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lunedì 10 aprile 2017

Ad un certo punto Pietro, che mangia di gusto, osserva: «Guarda! Mi accorgo ora! Tutti piatti come si usa in Galilea. Mi sembra... Ma sì! Mi sembra di essere ad un pranzo di nozze. Però qui non manca il vino come mancò a Cana».


DLXXXVI. Il sabato avanti l’entrata in Gerusalemme. La cena di Betania. Giuda di Keriot ha deciso.
Mt 26, 6-13; Mc 14, 3-9; Gv 12, 1-8

La cena è stata preparata nella sala tutta bianca dove Gesù parlò alle discepole. Ed è tutto uno splendore di bianco e di argento, nel quale mettono una sfumatura meno nivea e fredda dei fasci di rami di melo o di pero, o altra pianta da frutto, candidi come la neve, ma con un così lieve ricordo di rosa che fa pensare a neve sfiorata da un bacio di lontana aurora. Si ergono, da vasi panciuti o da esili anfore d'argento, sulle mense e sugli scrigni e le credenze che sono lungo le pareti della sala. I fiori spargono per la sala il caratteristico odore dei fiori di pianta da frutto, di fresco, di amarognolo, di primavera pura...

Lazzaro entra nella sala al fianco di Gesù. Dietro, due a due, o a gruppi più folti, gli apostoli. Ultime, le due sorelle di Lazzaro con Massimino. Non vedo le discepole. Neppure Maria vedo. Forse hanno preferito rimanere nella casa di Simone intorno alla Madre afflitta.
Il giorno volge al crepuscolo. Ma un superstite ricordo di sole colpisce ancora la chioma frusciante di alcune palme, riunite in gruppo a pochi metri dalla sala, e la vetta di un lauro gigantesco in cui rissano i passeri prima di porsi a riposo. Oltre le palme e il lauro, oltre le siepi di rose, di gelsomini, e le aiuole di mughetti, di altri fiori e pianticine odorifere, la macchia candida, spruzzata del verde tenero delle prime foglie, di un gruppo di meli o di peri tardivi nel frutteto. Sembra una nuvola rimasta impigliata fra i rami.


Gesù, nel passare vicino ad un'anfora piena di rami, osserva: «Avevano già i primi frutticini. Guarda! Sulla cima fiori, mentre più in basso è già caduto il fiore e gonfia l'ovario».
«È Maria che li ha voluti cogliere. Ne ha portato fasci anche a tua Madre. Si è alzata all'alba, io credo, per paura che un giorno di più di sole consumasse queste fragili corolle. Io ho saputo da poco di questa strage. Ma non ne ho avuto lo sdegno che ne ebbero i servi agricoltori. Ho pensato, anzi, che era giusto offrirti tutte le bellezze del creato, a Te, Re di tutte le cose».
Gesù si siede sorridendo al suo posto e guarda Maria, che insieme alla sorella si appresta a servire come fosse un'ancella, porgendo le coppe della purificazione e gli asciugatoi, e poi versando il vino nei calici e posando i vassoi di vivande sulla tavola man mano che i servi li portano dalle cucine o li porgono, dopo averli scalcati sulle credenze.
Naturalmente, se le sorelle servono con cortesia tutti i commensali, la loro premura è specialmente concentrata sui due commensali che sono a loro dilettissimi: Gesù e Lazzaro.

Ad un certo punto Pietro, che mangia di gusto, osserva: «Guarda! Mi accorgo ora! Tutti piatti come si usa in Galilea. Mi sembra... Ma sì! Mi sembra di essere ad un pranzo di nozze. Però qui non manca il vino come mancò a Cana».

Maria sorride mescendo all'apostolo un nuovo calice di vino ambrato e limpidissimo. Ma non parla.
È ancora Lazzaro che spiega: «Questo fu infatti il pensiero delle sorelle, e specie di Maria: dare una cena in cui il Maestro avesse l'impressione di essere nella sua Galilea, certo migliore, molto migliore, sebbene essa pure imperfetta, di ciò che non siano questi luoghi...».
«Ma per fargli pensare questo ci sarebbe voluta Maria a questa tavola. A Cana c'era. Per Lei avvenne il miracolo», osserva Giacomo d'Alfeo.
«Doveva essere un gran vino quello! ».
«Vino è simbolo di allegria e dovrebbe esserlo anche di fecondità, essendo il vino succo della feconda vite. Ma non mi sembra che abbia fecondato molto. Susanna non ha un figlio», dice l'Iscariota. ( Susanna, ora discepola, è menzionata al Vol 1 Cap 51 come la sposa delle nozze di Cana, cui è dedicato il capitolo 52).
«Oh! se era un vino! Ci ha fecondati nello spirito...», dice Giovanni sognante un poco, come è sempre quando contempla nel suo interno i miracoli operati da Dio. E termina: «Per una vergine è stato fatto... e influsso di purezza scese in chi lo gustò».
«Ma credi Susanna vergine?», chiede ridendo l'Iscariota.
«Non ho detto questo. Vergine è la Madre del Signore. Verginità si emana da tutto ciò che per Lei si è compiuto. Sempre io penso come sono verginizzanti tutte le cose che per Maria si fanno... », e sogna di nuovo, sorridendo a chissà che visione.
«Beato quel ragazzo! Io credo che non ricorda più neppure il mondo, ora. Osservatelo», dice Pietro indicando Giovanni che, sdraiato sul suo lettuccio, smuove sopra pensiero dei pezzetti di pane dimenticandosi di mangiare.


