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giovedì 1 settembre 2016

Narrazione di Giuseppe d'Arimatea // Ci son cose assai preziose nei Vangeli occultati


Narrazione di Giuseppe d'Arimatea che chiese il corpo del Signore, in cui sono contenuti anche i motivi della condanna dei due ladroni




[1, 1] Io, Giuseppe d'Arimatea, che ho chiesto a Pilato il corpo di nostro Signore Gesù per seppellirlo, fui imprigionato dagli Ebrei omicidi e deicidi i quali mantenendo la legge di Mosè sono diventati agenti di afflizione: hanno suscitato l'ira del legislatore misconoscendo il Dio da loro crocifisso, e hanno dimostrato la sua divinità a tutti i credenti. Presentazione dei due ladroni. Sette giorni prima che essi condannassero alla morte in croce il figlio di Dio, a Pilato erano stati mandati due uomini catturati a Gerico con i seguenti capi d'accusa. 

[2] Il primo, di nome Gesta, aveva assassinato dei viandanti e depredato altri, appeso donne con i piedi in alto e la testa in basso e tagliato loro i seni, e bevuto il sangue dei bambini, dopo averli mutilati; non aveva mai riconosciuto alcun dio,  obbedito ad alcuna legge: si era comportato così fin dall'inizio della sua vita. Ecco invece qual era la situazione dell'altro. Si chiamava Dema, era galileo e aveva un albergo; ospitava i ricchi, ma faceva anche del bene ai bisognosi e, come Tobia, seppelliva segretamente i morti poveri; si industriava di derubare i beni degli Ebrei, rubò anche la legge a Gerusalemme; depredò la stessa figlia di Caifa, sacerdotessa del santuario, e sottrasse persino il deposito segreto collocatovi da Salomone. Queste le azioni delle quali si era reso colpevole. 

[3] Gesù fu dunque arrestato tre giorni prima della pasqua, nella sera. Né Caifa né tutto il popolo ebraico volevano festeggiare la pasqua a causa del loro profondo dolore per il furto che era stato consumato nel santuario. Il compito di Giuda. Chiamarono Giuda Iscariota e glielo dissero: egli era, infatti, figlio del fratello del grande sacerdote Caifa; siccome non era uno dei discepoli che seguivano Gesù, tutti gli Ebrei l'istigarono a seguirlo, non per credere ai prodigi che egli operava né per approvare i suoi discorsi, ma per consegnare Gesù nelle loro mani dandogli una parola menzognera. Per questa bella impresa ricevette due dramme d'oro al giorno. C'era pure, a quanto si dice, uno dei discepoli chiamato Giovanni che aveva passato due anni con Gesù. 

[4] Tre giorni prima di impadronirsi di Gesù, Giuda disse agli Ebrei: "Su, teniamo consiglio e deliberiamo che non è il ladrone che ha rubato la legge, ma Gesù in persona. Io poi mi incarico dell'arresto". Quando furono pronunciate queste parole uno di noi, di nome Nicodemo, che custodiva le chiavi del santuario, si rivolse a tutti dicendo: "Non commettete un simile crimine!". Nicodemo era più leale di tutti gli altri Ebrei. Ma la moglie di Caifa, di nome Sarra, gridò: "Parlando in questo luogo santo, Gesù stesso disse: "Io posso distruggere il tempio e ricostruirlo in tre giorni"". Gli Ebrei le risposero: "Noi tutti crediamo alle tue parole!". Terminato il consiglio, Gesù fu arrestato. 

[2, 1] Gesù davanti a Anna e Caifa. Il giorno appresso, il quattro del mese, all'ora nona lo condussero davanti a Caifa. Anna e Caifa: "Perchè hai tu rubato la nostra legge, e messo all'asta pubblica le promesse di Mosè e dei profeti?". Ma Gesù non rispose. Radunatasi nuovamente la moltitudine, qualcuno gli domando: "Perchè volevi tu distruggere in un istante il tempio che Salomone ha costruito in quarantasei anni?". Gesù non rispose: il tempio che è stato saccheggiato dal ladro è quello della sinagoga. 

[2] Verso sera, sulla fine del quarto giorno, tutta la moltitudine domandava che, a motivo della perdita della legge, la figlia di Caifa fosse data alle fiamme; e non si sapeva come celebrare la pasqua. Ma lei disse: "Perseverate, figli, continuate e mettete a morte questo Gesù. Così è la legge e in tal modo celebreremo la festività". Giuda accusatore. Anna e Caifa ricompensarono segretamente Giuda Iscariota dandogli una somma molto forte e gli dissero: "Parla come ci hai detto: "Io ho visto che la legge è stata rubata da Gesù e non da questa irreprensibile giovane"". Giuda rispose loro: "E' indispensabile che tutto il popolo ignori queste raccomandazioni che mi avete fatto a proposito di Gesù. Lasciatelo e io mi incarico di persuadere il popolo che le cose sono così". E, astutamente, misero Gesù in libertà. 

