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martedì 21 febbraio 2017

Maestà e splendore delle lettere paoline



4. CORRISPONDENZA 

TRA SENECA E PAOLO 

[1] Seneca a Paolo, salute!

Credo, Paolo, che ti sia stato riferito che ieri, con il nostro Lucilio, abbiamo conversato degli apocrifi e di altre cose C'erano con me alcuni compagni delle tue discipline. C'eravamo, infatti, rifugiati negli orti Sallustiani e, prendendo occasione dal luogo, pur diretti altrove, si sono aggregati a noi quelli dei quali ho parlato. Certamente abbiamo desiderato la tua presenza! Desidero farti sapere che abbiamo letto e ci siamo nutriti del tuo scritto, una delle tante lettere da te indirizzate ad una città o capitale di provincia, che con dolcezza esorta a disprezzare la vita mortale. Non credo che quelle espressioni siano state dette da te, ma per mezzo di te; in fondo, da te e per mezzo tuo. Tanta è, invero, la maestà di quelle (lettere) e splendono di così ampia chiarezza che non penso sia sufficiente (per comprenderle) l'età degli uomini ai quali incombe (il dovere) di istruirsi e perfezionarsi in esse. Ti auguro di star bene, fratello.

[2] Paolo ad Anneo Seneca, salute!

Con piacere, ho ricevuto ieri le tue lettere. Avrei risposto subito, se avessi avuto a disposizione il giovane da mandarti. Tu sai, infatti, quando, da chi, in che tempo ed a chi si debba dare e affidare. Ti prego di non credere che tu sia trascurato, mentre invece mi interesso della qualità della persona. Sono felice che le mie lettere, scritte a diversi, vi siano state gradite e che sia favorevole il giudizio di un uomo così grande. Né tu infatti, critico, filosofo e maestro di un principe così grande, ed anche di tutti, diresti questo se proprio non lo credessi. Ti auguro di vivere a lungo e bene.

[3] Seneca a Paolo, salute!

Ho messo in ordine alcuni scritti ed ho sistemato le loro parti secondo il piano dovuto. Ho anche deciso di leggerli a Cesare; se felicemente, al più presto, la sorte vorrà che egli benevolmente presti un orecchio interessato forse sarai presente anche tu, altrimenti ti fisserò un giorno per esaminare quest'opera insieme. Potrei anche non comunicare a lui questi scritti senza prima averne parlato con te, se questo però si può fare impunemente. Questo, affinché tu sappia ch'io non ti trascuro. Stai bene, carissimo Paolo!

[4] Paolo ad Anneo Seneca, salute!

Ogni volta che ascolto le tue lettere ti considero presente e non faccio altro che pensarti sempre con noi. Non appena dunque inizierai a venire, ci vedremo da vicino. Ti auguro di stare proprio bene!

[5] Seneca a Paolo, salute!

Sono veramente desolato dell'eccessivo isolamento! Che c'è? Che cosa c'è che ti tiene in disparte? Se è l'indignazione della signora per il fatto che tu ti sei staccato dal rito e dalla setta antica voltandoti altrove, è il caso di fare in modo che sappia che ciò non è avvenuto con leggerezza, bensì a ragion veduta. Sta proprio bene!

[6] Paolo a Seneca e Lucillo, salute!

Di quanto mi hai scritto non è il caso di trattarne con penna e inchiostro, il primo dei quali segna a traccia i pensieri che il secondo rende evidenti; tanto più ch'io so che tra voi, presso di voi cioè e in voi, ci sono parecchi che mi capiscono. Si devono onorare tutti, quelli soprattutto che spiano l'occasione di indignarsi. Se verso di essi usiamo pazienza, li vinceremo sotto ogni aspetto e da qualsiasi parte, purché siano di quelli che si ravvedono. State proprio bene!

[7] Anneo Seneca a Paolo e Teofilo, salute!

Ti confesso di gradire assai la lettura delle tue lettere inviate ai Galati, ai Corinzi e agli Achei, affinché viviamo l'uno per l'altro. E con quale brivido divino tu le presenti! Lo Spirito santo, infatti, in te e aleggiando sopra di te esprime, con bocca sublime, concetti molto rispettabili. Vorrei quindi che alla loro maestà non mancasse il culto della parola, dato che tu annunci cose esimie. E per non celarti nulla, o fratello, e non volendo essere in debito verso la mia coscienza, ti confesso che Augusto si è commosso alle tue espressioni. Gli lessi quanto tu affermi nell'esordio a proposito della virtù, ed egli esclamò: "Si resta stupiti che abbia tali sentimenti chi non ha avuto una formazione regolare". Io risposi che Dio suole parlare per bocca dei semplici e di coloro che non possono adulterare la sua dottrina. Gli addussi l'esempio di Vatieno, uomo rustico, al quale - nell'agro reatino - apparvero due uomini che poi si svelarono come Castore e Polluce; ed egli ne fu abbastanza convinto. State bene!

[8] Paolo a Seneca, salute!

So che il nostro Cesare ama le cose degne di ammirazione, e quando manca permette che lo si avverta, ma non permette che lo si offenda. Ritengo invero che tu abbia agito in modo piuttosto pesante nel volergli fare conoscere quanto è contrario al suo culto e alle sue credenze. Siccome egli venera gli dèi dei gentili, non comprendo come mai ti sia passato per la mente di volergli far conoscere questo: penso che tu l'abbia fatto per troppo amore verso di me. In futuro, te ne prego, non farlo più. Volendomi bene, ti devi guardare dal compiere qualcosa di offensivo verso la signora: questa offesa, è vero, non ci nuocerà se lei sarà perseverante, ed in caso contrario non ci sarà utile. In quanto regina non si indignerà, ma in quanto donna ne sarà offesa. Sta proprio bene!

[9] Seneca a Paolo, salute!

So bene che quanto ti agita nella lettera con la quale ti ho annunziato di avere comunicato le tue lettere a Cesare, non è un motivo personale, bensì la conoscenza della natura (umana) che distoglie gli spiriti degli uomini da ogni dottrina e morale sana: io non me ne sono stupito, e non da oggi soltanto! Ho, infatti, molte prove che mi confermano pienamente questa conoscenza. Agiamo dunque in modo diverso. Se in passato si è fatto qualcosa con faciloneria, tu mi scuserai. Ti ho mandato un volume sulla ricchezza delle espressioni. Stai bene, Paolo carissimo!

[10] Paolo a Seneca, salute!

Ogni volta che ti scrivo e che appongo il mio nome accanto al tuo, compio un'azione grave e incongruente verso la mia setta. Come spesso ho detto, debbo essere tutto a tutti e rispettare nella tua persona quell'onore che la legge romana riconosce ai senatori, e scegliere l'ultimo posto al termine della lettera, ma non voglio agire a mio arbitrio, meschinamente, contro le convenienze e in modo disdicevole. Stai bene, devotissimo maestro. Il 27, sotto il terzo consolato di Nerone e Messala.

[11] Seneca a Paolo, salute!

Salve, Paolo mio carissimo. Pensi che non mi rattristi e ch'io non ritenga cosa deplorevole il fatto che la vostra innocenza sia oggetto di supplizio? Ed ancora, che il popolo tutto vi giudichi rei di dure e perverse condanne attribuendovi tutte le sfortune della città? Sopportiamo con animo forte e accontentiamoci delle circostanze che la sorte ci ha serbato, fino a tanto che l'inalterabile felicità metta fine ai nostri mali. Anche le età passate hanno subìto Alessandro Magno, il Macedone, figlio di Filippo, Dario e Dionisio, e la nostra età ha Caio Cesare, ai quali fu lecito ogni arbitrio. E' a tutti noto che Roma ha frequenti incendi e non c'è dubbio sulla loro origine. Ma se ad uomini oscuri fosse concesso di dire qual è la causa, se nelle tenebre fosse permesso di parlare impunemente, allora tutti vedrebbero ogni cosa. Purtroppo, ahimè! cristiani ed Ebrei sono continuamente inviati al supplizio come incendiari. Ma il bandito, chiunque egli sia, che si copre di menzogna e la cui voluttà è nel sangue, avrà indubbiamente il suo giorno. E come ogni persona che è migliore delle altre ha dato la sua testa per molti, così costui sarà votato da tutti a quel fuoco che lo consumerà. In sei giorni bruciarono centotrentadue case e quattro isolati; nel settimo giorno si fermò. Ti auguro, fratello di stare proprio bene! Il 28 marzo, sotto il consolato di Frugi e Basso.