Anche Gesù si curva un poco per guardare Giovanni, che è a un angolo del lato della tavola messa a U, e perciò un poco dietro alle spalle del Signore, che è al centro del lato centrale, avendo suo cugino Giacomo a sinistra e Lazzaro a destra, e dopo Lazzaro è lo Zelote e Massimino, come dopo Giacomo è l'altro Giacomo e Pietro. Giovanni, invece, è fra Andrea e Bartolomeo, poi è Tommaso, avendo di fronte Giuda, Filippo e Matteo e il Taddeo, che è proprio all'angolo dove la tavola lunga, centrale, incomincia.
Maria di Lazzaro esce dalla sala, mentre Marta mette sulla tavola dei vassoi colmi di fiori di fichi novelli, di verdi steli di finocchio e mandorle fresche sgusciate, fragoloni o lamponi, che so io, che sembrano ancor più rossi in mezzo agli smeraldi pallidi dei finocchi e delle fiore e al latteo delle mandorle, dei piccoli poponi o altro frutto del genere... mi sembrano quei poponi verdi della bassa Italia, e aranci dorati.
«Già di questi frutti? Non ne ho visti in nessun luogo di maturi», dice sgranando gli occhi Pietro, accennando le fragole e i poponi.
«Sono venuti in parte dalle sponde oltre Gaza, dove ho un orto di questi prodotti, e parte dalle terrazze solari che ho sopra la casa, i vivai delle pianticine più delicate che occorre proteggere dal gelo. Me ne insegnò l'uso un amico romano... Non mi insegnò che questo di buono...». Lazzaro si incupisce. Marta sospira... Ma Lazzaro torna subito il perfetto ospite che non dà tristezze ai suoi invitati: «Molto si usa, nelle ville di Baia e Siracusa e lungo l'arco di Sibari, coltivare di queste delizie con questo metodo per averle precocemente. Mangiate: gli ultimi frutti negli aranci libici, i primi nei poponi d'Egitto cresciuti nei solari e in queste frutta latine, e le mandorle bianche della nostra patria, le fave tenere, i digestivi steli che sanno d'anaci... Marta, hai pensato al bambino?».
«A tutti ho pensato. Maria si è commossa ricordando l'Egitto ...».
«Ne avevamo qualche pianta nel povero orto. Nei grandi caldi era una festa immergere i poponi nel pozzo del vicino, che era fondo e freddo, e mangiarne la sera... Ricordo... E avevo una capretta golosa che bisognava guardare, perché era ghiotta delle piante e delle frutta tenerelle...». Gesù, che parlava a capo un po' chino, alza la testa e guarda le palme stormenti nel vento della sera che cala: «Quando vedo quelle palme... Sempre che vedo le palme, rivedo l'Egitto, la sua terra gialla e sabbiosa che il vento smuoveva così facilmente, e lontano tremolavano nell'aria rarefatta le piramidi... e i fusti alti dei palmizi... e la casa dove... Ma è inutile dire. A ogni tempo il suo affanno... E con il suo affanno la sua gioia... Lazzaro, mi daresti qualcuno di questi frutti? Li vorrei portare a Maria e Mattia. Non credo che Giovanna ne abbia».
«Non ne ha. Lo diceva ieri proponendosi di metterne a Bétèr, facendo costruire i solari. Ma non te li do ora. Ho colto quanti ne avevo e per qualche giorno mancano dei frutti maturi. Te li manderò, oppure mandali a prendere entro giovedì. Ne prepareremo un grazioso canestro per quei fanciulli. Non è vero, Marta?».
«Sì, fratello mio. E vi metteremo i piccoli gigli delle convallarie, che a Giovanna piacciono tanto».


Rientra Maria Maddalena. Ha nelle mani un'anfora dall'esile collo, terminante in un beccuccio, aggraziato come gola di uccello. L'alabastro è di un prezioso colore giallo rosato, come certe carni di bionde.
Gli apostoli la guardano, forse credendo che porti qualche ghiottoneria rara. Ma Maria non va al centro, fra 1'U della tavola, dove è la sorella. Passa dietro i sedili-lettucci, va a collocarsi fra quello di Gesù e Lazzaro e quello dove sono i due Giacomi. Stura il vaso d'alabastro e pone la mano sotto il beccuccio, raccogliendo alcune gocce di un liquido filante che geme lentamente dall'anfora aperta. Un acuto odore di tuberose e altre essenze, un profumo intenso e buonissimo, si sparge per la sala. Ma Maria non è contenta di quel poco che viene. Si china e infrange con un colpo sicuro il collo dell'anfora contro lo spigolo del lettuccio di Gesù. Il collo esile cade a terra spargendo sui marmi del pavimento gocce profumate. Ora l'anfora ha un'ampia bocca e l'esuberanza dell'unguento ne trabocca in righe pesanti.
Maria si pone alle spalle di Gesù e sparge l'olio spesso sul capo del suo Gesù, ne cosparge tutte le ciocche, le stende e poi le ravvia col pettine che si leva dai capelli, le ricompone in ordine sul capo adorato. La testa biondo-rossa di Gesù splende come un oro cupo, lucidissimo dopo quest'unzione. La luce del lampadario, che i servi hanno acceso, si riflette sul capo biondo di Cristo come su un casco di un bronzo ramato bellissimo. Il profumo è inebriante. Penetra nelle nari, sale al capo, quasi è stuzzicante come una polvere starnutatoria tanto è acuto, sparso così senza misura.


Lazzaro, col capo girato all'indietro, sorride vedendo con qual cura Maria unge e ravvia le ciocche di Gesù perché il suo capo appaia ordinato dopo l'odorosa frizione, mentre non si cura che le sue trecce, non più sorrette dal largo pettine che aiuta le forcine nel loro compito, stanno abbassandosi sempre più sul collo, prossime ad allentarsi del tutto giù per le spalle. Anche Marta guarda e sorride. Gli altri parlano fra loro a bassa voce e con diverse espressioni sul viso.
Ma Maria non è sazia ancora. Vi è ancora molto unguento nel vaso spezzato, e i capelli di Gesù, per quanto siano folti, ne sono già saturi. Allora Maria ripete il gesto d'amore di una sera lontana. (Vedi Vol 4 Cap 236). Si inginocchia ai piedi del lettuccio, scioglie le fibbie dei sandali di Gesù e scalza i piedi di Lui e, tuffando le lunghe dita della bellissima mano nel vaso, ne trae quanto più unguento può, e lo stende, lo sparge sui piedi nudi, dito per dito, poi la pianta e il calcagno e su, al malleolo, che scopre gettando indietro la veste di lino, per ultimo sul dorso dei piedi, indugia là sui metatarsi dove entreranno i chiodi tremendi, insiste sinché non trova più balsamo nel cavo del vasello, e allora lo infrange al suolo e, libere le mani, si spunta le grosse forcine, si scioglie svelta le trecce pesanti e asporta, con quella matassa d'oro, viva, morbida, fluente, quanto supera dell'unzione dai piedi, stillanti balsamo, di Gesù.