 [3] Nel quinto giorno, Giuda andò nel tempio e, rivoltosi a tutto il popolo, disse: "Che cosa mi darete s'io vi consegno colui che ha detronizzato la legge e rubato i profeti?". Gli Ebrei gli risposero: "Se tu ce lo consegni, ti daremo trenta denari d'oro". Il popolo ignorava che Giuda intendeva parlare di Gesù: era, infatti, opinione diffusa che egli fosse figlio di Dio. Giuda si prese i trenta denari d'oro. [4] Andato al santuario all'ora quarta e all'ora quinta Giuda trovò Gesù che discorreva nell'atrio. Fattasi sera, disse agli Ebrei: "Datemi una scorta di soldati armati di spade e di bastoni, e ve lo consegnerò". Gli diedero così una scorta per prenderlo. Cammin facendo, Giuda disse ai suoi compagni: "Afferrate colui ch'io bacerò. E' lui che ha rubato la legge e i profeti". E avvicinatosi a Gesù, lo baciò, dicendo: "Salve, Rabbi!". Era la sera del quinto giorno. Afferratolo, lo portarono da Caifa e dai sommi sacerdoti; Giuda disse: "Costui è quegli che ha rubato la legge e i profeti". E gli Ebrei sottoposero Gesù a un iniquo interrogatorio dicendo: "Perchè tu hai fatto questo?". Ma Gesù non rispondeva. Vedendo questa cattedra di empi, Nicodemo e io, Giuseppe, ci allontanammo da loro, non volendo perderci con il consiglio degli empi. 

[3, 1] Gesù in croce tra i due ladroni. Durante questa notte inflissero a Gesù molti trattamenti indegni e, nella vigilia del sabato, lo consegnarono a Pilato, il governatore, affinché fosse crocifisso: in questo convennero tutti. E' per questo che, dopo averlo interrogato, il governatore Pilato ordinò che fosse crocifisso con due ladroni: insieme a Gesù furono crocifissi Gesta, alla sua sinistra, e Dema, alla sua destra. 

[2] Quello che si trovava a sinistra cominciò a gridare dicendo a Gesù: "Guarda quanti delitti ho commesso sulla terra! Sebbene sapessi che tu sei re, pensavo che saresti perito. Perchè tu che dici di essere figlio di Dio, non puoi salvare te stesso, nel bisogno? Come puoi tu soccorrere un altro che ti invochi? Se tu sei il Cristo, discendi dalla croce, ed io crederò in te. Per ora io non ti considero un uomo, ma una bestia feroce condannata a morire con me". E proseguì dicendo molte altre cose su Gesù, bestemmiando e digrignando i denti contro di lui. Questo ladrone era, infatti, caduto negli inganni del demonio. 

[3] Il buon ladrone. Ma il ladrone di destra, che si chiamava Dema, vedendo che la grazia divina era diffusa su Gesù, gli rivolse la parola così: "Io vedo, Gesù Cristo, che tu sei il figlio di Dio. Io ti vedo, Cristo, adorato da migliaia di miriadi di angeli. Perdona i peccati da me commessi! Fa' che né le stelle, né gli astri della notte assistano alla mia condanna allorchè tu verrai a giudicare tutta la terra: è, infatti, durante la notte che ho portato a compimento i miei perversi disegni. Fa' che il sole, oscuratosi adesso per te, non si muova per illuminare il male che è dentro il mio cuore: io, nulla posso offrirti per espiare le mie colpe. Ecco che mi sovrasta la morte a causa dei miei peccati, ma tu sei l'espiazione: liberami, o padrone dell'universo, dalla tua terribile riprovazione; non permettere al demonio di inghiottirmi e di ereditare l'anima mia come quella del miserabile che è crocifisso alla tua sinistra. Vedo, infatti, che il demonio si impadronisce con gioia della sua anima, mentre il suo corpo diventa a poco a poco invisibile. Non mettermi neppure dalla parte degli Ebrei, giacchè vedo Mosè e i patriarchi immersi in una profonda desolazione, mentre il demonio gioisce del loro dolore. Perciò, o padrone, prima che io renda il mio spirito, ordina che siano rimessi i miei peccati, ricordati di me, povero peccatore, nel tuo regno, allorchè sull'alto tuo trono che domina i cieli, verrai a giudicare le dodici tribù di Israele, poichè per opera tua hai offerto al mondo il mezzo di evitare un grande castigo". 

