e Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicatoclicca qui)
AMDG et BVM

mercoledì 17 settembre 2014

Questo capitolo è d'oro puro. Caritas patiens est, benigna est: caritas non aemulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum, non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati: omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet.


CAPITOLO IV
Quanto noi siamo obbligati
ad amar Gesù Cristo.

1. Gesù Cristo come Dio merita per sè da noi tutto l'amore; ma egli, coll'amore che ci ha dimostrato, ha voluto metterci per così dire in necessità di amarlo almeno per gratitudine di quanto ha fatto e patito per noi. Egli ci ha amati assai per esser assai da noi amato. Ad quid amat Deus, nisi ut ametur?scrisse S. Bernardo. E prima lo disse Mosè: Et nunc, Israel, quid Dominus Deus petit a te, nisi ut timeas Dominum Deum tuum... et diligas eum? (Deut. X, 12). Perciò il primo precetto ch'egli ci diede fu questo: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo (Deut. VI, 5).

2. E dice S. Paolo che l'amore è la pienezza della legge: Plenitudo legis est dilectio (Rom. XIII, 10). Plenitudo, dice il testo greco complexio legis, il compimemto della legge è l'amore. Ma chi mai, a vista d'un Dio crocifisso che muore per amore nostro, potrà resistere a non amarlo? Troppo gridano quelle spine, quei chiodi, quella croce, quelle piaghe e quel sangue, cercando da noi che amiamo chi ci ha tanto amato. È troppo poco un cuore per amar questo Dio così innamorato di noi. Per compensar l'amore di Gesù Cristo, bisognerebbe che un altro Dio morisse per suo amore. «Ah perchè, esclamava S. Francesco di Sales, non ci gettiamo sovra di Gesù crocifisso per morir sulla croce con colui che ha voluto morirvi per amore di noi?» Ben ci fa sapere l'Apostolo che Gesù Cristo a questo fine ha voluto morire per tutti noi, acciocchè tutti non viviamo più a noi, ma solo a quel Dio che per noi è morto: Pro nobis mortuus est Christus, ut et qui vivunt iam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis mortuus est (II Cor. V, 15).

3. Qui fa quello che raccomanda l'Ecclesiastico: Gratiam fideiussoris ne obliviscaris, dedit enim pro te animam suam (Eccli. XXIX, 20). Non ti dimenticare del tuo mallevadore che, per soddisfare i tuoi peccati, ha voluto pagare colla sua morte la pena da te dovuta. — Oh quanto gradisce Gesù Cristo che noi spesso ci ricordiamo della sua Passione! e quanto gli rincresce che noi trascuriamo di pensarci! Se uno patisse per un suo amico ingiurie, percosse e carceri, quanto si affliggerebbe in saper che l'amico niente poi se ne ricorda, e neppure vuol sentirne parlare! All'incontro quanto gradirebbe il saper che l'amico sempre ne parla con tenerezza, e sempre ne lo ringrazia! Così Gesù Cristo molto si compiace che noi ci ricordiamo con riconoscenza d'amore de' suoi dolori e della morte che per noi sofferse.
Gesù Cristo è stato il desiderio di tutti gli antichi padri, egli è stato il desiderio di tutte le genti, quando ancora non era venuto in questa terra. Or quanto più egli dee esser l'unico nostro desiderio ed unico nostro amore, ora che il vediamo già venuto, e sappiamo quanto ha fatto ed ha patito per noi, sino a morir crocifisso per nostro amore?

4. A questo fine egli istituì il sagramento dell'Eucaristia nel giorno antecedente alla sua morte, e ci raccomandò che semprechè ci fossimo cibati delle sue carni sagrosante, ci fossimo ricordati della sua morte: Accipite et manducate: hoc est corpus meum...: hoc facite in meam commemorationem etc. Quotiescumque enim manducabitis panem hunc... mortem Domini annuntiabitis (I Cor. XI, 24 et 26). Quindi poi la S. Chiesa prega: Deus qui nobis sub Sacramento mirabili Passionis tuae memoriam reliquisti etc. Ed inoltre canta: O sacrum convivium, in quo Christus sumitur, recolitur memoria Passionis eius etc. Da ciò argomentiamo quanto gradisce Gesù Cristo coloro che spesso pensano alla sua Passione, giacchè a posta si è lasciato sagramentato sugli altari, affinchè noi avessimo continua e grata memoria di quel che ha patito per noi, e così sempre crescesse in noi l'amore verso di lui. S. Francesco di Sales chiamava il monte Calvario, il monte degli amanti. Non è possibile ricordarsi di quel monte e non amar Gesù Cristo che volle ivi morire per nostro amore.