Giuda - fin qui aveva taciuto, osservando con sguardo impuro di lussuria e di invidia la bellissima donna e il Maestro che ella ungeva sul capo e sui piedi - alza la voce, unica voce di aperto rimprovero; gli altri, non tutti ma alcuni, avevano avuto qualche mormorio o gesto di disapprovazione stupita ma anche pacata. Ma Giuda, che si è alzato anche in piedi per vedere meglio l'unzione sparsa sui piedi di Cristo, dice con mal garbo: «Quale inutile e pagano sciupìo! Perché farlo? E poi non si vuole che i Capi del Sinedrio mormorino di peccato! Codesti sono atti di cortigiana lasciva e non si addicono alla nuova vita che tu conduci, o donna. Troppo ricordano il tuo passato!».
L'insulto è tale che tutti restano sbalorditi. È tale che tutti si agitano, chi sedendosi sui lettucci, chi balzando in piedi, tutti guardando Giuda come fosse uno impazzito d'improvviso.
Marta avvampa. Lazzaro si alza di scatto picchiando un pugno sul tavolo e dice: «In casa mia...», ma poi guarda Gesù e si frena.
«Sì. Mi guardate? Tutti avete mormorato in cuor vostro. Ma ora, perché io mi sono fatto vostra eco e ho detto apertamente ciò che pensavate, ecco che siete pronti a darmi torto. Ripeto ciò che ho detto. Non voglio già dire che Maria sia l'amante del Maestro. Ma dico che certi atti non si convengono né a Lui né a lei. È un'azione imprudente. E ingiusta, anche. Sì. Perché questo spreco? Se ella voleva distruggere i ricordi del suo passato, poteva dare a me quel vaso e quell'unguento. Almeno una libbra di nardo puro era! E di gran pregio. Lo avrei venduto per trecento denari al minimo, ché un nardo di tal pregio va su quel prezzo. E potevo vendere il vaso che era bello e prezioso. Avrei dato ai poveri, che ci assediano, questi denari. Non bastano mai. E domani, a Gerusalemme, senza numero saranno quelli che chiedono un obolo».
«Questo è vero! », assentono gli altri. «Potevi usarne un poco per il Maestro e l'altro ...».
Maria di Magdala è come fosse sorda. Continua a detergere i piedi di Cristo con i suoi capelli sciolti, che ora, giù nel basso, sono pesanti di unguento essi pure e più scuri che sull'alto del capo. I piedi di Gesù sono lisci e morbidi nel loro color di avorio vecchio, come fossero coperti di un'epidermide novella. E Maria calza di nuovo i sandali al Cristo e bacia ogni piede prima e dopo di averlo calzato, sorda ad ogni cosa che non sia il suo amore per Gesù.
Il quale la difende posandole una mano sulla testa, curva nell'ultimo bacio, e dicendo: «Lasciatela fare. Perché le date pena e molestia? Voi non sapete ciò che ella ha fatto. Maria ha compiuto un'azione doverosa e buona verso di Me. I poveri saranno sempre fra voi. Io sto per andarmene. Essi li avrete sempre, ma Me presto non mi avrete più. Ai poveri potrete dare sempre un obolo. A Me fra poco, al Figlio dell'uomo fra gli uomini, non sarà più possibile dare onore alcuno, per volere di uomini e perché l'ora è venuta. L'amore le è luce. Ella sente che Io sto per morire e ha voluto anticipare al mio corpo le unzioni per la sepoltura. In verità vi dico che là dove sarà predicata la Buona Novella sarà fatta ricordanza di questo suo atto d'amore profetico. In tutto il mondo. In tutti i secoli. Volesse Iddio far di ogni creatura un'altra Maria, che non calcola valore, che non nutre attaccamento, che non serba un ricordo anche minimo del passato, ma distrugge e calpesta ogni cosa della carne e del mondo, e si infrange e si sparge, come fece del nardo e dell'alabastro, sul suo Signore, e per amore di Lui. Non piangere, Maria. Io te le ripeto in quest'ora le parole dette a Simone fariseo (Vol 4 Cap 236) e a Marta tua sorella: (Vol 6 Cap 377) "Tutto ti è perdonato perché tu hai saputo amare totalmente". "Tu hai scelto la parte migliore. E non ti verrà tolta". Va' in pace, mia dolce pecorella ritrovata. Va' in pace. I pascoli dell'amore saranno il tuo cibo in eterno. Alzati. Bacia anche le mie mani che ti hanno assolta e benedetta... Quanti hanno assolto, benedetto, guarito, beneficato, queste mie mani! Eppure Io vi dico che il popolo che lo ho beneficato sta apprestando a queste mani la tortura...».


Si fa un silenzio pesante, nell'aria pesante dell'acuto profumo. Maria, i capelli sciolti sulle spalle a farle manto e sul volto a farle velo, bacia la destra che Gesù le porge e non sa staccare da essa le labbra...
Marta, commossa, le viene vicino e le raccoglie i capelli disciolti, li intreccia carezzandola poi e stendendole il pianto sulle gote nel tentativo di asciugarlo...
Nessuno ha più voglia di mangiare... Le parole di Cristo fanno pensosi.
Il primo ad alzarsi è Giuda d'Alfeo. Chiede licenza di ritirarsi. Giacomo suo fratello lo imita e così fanno Andrea e Giovanni. Restano gli altri, ma già in piedi, intenti a purificarsi le mani ai bacili d'argento che i servi porgono loro. Maria e Marta lo fanno col Maestro e con Lazzaro.
Entra un servo e si china a parlare a Massimino. «Maestro», dice questo dopo averlo ascoltato, «ci sono delle persone che vorrebbero vederti. Vengono di lontano, dicono. Che facciamo?».
Gesù chiama Filippo, Giacomo di Zebedeo e Tommaso, e ordina: «Andate, evangelizzate, guarite, fate in mio Nome. Annunciate che domani salirò al Tempio».
«Sarà bene dirlo, questo, Signore?», chiede Simone Zelote.
«È inutile tacerlo poiché già è detto, dai nemici più che dagli amici, nella Città santa. Andate! ».
«Uhm! Finché lo sanno gli amici... si sa. Ma essi non tradiscono. Io non so come possano saperlo gli altri».