[4] Mentre questo ladrone parlava così, Gesù gli rispose: "In verità ti dico, tu, Dema, sarai oggi con me in paradiso, e i figli del regno, i discendenti di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Mosè, saranno gettati nelle tenebre esteriori, ove sarà pianto e stridore di denti. Tu solo abiterai nel paradiso fino alla mia seconda venuta, quando verrò per giudicare quanti non avranno confessato il mio nome". Disse ancora al ladrone: "Quando sarai partito, dì ai cherubini e alle dominazioni che portano la spada fiammeggiante, custodi del paradiso dal quale è stato scacciato il primo uomo Adamo ch'io avevo posto nel paradiso ma non ha osservato i miei ordini, che nessuno dei primi vedrà il paradiso fino a quando verrò io per la seconda volta per giudicare i vivi e i morti: così sta scritto. Io Gesù Cristo, figlio di Dio, disceso dal più alto dei cieli, uscito dall'invisibile seno del Padre mio, senza esserne separato, venuto sulla terra per prendere un corpo ed essere crocifisso per salvare Adamo, mia creatura, alle dominazioni dei miei arcangeli, ai portieri del paradiso, ai ministri del Padre mio, prescrivo e ordino l'ammissione di colui che è stato crocifisso con me; in virtù mia abbia la remissione dei peccati, vestito di un corpo immortale entri nel paradiso e abiti là ove nessuno mai ha potuto abitare". Dopo queste parole, Gesù rese lo spirito: era la vigilia del sabato, l'ora nona. Tenebre si estesero su tutta la terra e si sentì un grande terremoto: crollò il santuario e anche il pinnacolo del tempio. 

[4, 1] Sepoltura di Gesù e sua apparizione a Giuseppe. Io, Giuseppe, chiesi il corpo di Gesù e lo seppellii in un sepolcro nuovo dove ancora non era stato posto alcuno; ma il corpo del ladrone che era stato crocifisso alla sua destra non lo si trovò più, mentre il corpo di quello che era stato crocifisso alla sua sinistra era simile a quello di un dragone. Poichè io avevo chiesto il corpo di Gesù per seppellirlo, gli Ebrei si irritarono contro di me e mi rinchiusero in una prigione ove, con la forza, erano trattenuti i malfattori. Era la sera del sabato quando mi si inflisse questo trattamento con il quale la nostra nazione recava oltraggio alla giustizia. Ecco quale terribile malvagità la nostra nazione praticava nel giorno di sabato. 

[2] Precisamente nella sera del primo giorno della settimana, all'ora quinta della notte. Gesù venne da me in prigione, con il ladrone che era stato crocifisso alla sua destra e che aveva mandato in paradiso: nella camera risplendette una luce accecante, la casa fu sospesa ai quattro angoli, si aprì così un passaggio e io sono uscito. Prima dunque riconobbi Gesù, poi il ladrone che portava una lettera a Gesù. Quando ci mettemmo in cammino per la Galilea brillò una luce così grande che la creazione non poteva sopportare; mentre dal ladrone emanava un gradito profumo che è quello del paradiso. 

[3] Lettera dei cherubini. Gesù si assise in un luogo e lesse così: "Noi cherubini e angeli, che dalla tua divinità ricevemmo l'ordine di custodire il giardino del paradiso, ti comunichiamo quanto segue per opera del ladrone che è stato crocifisso con te: alla vista dell'impronta dei chiodi del ladrone che fu crocifisso con te e dello splendore delle lettere della tua divinità, il fuoco s'è spento, incapace di resistere allo splendore di questa impronta e venne su di noi un timore grande; udimmo il creatore del cielo e della terra e di tutta la creazione, che discendeva dalle regioni più elevate fino alle profondità della terra per il primo uomo, Adamo. Vedendo la croce immacolata che sfolgorava, per mezzo del ladrone, con uno splendore sette volte più vivo di quello del sole, fummo colti dalla paura, risentimmo il tremore della terra e la grande voce dei servi degli inferi che dicevano con noi: "Santo, santo, santo è colui che comanda nel più alto dei cieli"; mentre le potestà innalzavano il grido: "Signore, ti sei manifestato in cielo e sulla terra apportando al mondo la gioia, ma con un dono ancora più bello di questo, con la tua invisibile volontà eterna tu hai liberato la stessa opera dalla morte!"". 

