martedì 14 febbraio 2017

STEMMA DI SUA SANTITA' BENEDETTO XVI

STEMMA DI SUA SANTITA' BENEDETTO XVI

STEMMA DI SUA SANTITA’ BENEDETTO XVI Fin dai tempi medioevali, gli stemmi sono diventati di uso comune per i guerrieri e per la nobiltà, e si è quindi venuto sviluppando un ben articolato linguaggio che regola e descrive l'araldica civile. Parallelamente, anche per il clero si è formata un'araldica ecclesiastica. Essa segue le regole di quella civile per la composizione e la definizione dello scudo, ma vi pone intorno simboli ed insegne di carattere ecclesiastico e religioso, secondo i gradi dell'Ordine sacro, della giurisdizione e della dignità. È tradizione, da almeno otto secoli, che anche i Papi abbiano un proprio stemma personale, oltre a simbolismi propri della Sede Apostolica. Particolarmente nel Rinascimento e nei secoli successivi, era uso decorare con lo stemma del Sommo Pontefice felicemente regnante tutte le principali opere da lui eseguite. Stemmi papali appaiono infatti in opere di architettura, in pubblicazioni, in decreti e documenti di carattere vario. Spesso i Papi adottavano lo scudo della propria famiglia, se esso esisteva, oppure componevano uno scudo con simbolismi che indicavano una propria idealità di vita, o un riferimento a fatti o esperienze passate, oppure ad elementi connessi con un proprio programma di pontificato. Talvolta apportavano qualche variante allo scudo che avevano adottato da Vescovi. Anche il Cardinale Giuseppe Ratzinger, eletto Papa ed assumendo il nome di Benedetto XVI, ha scelto uno stemma ricco di simbolismi e di significati, per affidare alla storia la sua personalità ed il suo Pontificato. Uno stemma, come si sa, si compone di uno scudo, che porta alcuni simboli significativi, ed è circondato da elementi, che indicano la dignità, il grado, il titolo, la giurisdizione, ecc. Lo scudo adottato dal Papa Benedetto XVI ha una composizione molto semplice: esso è del tipo a calice, che è la forma maggiormente usata nell'araldica ecclesiastica (un'altra forma è quella a testa di cavallo, come adottò Paolo VI). All'interno, variando la composizione nei rispetti del suo scudo cardinalizio, lo scudo di Papa Benedetto XVI è diventato: di rosso, cappato di oro. Il campo principale, infatti, che è di rosso, porta due campiture laterali negli angoli superiori a modo di "cappa", che sono di oro. La "cappa" è un simbolo di religione. Essa indica una idealità ispirata alla spiritualità monastica, e più tipicamente a quella benedettina. Vari Ordini o Congregazioni religiose hanno adottato la forma "cappata" nel loro stemma, come ad esempio i Carmelitani, ed i Domenicani, anche se questi ultimi lo portavano solo in una simbologia più primitiva della loro attuale. Benedetto XIII, Pietro Francesco Orsini (1724-1730), dell'Ordine dei Predicatori, adottò il "capo domenicano", che è di bianco cappato di nero. Lo scudo di Papa Benedetto XVI contiene dei simbolismi che egli già aveva introdotto nel suo stemma come Arcivescovo di München und Freising (Monaco e Frisinga), e poi come Cardinale. Essi però nella nuova composizione sono ora ordinati in un modo diverso. Il campo principale dello stemma è quello centrale, che è di rosso. Nel punto più nobile dello scudo, vi è una grande conchiglia di oro, la quale ha una triplice simbologia. Essa dapprima ha un significato teologico: vuole ricordare la leggenda attribuita a sant'Agostino, il quale incontrando un giovinetto sulla spiaggia, che con una conchiglia cercava di mettere tutta l'acqua del mare in una buca di sabbia, gli chiese cosa facesse. Quello gli spiegò il suo vano tentativo, ed Agostino capì il riferimento al suo inutile sforzo di tentare di far entrare l'infinità di Dio nella limitata mente umana. La leggenda ha un evidente simbolismo spirituale, per invitare a conoscere Dio, seppure nell'umiltà delle inadeguate capacità umane, attingendo alla inesauribilità dell'insegnamento teologico. La conchiglia, inoltre è da secoli usata per rappresentare il pellegrino: simbolismo che Benedetto XVI vuole mantenere vivo, calcando le orme di Giovanni Paolo II, grande pellegrino in ogni parte del mondo. La casula da Lui usata nella solenne liturgia dell'inizio del suo Pontificato, domenica 24 aprile, portava con evidenza il disegno di una grande conchiglia. Essa è anche il simbolo presente nello