«Fra i molti amici è sempre qualche nemico, Simone di Giona. Troppi ormai sono... gli amici, e con troppa facilità vengono accolti per tali. Se penso quanto dovetti pregare e attendere io! ... Ma erano i primi tempi e si era guardinghi. Poi i trionfi abbagliarono e non si fu più guardinghi. E fu male. Ma ciò avviene a tutti i vincitori. Le vittorie offuscano la limpidezza del vedere e indeboliscono la prudenza nell'agire. Parlo di noi discepoli, naturalmente. Non del Maestro. Egli è perfetto. Fossimo rimasti noi dodici, non si dovrebbe tremare per tema di tradimenti! », mente spudoratamente Giuda di Keriot.


È indescrivibile lo sguardo che Cristo posa sull'apostolo traditore. Uno sguardo di richiamo e di dolore infiniti. Ma Giuda non lo raccoglie. Passando davanti alla tavola, si avvia per uscire... "Gesù lo segue con lo sguardo e, quando lo vede proprio uscire, gli chiede: «Dove vai?».
«Fuori...», risponde evasivamente Giuda.
«Fuori da questa stanza, o fuori da questa casa?».
«Fuori... Così... A camminare un poco».
«Non andare, Giuda. Resta con Me, con noi...».
«Sono andati via i tuoi fratelli e Giovanni con Andrea. Perché non devo andare io?».
«Tu non vai a riposare come loro...».
Giuda non risponde, ma esce caparbio. Le parole si sono taciute nella sala. Gli ospiti e i quattro apostoli rimasti - Pietro, Simone, Matteo e Bartolomeo - si guardano fra loro.


Gesù guarda fuori. Si è alzato andando ad una finestra per seguire le mosse di Giuda e, quando lo vede uscire dalla casa col mantello già indossato e avviarsi verso il cancello che da qui non si vede, lo chiama forte: «Giuda! Attendimi. Ti devo dire una cosa», e respinge dolcemente Lazzaro che, intuendo un dolore nel suo Maestro, lo aveva cinto con un braccio alla vita; ed esce dalla sala, raggiungendo Giuda che ha continuato a camminare sebbene più lentamente.


Lo raggiunge a un buon terzo della distanza tra la casa e la cinta del giardino, presso un boschetto di piante dalle spesse foglie, che sembrano di ceramica verde cupa tutta spruzzata di piccoli fiori a ciocche, e ogni fiore è una crocetta con petali pesanti come fossero fatti di cera appena ingiallita, dal profumo intenso. Non ne so il nome. Lo attira dietro quel folto e, sempre tenendogli la mano stretta sull'avambraccio, gli torna a chiedere: «Dove vai, Giuda? Te ne prego, resta qui! ».
«Tu che sai tutto perché me lo chiedi? Che bisogno hai di chiedere, Tu che leggi nel cuore degli uomini? Lo sai che vado dai miei amici. Non mi concedi di andarvi. Essi mi sollecitano. Vado».
«I tuoi amici! La tua rovina, devi dire! Tu vai a quella. Vai ai tuoi veri assassini. Non andare, Giuda! Non andare! Tu vai a commettere un delitto... Tu...».
«Ah! hai paura?! Hai finalmente paura?! Ti senti uomo, finalmente! Sei un uomo! Nulla più di un uomo! Perché solo l'uomo ha paura della morte. Dio sa che non può morire. Se ti sentissi Dio, sapresti che non potresti morire e non avresti paura. Perché Tu, ora, ora che ti senti vicina la morte, l'hai questa paura comune a tutti gli uomini, e cerchi, con tutti i mezzi, di allontanarla, e vedi da per tutto e in ogni cosa un pericolo. Dove sono le tue belle audacie? Dove le proteste sicure di esser contento, di essere sitibondo di compiere il Sacrificio? Non ne hai più neppure un'eco in cuore! Credevi che non venisse mai quest'ora, e allora facevi il forte, il generoso, dicevi le frasi solenni. Va'! Non sei da meno di quelli che Tu rimproveri come ipocriti! Ci hai lusingati e traditi. E noi che avevamo per Te lasciato ogni cosa! Noi che per causa tua siamo odiati! Tu sei la causa della nostra rovina... ».
«Basta. Va'! Va'! Non sono passate molte ore che tu mi hai detto: "Aiutami a rimanere. Difendimi!". L'ho fatto. A che è giovato? Dimmi ancora una cosa, e rifletti prima di dirla. È questa la tua pura volontà? Questa di andare dai tuoi amici, di preferirli a Me?».
«Sì. È questa. Non ho bisogno di riflettere, perché da tempo non ho che questa volontà».
«E allora va'. Dio non violenta la volontà dell'uomo», e Gesù gli volge le spalle tornando lentamente verso la casa.


Quando è prossimo ad essa, alza il capo attirato dallo sguardo che Lazzaro, ritto al posto di prima, tiene puntato su Lui. Ed è un ben pallido viso quello che si sforza di sorridere all'amico fedele.
Rientra nella sala dove i quattro apostoli parlano con Massimino, mentre Marta e Maria dirigono il lavoro dei servi, che riordinano la sala levando le stoviglie e le biancherie usate nel convito.
Lazzaro è andato sulla soglia e ha cinto di nuovo Gesù alla cintura e, passando presso un servo, gli dice: «Portami quel rotolo che è sul tavolo della mia stanza di lavoro».
Conduce Gesù su uno di quegli ampi sedili che sono nell'incassatura delle finestre, perché si sieda. Ma Gesù resta in piedi, sforzandosi di prestare attenzione a quanto gli dice Lazzaro... ma è visibile che il suo pensiero è altrove e che il suo cuore è molto afflitto benché, quando si accorge di essere osservato dagli apostoli, sorrida per dissipare il sospetto che è nel cuore di chi lo ha avvicinato circondandolo e che bisbiglia col vicino e ammicca accennando al Maestro.