[12] Seneca a Paolo, salute!

Salve, Paolo mio carissimo. Se a me e al mio nome, essendo tu così grande e amato sotto ogni aspetto, capiterà che tu non unisca soltanto il tuo nome, ma sia necessariamente congiunto, allora, per il tuo Seneca sarà una cosa perfetta. Essendo tu la cima, il vertice di tutte le più alte montagne, come non potrei rallegrarmi se ti sarò così vicino da essere preso per un altro te stesso? Non ritenere dunque di essere indegno di figurare in testa alle nostre lettere: in tal modo, infatti, più che lodarmi sembrerebbe che tu mi metta alla prova. Giacché sai bene di essere cittadino romano. Invero, il mio rango è il tuo, e vorrei che il tuo fosse mio. Stai bene, mio carissimo Paolo! Il 23 marzo, sotto il consolato di Aproniano e Capitone.

[13] Seneca a Paolo, salute!

Molte tue opere contengono enigmi ed allegorie. Bisognerebbe dunque che tanta forza di pensiero e il genio che ti è proprio avessero non dico una certa qual bellezza di parole, ma almeno una certa eleganza. Non temere il fatto che molti, come spesso ti ho sentito dire, presi da questa arte abbiano snaturato il pensiero e snervata la forza delle idee. Vorrei che tu mi accordassi di tenere conto del carattere della lingua latina, affinché il sublime genio che ti è stato concesso fosse, da te, trattato come merita. Stai proprio bene. La vigilia delle none di luglio sotto il consolato di Lurcone e Sabino.

[14] Paolo a Seneca, salute!

Le tue ricerche ti hanno rivelato delle verità che la divinità fa conoscere a pochi. Con fiducia, dunque, io semino in un campo, già fertile, una semente molto feconda; non certo qualcosa di corruttibile, ma il Verbo immutabile, emanazione di un Dio che cresce e resta in eterno. Constaterai che quanto tu hai imparato con la riflessione confuta le obiezioni degli Ebrei e dei pagani, e vedrai che è verità che non verrà meno. Tu diverrai un autore nuovo annunziando Gesù Cristo, mostrando una sapienza che i retori non potranno superare. Questa sapienza che gusterai, tu l'insinuerai nell'ambito del re temporale, dei familiari ed amici; ma ti sarà duro e difficile convincerli e la maggior parte di loro non si arrenderà alle tue esortazioni. Ma la parola di Dio, instillata in essi come un adattissimo principio vitale, genererà un uomo nuovo, incorruttibile, un'anima eterna che da quaggiù è protesa verso Dio. Stai bene, nostro carissimo Seneca. Il 1ø agosto, sotto il consolato di Lurcone e di Sabino.

Terminano così le quattordici lettere che san Paolo apostolo e Seneca reciprocamente si scrissero.

venerdì 25 ottobre 2013

La solitudine



I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: La solitudine


Data: Domenica, 12 ottobre @ 16:34:35 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


 1. I Santi e i grandi uomini praticarono la solitudine. 
2. Eccellenza e vantaggi della solitudine. 
 3. Motivi di cercare e amare la solitudine. 
 4. Come bisogna diportarsi nella solitudine. 





1. I SANTI E I GRANDI UOMINI PRATICARONO LA SOLITUDINE.

Davide fuggiva, ancor ragazzo, la città e la moltitudine, dice S. Giovanni Crisostomo; abitava i deserti e non teneva commercio col secolo; non occupandosi né di negozi, né di compre, né di vendite, viveva silenzioso nella solitudine, e là, come in tranquillo porto, riposando in pace nel suo isolamento, guardava il gregge; meditava il regno dei cieli abbatteva e ammazzava gli orsi e i leoni che si gettavano su le sue pecore; li atterrava non tanto con, la forza delle sue braccia, quanto col vigore della sua fede, che attingeva nella solitudine (Homil. ad pop.). Di Giuditta narra la Sacra Scrittura, che si era scelto nel piano superiore della sua casa un piccolo e segreto appartamento, dove se ne stava ritirata con le sue ancelle (IUDITH. VIII, 5). 

 La Chiesa canta in onore di S. Giovanni Battista, ch'egli ancora tenero fanciullo, era andato a nascondersi negli antri del deserto, fuggendo le turbe dei cittadini, per non imbrattare della menoma macchia, nemmeno solo di parola, la sua vita (Hym. in fest. S. Ioann. B.). S. Giovanni si ritirò nella solitudine per imitare, ad esempio di Mosè e di Elia, lo spirito e la virtù di Gesù Cristo; cioè per quel suo allontanamento dal mondo e dai vizi del mondo, acquistò la perfezione della santità e si rese degno di essere in seguito creduto allorché mostrò Gesù Cristo. Perciò i Padri chiamano Giovanni Battista il capo, il modello, il duce dei monaci e degli eremiti. Egli abita la solitudine, anche per mostrare i pericoli del secolo e la sua corruzione, e per provare alle età future che il deserto, nido di belve feroci e di rettili velenosi, è meno pericoloso che il tumulto del mondo. 

Quanti milioni di uomini e di donne di ogni età, di ogni stato, si appartarono nella solitudine per lavorare alla loro santificazione! Leggete la vita dei Santi, e specialmente quella dei Padri del deserto... Le persone pie e contemplative hanno sempre desiderato, amato, cercato la solitudine.

I più grandi fra i Santi, dice l'Autore dell'Imitazione di Gesù Cristo, hanno sempre evitato quanto potevano il commercio con gli uomini, e scelto la solitudine per vivere di Dio e per Iddio (Lib. I, c. XX, n. 1). I grandi uomini hanno in ogni tempo guardato la solitudine come un soggiorno di vere ricchezze, di felicità, di delizie, di pace, di sicurezza, di virtù, di perfezione, come un luogo sicuro dai pericoli e dalle seduzioni... I gentili medesimi conobbero la vita solitaria, l'ebbero in pregio e parecchi la praticarono. Per testimonianza di Plutarco, Scipione l'Africano diceva ch'egli non era meno solo che quando era solo; e non mai meno ozioso che nella solitudine.
 2. ECCELLENZA E VANTAGGI DELLA SOLITUDINE. -

Come la terra nasconde nelle sue viscere l'oro, come il mare tiene sepolte nel suo seno le perle, come il suolo copre le radici degli alberi, così la virtù degli umili e dei Santi è sempre nascosta in questo mondo, sia da essi, sia da Dio, sia principalmente dall'amore alla solitudine... E Gesù medesimo non opera egli forse in segreto con la sua grazia e con i suoi doni?... La vita degli anacoreti, degli eremiti, fu vita nascosta nella solitudine. Il Salmista medesimo diceva: « Io sono fuggito, mi sono allontanato, ed ho fissato la mia dimora nella solitudine» - E perché ciò? «Perché ho veduto la violenza e la discordia correre da padrone il mondo, l'iniquità sedervi regina. Il delitto, la frode, l'usura e l'inganno non si partono mai dalle pubbliche piazze» (Psalm. LIV, 8-12).

 Nell'Apocalisse si legge che alla donna perseguitata dal dragone furono date due ali, affinché volasse nel deserto, lontano dalla vista del serpente (Apoc. XII, 14). Ecco il precetto che Dio fa ad ogni cristiano, sottrarsi alle insidie del serpente infernale, riparando alla solitudine.

Perciò, S. Gerolamo diceva a Rustico: «Abbiti la cella in conto di paradiso. Per me la città è un carcere, la solitudine un paradiso (Epist.)». E S. Nilo, discepolo del Crisostomo, afferma che ha l'anima invulnerabile alle saette del nemico chi ama la solitudine; ma chi ama di stare con la moltitudine, riporterà frequenti, crudeli ferite (In Vit. Patr.).