stemma dell'antico Monastero di Schotten, presso Regensburg (Ratisbona) in Baviera, cui Joseph Ratzinger si sente spiritualmente molto legato. Nella parte dello scudo denominata "cappa", vi sono anche due simboli venuti dalla tradizione della Baviera, che Joseph Ratzinger divenuto nel 1977 Arcivescovo di Monaco e Frisinga aveva introdotto nel suo stemma arcivescovile. Nel cantone destro dello scudo (a sinistra di chi guarda) vi è una testa di moro al naturale (ovvero di colore bruno), con labbra, corona e collare di rosso. È l'antico simbolo della Diocesi di Frisinga, nata nell'VIII secolo, diventata Arcidiocesi Metropolitana col nome di Monaco e Frisinga nel 1818, dopo il Concordato tra Pio VII ed il Re Massimiliano Giuseppe di Baviera (5 giugno 1817). La testa di Moro non è rara nell'araldica europea. Essa appare tutt'oggi in molti stemmi della Sardegna e della Corsica, oltre a vari blasoni di famiglie nobili. Anche nello stemma del Papa Pio VII, Barnaba Gregorio Chiaramonti (1800- 1823), apparivano tre teste di Moro. Ma il Moro nell'araldica italica in generale porta intorno alla testa una banda bianca, che indica lo schiavo reso libero, e non è coronato, mentre lo è nell'araldica germanica. Nella tradizione bavarese la testa di moro appare infatti molto spesso, ed è denominata caput ethiopicum, o moro di Frisinga. Nel cantone sinistro della cappa, compare un orso, di colore bruno (al naturale), che porta un fardello sul dorso. Un'antica tradizione racconta come il primo Vescovo di Frisinga, san Corbiniano (nato verso il 680 in Chartres, Francia, morto l'8 settembre 730), messosi in viaggio per recarsi a Roma a cavallo, mentre attraversava una foresta fu assalito da un orso, che gli sbranò il cavallo. Egli però riuscì non solo ad ammansire l'orso, ma a caricarlo dei suoi bagagli facendosi accompagnare da lui fino a Roma. Per cui l'orso è rappresentato con un fardello sul dorso. La facile interpretazione della simbologia vuole vedere nell'orso addomesticato dalla grazia di Dio lo stesso Vescovo di Frisinga, e suole vedere nel fardello il peso dell'episcopato da lui portato. Lo scudo dello stemma papale può quindi essere descritto ("blasonato") secondo il linguaggio araldico nel seguente modo: "Di rosso, cappato di oro, alla conchiglia dello stesso; la cappa destra, alla testa di moro al naturale, coronata e collarinata di rosso; la cappa sinistra, all'orso al naturale, lampassato e caricato di un fardello di rosso, cinghiato di nero". Lo scudo reca al suo interno - come abbiamo descritto - le simbologie legate alla persona che se ne fregia, alle sue idealità, alle sue tradizioni, ai suoi programmi di vita ed ai principi che lo ispirano e lo guidano. I vari simboli del grado, della dignità e della giurisdizione dell'individuo appaiono invece all'intorno dello scudo. È tradizione, da tempo immemorabile, che il Sommo Pontefice porti nel suo stemma, intorno allo scudo, le due chiavi "decussate" (ovvero incrociate in croce di s. Andrea), una d'oro e una d'argento: da vari autori interpretate come i simboli del potere spirituale e del potere temporale. Esse appaiono dietro allo scudo, o al di sopra di esso, affermandosi con una certa evidenza. Il Vangelo di Matteo narra che Cristo ha detto a Pietro "A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (cap. 16, v.19). Le chiavi sono quindi il tipico simbolo del potere dato da Cristo a San Pietro ed ai suoi successori. Pertanto, esse giustamente appaiono in ogni stemma papale. Nell'araldica civile vi è sempre al di sopra dello scudo un copricapo, in generale una corona. Anche nell'araldica ecclesiastica appare normalmente un copricapo, evidentemente di tipo ecclesiastico. Nel caso del Sommo Pontefice fin dai tempi antichi appare una "tiara". Essa era all'inizio un tipo di "tocco" chiuso. Nel 1130 fu accompagnato da una corona, simbolo di sovranità sugli Stati della Chiesa. Bonifacio VIII, nel 1301, aggiunse una seconda corona, al tempo del confronto col Re di Francia, Filippo il Bello, per significare la sua autorità spirituale al di sopra di quella civile. Fu Benedetto XII, nel 1342 ad aggiungere una terza corona per simbolizzare l'autorità morale del Papa su tutti i monarchi civili, e riaffermare il possesso di Avignone. Col tempo, perdendo i suoi significati di carattere temporale, la tiara d'argento con le tre