Il servo torna col rotolo e Pietro, visto che quelle pergamene contengono cose più alte di quanto la sua testa possa capire, si ritira dicendo: «I pesci non abboccano a certi cibi. Meglio parlare con Massimino di piante e colture».


Marta continua il suo lavoro. "Maria, anche tacendo, prende parte ai discorsi di Lazzaro, che segnala al Maestro alcuni punti scritti sulle pergamene, dicendo: «Non ha una preveggenza singolare questo pagano? Più che molti fra noi. Forse... se fosse stato qui, mentre Tu sei il Maestro nostro, sarebbe stato fra i tuoi discepoli, e uno dei migliori. E ti avrebbe capito come molti fra noi non sanno. E quale poema avrebbe tratto al suo genio l'ammirazione per Te! Le tue parole raccolte e conservate da uno spirito che è luminoso pur essendo di pagano! La tua vita descritta da questo intelletto aperto e limpido! Noi non abbiamo più scrittori e poeti. Tu sei nato tardi. Quando l'egoismo della vita e la corruzione religioso-sociale hanno estinto in noi poesia e genio. Ciò che senza conoscerti hanno scritto di Te i nostri sapienti e profeti non ha trovato riscontro nella voce viva di un tuo seguace. I tuoi prediletti, i tuoi fedeli sono, per la più parte, gente senza istruzione. E gli altri... No. Non abbiamo più degli scioelet (dico come è pronunciato Gli ebrei chiamavano così coloro che parlavano alle adunanze. I libri sapienziali sono composti delle parole degli scioelet raccolte nei rotoli delle Scritture) per tramandare alle folle le tue sapienze e la tua figura. Non li abbiamo più, perché manca lo spirito e la volontà più che la capacità di farlo. La parte umanamente più eletta di Israele è sorda come una tromba guastata e non sa più cantare le glorie e meraviglie di Dio. Il mio timore è che tutto si perda o venga alterato, parte per incapacità, parte per malvolere... ».
«Non accadrà. Lo Spirito del Signore, quando sarà stabilito nell'interno dei cuori, ripeterà le mie parole e ne spiegherà il significato. È lo Spirito di Dio Colui che parla sulle labbra del Cristo. Poi... Poi parlerà direttamente agli spiriti e ricorderà le mie parole».
«Oh! fosse presto! Presto, poiché le tue parole sono così poco ascoltate e meno capite. Io penso che violento come fuoco che divampi sarà il ruggire dello Spirito di Dio per scolpire nelle menti, con la violenza, ciò che non vollero accogliere perché era dolce e mite. Io penso che il fiammeggiante Spirito brucierà con le sue fiamme le tiepide o torpide coscienze, scrivendo su esse le tue parole. Il mondo dovrà amarti. L'Altissimo lo vuole! Ma quando sarà?», dice la Maddalena col suo solito impeto.
«Quando Io mi sarò consumato nel Sacrificio d'amore. Allora l'Amore verrà. Sarà come la fiamma bella che si alza dalla Vittima immolata. E non si spegnerà questa fiamma, perché non cesserà il Sacrificio. Stabilito che sia, durerà per tutto il tempo della Terra».
«Ma allora... Tu dovresti proprio essere immolato perché ciò avvenisse! ».
«Così è». Gesù ha il suo gesto solito di adesione alla propria sorte. Allarga le braccia con le mani rivolte in fuori e china il capo. Poi lo rialza per sorridere a Lazzaro afflitto e dice: «Però non sarà violenta come un ruggito la voce immateriale dello Spirito di Amore, ma sarà dolce come l'amore, il quale è soave come vento di nisam eppure è forte come la morte. L'ineffabile ministero dell'Amore! Il complemento, il completamento del mio ministero. La perfezione del mio ministero di Maestro... Io non temo, come tu temi, o Maria, che nulla si perda di quanto ho dato. (Nulla deve qui intendersi nel significato positivo di qualcosa o alcunché, per coerenza con l'affermazione "non temo, come tu temi..."). Anzi, in verità ti dico che raggi di luce saranno gettati sulle mie parole e ne vedrete lo spirito. Io me ne vado serenamente, perché affido la mia dottrina allo Spirito Santo e il mio spirito al Padre mio».
Curva il capo pensando e poi, posato il rotolo, che ha originato la conversazione, su una specie di alta credenza o cofano d'ebano o di altro legno scuro, tutta a intarsi di avorio giallastro, che quattro servi hanno portato dalla stanza vicina e nella quale Marta sta ordinando la disposizione delle stoviglie più preziose, dice: «Lazzaro, vieni fuori. Ho bisogno di parlarti! ».
«Subito, Signore», e Lazzaro si alza dal sedile su cui si era seduto e segue Gesù nel giardino che imbruna, morendo in cielo l'ultima luce del giorno ed essendo ancor troppo tenue il primo albore lunare che si manifesta appena.
AMDG et BVM

sabato 11 maggio 2013

642. Maria Ss. / dopo l'ASCENSIONE DI GESU' / prenderà dimora al Getsemani con Giovanni, che le predice l’Assunzione.




642. Maria Ss. prenderà dimora al Getsemani con Giovanni, che le predice l’Assunzione.


Maria è ancora nella casa del Cenacolo. Sola, nella sua solita stanza, cuce dei lini finissimi, simili a tovaglie lunghe e strette. Ogni tanto alza il capo per guardare nel giardino e rilevare così, dalla posizione del sole sulle muraglie di questo, l’ora del giorno. E, se sente un rumore nella casa, o nella via, ascolta attentamente. 
Sembra che attenda qualcuno.
Passa così del tempo. Poi si sente un colpo alla porta di casa, al quale fa seguito un fruscio di sandali che di corsa vanno ad aprire. Delle voci d’uomo risuonano nel corridoio facendosi sempre più forti e vicine.