5. Oh Dio, e perchè gli uomini non amano questo Dio che tanto ha fatto per essere amato dagli uomini! Prima dell'Incarnazione del Verbo potea dubitare l'uomo se Dio lo amasse con vero amore; ma dopo la venuta del Figlio di Dio, e dopo essere egli morto per amore degli uomini, come mai possiamo più dubitarne? Uomo, dice S. Tommaso da Villanova, guarda quella croce, quei dolori e quella morte acerba che per te ha sofferta Gesù Cristo: dopo tali e tanti testimoni del suo amore non puoi aver più dubbio ch'egli t'ama e t'ama assai: Testis crux, testes dolores, testis amara mors quam pro te sustinuit.E S. Bernardo dice che grida la croce ed ogni piaga del nostro Redentore per farci intendere l'amore che ci porta.

6. In questo gran mistero della Redenzione umana bisogna considerare il pensiero e la premura ch'ebbe Gesù Cristo di trovar diverse maniere per farsi da noi amare. Se voleva egli morire per salvarci, bastava che morisse insieme cogli altri bambini uccisi da Erode; ma no, volle prima di morire fare per 33 anni una vita piena di stenti e di pene, ed in questa sua vita, per tirarci ad amarlo, volle a noi comparire in tante sembianze diverse. Prima si fe' vedere nato da povero bambino in una stalla, poi da garzoncello in una bottega, e finalmente da reo giustiziato su d'una croce. Ma prima di morire in croce volle prendere altre diverse sembianze compassionevoli, e tutte per farsi amare: volle farsi vedere nell'orto agonizzante e tutto bagnato di sudore di sangue: di poi nel pretorio di Pilato lacerato da' flagelli: di poi trattato da re di scena con una canna in mano, uno straccio purpureo sulle spalle ed una corona di spine sulla testa: indi in mezzo alla via pubblica strascinato alla morte colla croce sulle spalle: e finalmente sul Calvario appeso a tre uncini di ferro. Merita o no di essere da noi amato un Dio che ha voluto soffrir tante pene e praticar tanti modi per cattivarsi il nostro amore? Diceva il P. Giovanni Rigoleu: «Io non farei altro che piangere d'amore per un Dio condotto dall'amore a morire per la salute degli uomini».

7. Magna res amor, dice S. Bernardo (Ser. 83 in Cant.). Gran cosa, preziosa cosa è l'amore. Parlando Salomone della divina sapienza, ch'è la santa carità, la chiamò tesoro infinito, poichè chi ha la carità è fatto partecipe dell'amicizia di Dio: Infinitus enim thesaurus est hominibus, quo qui usi sunt participes facti sunt amicitiae Dei (Sap. VII, 14). Dice S. Tommaso l'Angelico (Tr. de virt. a. 3) che la carità non solo è la regina di tutte le virtù, ma è quella che dove regna trae seco tutte le altre virtù come in suo corteggio, e tutte le indrizza a più unirci con Dio; ma la carità propriamente è quella che con Dio ci unisce, come dice S. Bernardo: Caritas est virtus coniungens nos Deo. E ben più volte sta espresso nelle sagre Scritture che Dio ama chi l'ama: Ego diligentes me diligo (Prov. VIII, 17). Si quis diligit me... Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus (Io. XIV, 23). Qui manet in caritate in Deo manet et Deus in eo (I Io. IV, 16). Ecco la bella unione che opera la carità: unisce l'anima con Dio. — Inoltre l'amore dà forza di fare e patire ogni gran cosa per Dio. Fortis ut mors dilectio (Cant. VIII, 6). Scrive S. Agostino: Nihil tam durum, quod non amoris igne vincatur (Lib. de Mor. Eccl. c. 22): non vi è cosa così difficile che non si superi col fervor dell'amore; perocchè, dice il santo, in ciò che si ama, o non si sente la fatica o la stessa fatica è amata: In eo quod amatur aut non laboratur aut labor amatur.