 Ascoltate come stupendamente descrive Isaia, al capo XXXV, l'eccellenza ed i molteplici vantaggi della solitudine: Il deserto si allieterà; la solitudine sarà nell'allegrezza e fiorirà come un giglio. Essa germinerà da tutte le parti e tripudierà cantando inni di lode. A lei è data la gloria del Libano, la bellezza del Carmelo, la fertilità di Saron; riconoscerete la gloria del Signore e la grandezza del mio Dio. Ecco il vostro Dio, viene egli in persona e vi salverà. Allora gli occhi dei ciechi e le orecchie dei sordi si apriranno; lo zoppo correrà agile come un cervo; la lingua dei muti parlerà spedito e chiaro; i macigni del deserto si spaccheranno e fiumi d'acqua correranno ad irrigare la solitudine. La terra più arida sarà convertita in uno stagno, fontane zampillanti bagneranno zolle arse e disseccate; là ove tenevano loro giaciglio i serpi, verdeggeranno le canne e i giunchi. E là vi sarà una via, la via santa; l'impuro non vi passerà, gl'insensati non vi cammineranno. Né leoni, né bestie feroci vi porranno piede; è il cammino degli uomini che furono liberati. Il Signore li ha riscattati; essi ritornano a lui, si affollano a Sionne cantando le sue lodi; una gioia perpetua corona loro il capo; essi vivranno nell'allegrezza e nell'estasi; il dolore e il gemito sono partiti per sempre dal loro cuore.

Il Signore consolerà Sionne, dice il medesimo Profeta in altro luogo (LI, 3), ne ristorerà le rovine; i suoi deserti diventeranno luogo di delizie, la sua solitudine un nuovo Eden. Tutto spirerà gioia ed allegrezza; si udiranno risonare da ogni lato azioni di grazie e cantici di lode. « Perciò uscite di mezzo al mondo e separatevi, dice il Signore; e non toccate nulla d'impuro; ed io vi accoglierò e sarò padre e voi sarete miei figli e mie figlie» (II Cor VI, 17-18).

 Quante grazie, quanti favori particolari ed abbondanti promette e concede il Signore alle anime elette e privilegiate perché lasciano il mondo per ritirarsi nella solitudine! «La solitudine è la forma e la regola della sapienza, scrive S. Gerolamo; la solitudine è di per se stessa una predicazione ed esortazione alla virtù; allora ci prepariamo il cielo quando ci allontaniamo dal mondo (Epl. ad Theresiam.) ».

Un altro amante della solitudine esclamava: O quanto bassi e spregevoli mi paiono tutti gli onori, tutte le altezze del mondo! solo i deserti mi attirano; mi danno noia le città e il mondo intero. O beata solitudine! o sola beatitudine, compagna ed emula degli Angeli!... Perciò Iddio dice per bocca di Osea: «Io la condurrò nella solitudine, e le parlerò al cuore!» (OSE. II, 14). Ecco quello che trasse gli Antoni, i Paoli, gli Ilarioni, gli Stiliti, i Macarii a lasciare il mondo e internarsi nella solitudine dove, liberi dal commercio degli uomini, dai pericoli, dagli allettamenti, dagli inganni, dagli scandali, si consecrarono all'orazione, allo studio delle cose celesti; e dove bruciando di amore, pieni di santi desideri, non respirarono che per il cielo, per Gesù Cristo, in Gesù Cristo, di Gesù Cristo.

 «Io porrò la vera strada nella solitudine » (ISAI. XLIII, 19), dice il Signore per bocca d'Isaia, e i deserti si cambieranno in laghi, e le aride lande saranno bagnate da canali di acqua che farò scaturire sul pendio dei colli e in mezzo ai campi. Farò nascere nel deserto il cedro, il legno di Sethin, il mirto e l'olivo. L'abete, l'olmo e il bosso intrecceranno l'ombra del loro fogliame in mezzo alla solitudine. Sappiano i mortali che la mano di Dio ha fatto questi prodigi (ISAI. XLI, 18-20).

«O solitudine, esclama S. Gerolamo, primavera carica dei fiori di Gesù Cristo! O solitudine, nella quale nascono le pietre preziose di cui dice l'Apocalisse che è costrutta la città del gran Re! O solitudine che parli familiarmente a Dio nella gioia! Che fai tu, fratello mio, nel secolo, tu più grande del mondo tutto? Per quanto tempo ancora ti schiaccerà l'ombra dei tetti? Fino a quando tuttavia, o Eliodoro, la bella prigione delle città ti terrà prigioniero? (Epist. ad Heliod.)».

 Volete altre prove degli immensi vantaggi che procura la solitudine? Eccovi Abramo, Isacco, Giacobbe: Dio compare a loro e li ammaestra dei suoi misteri nella solitudine. Quivi essi apprendono la venuta e l'incarnazione del Messia, nel quale tutte le nazioni sarebbero benedette.
Nella solitudine Dio sceglie Mosè a capo e liberatore del popolo d'Israele: nella solitudine il Signore gli appare in mezzo al roveto ardente e gli palesa le sue volontà. Nella solitudine di quarant'anni egli impara a governare la nazione giudea. Il deserto è per lui una terra santa nella quale il Signore gli svela meraviglie non mai più vedute.
Nella solitudine gli Ebrei furono nutriti miracolosamente, per quarant'anni, di un pane disceso dal cielo; nella solitudine ebbero a guida una colonna di fuoco che rischiarava loro i passi la notte, e li difendeva come una. nube il giorno, dagli ardenti raggi del sole; nel deserto videro le acque zampillare dai macigni e il serpente di bronzo che li salvò dallo sterminio. Nel deserto, non nell'Egitto, Dio si manifestò ad essi e diede loro la sua legge.

Nella solitudine Elia si vede rapito e portato al cielo sopra un carro di fuoco; Davide è scelto ad essere re; Giovanni Battista è addestrato al suo ministero. Nella solitudine l'angelo compare a Maria e le annunzia che il cielo l'ha eletta a madre del Redentore. Nella solitudine Gesù Cristo nasce e passa i primi trent'anni di sua vita. Nella solitudine gli Apostoli ricevono tutti i doni dello Spirito Santo e sono trasformati in uomini divini. Nella solitudine si formano le vergini di Gesù Cristo, perla del suo popolo, gemma e gloria della Chiesa.

«O anima santa, esclama S. Bernardo, sii sola, affinché ti conservi a quel Dio unico, che solo hai scelto per tuo. Credi a chi ti parla per esperienza, la solitudine è lo steccato ed il bastione delle virtù. Molte più cose apprenderai nelle foreste che non nei libri; gli alberi e i macigni t'insegneranno quello che non potresti imparare dai maestri » (Serm. XL, in Cant.).

Non solamente la solitudine toglie l'occasione di peccare, ma di più innalza l'anima fino a Dio. «Sederà solitaria e taciturna, perché si leverà sopra se stessa» (Lament. III, 28). «Chi in te dimora, o solitudine, esclama S Basilio, s'innalza sopra se stesso, perché l'anima avendo fame di Dio, si solleva al di sopra di tutto ciò che è terreno; ella si aggrappa e sta sospesa alla rocca della contemplazione; divisa dal mando, vola verso il cielo e sforzandosi di vedere colui che sta al di sopra di tutte le cose, s'innalza, con nobile disprezzo, sopra di se medesima e di tutte le creature» (De Laud. vitae solitariae). La solitudine rende l'anima tranquilla, raccolta e presente a se stessa; la riempie dell'unzione delle cose celesti.

*Ma nessuno meglio del gran solitario S. Basilio ci descrive la felicità della solitudine.