Maria ascolta... Poi esclama: «Loro qui?! Che sarà mai accaduto?!». Mentre sta ancora pronunciando queste parole, qualcuno bussa all’uscio della stanza. «Venite avanti, fratelli in Gesù mio Signore», risponde Maria.
Entrano Lazzaro e Giuseppe d’Arimatea, che la salutano con profonda venerazione dicendole: «Benedetta tu fra tutte le madri! I servi del tuo Figlio e nostro Signore ti salutano», e si prostrano per baciarle il lembo della veste.

«Il Signore sia sempre con voi. Per qual ragione, e mentre ancora non cessa il fermento dei persecutori del Cristo e dei suoi seguaci, a me venite?».
«Per vederti anzitutto. Perché vedere te è ancora vedere Lui e sentirci, così, meno afflitti per la sua dipartita dalla Terra. E poi per proporti quanto, dopo una riunione, nella mia casa, dei più amorosi e fedeli servi di Gesù, tuo Figlio e nostro Signore, abbiamo deliberato di fare», le risponde Lazzaro.

«Parlate. Sarà il vostro amore che mi parla, ed io col mio amore vi ascolterò».

Prende ora la parola Giuseppe d’Arimatea, che dice: «Donna, tu non ignori, e lo hai detto, che il fermento, e peggio ancora, dura tuttora verso tutti quelli che sono stati prossimi al Figlio tuo e di Dio, o per parentela, o per fede, o per amicizia. 

E noi non ignoriamo che tu non intendi di lasciare questi luoghi, dove hai visto la perfetta manifestazione della natura divina e umana del Figlio tuo, la sua totale mortificazione e la sua totale 187 glorificazione, mediante la Passione e Morte di Lui, vero Uomo, e mediante la gloriosa Risurrezione e Ascensione di Lui, vero Dio. 

E anche non ignoriamo che tu non vuoi lasciare soli gli apostoli, ai quali vuoi essere Madre e Guida nelle loro prime prove, tu, Sede della Sapienza divina, tu, Sposa dello Spirito rivelatore delle verità eterne, tu, Figlia diletta da sempre dal Padre che ti elesse ab eterno a Madre del suo Unigenito, tu, Madre di questo Verbo del Padre, che certamente ti istruì delle sue infinite e perfettissime Sapienza e Dottrina prima ancora che fosse in te, Creatura che si formava, o che fosse con te come Figlio che cresce in età e sapienza sino a divenire Maestro dei maestri. Giovanni ce lo disse il dì dopo la prima stupefacente predicazione e manifestazione apostolica, avvenuta dieci giorni dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo. 

Tu, a tua volta, sai, per averlo visto nel Getsemani il dì dell’Ascensione del Figlio tuo al Padre, e per averlo saputo da Pietro, Giovanni ed altri apostoli, come io e Lazzaro, subito dopo la Morte e Risurrezione, iniziammo dei lavori di muratura intorno al mio orto presso il Golgota e al Getsemani sul monte degli Ulivi, perché quei luoghi, santificati dal Sangue del Martire divino, gocciato, ahimè!, ardente di febbre nel Getsemani, e ghiacciato e grumoso nel mio orto, non siano profanati dai nemici di Gesù. Ora i lavori sono ultimati, e sia io che Lazzaro, e con lui le sorelle e gli apostoli, che troppo dolore avrebbero nel non averti più qui, ti diciamo: “Prendi dimora nella casa di Giona e Maria, i custodi del Getsemani”».

«E Giona e Maria? Piccola è quella casa, ed io amo la solitudine. Sempre l’amai. E più ancora l’amo ora, perché ho bisogno di questa per perdermi in Dio, nel mio Gesù, onde non morire d’ambascia per non averlo più qui. Sui misteri di Dio, perché Egli è ora Dio più che mai, non è giusto che si posi occhio umano. Donna io, Uomo Gesù. Ma la nostra fu, ed è, una Umanità diversa da ogni altra, e per immunità da colpa, anche d’origine, e per rapporti con Dio uno e trino. Noi siamo unici in queste cose tra tutti i creati passati, presenti e futuri. Ora l’uomo, anche il più buono e prudente, è naturalmente, inevitabilmente curioso, specie se ha vicino una manifestazione straordinaria. E solo io e Gesù, finché fu sulla Terra, sappiamo quale sofferenza, quale... sì, anche vergogna, disagio, tormento si provi quando la curiosità umana scruta, sorveglia, spia i nostri segreti con Dio. È qualcosa come se ci mettessero nudi in mezzo ad una piazza. Pensate al mio passato, e come sempre cercai nascondimento, silenzio, e come sempre celai, sotto le apparenze di una vita comune di povera donna, i misteri di Dio in me. Ricordatevi come, per non svelarli neppure al mio sposo Giuseppe, per poco di lui, giusto, non feci un ingiusto. Solo l’intervento angelico impedì questo pericolo. (Prospettato anche in Matteo 1, 18-21, viene illustrato da Maria Ss. come “la nostra prima Passione” al Vol 1 Cap 25). Pensate alla vita così umile, nascosta, comune, condotta da Gesù per trent’anni, al suo facile appartarsi, isolarsi quando divenne il Maestro. Doveva fare miracoli ed istruire, perché tale era la sua missione. Ma, io lo so da Lui stesso, Egli soffriva - uno dei molti motivi della sua severità e tristezza che balenavano dai suoi grandi e potenti occhi - Egli soffriva, dicevo, per l’esaltazione delle folle, per la curiosità più o meno buona con cui era osservato in ogni suo atto. Quante volte non comandò ai suoi discepoli e miracolati: “Non dite ciò che avete visto. Non dite ciò che vi ho fatto”!... Ora io non vorrei che occhio umano indagasse sui misteri di Dio in me, misteri che non sono, no, cessati con il ritorno al Cielo di Gesù, mio Figlio e mio Dio, ma anzi durano, e direi che crescono, per sua bontà e per tenermi in vita sino a che l’ora, tanto da me desiderata, di ricongiungermi a Lui, per l’eternità, non sarà venuta. Vorrei solo Giovanni con me. Perché è prudente, rispettoso, amoroso con me come un secondo Gesù. Ma Giona e Maria sapranno...».