8. Udiamo quel che dice S. Giovanni Grisostomo di quel che fa il divino amore in quell'anime ove regna: «Quando l'amore di Dio si è impadronito di un'anima, produce in essa un'insaziabile brama di operar per l'amato; tanto che, per molte e grandi opere che faccia, e per molto tempo che spenda in suo servigio, tutto le sembra nulla, e sempre si affligge di far poco per Dio; e se le fosse lecito di morire e distruggersi per lui, ne resterebbe contenta. Ond'è ch'ella si tiene sempre per inutile in tutto ciò che fa; poichè insegnandole l'amore quel che Dio merita, a quel chiaro lume vede tutti i difetti delle sue azioni, e così cava da tutto confusione e pena, conoscendo esser molto basso il suo operare per un Signore sì grande».

9. Oh quanto s'inganna, dice S. Francesco di Sales, chi ripone la santità in altro che in amare Dio! «Altri, scrive il santo, pongono la perfezione nell'austerità, altri nelle limosine, altri nell'orazione, altri nella frequenza de' sagramenti. Io per me non conosco altra perfezione che quella di amare Iddio di tutto cuore; poichè tutte le altre virtù senza l'amore non sono che una massa di pietre. E se non godiamo perfettamente questo santo amore, il difetto viene da noi, perchè non finiamo di darci tutti a Dio».

10. Disse un giorno il Signore a S. Teresa: «Ogni cosa che non dà gusto a me è vanità». Oh intendessero tutti questa verità! — Porro unum est necessarium. Non è già necessario l'esser ricchi in questa terra, il farci stimare dagli altri, il fare una vita comoda, l'avere dignità, l'aver fama di dotto; solo è necessario l'amare Dio e far la sua volontà. A questo solo fine egli ci ha creati e ci conserva la vita, e solamente così noi possiamo esser ammessi al paradiso. — Pone me ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum (Cant. VIII, 6). Così dice il Signore ad ogni anima sua sposa: mettimi come segno sovra il tuo cuore e sovra il tuo braccio, affinchè a me indirizzi tutti i tuoi desideri e tutte le tue azioni; sovra il tuo cuore, acciocchè non v'entri altro amore fuori del mio; sovra il tuo braccio, acciocchè in tutto quel che fai non abbi altro fine che me. — Oh come ben corre alla perfezione chi in ogni sua operazione non guarda che Gesù crocifisso, e non pretende altro che dargli gusto!

11. Questa dunque ha da essere tutta la nostra cura, di acquistare un vero amore verso Gesù Cristo.
I maestri di spirito descrivono i segni del vero amore. L'amore, dicono, è timoroso, e 'l suo timore non è altro che di dar disgusto a Dio. È generoso, poichè, fidato in Dio, non si sgomenta d'imprendere ogni gran cosa di sua gloria. È forte, mentre vince tutti gli appetiti malvagi, anche in mezzo alle tentazioni più violente ed alle desolazioni più tenebrose. È ubbidiente, perchè subito cerca di eseguir le voci divine. È puro, poichè ama Iddio solo, e solo perchè merita d'esser amato. È ardente, perchè vorrebbe accender tutti e vederli consumati di divino amore. È inebriante, che fa vivere l'anima quasi fuori di sè, come più non vedesse, non sentisse, nè avesse più sensi per le cose terrene, intenta solo ad amare Dio. È unitivo, che unisce strettamente la volontà della creatura colla volontà del suo Creatore. È sospirante, perchè riempie l'anima di desideri di lasciar questa terra per volare ad unirsi perfettamente con Dio nella patria beata, affin di amarlo ivi con tutte le forze.