[5, 1] Gesù, Giovanni, il ladrone, Giuseppe. Io ho contemplato queste cose mentre andavo in Galilea con Gesù e il ladrone. Gesù si trasfigurò e non era più come prima che fosse crocifisso, ma era diventato tutto luce. Gli angeli lo servivano continuamente e Gesù parlava con essi. Io passai con lui tre giorni: non c'era con lui alcuno dei suoi discepoli, ma soltanto il ladrone. 

[2] A metà della festa degli azzimi sopraggiunge il suo discepolo Giovanni. Noi non notammo più il ladrone, né sapevamo che cosa ne era avvenuto. Giovanni allora domandò a Gesù: "Chi era costui che tu non mi hai neppure presentato a lui?". Ma Gesù non gli rispose. Giovanni si prostrò allora davanti a lui, dicendo: "Signore, so che tu mi hai amato fin da principio, e perchè mai non mi fai conoscere quest'uomo?". Gesù gli rispose: "Perchè domandi tu cose nascoste? Sei diventato ottuso a un tratto? Non percepisci il profumo del paradiso che pervade questo luogo? Non conosci tu quest'uomo? E' il ladrone crocifisso il quale ha ottenuto il paradiso. In verità in verità ti dico che lui solo non attenderà il gran giorno". Giovanni gli chiese: "Rendimi degno di vederlo!". 

[3] Giovanni stava ancora parlando allorchè, tutt'a un tratto, gli apparve il ladrone; Giovanni, esterrefatto, si prostrò a terra. Il ladrone non era più come prima dell'arrivo di Giovanni, bensì assomigliava a un re soffuso da una grande potenza; portava la sua croce e s'udirono più voci dire insieme: "Vieni nel luogo del paradiso che ti è stato preparato! Abbiamo disposto che tu sia servito fino al gran giorno, per volere di colui che ti ha mandato". Dopo queste parole, il ladrone e io, Giuseppe, diventammo invisibili: io mi ritrovai a casa mia, ma non vidi più Gesù. 

[4] Avendo visto queste cose, le scrissi affinchè tutti credano in Gesù Cristo crocifisso, nostro Signore, e più nessuno serva alla legge di Mosè; si presti fede, invece, ai segni e prodigi da lui operati, e per mezzo di questa fede ereditiamo la vita eterna e possiamo incontrarci nel regno dei cieli. Giacchè a lui spetta gloria, potenza, lode e grandezza nei secoli dei secoli. Amen. 

AMDG et BVM

domenica 14 settembre 2014

Domenica 14 Settembre 2014, Esaltazione della santa Croce, festa

Maria Valtorta



Domenica 14 Settembre 2014, Esaltazione della santa Croce, festa

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 3,13-17. 


In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: «Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 


................
tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
“Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”

Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe
d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti... vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora... Ma i potenti... non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”

“Torniamo in Galilea?”
“No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi... Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta...”
“Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.

“Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia. Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo. Gli ho detto le ultime... discussioni del Sinedrio su Te.”
“Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
“Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto... cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri... e così Giuseppe... Capisci, Maestro.”
“Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone. E ho deciso anche di
allontanarmi da Gerusalemme.”
“Ci odi perché non ti amiamo!”
“No. Non odio neppure i nemici.”
“Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”

“No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
“Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
“No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
Accorrono i due.
“Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
“Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
“Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
“Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
“E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
“Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
“Noi ti perdiamo, allora!”
“No, Nicodemo. Dal Battista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
“Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
“Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”


Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa. Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri... Ma non tutti. Lo vedi... Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele.
Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele.
Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”

“Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”

“Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? 
Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”

Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”

“Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
“Meditando.”
“Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”

Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”

“Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. 

Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il
nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa.
Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”

“Come può avvenire questo?”

Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. 

Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!... Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. Quale è il mio Nome, Nicodemo?”

“Gesù.”

No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre
che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?

“Maestro... sì. Quando potrò parlarti ancora?”
“Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
“Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
La mia pace sia teco.

Nicodemo esce con Giovanni.
Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
Tutto ha fine. 

sabato 11 maggio 2013

642. Maria Ss. / dopo l'ASCENSIONE DI GESU' / prenderà dimora al Getsemani con Giovanni, che le predice l’Assunzione.




642. Maria Ss. prenderà dimora al Getsemani con Giovanni, che le predice l’Assunzione.


Maria è ancora nella casa del Cenacolo. Sola, nella sua solita stanza, cuce dei lini finissimi, simili a tovaglie lunghe e strette. Ogni tanto alza il capo per guardare nel giardino e rilevare così, dalla posizione del sole sulle muraglie di questo, l’ora del giorno. E, se sente un rumore nella casa, o nella via, ascolta attentamente. 
Sembra che attenda qualcuno.
Passa così del tempo. Poi si sente un colpo alla porta di casa, al quale fa seguito un fruscio di sandali che di corsa vanno ad aprire. Delle voci d’uomo risuonano nel corridoio facendosi sempre più forti e vicine.