Lazzaro la interrompe: «È già fatto, o Benedetta! Abbiamo già provveduto. Marco, figlio di Giona, è ora tra i discepoli. Maria, sua madre, e Giona, suo padre, già sono a Betania».

«Ma l’uliveto? Ha ben bisogno di cure!», gli risponde Maria.

«Solo nel tempo del potare, scassare e cogliere. Pochi giorni in un anno, quindi, e che saranno meno ancora, perché manderò i miei servi di Betania insieme a Marco, in quei periodi. Tu, Madre, se ci vuoi fare felici, io e le sorelle, vieni a Betania in quei giorni, nella solitaria casa dello Zelote. Saremo vicini, ma l’occhio nostro non sarà indiscreto sui tuoi incontri con Dio».

«Ma il frantoio?...».

«È già stato trasportato a Betania. Il Getsemani, completamente cintato, proprietà ancor più riservata di Lazzaro di Teofilo, ti attende, o Maria. E ti assicuro che i nemici di Gesù non oseranno, per tema di Roma, violarne la pace del luogo e tua».

«Oh! quando è così!», esclama Maria. E si stringe le mani sul cuore, e li guarda, con un volto quasi estatico tanto è beato, con un sorriso d’angelo sulle labbra e delle lacrime di gioia sulle ciglia bionde. Prosegue: «Io e Giovanni! Soli! Noi due soli! Mi parrà d’esser di nuovo a Nazaret col Figlio mio! Soli! Nella pace! In quella pace! Là dove Egli, il mio Gesù, effuse tante parole e tanto spirito di pace! Là dove, è vero, soffrì sino a sudar sangue e a ricevere la suprema sofferenza morale del bacio infame e le prime...». Un singhiozzo e un ricordo dolorosissimo le spezzano la parola e sconvolgono il suo volto, che per brevi istanti riprende l’espressione dolente che aveva nei giorni della Passione e Morte del Figlio. Poi si riprende e dice: «Là dove Egli tornò nell’infinita pace del Paradiso! Manderò presto a Maria d’Alfeo l’ordine di custodire lei la mia casetta 188 di Nazaret, che mi è tanto cara perché là si compì il mistero e vi morì il mio sposo, così puro e santo, e vi crebbe Gesù. Tanto cara! Ma mai come questi luoghi dove Egli istituì il Rito dei riti, e si fece Pane, Sangue, Vita agli uomini, e patì, e redense, e fondò la sua Chiesa, e con la sua ultima benedizione (capitolo 638) rese buone e sante tutte le cose del Creato. Resterò. Si. Resterò qui. Andrò al Getsemani. E da lì potrò, seguendo le mura, dalla parte esterna di esse, andare al Golgota, e nel tuo orto, Giuseppe, dove tanto piansi, e venire alla tua casa, Lazzaro, dove sempre ebbi, nel mio Figlio prima, e a me dopo, tanto amore. Ma vorrei...».

«Che, Benedetta?», le chiedono i due.

«Vorrei poter tornare anche qui. Perché insieme agli apostoli avremmo deciso, sempre che Lazzaro lo permetta...».

«Tutto ciò che vuoi, Madre. Tutto quanto è mio è tuo. Prima lo dicevo a Gesù. Ora lo dico a te. E chi riceve grazia sono sempre io, se tu accetti il mio dono».

«Figlio, lascia che così ti chiami, vorrei che tu ci concedessi di fare di questa casa, anzi del Cenacolo, il luogo di riunione e dell’agape fraterna».

«È giusto. In questo luogo il Figlio tuo ha istituito il nuovo eterno Rito, ha costituito la nuova Chiesa elevando al novello Ponteficato e Sacerdozio i suoi apostoli e discepoli. Giusto è che quella stanza divenga il primo tempio della nuova religione. Il seme che domani sarà pianta, e poi foresta immensa, il germe che domani sarà organismo vitale, completo, e che sempre più crescerà in altezza, profondità e larghezza, estendendosi su tutta la Terra. Quale mensa e altare più santi di quelli su cui Egli spezzò il Pane e posò il Calice del nuovo Rito che durerà sinché durerà la Terra?».

«È vero, Lazzaro. E, vedi? Per esso sto cucendo le tovaglie monde. Perché io credo, come nessuno crederà con pari potenza, che il Pane e il Vino sono Lui, nella sua Carne e nel suo Sangue; Carne santissima e innocentissima, Sangue redentore, dati in Cibo e Bevanda di Vita agli uomini. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vi benedicano, o voi buoni, sapienti, pietosi sempre al Figlio e alla Madre».

«Allora è detto. Prendi. Questa è la chiave che apre i diversi cancelli della cinta del Getsemani. E questa è la chiave della casa. E sii felice, per quanto Dio te lo concede e per quanto il nostro povero amore vorrebbe che tu lo fossi».

Giuseppe d’Arimatea, ora che Lazzaro ha finito di parlare, dice a sua volta: «E questa è la chiave di cinta del mio orto».
«Ma tu... Hai ben diritto d’entrarvi, tu!».
«Ne ho un’altra, Maria. L’ortolano è un giusto, e così suo figlio. Potrai trovare là solo loro ed io. E saremo tutti prudenti e rispettosi».
«Dio vi benedica nuovamente», ripete Maria.
«A te grazie, o Madre. Il nostro amore e la pace di Dio a te, sempre». Si prostrano dopo quest’ultimo saluto, le baciano di nuovo l’orlo della veste e se ne vanno.

Sono appena usciti dalla casa che si sente un altro bussare discreto all’uscio della stanza dove è Maria.
«Entra pure», dice Maria.

