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lunedì 29 luglio 2024

LA CHIESA NON E' LUOGO DI CONTAGIO

 CHIESA

D'Ercole, un'altra vittima della misericordia

Monsignor Giovanni D'Ercole ha annunciato ieri le dimissioni da vescovo di Ascoli Piceno e si ritirerà per un periodo imprecisato in un monastero in Africa. Decisione "difficile e sofferta", presa per amore della Chiesa dopo aver subito forti pressioni dalla Santa Sede. La sua colpa? Aver difeso la libertà della Chiesa durante il lockdown.

Monsignor Giovanni D'Ercole
https://vimeo.com/412273826?signup=true

«Una scelta difficile, sofferta ma profondamente libera ispirata al servizio della Chiesa»; e poi il ritiro in un monastero per accompagnare «il cammino della Chiesa in modo più intenso, con la preghiera». Le parole con cui monsignor Giovanni D’Ercole ha annunciato .. le sue dimissioni da vescovo di Ascoli Piceno rimandano immediatamente a quelle con cui Benedetto XVI quasi otto anni fa annunciò la rinuncia all’esercizio del pontificato. Non per niente, nella lettera ai fedeli della sua diocesi monsignor D’Ercole richiama un passaggio di quel discorso di Benedetto XVI, papa per cui monsignor D’Ercole non nasconde un grande affetto: «Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi».

Le dimissioni di D’Ercole hanno suscitato un notevole clamore, perché egli è un volto molto conosciuto al grande pubblico, avendo per 24 anni condotto programmi religiosi in Rai, fino al 5 gennaio 2019. Religioso orionino, dopo l’ordinazione sacerdotale (1974) era stato otto anni in missione in Costa d’Avorio (dove tornerà ora per il periodo da passare in monastero) e poi a fine anni ’80 vice-direttore della Sala Stampa vaticana. In Rai aveva iniziato la collaborazione nel programma “Prossimo tuo”, ma poi è stato l’ideatore e il conduttore dal 2002 del programma “Sulla via di Damasco”, che lo ha reso familiare a milioni di italiani che il sabato mattina lo seguivano su Rai2.

Ma non è solo per la sua notorietà che molti organi di stampa hanno parlato di dimissioni-choc; esse infatti cadono in un periodo di grande confusione e divisione nella Chiesa e appaiono senza un motivo evidente: non ci sono problemi di salute, non si vocifera di scandali. Inoltre mancherebbero appena due anni all’età (75 anni) in cui i vescovi vanno “in pensione”, salvo proroghe concesse dal Papa. Quindi "perché?", si chiedono in tanti.
La scelta sarà anche stata libera, ma ciò non vuol dire che questa libertà non sia stata esercitata di fronte a circostanze molto pesanti. Quali?

Chi ha potuto sentirlo prima dell’annuncio ufficiale racconta di un D’Ercole molto sofferente nell’anima, una decisione «difficile e sofferta», ha detto lui. Che cosa è accaduto, dunque? Da fonti attendibili, la Bussola Quotidiana ha appreso che in realtà sono state fatte molte pressioni su monsignor D’Ercole perché si dimettesse: la richiesta è partita da Santa Marta e riferita attraverso la Congregazione dei vescovi. E per evitare bracci di ferro che avrebbero creato ancora più tensioni nella Chiesa, monsignor D’Ercole ha “liberamente” scelto di obbedire e farsi da parte. Non per niente nella lettera di commiato dalla diocesi ha ripreso le parole di Benedetto XVI citate all’inizio: «Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi».  

Del resto proprio l’amore per la Chiesa deve averlo portato in rotta di collisione con Roma. Anche se non è dato sapere con certezza i motivi della richiesta di dimissioni, si può facilmente intuire che D’Ercole abbia pagato a caro prezzo la difesa pubblica della libertà della Chiesa davanti a un potere politico che aveva proibito le messe e a un potere ecclesiale che aveva ben volentieri acconsentito, o addirittura preceduto. Tutti ricordano infatti il video con cui lo scorso aprile monsignor D’Ercole si ribellò al prolungamento del divieto di messe, accusando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte di aver “fregato” i vescovi e di aver instaurato una dittatura.