«La vita solitaria è scuola di celeste dottrina e di arti divine. Là non s'impara che Dio, la strada che conduce a Dio, e tutto ciò che bisogna sapere per giungere alla cognizione del sommo vero. L'eremo è paradiso di delizie, dove esalano gli aromi delle virtù, dove le rose della carità fiammeggiano del calore di fuoco; dove i gigli della castità risplendano di niveo candore e frammiste ai gigli e alle rose olezzano le viole dell'umiltà. Qui stilla la mirra della mortificazione non solo della carne ma, gloria più grande, della volontà propria, e svapora del continuo l'incenso di una assidua orazione. O solitudine, delizia delle anime sante e dolcezza inesauribile d'interne consolazioni! Tu sei quella fornace caldea nella quale i santi fanciulli smorzano con la potenza delle loro preghiere le fiamme dell'incendio che li investe. Tu sei il forno nel quale il re superno mette a cuocere i suoi vasi di gloria, battuti col martello della penitenza, perché sieno perfetti e puliti con la lima della salutare correzione, affinché acquistino lucentezza.

O cella solitaria in cui si negozia il cielo! Felice commercio in cui si cambia la terra col paradiso, quello che passa con quello che eternamente resta! O solinga cella, mirabile officina di spirituali esercizi, in cui l'anima umana ristora in sé l'immagine del suo Creatore e la fa ritornare alla sua originale purità e bellezza! O solitudine, tu procuri che vegga Dio con puro cuore quell'uomo che poco fa, avvolto in dense tenebre, ignorava Dio e se medesimo: tu fai sì che l'uomo, appostato su la torre della sua mente, vegga scorrere sotto a sé e scomparire quanto vi è di terreno, e se stesso, passare con le altre cose.

O solitudine, o celletta, campo di Dio, torre di Davide, spettacolo degli Angeli, dimora di quelli che valorosamente combattono! O deserto, morte dei vizi, focolare e alimento delle virtù!

Mosè deve a te l'aver ricevuto per due volte il Decalogo; per te, Elia vide passare il Signore; per te, Eliseo ricevette il duplice spirito del suo maestro. Tu sei la scala di Giacobbe, che porti gli uomini al cielo, e riporti il soccorso degli Angeli alla terra! O vita solitaria, bagno delle anime, purgatorio che lavi le macchie! O cella, tu sei il luogo, dove vengono a consiglia Dio e l'uomo. O eremo, felice ricovero contro le persecuzioni del mondo, riposo dei travagliati, consolazione degli afflitti, frescura contro gli ardori del secolo, divorzio dal peccato, reclusione dei corpi, libertà delle anime, deposito di gemme celesti, curia dei divini senatori! Dove l'uomo vincitore dei demoni, diventa compagno degli Angeli; esule dal mondo, diventa erede del paradiso; rinnegando sé, diventa seguace di Gesù Cristo (De laud. Eremi)».


*Udite anche S. Bernardo: «L'abitazione di una cella e l'abitazione del cielo sono sorelle: poiché siccome il cielo e la cella paiono avere una certa affinità di nome, così l'hanno di pietà. Infatti cielo e cella sembrano derivare dal verbo celare, e ciò che sta celato o nascosto nei cieli, sta pure celato a nascosto nelle celle.
Quello che si cerca nei cieli, si trova nelle celle. Qual è la vita che si vive nel cielo, e quale quella che si tiene nelle celle? Non altra in verità, se non occuparsi di Dio, godere Dio. Quando nelle celle si adempie ogni cosa, seconda l'ordine, piamente e fedelmente, io non dubito di affermare che i santi Angeli di Dio trovano i cieli nelle celle; e tanto si dilettano nelle celle, quanto nei cieli.

Per l'ordinario dalle celle si ascende al cielo, e non quasi mai dalla cella si discende nell'inferno, perché di rado avviene che uno resti nella cella fino alla morte, se non è predestinato al cielo. La cella è una terra santa, un luogo sacro nel quale l'anima fedele si unisce frequentemente col Verbo di Dio; la sposa si congiunge con lo sposo, la terra col cielo, il divino con l'umano.

La cella del servo di Dio è come il tempio santo di Dio; infatti nel tempio e nella cella si trattano le cose divine, ma più di frequente nella cella. Se per Iddio voi in terra vi appartate dalla società degli uomini, otterrete da Dio nel cielo la società degli Angeli (Epist. ad Fratres de Monte Dei)». O fortunata solitudine, esclama Musio Cornelio, o unica beatitudine che gustano quelli che ti amano! Come sono felici le anime privilegiate e candide che volano nelle tue braccia e si allontanano da questo mondo, tutta perfidia! (In Laud. Vitae solitariae).

 3. MOTIVI DI CERCARE E AMARE LA SOLITUDINE. -
I motivi che devono indurci a cercare la solitudine ci sono accennati sotto figura in quelle parole d'Isaia: Si ode una voce gridare nel deserto: Preparate le strade al Signore, raddrizzate le vie che conducono a lui, abbassate i colli, colmate le valli, appianate quello che è montuoso. Una voce mi ordina di gridare: e che cosa griderò io? Tutti i mortali non sono che erba, e la loro bellezza rassomiglia al fiore del campo. Il Signore manda un soffio ardente, e l'erba del prato langue appassita, il suo fiore cade spento (ISAI. XL, 3-4, 6-8). Ah! scostatevi, partite, allontanatevi, uscite dal tumulto degli uomini, non toccate nulla d'impuro, mondatevi. Il Signore camminerà dinanzi a voi (Id. LII, 11-12).

O con quanta verità si può dire, di chi abita in mezzo al tumulto del secolo, quello che Geremia lamentava del popolo ebreo: «Giuda abitò in mezzo alle nazioni, incontrò afflizione e schiavitù e non trovò riposo; i suoi persecutori lo colsero tra le angustie» (Lament. I, 3). No, non vi è riposo in mezzo al mondo, ma afflizione, schiavitù, persecuzioni, ambasce. La solitudine non è funestata da questi mali. Ah! gridiamo pure anche noi col medesimo Profeta: Ora perché non mi è dato di andarmi a seppellire in fondo a un deserto, per essere con Dio o con gli Angeli suoi, e non funestarmi l'animo con la vista di tanti delitti e prevaricazioni? (IEREM. IX, 2).

 «Fuggi il pubblico, scriveva S. Bernardo, fuggi perfino i tuoi familiari, allontanati dagli amici anche più intimi. Non sai tu che hai uno sposo così verecondo e riservato, che non vuole mostrarsi a te in presenza d'altri? (Epist. CVII)».
«È difficile, dice S. Giovanni Crisostomo, che un albero piantato lungo una strada, conservi fino alla maturità i suoi frutti; così pure è cosa rara che un'anima conservi, in mezzo alla gente del secolo, la sua innocenza fino alla fine. Quanto meno una persona prende parte alle faccende del mondo, tanto più l'anima sua è infiammata di fervore e di amar di Dio (In Moral.) ». Come la peste mena strage fra un esercito o una città popolosa, lasciando immune la campagna e la solitudine, così è della peste dei vizi; essa serpeggia continuamente e miete vittime in mezzo al mondo.

«Quante volte io sono stato fra gli uomini, tante ne sono tornato meno uomo», dice l'autore dell'Imitazione, e conchiude: «Quegli adunque che intende di arrivare al raccoglimento ed alla spiritualità, bisogna che con Gesù si allontani dalla moltitudine (Imit. Christi, p. I, c. XX, n. 2)». Sì, leviamoci e andiamo nella solitudine, perché in mezzo al mondo non abbiamo riposo (MICH. II, 10). Fuggiamo da Babilonia, e ciascuno scampi l'anima sua (IEREM. LI, 6).

Utile a tutti, la solitudine è specialmente vantaggiosa a quelli che devono deliberare su la scelta dello stato. Ecco l'avviso di S. Bernardo su questo punto: «Chi desidera udire la voce di Dio, si ritiri nella solitudine. Chi prepara l'orecchio interiore ad ascoltare la voce del cielo, voce più dolce del miele, fugga i negozi esteriori affinché l'anima spigliata e libera possa dire con Samuele: Parlate, o Signore, che il vostro servo vi ascolta. Questa voce di Dio non suona già su le piazze, né si ode fra i pubblici ridotti; un consigliere segreto richiede un uditore segreto. Questo gran Dio vi darà certamente la consolazione e la gioia, se lo udite attenti e raccolti. Così si preparava Davide allorché diceva: lo ascolterò quello che parlerà il Signore, perché egli parlerà il linguaggio della pace al suo popolo ai suoi Santi ed a quelli che rientrano in se stessi; significando con questo, che Dio non discorre con quelli che stanno al di fuori di se stessi, occupati in faccende esteriori, ma bensì a quelli che stanno raccolti in pensieri interni» (De Vita contempl.).