Maria ascolta... Poi esclama: «Loro qui?! Che sarà mai accaduto?!». Mentre sta ancora pronunciando queste parole, qualcuno bussa all’uscio della stanza. «Venite avanti, fratelli in Gesù mio Signore», risponde Maria.
Entrano Lazzaro e Giuseppe d’Arimatea, che la salutano con profonda venerazione dicendole: «Benedetta tu fra tutte le madri! I servi del tuo Figlio e nostro Signore ti salutano», e si prostrano per baciarle il lembo della veste.

«Il Signore sia sempre con voi. Per qual ragione, e mentre ancora non cessa il fermento dei persecutori del Cristo e dei suoi seguaci, a me venite?».
«Per vederti anzitutto. Perché vedere te è ancora vedere Lui e sentirci, così, meno afflitti per la sua dipartita dalla Terra. E poi per proporti quanto, dopo una riunione, nella mia casa, dei più amorosi e fedeli servi di Gesù, tuo Figlio e nostro Signore, abbiamo deliberato di fare», le risponde Lazzaro.

«Parlate. Sarà il vostro amore che mi parla, ed io col mio amore vi ascolterò».

Prende ora la parola Giuseppe d’Arimatea, che dice: «Donna, tu non ignori, e lo hai detto, che il fermento, e peggio ancora, dura tuttora verso tutti quelli che sono stati prossimi al Figlio tuo e di Dio, o per parentela, o per fede, o per amicizia. 

E noi non ignoriamo che tu non intendi di lasciare questi luoghi, dove hai visto la perfetta manifestazione della natura divina e umana del Figlio tuo, la sua totale mortificazione e la sua totale 187 glorificazione, mediante la Passione e Morte di Lui, vero Uomo, e mediante la gloriosa Risurrezione e Ascensione di Lui, vero Dio. 

E anche non ignoriamo che tu non vuoi lasciare soli gli apostoli, ai quali vuoi essere Madre e Guida nelle loro prime prove, tu, Sede della Sapienza divina, tu, Sposa dello Spirito rivelatore delle verità eterne, tu, Figlia diletta da sempre dal Padre che ti elesse ab eterno a Madre del suo Unigenito, tu, Madre di questo Verbo del Padre, che certamente ti istruì delle sue infinite e perfettissime Sapienza e Dottrina prima ancora che fosse in te, Creatura che si formava, o che fosse con te come Figlio che cresce in età e sapienza sino a divenire Maestro dei maestri. Giovanni ce lo disse il dì dopo la prima stupefacente predicazione e manifestazione apostolica, avvenuta dieci giorni dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo. 

Tu, a tua volta, sai, per averlo visto nel Getsemani il dì dell’Ascensione del Figlio tuo al Padre, e per averlo saputo da Pietro, Giovanni ed altri apostoli, come io e Lazzaro, subito dopo la Morte e Risurrezione, iniziammo dei lavori di muratura intorno al mio orto presso il Golgota e al Getsemani sul monte degli Ulivi, perché quei luoghi, santificati dal Sangue del Martire divino, gocciato, ahimè!, ardente di febbre nel Getsemani, e ghiacciato e grumoso nel mio orto, non siano profanati dai nemici di Gesù. Ora i lavori sono ultimati, e sia io che Lazzaro, e con lui le sorelle e gli apostoli, che troppo dolore avrebbero nel non averti più qui, ti diciamo: “Prendi dimora nella casa di Giona e Maria, i custodi del Getsemani”».