12. Ma niuno meglio insegna quali siano i caratteri e la pratica della vera carità, che il gran predicatore della carità S. Paolo. Egli nella sua prima lettera a' Corinti al Capo XIII dice primieramente che senza la carità l'uomo è nulla, e nulla gli giova: Et si habuero omnem fidem, ita ut montes transferam, caritatem autem non habuero, nihil sum. Et si distribuero in cibos pauperum omnes facultates meas, et si tradidero corpus meum, ita ut ardeam, caritatem autem non habuero, nihil mihi prodest. Sicchè se uno avesse una tal fede che giungesse a smuovere i monti, come fece S. Gregorio Taumaturgo, ma non avesse la carità, egli niente vale. Se dispensasse tutti i suoi beni a' poveri, se anche soffrisse volontariamente il martirio, ma senza la carità, in modo che ciò facesse per altro fine che per piacere a Dio, niente gli giova. — Indi S. Paolo ci addita i contrassegni della vera carità, ed insieme c'insegna la pratica di quelle virtù che sono figlie della carità; e siegue a dire così: Caritas patiens est, benigna est: caritas non aemulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quaerit quae sua sunt, non irritatur, non cogitat malum, non gaudet super iniquitate, congaudet autem veritati: omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet.
Anderemo dunque nel presente libro considerando queste sante pratiche, così per vedere se veramente in noi regna l'amore che dobbiamo a Gesù Cristo, come anche per intendere in quali virtù dobbiamo principalmente esercitarci per conservare in noi ed aumentare questo santo amore.

Affetti e preghiere.
O amabilissimo ed amantissimo Cuore di Gesù, misero quel cuore che non v'ama! Oh Dio, voi moriste sulla croce per amore degli uomini, abbandonato da ogni sollievo, e come poi gli uomini vivono così scordati di voi?

O amore divino! o ingratitudine umana! O uomini, uomini, deh guardate l'Agnello di Dio innocente che agonizza su quella croce e muore per voi, affin di pagare alla divina giustizia i vostri peccati e così tirarvi al suo amore. Mirate, come nello stesso tempo sta pregando l'Eterno Padre che vi perdoni. Miratelo ed amatelo.

Ah Gesù mio, quanto son pochi quelli che v'amano! Misero me, che anch'io per tanti anni son vivuto scordato di voi, e perciò vi ho tanto offeso. Caro mio Redentore, non tanto mi fa piangere la pena che mi sono meritata, quanto l'amore che voi m'avete portato.

O dolori di Gesù, o ignominie di Gesù, o piaghe di Gesù, o morte di Gesù, o amore di Gesù, fissatevi nel mio cuore, e resti ivi per sempre la vostra dolce memoria a ferirmi continuamente ed infiammarmi d'amore.
V'amo, Gesù mio; v'amo, mio sommo bene; v'amo, mio amore, mio tutto: v'amo e voglio sempre amarvi.

Deh! non permettete ch'io vi lasci e vi perda più.
Rendetemi tutto vostro; fatelo per li meriti della vostra morte. A questa io fermamente confido.


E molto confido ancora alla vostra intercessione, o Maria. Regina mia, fatemi amare Gesù Cristo, e fatemi amare ancora voi, madre e speranza mia.

domenica 14 luglio 2013

San Paolo e San Luigi Orione e la carità


San Paolo e San Luigi Orione

In ogni nostro pensiero, in ogni nostra azione il motore sia sempre e solo l’amore, non un amore fatuo, generico, ma un amore,  una carità con le stesse caratteristiche indicate dall’Apostolo Paolo e condivise da san Luigi Orione e tutti i veri cristiani