«La Chiesa non è luogo di contagi», ripeté più volte con una fermezza che non deve essere piaciuta neanche ai vertici della CEI, così proni al governo nell’accettare la catalogazione delle chiese tra i luoghi a maggior rischio. «Bisogna che il diritto al culto ce lo diate, sennò ce lo prendiamo – proseguiva D’Ercole riferendo di una popolazione “stanca” e psicologicamente provata – e se ce lo prendiamo è solo un nostro diritto». E rivendicava inoltre la Chiesa come «uno spazio di libertà e uno spazio di speranza».

Parole forti, parole dure che gli sono da subito costate molti problemi: aveva attaccato il governo proprio mentre il Papa lo difendeva anche rimettendo in riga la presidenza CEI, che aveva mostrato qualche segno di insofferenza. La forza delle espressioni di monsignor D’Ercole e la sua libertà metteva anche in risalto la pusillanimità dei vertici dell’episcopato italiano, che avevano svenduto la libertà della Chiesa sancita anche dal Concordato pur di avere la benevolenza del governo.

Ed è una curiosa coincidenza che l’ufficialità delle dimissioni arrivi proprio mentre si fanno più forti le voci di un nuovo possibile stop alle messe, causa aumento dei contagi. Difficile respingere la sensazione che si usi sempre il vecchio metodo “colpirne uno per educarne cento”: con le dimissioni dell’unico vescovo che abbia alzato la voce a difesa della libertà della Chiesa, Conte e il suo comitato tecnico scientifico avranno ancor più la strada spianata per qualsiasi decisione vogliano prendere.

È un’altra brutta pagina per la Chiesa italiana, parzialmente riscattata dal gesto di un vescovo che per amore della Chiesa, di fronte a questa situazione drammatica, sceglie e indica la preghiera come l’azione più importante ed efficace che un cristiano, tanto più un pastore, possa fare. Perché non si dimentichi che il vero capo della Chiesa è Cristo, ed è a Lui che dobbiamo rivolgerci perché eviti che nel mare in tempesta la barca si rovesci.

Riccardo Cascioli

AMDG et D.V.MARIAE

mercoledì 2 novembre 2016

PERCHE' fino a questo punto?

Vescovi: Galantino e la CEI alla marcia dei radicali
 Mons. Galantino manda la CEI alla marcia dei radicali: offesa non solo per i cattolici, ma per tutti gli italiani.
Galantino vada a casa subito, senza "se" e senza "ma".

Perché la CEI alla marcia dei radicali?