«E Giona e Maria? Piccola è quella casa, ed io amo la solitudine. Sempre l’amai. E più ancora l’amo ora, perché ho bisogno di questa per perdermi in Dio, nel mio Gesù, onde non morire d’ambascia per non averlo più qui. Sui misteri di Dio, perché Egli è ora Dio più che mai, non è giusto che si posi occhio umano. Donna io, Uomo Gesù. Ma la nostra fu, ed è, una Umanità diversa da ogni altra, e per immunità da colpa, anche d’origine, e per rapporti con Dio uno e trino. Noi siamo unici in queste cose tra tutti i creati passati, presenti e futuri. Ora l’uomo, anche il più buono e prudente, è naturalmente, inevitabilmente curioso, specie se ha vicino una manifestazione straordinaria. E solo io e Gesù, finché fu sulla Terra, sappiamo quale sofferenza, quale... sì, anche vergogna, disagio, tormento si provi quando la curiosità umana scruta, sorveglia, spia i nostri segreti con Dio. È qualcosa come se ci mettessero nudi in mezzo ad una piazza. Pensate al mio passato, e come sempre cercai nascondimento, silenzio, e come sempre celai, sotto le apparenze di una vita comune di povera donna, i misteri di Dio in me. Ricordatevi come, per non svelarli neppure al mio sposo Giuseppe, per poco di lui, giusto, non feci un ingiusto. Solo l’intervento angelico impedì questo pericolo. (Prospettato anche in Matteo 1, 18-21, viene illustrato da Maria Ss. come “la nostra prima Passione” al Vol 1 Cap 25). Pensate alla vita così umile, nascosta, comune, condotta da Gesù per trent’anni, al suo facile appartarsi, isolarsi quando divenne il Maestro. Doveva fare miracoli ed istruire, perché tale era la sua missione. Ma, io lo so da Lui stesso, Egli soffriva - uno dei molti motivi della sua severità e tristezza che balenavano dai suoi grandi e potenti occhi - Egli soffriva, dicevo, per l’esaltazione delle folle, per la curiosità più o meno buona con cui era osservato in ogni suo atto. Quante volte non comandò ai suoi discepoli e miracolati: “Non dite ciò che avete visto. Non dite ciò che vi ho fatto”!... Ora io non vorrei che occhio umano indagasse sui misteri di Dio in me, misteri che non sono, no, cessati con il ritorno al Cielo di Gesù, mio Figlio e mio Dio, ma anzi durano, e direi che crescono, per sua bontà e per tenermi in vita sino a che l’ora, tanto da me desiderata, di ricongiungermi a Lui, per l’eternità, non sarà venuta. Vorrei solo Giovanni con me. Perché è prudente, rispettoso, amoroso con me come un secondo Gesù. Ma Giona e Maria sapranno...».

Lazzaro la interrompe: «È già fatto, o Benedetta! Abbiamo già provveduto. Marco, figlio di Giona, è ora tra i discepoli. Maria, sua madre, e Giona, suo padre, già sono a Betania».

«Ma l’uliveto? Ha ben bisogno di cure!», gli risponde Maria.

«Solo nel tempo del potare, scassare e cogliere. Pochi giorni in un anno, quindi, e che saranno meno ancora, perché manderò i miei servi di Betania insieme a Marco, in quei periodi. Tu, Madre, se ci vuoi fare felici, io e le sorelle, vieni a Betania in quei giorni, nella solitaria casa dello Zelote. Saremo vicini, ma l’occhio nostro non sarà indiscreto sui tuoi incontri con Dio».

«Ma il frantoio?...».

«È già stato trasportato a Betania. Il Getsemani, completamente cintato, proprietà ancor più riservata di Lazzaro di Teofilo, ti attende, o Maria. E ti assicuro che i nemici di Gesù non oseranno, per tema di Roma, violarne la pace del luogo e tua».

«Oh! quando è così!», esclama Maria. E si stringe le mani sul cuore, e li guarda, con un volto quasi estatico tanto è beato, con un sorriso d’angelo sulle labbra e delle lacrime di gioia sulle ciglia bionde. Prosegue: «Io e Giovanni! Soli! Noi due soli! Mi parrà d’esser di nuovo a Nazaret col Figlio mio! Soli! Nella pace! In quella pace! Là dove Egli, il mio Gesù, effuse tante parole e tanto spirito di pace! Là dove, è vero, soffrì sino a sudar sangue e a ricevere la suprema sofferenza morale del bacio infame e le prime...». Un singhiozzo e un ricordo dolorosissimo le spezzano la parola e sconvolgono il suo volto, che per brevi istanti riprende l’espressione dolente che aveva nei giorni della Passione e Morte del Figlio. Poi si riprende e dice: «Là dove Egli tornò nell’infinita pace del Paradiso! Manderò presto a Maria d’Alfeo l’ordine di custodire lei la mia casetta 188 di Nazaret, che mi è tanto cara perché là si compì il mistero e vi morì il mio sposo, così puro e santo, e vi crebbe Gesù. Tanto cara! Ma mai come questi luoghi dove Egli istituì il Rito dei riti, e si fece Pane, Sangue, Vita agli uomini, e patì, e redense, e fondò la sua Chiesa, e con la sua ultima benedizione (capitolo 638) rese buone e sante tutte le cose del Creato. Resterò. Si. Resterò qui. Andrò al Getsemani. E da lì potrò, seguendo le mura, dalla parte esterna di esse, andare al Golgota, e nel tuo orto, Giuseppe, dove tanto piansi, e venire alla tua casa, Lazzaro, dove sempre ebbi, nel mio Figlio prima, e a me dopo, tanto amore. Ma vorrei...».