Giovanni non se lo fa dire due volte. Entra e chiede, un poco agitato: «Che volevano Giuseppe e Lazzaro? C’è qualche pericolo?».

«No, figlio. C’è solo l’esaudimento di un mio desiderio. Desiderio mio e di altri. Tu sai come Pietro e Giacomo d’Alfeo, il primo Pontefice, l’altro capo della chiesa di Gerusalemme, siano desolati al pensiero di 
perdermi e spauriti dalla tema di non saper fare senza di me. Giacomo soprattutto. Neppure la speciale apparizione di mio Figlio a lui, la sua elezione per volere di Gesù, lo consolano e fortificano. Ma anche gli 
altri!... Ora Lazzaro soddisfa questo generale desiderio e ci fa padroni del Getsemani. Io e te. Soli là. Ecco le chiavi. E questa è quella dell’orto di Giuseppe... Potremo andare al Sepolcro, a Betania, senza passare per la città... E andare al Golgota... E venire qui ogni volta che ci sarà l’agape fraterna. Tutto ci concedono Lazzaro e Giuseppe».

«Sono due veri giusti. Lazzaro ebbe molto da Gesù. È vero. Ma, ancor prima di avere, dette sempre tutto a Gesù. Sei lieta, Madre?».

«Sì, Giovanni. Tanto! Vivrò, sinché Dio lo vorrà, assistendo Pietro e Giacomo e voi tutti, e aiuterò i primi cristiani in tutti i modi. Se i giudei, i farisei e i sacerdoti non saranno belve anche verso di me come lo furono 
per il Figlio mio, potrò esalare lo spirito mio là dove Egli ascese al Padre».

«Ascenderai tu pure, o Madre».

«No. Non sono Gesù, io. Nacqui umanamente».

«Ma senza macchia d’origine. Io sono un povero pescatore ignorante. Non so di dottrine e scritture altro che ciò che mi insegnò il Maestro. Però sono come un fanciullo, perché sono puro. E per questo, forse, so più dei rabbi d’Israele, perché, Egli lo disse, Dio nasconde le cose ai sapienti e le disvela ai piccoli, ai puri. E per questo penso, dico meglio, sento che tu avrai la sorte che avrebbe avuto Eva se non avesse peccato. E più 189 ancora, poiché tu non sei stata sposa di un Adamo-uomo, ma di Dio, per dare alla Terra il nuovo Adamo fedele alla Grazia. Il Creatore, nel creare i Progenitori, non li aveva destinati alla morte, cioè alla corruzione del corpo più perfetto da Lui creato, e reso il più nobile tra tutti i corpi creati perché dotato d’anima spirituale e dei doni gratuiti di Dio, per cui “figli adottivi di Dio” potevano dirsi, ma voleva per loro solo un passaggio dal Paradiso terrestre a quello celeste. Ora tu non hai mai avuto macchia di peccato alcuno sulla tua anima. 

Neppure il grande, comune peccato, eredità di Adamo a tutti gli umani, ti colpì, perché Dio te ne preservò per singolare, unico privilegio, essendo tu, da sempre, destinata a divenire l’Arca del Verbo. E l’Arca, anche quella che, ahimé!, non contiene che cose fredde, aride, morte, perché in verità il popolo di Dio non le mette in pratica come dovrebbe, è, e deve essere, sempre mondissima. L’Arca sì. Ma chi, tra coloro che ad essa si accostano, Pontefice e Sacerdoti, lo sono realmente come tu lo sei? Nessuno. Per questo io sento che a te, seconda Eva, ed Eva fedele alla Grazia, non verrà data la morte».

«Mio Figlio, secondo Adamo, Grazia stessa, ubbidiente sempre al Padre, a me, in modo perfetto, morì. E di quale morte!».

«Era venuto per essere il Redentore, Madre. Lasciò il Padre, il Cielo, per prendere Carne onde redimere, col suo Sacrificio, gli uomini, rendere loro la Grazia, e quindi rielevarli al grado di figli adottivi di Dio, eredi del Cielo. Egli doveva morire. E morì con la sua Umanità Ss. E tu moristi nel cuore vedendo il suo supplizio atroce e la sua Morte. Hai già tutto patito per essere redentrice con Lui. Io sono un povero stolto, ma sento che tu, Arca vera del vero, vivente Iddio, non sarai, non puoi essere corruttibile. Come la nuvola di fuoco protesse e diresse l’Arca di Mosè verso la Terra promessa (Esodo 13, 21-22; Numeri 9, 15-23), così il Fuoco di Dio ti attrarrà al suo Centro. Come la verga di Aronne non seccò (Numeri 17, 23-26), non morì, ma anzi, benché staccata dall’albero, mise gemme, foglie e frutti, e visse nel Tabernacolo, così tu, eletta da Dio tra tutte le donne che abitarono e abiteranno la Terra, non morrai come pianta che secca, ma nell’eterno Tabernacolo dei Cieli vivrai in eterno, con tutta te stessa. Come le acque del Giordano si aprirono per lasciar passare l’Arca e i suoi portatori e il popolo tutto , ai tempi di Giosuè (3, 14-17), così per te si apriranno le barriere che il peccato di Adamo ha messo tra Terra e Cielo, a tu passerai da questo mondo al Cielo eterno. 
Ne sono certo. Perché Dio è giusto. E per te dura il decreto messo da Lui per chi non ha né peccato ereditario, né peccato volontario sull’anima».

«Ti ha rivelato ciò Gesù?».

«No, Madre. Me lo dice lo Spirito Paraclito, Colui che il Maestro ci avvisò che ci avrebbe rivelato le cose future e ogni verità. Il Consolatore già me lo dice, nello spirito, per rendermi meno amaro il pensiero di perderti, o Madre benedetta che amo e venero quanto e più della mia per quanto soffristi, per quanto sei buona e santa, solo inferiore al Figlio tuo Ss. tra tutti i santi presenti e futuri. La Santa più grande».Giovanni, commosso, si prostra venerandola.>>

<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>