San Paolo
San Luigi Orione così si esprimeva
La carità è paziente, magnanima, ha la forza di sopportare le ingiurie e di non renderle. E’ una qualità di Dio, il quale è “lento alla collera”
e da’ ai peccatori il tempo diconvertirsi 
 “La carità, dalla fiducia nel Signore, dalla pazienza e dal tempo,  sa sperare e aspettare i momenti e le ore di Dio e il buon esito d’ogni santa impresa
La carità è benigna. E’ l’attitudine di chi aiuta sorridendo, prevenendo, con tatto discreto
Facciamo regnare la carità  con la mitezza del cuore, col compatirci, coll’aiutarci vicendevolmente, col darci la mano e camminare insieme. Seminiamo a larga mano sui nostri passi, opere di bontà e di amore, asciughiamo le lacrime di chi piange.(Lettere II, pp 327 ss)
La carità non è invidiosa: esclude ogni gelosia, perché la gelosia è grettezza mentre la carità è magnanima; la gelosia è divisione, mentre la carità è comunione
Lavorare cercando Dio solo  e non in un continuo affanno di qualcuno che mi possa vedere, apprezzare, applaudire… Ogni azione fatta per chiasso e per essere visti è come un fiore passato per più mani”
La carità non si vanta. Essa, cioè è prudente, ha il senso delle proporzioni
Non ambite cariche e dignità… sta attento, caro don…, perché il nostro amor proprio ragiona sottilmente e si veste talora di umiltà e giustifica facilmente ai nostri occhi le nostre azioni e uccide l’anima come un sottile e dolce veleno (Scr 44,107 ss.)
La carità non si gonfia: gonfiarsi indica l’atteggiamento di chi fa sentire il peso del suo gesto e del suo prestigio. L’amore invece si pone a livello degli altri.
Dio si manifesta e si compiace di abitare in quelli che sentono  la loro nullità, che diventano come nulla, per l’amore di Dio (Lettere I p 122)
La carità non manca di rispetto. L’amore è attento, tiene conto della fragilità del prossimo; è rispettoso, sensibile
 “ La carità non ha l’occhio nero, non ha spirito di discussione, non conosce i ma né i se: non ha spirito di contraddizione, di censura, di critica, di mormorazione”
La carità non cerca il suo interesse. Imita Cristo che “non cercò di piacere a se stesso”(Rm15,3). Il discepolo di Gesù deve dimenticare se stesso (Fil 2,4; 1Cor1,20)
Vorrei stringere nelle mie piccole braccia umane tutte le creature per portarle a Dio. E vorrei farmi cibo spirituale per i miei fratelli che hanno fame e sete di verità e di Dio; aprire il cuore alle innumerevoli miserie umane e farmi servo dei servi” (Scr100, 187)
La carità non si adira. Non è acida, collerica,non perde il controllo di sé.
 “La carità ha sempre il volto sereno com’è sereno il suo spirito, è tranquilla e quando parla, non alza mai la voce”
La carità non tiene conto del male ricevuto. La carità ha il cuore semplice e candido: non pensa al male sia nel senso che non lo sospetta negli altri, sia nel senso che non progetta di commetterlo
“Dobbiamo perdonare e perdonare tutto a tutti. Dovete coprire con un monte di benedizione non solo quelli che vi fanno del bene, ma anche tutti quelli che vi fanno del male (discorso del 23/VI/1929)
La carità non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità. Soffre per ogni forma di ingiustizia e gioisce di ogni verità, ovunque si trovi.

Cercare e medicare le piaghe del popolo, cercarne le infermità: andargli incontro nel morale e nel materiale… Cristo andò al popolo. Deve starci a cuore il popolo… Evitare le parole: di parolai ne abbiamo piene le tasche
La carità tutto copre. Non propaga il male degli altri, ma lo copre con il suo silenzio e con la sua discrezione

Non andate a riferire quel che uno può aver detto di male: non aggiungete esca al fuoco; cercate sempre di spegnere. Sentite una cosa contro una persona? Fatela morire dentro di voi. Guardatevi dalla satira, dalla parola che ferisce. Non dite: l’ho detto per burla! Le burla che offendono la carità lasciatele da parte” “
La carità tutto crede. È portata a dar credito al prossimo; si fida
Amare l’uomo quando l’ingiuria degli anni e la degradazione del vizio ne hanno fatto un oggetto di disgusto intollerabile

La carità tutto spera. Non dispera: spera il bene e il ravvedimento

Abbiate un sorriso e una parola amabile per tutti, senza differenze: fatevi tutti a tutti per portare tutte le anime a Gesù. La carità del Signore nostro crocifisso: …ecco la speranza dell’avvenire. Carità viva, carità grande, carità sempre! E daremo la leva alla società! Con la carità faremo tutto,senza carità faremo niente! (13,II, 1907)
La carità tutto sopporta. Non si lamenta delle freddezze e delle ingratitudini, ma le sopporta
 “La nostra vita sia un olocausto, un inno, un cantico sublime di carità e di consumazione totale di noi stessi nell’amore a Dio, alla Chiesa, ai fratelli”.