«Che, Benedetta?», le chiedono i due.

«Vorrei poter tornare anche qui. Perché insieme agli apostoli avremmo deciso, sempre che Lazzaro lo permetta...».

«Tutto ciò che vuoi, Madre. Tutto quanto è mio è tuo. Prima lo dicevo a Gesù. Ora lo dico a te. E chi riceve grazia sono sempre io, se tu accetti il mio dono».

«Figlio, lascia che così ti chiami, vorrei che tu ci concedessi di fare di questa casa, anzi del Cenacolo, il luogo di riunione e dell’agape fraterna».

«È giusto. In questo luogo il Figlio tuo ha istituito il nuovo eterno Rito, ha costituito la nuova Chiesa elevando al novello Ponteficato e Sacerdozio i suoi apostoli e discepoli. Giusto è che quella stanza divenga il primo tempio della nuova religione. Il seme che domani sarà pianta, e poi foresta immensa, il germe che domani sarà organismo vitale, completo, e che sempre più crescerà in altezza, profondità e larghezza, estendendosi su tutta la Terra. Quale mensa e altare più santi di quelli su cui Egli spezzò il Pane e posò il Calice del nuovo Rito che durerà sinché durerà la Terra?».

«È vero, Lazzaro. E, vedi? Per esso sto cucendo le tovaglie monde. Perché io credo, come nessuno crederà con pari potenza, che il Pane e il Vino sono Lui, nella sua Carne e nel suo Sangue; Carne santissima e innocentissima, Sangue redentore, dati in Cibo e Bevanda di Vita agli uomini. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vi benedicano, o voi buoni, sapienti, pietosi sempre al Figlio e alla Madre».

«Allora è detto. Prendi. Questa è la chiave che apre i diversi cancelli della cinta del Getsemani. E questa è la chiave della casa. E sii felice, per quanto Dio te lo concede e per quanto il nostro povero amore vorrebbe che tu lo fossi».

Giuseppe d’Arimatea, ora che Lazzaro ha finito di parlare, dice a sua volta: «E questa è la chiave di cinta del mio orto».
«Ma tu... Hai ben diritto d’entrarvi, tu!».
«Ne ho un’altra, Maria. L’ortolano è un giusto, e così suo figlio. Potrai trovare là solo loro ed io. E saremo tutti prudenti e rispettosi».
«Dio vi benedica nuovamente», ripete Maria.
«A te grazie, o Madre. Il nostro amore e la pace di Dio a te, sempre». Si prostrano dopo quest’ultimo saluto, le baciano di nuovo l’orlo della veste e se ne vanno.

Sono appena usciti dalla casa che si sente un altro bussare discreto all’uscio della stanza dove è Maria.
«Entra pure», dice Maria.

Giovanni non se lo fa dire due volte. Entra e chiede, un poco agitato: «Che volevano Giuseppe e Lazzaro? C’è qualche pericolo?».

«No, figlio. C’è solo l’esaudimento di un mio desiderio. Desiderio mio e di altri. Tu sai come Pietro e Giacomo d’Alfeo, il primo Pontefice, l’altro capo della chiesa di Gerusalemme, siano desolati al pensiero di 
perdermi e spauriti dalla tema di non saper fare senza di me. Giacomo soprattutto. Neppure la speciale apparizione di mio Figlio a lui, la sua elezione per volere di Gesù, lo consolano e fortificano. Ma anche gli 
altri!... Ora Lazzaro soddisfa questo generale desiderio e ci fa padroni del Getsemani. Io e te. Soli là. Ecco le chiavi. E questa è quella dell’orto di Giuseppe... Potremo andare al Sepolcro, a Betania, senza passare per la città... E andare al Golgota... E venire qui ogni volta che ci sarà l’agape fraterna. Tutto ci concedono Lazzaro e Giuseppe».

«Sono due veri giusti. Lazzaro ebbe molto da Gesù. È vero. Ma, ancor prima di avere, dette sempre tutto a Gesù. Sei lieta, Madre?».

«Sì, Giovanni. Tanto! Vivrò, sinché Dio lo vorrà, assistendo Pietro e Giacomo e voi tutti, e aiuterò i primi cristiani in tutti i modi. Se i giudei, i farisei e i sacerdoti non saranno belve anche verso di me come lo furono 
per il Figlio mio, potrò esalare lo spirito mio là dove Egli ascese al Padre».