corone d'oro è rimasta a rappresentare i tre poteri del Sommo Pontefice: di Ordine sacro, di Giurisdizione e di Magistero. Negli ultimi secoli, i Papi usarono la tiara nei pontificali solenni, ed in particolare nel giorno della "incoronazione", all'inizio del loro pontificato. Paolo VI usò per tale funzione una preziosa tiara regalatagli dalla diocesi di Milano, come già questa aveva fatto per Pio XI, ma poi la destinò ad opere di beneficenza ed iniziò l'uso corrente di una semplice "mitra" (o "mitria"), pur talvolta impreziosita da decorazioni o gemme. Egli però lasciò la "tiara" insieme con le chiavi decussate come simbolo della Sede Apostolica. Oggi, giustamente, la cerimonia con cui il Sommo Pontefice inaugura solennemente il suo Pontificato non si chiama più "incoronazione", come si diceva in passato. La piena giurisdizione del Papa, infatti, inizia dal momento della sua accettazione dell'elezione fatta dai Cardinali in Conclave e non da una incoronazione, come per monarchi civili. Per cui tale cerimonia si denomina semplicemente come solenne inizio del suo Ministero Petrino, come è avvenuto per Benedetto XVI, il 24 aprile corrente. Il Santo Padre Benedetto XVI ha deciso di non mettere più la tiara nel suo stemma ufficiale personale, ma di porre solo una semplice mitra, che non è quindi sormontata da una piccola sfera e da una croce come lo era la tiara. La mitra pontificia raffigurata nel suo stemma, a ricordo delle simbologie della tiara, è di argento e porta tre fasce d'oro (i tre suddetti poteri di Ordine, Giurisdizione e Magistero), collegati verticalmente fra di loro al centro per indicare la loro unità nella stessa persona. Un simbolo del tutto nuovo nello stemma del Papa Benedetto XVI è invece la presenza del "pallio". Non è tradizione, almeno recente, che i Sommi Pontefici lo rappresentino nel loro stemma. Tuttavia, il pallio è la tipica insegna liturgica del Sommo Pontefice, e compare molto spesso in antiche raffigurazioni papali. Indica l'incarico di essere il pastore del gregge a Lui affidato da Cristo. Nei primi secoli i Papi usavano una vera pelle di agnello poggiata sulla spalla. Poi entrò nell'uso un nastro di lana bianca, intessuto con pura lana di agnelli allevati per tale scopo. Il nastro portava alcune croci, che nei primi secoli erano in nero, oppure talvolta in rosso. Già nel IV secolo il pallio era una insegna liturgica propria e tipica del Papa. Il conferimento del pallio da parte del Papa agli arcivescovi metropoliti iniziò nel VI secolo. L'obbligo da parte di questi di postulare il pallio dopo la loro nomina è attestato fin dal IX secolo. Nella famosa lunga serie iconografica dei medaglioni che nella Basilica di San Paolo riportano l'effigie di tutti i Papi della storia (benché particolarmente i più antichi siano di fattezze idealizzate) moltissimi Sommi Pontefici sono raffigurati con il pallio, particolarmente tutti quelli fra il V ed il XIV secolo. Il pallio è quindi il simbolo non solo della giurisdizione papale, ma anche il segno esplicito e fraterno del compartire questa giurisdizione con gli Arcivescovi metropoliti, e mediante questi con i Vescovi loro suffraganei. Esso quindi è segno visibile della collegialità e della sussidiarietà. Anche vari Patriarchi Orientali usano una forma antichissima, molto simile al pallio, detta omophorion. Nell'araldica in generale, sia civile, sia ecclesiastica (particolarmente nei gradi inferiori) è uso mettere al di sotto dello scudo un nastro, o cartiglio, che reca un motto, o divisa. Esso riporta in una sola o in poche parole una idealità, o un programma di vita. Il Cardinale Giuseppe Ratzinger aveva nel suo stemma arcivescovile e cardinalizio il motto: "Cooperatores Veritatis". Esso rimane come sua aspirazione e programma personale, ma non compare nello stemma papale, secondo la comune tradizione degli stemmi dei Sommi Pontefici negli ultimi secoli. Tutti ricordiamo come Giovanni Paolo II citasse spesso il motto "Totus Tuus", sebbene non figurasse nel suo stemma papale. La mancanza di un motto nello stemma del Papa non vuol dire mancanza di programma, ma significa invece apertura senza esclusione a tutte le idealità che derivino dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo Nunzio apostolico Copyright © L'Osservatore Romano

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