di Costanza Miriano

Non è rabbia, non è delusione. È un dolore lancinante, quello che provo, nel leggere che la CEI dà la sua convinta adesione alla marcia per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà intitolata a Marco Pannella e Papa Francesco organizzata per il 6 novembre a Roma dal Partito Radicale Transnazionale Nonviolento e Transpartito in occasione del Giubileo dei carcerati.
È un dolore perché amo di un amore filiale la Chiesa, sposa di Cristo, la amo come la mia vera famiglia, le sono riconoscente e le devo tutto, cioè il battesimo, i sacramenti che solo attraverso le sue mani ricevo, il catechismo, cioè la verità su me stessa.
Ma che sta succedendo? I nostri pastori? I nostri padri nella fede? Quelli che hanno il dovere di confermarci? Quelli che hanno il compito altissimo di annunciare Gesù Cristo crocifisso e risorto agli uomini?
Perché marciano con il partito che più di tutti ha contribuito con le sue battaglie di morte a cambiare la mentalità profonda dell’uomo contemporaneo, sempre più lontano da Dio?
Il compito della Chiesa è prima di tutto annunciare, con amore, all’uomo la verità su se stesso, non difendere i diritti umani: se non partono da Dio i diritti umani sono opinabili, relativi.
Perché un carcerato, che sia colpevole o innocente, va difeso (e io dico che va difeso!) e un bambino, sicuramente innocente, nella pancia della mamma, no?
Lo sanno, i radicali, che il Giubileo annuncia la remissione delle colpe per la salvezza eterna, e non il miglioramento della qualità della vita nelle carceri? Che c’entrano con il Giubileo persone, rispettabilissime, che non credono però nella vita eterna?
È ovvio che la CEI e  i cristiani tutti siano a favore della dignità dei carcerati. Io direi che ogni uomo che sia degno di questo nome lo è. Chi è a favore di detenzioni disumane? Chi desidera che i carcerati, già dolorosamente provati della loro libertà, stiano male (se non altro perché poi escono più arrabbiati e pericolosi di prima)? Chi è per la violenza? Chi è per la guerra? Chi è per la fame? Questi sono valori umani minimi, impossibile non condividerli.
Ma perché marciare con i radicali, quelli che si vantano di aver maciullato con le loro mani (e le pompe di bicicletta) migliaia di feti, di bambini nelle pance delle donne?
Ricordiamo che con il loro partito transnazionale, grazie a finanziamenti mondiali, i radicali hanno contribuito a rendere possibile il fatto che oggi abbiamo una candidata alla presidenza dell’impero che si è detta favorevole all’aborto al nono mese con schiacciamento della testa del bambino mentre esce dall’utero, tecnicamente un omicidio in piena regola.
Perché la Chiesa continua a non essere originale?
Non ha senso che per cercare di attirare i cuori dei ragazzi – che desiderano l’Assoluto – facciamo i concerti per i ggiovani (con due g) invitando artisti, spesso di mezza tacca, nella speranza che per sentire le loro canzoni i ragazzi si bevano anche qualche predica. Io agli eventi organizzati dalla sposa di Cristo voglio sentir parlare dello Sposo, se voglio ascoltare il cantante x – spesso non credente – vado al suo concerto.
Perché scimmiottiamo il mondo?
La risposta secondo me è semplice: non ci crediamo più neanche noi, che essere cristiani è tutta un’altra cosa. E’ entrare nella vita del battesimo, o almeno desiderarlo ardentemente, e quindi tutto il resto impallidisce al confronto, e lo spettacolino magari è pure bello, ma è un’altra cosa.
Se qualcuno dovesse ritirar fuori la vecchia roba dei muri e dei ponti: non sto dicendo che se una PERSONA che ha idee radicali dovesse avere bisogno di qualcosa non si debba essere pronti persino a dare la vita per lei.
Sto dicendo che le IDEE radicali sono irrevocabilmente, strutturalmente, irrimediabilmente, profondamente e totalmente contro Dio, che è il Dio della vita, che è il Dio che ci chiede di ascoltare la sua voce di Padre che ama e che sa qual è il meglio per noi, mentre l’uomo disegnato dai radicali è un uomo che sa solo lui cosa è bene per sé, che decide della vita sua e di quella dei più deboli, i feti, i malati che è meglio far morire di fame e di sete.
Noi dobbiamo amare le persone radicali, ma dobbiamo odiare le loro idee.
Le dobbiamo odiare proprio per amor loro.