«Ascenderai tu pure, o Madre».

«No. Non sono Gesù, io. Nacqui umanamente».

«Ma senza macchia d’origine. Io sono un povero pescatore ignorante. Non so di dottrine e scritture altro che ciò che mi insegnò il Maestro. Però sono come un fanciullo, perché sono puro. E per questo, forse, so più dei rabbi d’Israele, perché, Egli lo disse, Dio nasconde le cose ai sapienti e le disvela ai piccoli, ai puri. E per questo penso, dico meglio, sento che tu avrai la sorte che avrebbe avuto Eva se non avesse peccato. E più 189 ancora, poiché tu non sei stata sposa di un Adamo-uomo, ma di Dio, per dare alla Terra il nuovo Adamo fedele alla Grazia. Il Creatore, nel creare i Progenitori, non li aveva destinati alla morte, cioè alla corruzione del corpo più perfetto da Lui creato, e reso il più nobile tra tutti i corpi creati perché dotato d’anima spirituale e dei doni gratuiti di Dio, per cui “figli adottivi di Dio” potevano dirsi, ma voleva per loro solo un passaggio dal Paradiso terrestre a quello celeste. Ora tu non hai mai avuto macchia di peccato alcuno sulla tua anima. 

Neppure il grande, comune peccato, eredità di Adamo a tutti gli umani, ti colpì, perché Dio te ne preservò per singolare, unico privilegio, essendo tu, da sempre, destinata a divenire l’Arca del Verbo. E l’Arca, anche quella che, ahimé!, non contiene che cose fredde, aride, morte, perché in verità il popolo di Dio non le mette in pratica come dovrebbe, è, e deve essere, sempre mondissima. L’Arca sì. Ma chi, tra coloro che ad essa si accostano, Pontefice e Sacerdoti, lo sono realmente come tu lo sei? Nessuno. Per questo io sento che a te, seconda Eva, ed Eva fedele alla Grazia, non verrà data la morte».

«Mio Figlio, secondo Adamo, Grazia stessa, ubbidiente sempre al Padre, a me, in modo perfetto, morì. E di quale morte!».

«Era venuto per essere il Redentore, Madre. Lasciò il Padre, il Cielo, per prendere Carne onde redimere, col suo Sacrificio, gli uomini, rendere loro la Grazia, e quindi rielevarli al grado di figli adottivi di Dio, eredi del Cielo. Egli doveva morire. E morì con la sua Umanità Ss. E tu moristi nel cuore vedendo il suo supplizio atroce e la sua Morte. Hai già tutto patito per essere redentrice con Lui. Io sono un povero stolto, ma sento che tu, Arca vera del vero, vivente Iddio, non sarai, non puoi essere corruttibile. Come la nuvola di fuoco protesse e diresse l’Arca di Mosè verso la Terra promessa (Esodo 13, 21-22; Numeri 9, 15-23), così il Fuoco di Dio ti attrarrà al suo Centro. Come la verga di Aronne non seccò (Numeri 17, 23-26), non morì, ma anzi, benché staccata dall’albero, mise gemme, foglie e frutti, e visse nel Tabernacolo, così tu, eletta da Dio tra tutte le donne che abitarono e abiteranno la Terra, non morrai come pianta che secca, ma nell’eterno Tabernacolo dei Cieli vivrai in eterno, con tutta te stessa. Come le acque del Giordano si aprirono per lasciar passare l’Arca e i suoi portatori e il popolo tutto , ai tempi di Giosuè (3, 14-17), così per te si apriranno le barriere che il peccato di Adamo ha messo tra Terra e Cielo, a tu passerai da questo mondo al Cielo eterno. 
Ne sono certo. Perché Dio è giusto. E per te dura il decreto messo da Lui per chi non ha né peccato ereditario, né peccato volontario sull’anima».

«Ti ha rivelato ciò Gesù?».

«No, Madre. Me lo dice lo Spirito Paraclito, Colui che il Maestro ci avvisò che ci avrebbe rivelato le cose future e ogni verità. Il Consolatore già me lo dice, nello spirito, per rendermi meno amaro il pensiero di perderti, o Madre benedetta che amo e venero quanto e più della mia per quanto soffristi, per quanto sei buona e santa, solo inferiore al Figlio tuo Ss. tra tutti i santi presenti e futuri. La Santa più grande».Giovanni, commosso, si prostra venerandola.>>

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>