Consultiamo le Scritture, scrive Ugo da S. Vittore, e noi vedremo che Dio non ha quasi mai parlato in mezzo alla moltitudine. Quando volle dare al mondo qualche suo ordine, si manifestò non ad un popolo, o ad una nazione intera, ma soltanto ad alcuni in particolare ed a questi ancora non in mezzo allo strepito, ma o nel silenzio della notte, o nella solitudine, su le montagne, nelle foreste, nelle valli deserte. Così parla a Noè, ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, a Mosè, a Samuele, a Davide, a tutti i Profeti. Ora perché Dio parla solamente nella solitudine, se non per chiamarci ad essa? e perché parla a poche persone, se non per incoraggiarci a vivere nella solitudine e a unirci a lui? (Lib. IV, de Arca Noe, c. IV). O quanto potenti ragioni ci stringono ad allontanarci dallo strepito del mondo corrotto, a ritirarci e a vivere, per quanto è possibile, in mezzo alle ricchezze ed alle dolcezze della solitudine!

 Né altrimenti la pensarono intorno a questo punto i sapienti pagani. «La tranquilla sicurezza della solitudine tiene lontano il dolore; temere il tumulto procura consolazione», dice Tolomeo (Protog. Almagesti). Poche persone mi bastano, dice Democrito, mi contento di una, sto benissimo senza nessuna. Io mi sono appartato non solamente dagli uomini, ma dagli affari e primieramente dalle molteplici mie occupazioni. Bisogna che tratti duramente il corpo, chi non vuol perdere l'anima miseramente.

Tu mi chiedi, scriveva Seneca a Lucilio, che cosa si debba fuggire più di tutto? Io ti rispondo: La folla; poiché non ci potrai stare mai con sicurezza. Io confesso schiettamente la mia debolezza: non riporto mai intera a casa, la misura di bontà che ho portato di casa in mezzo alla moltitudine; quello che di bene ho stabilito di fare, sfuma; e qualche briciola di quello che aveva risolto di evitare, mi si attacca di nuovo. Il pubblico con cui conversiamo è fiero nostro nemico; tutti cercano di parteciparci qualche vizio, d'inocularlo in noi, senza che né noi né essi ce ne accorgiamo. È poi cosa assai riprovevole l'assistere, senza sufficienti motivi, a qualche spettacolo; perché allora i vizi s'impadroniscono di noi per mezzo del piacere.

Che cosa dirai di me, se ti dico che mi ritiro sempre dalla moltitudine più inclinato all'ambizione, all'avarizia, alla lussuria? che ne esco più crudele, più inumano, perché sono stato in mezza agli uomini? Ah! credimi: nessuno di noi ha in sé tanta forza che basti a sostenere l'urto impetuoso dei vizi che giungono accompagnati da tanta caterva di uomini; un parlatore fino ed accorto snerva ed infiacchisce a poco a poco; un vicino ricco eccita la cupidigia; un compagno cattivo ti attacca il suo male, per quanto candido ed innocente tu possa essere. Raccogliti per quanto puoi in te stesso; non accompagnarti se non con quelli che possono renderti migliore, non ammettere alla tua società se non quelli che credi possano renderti tale. Questo si fa vicendevolmente; gli uomini imparano istruendosi gli uni gli altri (Epist. ad Lucil. c. VII).


 4. COME BISOGNA DIPORTARSI NELLA SOLITUDINE. -

Bisogna, dice S. Gerolamo, che il cristiano, ad imitazione di Abramo il quale uscì dalla sua terra e abbandonò la sua parentela, si allontani dai Caldei che sono i demoni, e vada ad abitare nella regione dei vivi. Non gli basta uscire dal suo paese; deve ancora dimenticare il suo popolo, la casa del padre suo, affinché, disprezzando i legami della carne, si possa congiungere in celeste abbracciamento con lo sposo divino (In Gen.)... La terra che dobbiamo abbandonare, ad esempio di Abramo, è anche la nostra carne che bisogna mortificare e castigare... È necessario tener ci pronti a sostenere e soffrire le diverse prove che si incontrano nella solitudine... Una volontà annichilata..., un'obbedienza pronta, costante, cieca..., un'umiltà profonda..., il silenzio...; ecco i fondamenti della vita solitaria... Come S. Antonio ebbe veduto e udito S. Paolo, primo eremita, disse rivolto ai suoi discepoli: Misero me peccatore, che indegnamente porto il nome di monaco! Ho veduto Elia, ho veduto Giovanni nel deserto ed ho veduto in verità S. Paolo nel paradiso (Vit. Patr.).

 La solitudine del corpo non basta, se non le è congiunta la solitudine dell'anima; e questa non si ottiene, se l'anima si trattiene in ciò che ha veduto od inteso fuori della solitudine, se stando il corpo nella solitudine, ella si divaga e passeggia per il mondo; se ad imitazione del popolo ebreo nel deserto, si rammarica tuttavia della schiavitù d'Egitto da cui si è sciolta, se rimpiange i vantaggi materiali che ne ricavava...

Dio è spirito, osserva S. Bernardo, egli domanda dunque a noi la solitudine spirituale anziché la corporale.... Sola e vera solitudine è quella dell'anima e dello spirito. Tu sei solo, se non pensi alle cose terrene e spregevoli, se non tieni il cuore nei beni presenti, se non t'importa nulla di ciò che il mondo desidera di più, se ti fa schifo quello di cui gode la maggior parte degli uomini, se eviti le discordie, se non ti lasci abbattere dai danni temporali, se dimentichi le ingiurie. Diversamente, se anche sei solo di corpo, non sei mai solo.

Bisogna che ti sollevi sopra di te per sposarti al Signore degli Angeli. Non è forse tuo dovere innalzarti sopra te stesso, per abbracciarti a Dio ed essere con lui un solo e medesimo spirito? Sii dunque solitario come la tortorella; non vi sia nessuna relazione tra te e il mondo; dimentica il tuo popolo e la casa paterna, e il Re del cielo sarà vinto dalla tua spirituale bellezza. O anima eletta, sii sola per servire degnamente al Dio unico che solo hai preferito. Sii dunque nella solitudine, ma con lo spirito, con l'anima, col cuore, e non col corpo solamente. Sii nella solitudine con l'intenzione e con la divozione: siivi tutta intera senza riserva (De vita contempl.).


 Chi ha lasciato l'onagro in libertà, chi ne ha sciolto i legami? dice Giobbe: Chi gli ha dato per dimora la solitudine e per ritiro il deserto? Egli si ride dello strepito delle città, non ode le grida di nessun padrone; corre per i pascoli dei monti cercando l'erba fiorita (IOB. XXXIX, 5-8). Sopra queste parole S. Gregorio Papa fa il seguente commento: Le persone contemplative abitano la solitudine dell'anima come onagri e, sciolti dai tumultuosi affari del secolo, hanno sete di Dio solo; infatti che cosa vale la solitudine del corpo se è disgiunta dalla solitudine del cuore? Perciò è necessario il raccoglimento, il ritiro dell'anima, a chi vuol menare una vita conforme alla propria vocazione, attutire l'interno moto dei terreni desideri che si contrastano, sedare con la grazia divina le cure e le sollecitudini estranee alla salute, scacciare dagli occhi dello spirito tutte le distrazioni che gli volano dinanzi come mosche velenose. Per ciò bisogna cercare di essere solo in segreto con Dio, e, spogliandoci dì tutto ciò che sa di esteriore, studiarci di parlargli in silenzio con ardenti affetti interiori (Moral. 1. XXX, c. XII).