Perché queste idee, che mettono l’uomo al centro del suo mondo, impediscono di mettere al centro del cuore Cristo, e quindi impediscono la felicità. (E le persone radicali che ho conosciuto erano infelici).
Proprio perché amiamo le persone radicali dobbiamo sperare che siano in grado di “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza,  l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza”.
Ero indecisa se scrivere queste parole, ma oggi alla messa, oltre alla lettera agli Efesini appena citata, che era la prima lettura, ci si è messo pure il Vangelo, e mi ha convinta. È quello in cui Gesù dice di essere venuto a portare divisione sulla terra.Fuoco. Il battesimo! Se in una famiglia ci sono cinque persone “saranno divisi tre contro due e due contro tre” dice Gesù.
Alza muri anche Gesù? Ovviamente no.
Sta parlando della divisione che c’è tra chi cerca di vivere secondo il battesimo e chi no. Non è divisione nel senso di rancore, cattiveria, odio, ovviamente. E’ che si entra in un’altra dinamica di vita e quindi si può vivere vicini, condividere tante cose, compreso l’impegno per i carcerati, per l’ambiente, contro la fame, contro la guerra, ma non si condivide l’intimo respiro che sta dentro ogni cosa.
Scrive don Giussani in “Il cammino al vero è un’esperienza” – che provvidenzialmente, parlando di tutt’altro, un amico mi ha spedito stamane – “Un cristianesimo filtrato dalla nostra saggezza, ridotto a noi, porta all’equivoco e non alla testimonianza, genera compromesso con gli avversari e non vittoria della nostra fede. Non si può annacquare il vino di Dio con l’acqua dei suoi avversari. Non si afferma il cristianesimo sottacendo gli aspetti della sua verità. Amare gli altri non è dimenticare ciò che ci distingue da loro per cercare punti d’accordo. Non ameremo gli altri se innanzitutto noi non portiamo loro la Realtà per cui non siamo come gli altri, la Realtà cioè che viene da Cristo”
E, se non sono presuntuosa nel chiosare Giussani, gli avversari non sono mai le persone, ma le bugie di cui loro sono ostaggio. Volere il loro vero bene significa annunciare la verità, quella che la Chiesa col suo deposito ci garantisce non essere una proiezione delle nostre fantasie.
È vero, il Papa parla di “piccoli passi” per non essere violenti nei confronti di chi non ha il dono della Fede, e probabilmente la decisione di dare la convinta adesione alla marcia radicale viene dal desiderio di obbedire al Papa.
Mi chiedo solo se sia stato correttamente interpretato. Un conto è non essere violenti – che so, fare una contro manifestazione in opposizione a quella radicale – un conto è aderire convintamente a quella marcia.
Per me la più grande violenza che si possa fare a qualcuno è di lasciarlo nel suo buio, nella sua bugia, nel suo errore.
È non fargli la carità.
La carità del pane (delle ciabatte i pennarelli i bagnoschiuma le penne i calzini che Padre Maurizio raccoglie da noi tutte le settimane per i detenuti, per esempio), ma anche, insieme, la carità della verità.
Dice il Papa che dobbiamo far interrogare l’altro con la nostra bontà, e solo se e quando ce lo chiederà, potremo rispondere in nome di Chi compiamo certi gesti.
È vero, non dobbiamo mettere la Verità davanti a noi, come uno stendardo, un gonfalone che ci ingombra e ci impedisce di guardare l’altro negli occhi.
Ma non possiamo neanche seguire il gonfalone degli altri, se, e sottolineo se, davvero crediamo che quello stendardo porta alla morte.
Sensibilizziamo dunque l’opinione pubblica sul tema delle carceri, e tanti amici cristiani si danno da fare concretamente per loro, ma non dimentichiamo che ci stiamo a fare su questa terra.
Non a combattere per un mondo migliore, ma a cercare Dio. E se non lo annuncia più la Chiesa, chi lo farà?
Se il sale perde sapore, con che saleremo?
Lo dico quindi, con rispetto filiale, con il dolore di una figlia grande che vede i genitori sbagliare: pastori, siate uomini, e tornate a fare i padri.
Se non dovete fare i vescovi pilota, e non lo avete fatto anche quando era il vostro popolo, il popolo della vita, le famiglie, i padri e le madri, i bambini, a chiedervelo supplicante, non fatelo neanche quando a chiedervelo è il popolo della morte.
https://costanzamiriano.com/2016/10/20/perche-la-cei-alla-marcia-dei-radicali/