 Iddio sparge i suoi dolci profumi soltanto dove incontra un'anima sciolta affatto da ogni impaccio di terra, e principalmente staccata da se stessa, un'anima pura e morta a tutte le cose del mondo. E ciò è giusto. È dunque necessario per chi intenda profittare di tutti i vantaggi della solitudine: 1° rinunziare al mondo esteriore, al corpo, ai parenti, agli amici, alla casa, al paese, ai beni, alle ricchezze, agli onori; 2° rinunziare al mondo interiore, ai propri desideri e affetti e voleri. 

*Qui torna a proposito una singolare osservazione dell' Abate Giovanni Malburnio, che vogliamo riportare anche a titolo di documento storico. Egli adunque constata che per più ragioni diversi ordini religiosi erano ai suoi giorni decaduti dal loro splendore e dalla loro santità primitiva. I Bernardini caddero per oziosità; il terz'ordine si sciolse. per le troppo grandi occupazioni rurali; i Premonstratensi si rilassarono per il troppo smisurato numero di messe e le troppe occupazioni di coro; i mendicanti non si sostennero a motivo della loro troppo grande familiarità coi secolari: essi frequentavano troppo la moltitudine e avvenne loro quello che dice il Profeta: «Si mescolarono tra le nazioni, ne appresero le opere, e questo fu la loro ruina» (Psalm. CV, 35-36); i Benedettini decaddero per le loro troppo grandi ricchezze. Se i Certosini conservarono sino al presente il primiero lustro e vigore, ne vanno debitori all'amore della solitudine e del silenzio ed alla rigorosa osservanza delle visite ordinate dalla regola. Queste tre cose sono racchiuse nel verso latino "Per tria: si so vi, permanet Cartusia in vi!" (In Roseto lib. I, c. III). Si, indica silenzio; so, la solitudine; vi, la visita (dei religiosi ispettori-visitatori).






giovedì 24 ottobre 2013

«Sopportate e astenetevi, dice Tertulliano; chi osserverà questi due punti, vivrà senza peccato, e sarà felice (Ad Martyr.)».










I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Perfezione

Data: Domenica, 03 maggio @ 11:57:26 CEST
Argomento: Vita cattolica: Matrimonio, laicato...


 1. Che cosa è la perfezione. 
 2. Gradi della perfezione. 
 3. Felicità e ricchezze della perfezione. 
 4. Mezzi per arrivare alla perfezione.







1. CHE COSA È LA PERFEZIONE. - «Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste», dice Gesù Cristo (MATTH. V, 48). «Siate perfetti» - ripete il grande Apostolo (II Cor XIII, 11). 

Ma che cosa è questa perfezione, e in che consiste? 

Consiste primieramente nell'imitare Gesù Cristo: «Chi dice di essere in Gesù Cristo, deve camminare per la via per cui ha camminato Gesù Cristo» (I IOANN. II, 6). 
In secondo luogo, consiste nel far vivere Gesù Cristo in noi, e nel vivere noi solamente di Gesù e per Gesù. Lo dice S. Paolo il quale certamente viveva secondo là perfezione: «Io vivo, ma non già io, ma è Gesù che vive in me; perché tutto il mio vivere sta in Gesù Cristo» (Gal II, 20), (Philipp. I, 21).

*Un dotto, avendo incontrato un mendicante, gli domandò: Donde ne vieni tu? - da Dio, rispose l'accattone. - Dove hai imparata così grande sapienza? - L'ho trovata là dove ho abbandonato tutte le creature. - Chi sei tu? - Io sono re. - Dov'è il tuo regno? - Nell'anima mia: perché ho imparato a governare i miei sensi esteriori ed interiori, affinché tutti gli affetti e le potenze tutte dell'anima mia mi stiano soggette. - Chi ti ha guidato a questa perfezione? - Il mio silenzio, le mie preghiere, le mie meditazioni, la mia unione con Dio. Io ho lasciato tutto ciò che non è Dio, ed ho trovato il mio Dio, e godo in lui pace e riposo continuo (TAULERO, p. 685). Ecco la perfezione.. .


La perfezione dell'uomo, secondo Sant'Agostino, sta nel riguardarsi come imperfettissimo. «Non essere mai contento, dice questo santo Padre, di quello che sei, se vuoi arrivare a quello che non sei; poiché dal punto in cui ti compiaci di te stesso, ti arresti; se poi tu dici: basta, allora sei perso (Serm. L, de Tempo)». 

La perfezione consiste nel progredire di virtù in virtù, fino a che si arrivi alla casa di Dio (Psalm. LXXXIII, 7); cosicché, come spiega S. Giovanni, chi già è giusto, si studi di divenirlo di più; chi già è santo, diventi più santo (Apoc. XXII, 11). Di questo abbiamo un bell'esempio nel giovinetto Gesù a cui lode nota l'Evangelista, che cresceva del continuo in saggezza, come in età, e in grazia presso Dio e presso gli uomini» (Luc. II, 52).


La vera perfezione dei giusti è di non mai presumere di essere tali, perché loro non succeda che non continuando la loro via, non corrano il pericolo di cadere là dove cesserebbero di avanzare... La perfezione è un'eroica generosità, una grande e costante applicazione a progredire in tutte le virtù, a praticare le opere meravigliose ch'esse inspirano. 

Perciò dobbiamo imitare, in certo senso, l'avaro; come questi non è mai sazio di oro, così noi non siamo mai sazi di grazia, di virtù, di buone opere. Voi conservate benissimo ciò che avete acquistato, se lavorate sempre ad accumulare. Quello che possedete andrà via scemando a misura che cessate di acquistare. 

S. Marciano, incontratosi con un cacciatore, gli domandò: Che cosa fate voi? - E questi: Caccio lepri e cervi, come vedete, e li perseguito finché li ho presi. ­ Anch'io, riprese il Santo, corro dietro a Dio, e non cesserò da questa caccia divina, finché non l'abbia preso e me ne sia impadronito per sempre (Ha THEODORETUS in Philotet.). 

Il cuore dell'uomo perfetto cerca sempre di ascendere, dice il Profeta (Psalm. LXXXIII, 6); il Savio paragona la vita dei giusti al sole levante che si avanza e cresce finché sia giunto al meriggio (Prov. IV, 18). «Felice colui, esclama S. Gerolamo, che ogni giorno avanza; che non considera quello che ha fatto di bene ieri, ma pensa quello che deve fare quest'oggi per avanzare. Il santo è sempre disposto ad ascendere, il peccatore a discendere; e quindi siccome l'uomo perfetto si perfeziona ogni giorno più, così l'uomo peccatore discende e decresce ogni giorno (In Psalm. LXXXIII)». 

S. Agostino chiama perfetto l'uomo, quando lavora tutta la sua vita a tendere verso l'immutabile, eterna vita, e che vi si adopera con tutto l'animo (De doctrina christ., C. XXII).

«Ogni allievo che alla scuola di Gesù Cristo non avanza è indegno, dice S. Bernardo, del suo insegnamento. La vera virtù non conosce confine; non è limitata da tempo; non dice mai basta, ma ha sempre fame e sete della giustizia, di modo che se sempre vivesse, sempre per quanto sta da lei, si sforzerebbe di divenire più giusta; s'ingegnerebbe a tutto potere di andare dal perfetto al sublime della perfezione. Infatti essa non si è già dedicata al servizio di Dio per un dato tempo, come un servo ordinario, ma gli si è consecrata per sempre. Ecco come parla il giusto: Signore, io non dimenticherò mai la vostra legge salutare, perché voi mi santificate per mezzo suo. La perfezione non è per il tempo, ma per l'eternità. La continua fame del perfetto merita di saziarsi eternamente. E sebbene il tempo le ponga ben tosto fine, essa ha tuttavia compiuto un lungo spazio di tempo, mediante la continua pratica della virtù» (Epl. CXLII).


«Per quanto lunga sia la nostra carriera, scrive S. Agostino, per quanti passi si siano fatti nella via della perfezione, nessuno non dica mai: questo mi basta, io sono giusto. Chi così parlasse o pensasse, rimarrebbe per via e non toccherebbe la mèta. 
Ecco che cosa dice l'Apostolo: Fratelli miei, io non mi credo di aver già terminato la corsa. Egli corre del continuo, e voi vi arrestate! egli si stima ancora imperfetto, e voi vi vantate della vostra giustizia!» (Serm. XV de Verbo Apost.). «Deh per carità! aggiungete sempre, camminate sempre, avanzate sempre. Meglio e più presto cammina lo zoppo che tiene la via, che non colui il quale corre fuori di strada (Serm. XV, de Verbo Apost.)». 

«No, non è perfetto colui il quale non desidera di essere sempre più perfetto; e si mostra più perfetto colui che tende sempre a maggiore perfezione (Epistola XXXIV, ad Dragon.)». «Il non andare innanzi, dice S. Bernardo, è senza dubbio un indietreggiare. Correte pure quanto volete, ma se non correte fino alla morte, non ottenete il premio del vincitore (Epistola CCLIV, ad Garrinum)».


*Ecco un abbozzo della perfezione cristiana, tracciato da S. Cipriano

«L'umiltà nel tratto, la stabilità nella fede, la riservatezza nelle parole, la giustizia nelle azioni, la castigatezza nei costumi; 

non mai fare ingiuria, sopportare quelle che ci si fanno, mantenere la pace e l'unione con tutti, amare Dio come un padre, temerlo come un giudice, preferire Gesù Cristo a ogni altra cosa, come egli ha preferito noi a tutto;

unirci inseparabilmente alla sua carità, stringerci con coraggio, confidenza e perseveranza alla sua croce; 

quando si tratta del suo nome e del suo onore, mostrare costanza nei discorsi per confessarlo, fiducia nelle prove, pazienza nei patimenti e nella morte per arrivare alla corona; 

fare tutto questo è voler essere coeredi di Gesù Cristo, è un adempire il precetto di Dio, è un fare la volontà del Padre celeste» (De Orat. domin.).

*In verità, diceva S. Macario, chi tiene il disprezzo in conto di lode, la povertà stima tesoro, la fame ha in luogo di eccellente alimento, non muore giammai (Vit. Patr.).


2. GRADI DELLA PERFEZIONE. - 

A coloro che tendono alla perfezione, S. Giovanni Climaco assegna per lezione queste pratiche: 

«L'obbedienza, il digiuno, il cilizio, la cenere, le lacrime, la confessione, il silenzio, l'umiltà, le vigilie, il coraggio, il freddo, il lavoro, le prove, il disprezzo, la contrizione, l'oblio delle ingiurie, la carità fraterna, la dolcezza, la fede semplice senza curiosità, il disprezzo del mondo, la rinunzia ai parenti, il distacco da ogni cosa, la semplicità congiunta all'innocenza, la brama di essere dimenticato». 

Più alte opere prescrive a quelli che già sono avanti nella perfezione. La vita di costoro, egli dice, sta nel trionfare della vanagloria e dei moti inconsulti dell'animo, nello sperare fermamente la salute; nel riposo dell'anima, nella discrezione, nel ricordo ben radicato e continuo del giudizio finale, nella misericordia, nell'ospitalità, nella modesta correzione, nella preghiera. 

Quelli finalmente che sono giunti alla perfezione, vuole che abbiano il cuore libero di ogni impedimento, posseggano carità perfetta, umiltà profondissima, siano interamente morti al mondo e tutti assorti in Gesù Cristo, attendano con fervore alla contemplazione, ricevano tutti i lumi celesti, desiderino la morte, odiino la vita, fuggano del continuo il proprio corpo (Grad. XXVI).

Bisogna tendere alla perfezione di Dio medesimo. Consumata perfezione, altissima elevazione è l'imitazione di Dio. «E giacché imitarlo non ci è dato, come avverte S. Gerolamo, nella potenza, nella magnificenza, nell'eternità e in altri simili attributi; possiamo almeno imitarlo da lontano nella dolcezza, nell'umiltà, nella carità, nella purezza, nella santità» (Epist.). «Bisogna imitare, dice S. Tommaso, l'immutabilità di Dio con la costante uguaglianza d'animo così nelle prosperità, come nelle avversità; la sua prescienza, con la previdenza dei fini ultimi; la sua veracità, la sincerità, la pazienza, la clemenza, l'obbedienza, la carità sua» (4 q. II, art. 7).

«Chi è colei che si avanza come l'aurora nascente, bella come la luna, splendida come il sole?» (Cantic. VI, 9). Chi è colei che si leva come aurora nascente? ecco l'anima che comincia la sua perfezione... Bella come la luna; ecco l'anima che avanza in perfezione... Splendida come il sole; ecco l'anima arrivata all'apice della perfezione. 

Quello che qui è indicato sotto figura, viene chiaramente spiegato dallo Spirito Santo nel libro della Sapienza, dove si legge: «Il principio della sapienza è il vero, il sincero desiderio della regola; la cura della regola diviene il suo amore; l'amore della sapienza porta all'osservanza delle sue leggi; l'osservanza delle leggi mette alla consumazione della santità; e la santità avvicina, anzi unisce l'uomo a Dio» (Sap. VI, 13-20).


La scala della perfezione consta di due bracci e di dodici scalini, scrive S. Bernardo. 

Il braccio a destra è il disprezzo di se stesso fino all'amore di Dio; quello a sinistra significa il disprezzo del mondo fino all'amore del regno celeste. 

I dodici scalini, sono: 1° l'odio del peccato...; 2° la fuga del peccato...; 3° il timore dell'odio di Dio...; 4° la soggezione al Creatore in ogni cosa...; 5° l'obbedienza al proprio superiore...; 6° la sommissione al proprio uguale...; 7° la condiscendenza verso l'inferiore...; 8° mettersi nell'ultimo luogo...; 9° meditare incessantemente il proprio fine...; 10° sempre temere delle proprie opere...; 11° confessare umilmente i propri pensieri...; 12° lasciarsi condurre in tutto dalla mano di Dio, secondo il suo volere... 

Per questa scala discendono e ascendono gli angeli, e gli uomini montano al cielo» (Serm. in Cant.).


*La perfezione, dice S. Basilio, è una scala al cui sommo è la carità e i cui scalini sono formati da altrettante rinunzie. 

1° Rinunziare alle cose terrene...; 2° obliarle interamente...; 3° detestarle, disprezzarle come fango...; 4° spogliarsi dell'attaccamento al prossimo, agli amici...; 5° odiare l'anima propria per Gesù Cristo...; 6° rinunziare alla propria volontà, al proprio giudizio...; 7° mortificare incessantemente le proprie voglie per adempire quello che ha detto Gesù Cristo: «Chi vuole venire dopo me, rinunzi a se medesimo, prenda la sua croce, e batta le mie orme» (MATTH. XVI, 24)...; 8° seguire Gesù e da lui imparare l'umiltà e la mitezza...; 9° amare in ogni caso ed efficacemente il prossimo, compresi i propri nemici...; 10° abbracciarsi a Dio, e formare con lui un solo spirito (In Psalm.). 

Questa scala poggia alla casa di Dio, alla porta del cielo.

*Cassiano scrive: «L'ordine, secondo il quale voi potrete con tutta facilità ascendere alla cima della perfezione, è il seguente: Il cominciamento della salute e della sapienza è il timore di Dio; dal timore del Signore nasce la compunzione salutare; dalla compunzione del cuore deriva la rinunzia, il distacco, il disprezzo di ogni umano desiderio; da questa negazione nasce l'umiltà; l'umiltà genera la mortificazione della volontà; con la mortificazione della volontà si schiantano o si recidono le radici di tutti i vizi; estirpati i vizi, le virtù attecchiscono, crescono, fioriscono, fruttificano; mediante la nascita, l'accrescimento e l'impero delle virtù, si acquista la purezza del cuore; per mezzo della purità del cuore si arriva al possesso della perfetta carità» (Institut.).




3. FELICITÀ E RICCHEZZE DELLA PERFEZIONE.

S. Paolo, che era perfetto, così descrive ai Corinzi le meraviglie, le ricchezze, gli stupendi, frutti della sua perfezione: «Ci diportiamo in tutto come ministri di Dio, con molta pazienza, nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle battiture, nelle prigioni, tra le sedizioni, nelle fatiche, nelle vigilie, nei digiuni; con la castità, con la scienza, con la longanimità, con la mansuetudine, con lo Spirito Santo, con la carità non simulata; con la parola di verità, con la virtù di Dio, con le armi della giustizia a destra e a manca; per mezzo della gloria e dell'ignominia, dell'infamia e del buon nome; come seduttori, eppur veraci; come ignoti, ma pure conosciuti; come moribondi, ed ecco che siamo vivi; quasi melanconici, e pure sempre allegri; quasi mendichi, ma che molti facciamo ricchi; quasi privi di tutto, e possessori di ogni cosa» (II Cor. VI, 4-10).

S. Gregorio Nazianzeno dice dei perfetti: «La loro vita è la ricchezza nell'indigenza, l'abbondanza nella penuria, la gloria nel disprezzo, la pazienza nell'infermità, un'ammirabile famiglia nel celibato (la famiglia delle virtù); il disprezzo delle delizie fa la loro delizia; abbracciano l'umiltà, per guadagnare il regno celeste; niente posseggono nel mondo, e ne sono i padroni; vestiti di carne, vivono come se non l'avessero; hanno Iddio per loro porzione e vivono in assoluta inopia per la speranza del regno, e questa povertà completa li fa regnare su tutte le cose» (Orat. I, de Pace).

Le opere delle persone perfette toccano all'eroismo: eroica è la vittoria sopra di se medesimi; eroica la loro vittoria su l'inferno, su le passioni; eroico è il modo col quale superano le difficoltà, vincono gli ostacoli che per l'ordinario si oppongono all'acquisto delle virtù; eroici gli sforzi che fanno per compiere imprese nobili ed ardue. In virtù degli sforzi che facciamo per arrivare alla perfezione, noi diventiamo, dice il Nazianzeno, tanto più terribili ai demoni, quanto più ci avviciniamo a Dio (Orat. I, de Pace).

«I raggi del sole; scrive Seneca, toccano sì la terra, ma stanno là donde vengono (Epist. XLI)». Così è dei perfetti: splendono su la terra, l'illuminano con la loro castità; ma essi dimorano nel cielo, e i raggi di luce che spargono su l'universo partono da Dio medesimo.
E poi i perfetti sono i soli veramente felici, e nel tempo e nell'eternità, perché praticano tutte le virtù le quali soltanto recano. la vera felicità; 
praticano tutto ciò che dà le otto beatitudini predicate da Gesù Cristo. 

Stanno bassi ed umili, e Gesù ha detto: beati i poveri di spirito, perché il regno dei cieli è per loro. 

Sono tutto bontà e dolcezza, e Gesù ha detto: beati i miti, perché possederanno la terra; la terra del loro corpo, la terra dei viventi. 

Essi piangono; e nel Vangelo sta scritto: beati quelli che piangono, perché saranno consolati. 

Non hanno altra brama che di santificarsi, e Gesù ha detto: beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. 

Chi più di loro ha viscere di carità, di umanità, di compassione verso il prossimo? e Gesù ha detto: beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia. 

Sono angeli di purità: beati quelli che hanno il cuore puro, perché vedranno Dio. 

Sono pacifici: beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. 

Soffrono con pazienza le afflizioni, gli insulti, i disprezzi, le croci, le persecuzioni; beati quelli che patiscono persecuzione per la giustizia, perché di loro è il regno dei cieli (MATTH. V, 5-10).




4. MEZZI PER ARRIVARE ALLA PERFEZIONE.

Il mezzo per arrivare alla perfezione è di fare quello in cui consiste la perfezione; cioè l'imitazione di Dio e di Gesù Cristo, secondo l'esortazione di S. Paolo: «Siate imitatori di Dio come figli carissimi, e camminate nell'amore, come Cristo ci ha amati» (Eph. V, 1-2).

S. Egidio, discepolo di S. Francesco, diceva: «Volete voi vederci bene? siate cieco. Volete udire bene? siate sordo. Volete parlare bene? siate muto. Volete camminare bene? tagliatevi i piedi. Volete lavorare bene? recidetevi le mani. Volete amarvi sinceramente? odiatevi. Volete vivere lietamente? mortificatevi. Volete molto guadagnare? perdete tutto. Il modo di divenire ricco sta nell'essere povero. 

Il segreto per vivere felice e tra le delizie consiste nell'affliggervi e nel punirvi. Desiderate di essere tranquillo e sicuro? state sempre nel timore. Vi piace essere innalzato? abbassatevi. Volete gli onori? disprezzatevi e onorate quelli che vi spregiano. Se amate avere il bene, sopportate il male. Se amate stare in riposo, occupatevi. Se amate essere benedetto, desiderate di essere maledetto. Grande sapienza e sublime perfezione è saper praticare queste cose! E appunto perché queste cose sono grandi, gli insensati non vi arrivano» (Lib. I, pag. 65).

Importa sapere ed essere persuasi, l° che siamo molto lontani dalla perfezione; 2° attendere ogni giorno ad avanzare in perfezione; 3° avere insaziabile brama di divenire perfetti; 4° tenere del continuo fisso lo sguardo sul valore della celeste vocazione di Dio, su la palma promessa al vincitore. Per toccare alla perfezione, per meritare la corona, mezzo sovra ogni altro efficace è di esaminarci seriamente, soprattutto sul peccato in noi dominante, e perciò non mai dimenticare l'esame quotidiano della propria coscienza; conosciuto il peccato radicale o dominante, sforzarsi a distruggerlo. 

«Avanzate, dice San Agostino, entrate schiettamente con voi stessi in giudizio senza adularvi e lusingarvi. Poiché non vi è dentro di voi una persona in faccia a cui dobbiate arrossire o possiate vantarvi; ma vi è uno a cui piace l'umiltà. Questi vi provi, e provatevi voi medesimi (Sentent.)».

Fate tutto a maggior gloria di Dio: «Una piccola cosa ben fatta, diceva già Platone, vale molto meglio, che non molte grandi e illustri, fatte alla meglio (Lib. de Repub.)». Tutto ciò che è ben fatto è grande; ma non tutto quel che è grande è ben fatto: e quando non è ben fatto, quello che è grande diventa piccolo. 
Le piccole cose ben fatte, guidano alla perfezione; le grandi, spacciate trascuratamente, conducono all'imperfezione. «L'esercizio di funzioni sante non prova la santità, nota S. Cipriano; per ciò bisogna che si compia santamente quello che è santo (Serm. in Evang.)». Lodate Iddio ogni giorno, dice S. Agostino; e voi lo loderete ogni giorno, se fate bene tutto quello che fate (Sentent.)».

Portatevi adunque, o atleta di Gesù Cristo, in modo che possiate dire con S. Paolo, il più mirabile degli atleti: «Io ho combattuto nel buon arringo, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Del resto aspetto la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi darà in quel giorno; né solo a me, ma anche a tutti quelli cui sta a cuore la sua venuta» (II Tim. IV, 7-8). 

La vita è breve, poco lunga è la corsa, eterna ed immarcescibile la corona... Nel levarvi il mattino, pensate e dite con S. Antonio: «Ho cominciato quest'oggi a correre; solo oggi ho cominciato a servire Dio; può essere che finisca in questo giorno la mia corsa e il mio servizio. Or bene, io, vivrò come se avessi da morire quest'oggi; correrò come se oggi dovessi terminare la mia corsa. Poiché il tempo della corsa non è lungo, e lungo cammino mi resta a fare per giungere al cielo, correrò di carriera e con tutte le forze (Vit. Pat. 1. I).

Altri mezzi eccellenti per arrivare alla perfezione sono: il pensiero della presenza di Dio; la conformità al suo volere; un'umiltà profonda; un assoluto distacco da ogni cosa: ritirarsi in fondo all'anima, studiarvi gli ostacoli alla virtù e rimuoverli decisamente; fermare la mente in Dio; professare una rassegnazione assoluta; disprezzare tutto e desiderare di essere disprezzati da tutti... «Sopportate e astenetevi, dice Tertulliano; chi osserverà questi due punti, vivrà senza peccato, e sarà felice (Ad Martyr.)».




Santa Monica e sant'Agostino
pregate per noi!