mercoledì 1 agosto 2012

CAPITOLO V Caritas patiens est. L'anima che ama Gesù Cristo ama il patire.




CAPITOLO V

Caritas patiens est.
L'anima che ama Gesù Cristo ama il patire.

1. Questa terra è luogo di meriti, e perciò è luogo di patimenti. La patria nostra, ove Dio ci ha preparato il riposo in un gaudio eterno, è il paradiso. In questo mondo poco tempo abbiamo da starvi; ma in questo poco tempo molti sono i travagli che abbiamo da soffrire. Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis (Iob. XIV, 1). Si ha da patire, e tutti han da patire: siano giusti, siano peccatori, ognuno ha da portar la sua croce. Chi la porta con pazienza si salva, chi la porta con impazienza si perde. Le stesse miserie, dice S. Agostino, mandano altri al paradiso, altri all'inferno: Una eademque tunsio bonos perducit ad gloriam, malos reducit in favillam. Colla pruova del patire, dice lo stesso santo, si distingue la paglia dal grano nella chiesa di Dio: chi nelle tribolazioni si umilia e si rassegna al divino volere è grano per lo paradiso; chi s'insuperbisce e si adira, e perciò lascia Dio, è paglia per l'inferno.
2. Nel giorno in cui avrà da giudicarsi la causa della nostra salute, per aver la sentenza felice de' predestinati, la nostra vita dovrà trovarsi uniforme alla vita di Gesù Cristo: Nam quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui (Rom. VIII, 29). Questo fu il fine per cui l'Eterno Verbo discese in terra, per insegnarci col suo esempio a portare con pazienza le croci che Dio ci manda: Christus passus est pro vobis, scrisse S. Pietro, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius (I Petr. II, 21). Sicchè Gesù Cristo volle patire per animarci a patire. — Oh Dio! qual fu la vita di Gesù Cristo? Vita d'ignominie e di pene. Il Profeta chiamò il nostro Redentore: Despectum, novissimum virorum, virum dolorum (Is. LIII, 3): l'uomo disprezzato e trattato come l'ultimo, il più vile di tutti gli uomini, l'uomo de' dolori; sì, perchè la vita di Gesù Cristo fu tutta piena di travagli e di dolori.
3. Or siccome Iddio ha trattato il suo Figlio diletto, così tratta ancora ognuno che ama e riceve per suo figlio: Quem enim diligit Dominus castigat; flagellat autem omnem filium quem recipit (Hebr. XII, 6). Onde disse un giorno a S. Teresa: «Sappi che le anime più care al mio Padre sono quelle che sono afflitte da patimenti più grandi». Quindi la santa, quando vedeasi travagliata, dicea che non avrebbe cambiati i suoi travagli con tutti i tesori del mondo. Comparve ella dopo morte ad un'anima, e le rivelò che godeva un gran premio in cielo, non tanto per le sue opere buone, quanto per le pene sofferte in vita volentieri per amor di Dio; e che se per alcuna causa avesse desiderato di tornare al mondo, l'unica sarebbe stata per poter patire qualche altra cosa per Dio.
4. Chi ama Dio patendo fa doppio guadagno per lo paradiso. Dicea S. Vincenzo de' Paoli che in questa vita il non patire dee riputarsi per una gran disgrazia. E soggiungeva che una congregazione o persona che non patisce, ed a cui tutto il mondo applaudisce, è vicina alla caduta. Perciò S. Francesco d'Assisi in quel giorno che passava senza patire qualche croce per Dio, temeva che Dio si fosse quasi scordato di lui. — Scrive S. Giovanni Grisostomo che quando il Signore dona ad alcuno la grazia di patire, gli fa maggior grazia che se gli donasse la podestà di risuscitare i morti, perchè nel far miracoli l'uomo resta debitore a Dio, ma nel patire Dio si rende debitore all'uomo. E soggiungea che chi patisce qualche cosa per Dio, se non avesse altro dono che il poter soffrire per Dio che ama, questa sarebbe per lui una gran mercede. Pertanto dicea ch'egli stimava più la grazia di Paolo in esser incatenato per Gesù Cristo che in esser rapito al terzo cielo.
5. Patientia autem opus perfectum habet (Iac. I, 4). Ciò vuol dire che non vi è cosa che più gradisca a Dio, quanto il vedere un'anima che con pazienza e pace soffre tutte le croci ch'egli le manda. Ciò fa l'amore, rende l'amante simile all'amato. Dicea S. Francesco di Sales: «Tutte le piaghe del Redentore son tante bocche le quali c'insegnano come bisogna per lui patire. Questa è la scienza de' santi, soffrire costantemente per Gesù; e così diverremo presto santi». Chi ama Gesù Cristo desidera vedersi trattato come fu Gesù Cristo, povero, straziato e disprezzato. — Da S. Giovanni furono veduti tutti i santi vestiti di bianco e colle palme in mano: Amicti stolis albis et palmae in manibus eorum (Ap. VII, 9). La palma è l'insegna de' martiri, ma non tutti i santi hanno avuto il martirio; come tutti i santi portano le palme in mano? Risponde S. Gregorio che tutti i santi sono stati martiri o di ferro o di pazienza; e così poi soggiunge: Nos sine ferro martyres esse possumus, si patientiam custodimus.
6. Qui sta il merito di un'anima che ama Gesù Cristo, nell'amare e patire. Ecco quel che disse il Signore a S. Teresa: «Pensi tu, figlia mia, che 'l merito consiste nel godere? no, consiste in patire ed amare. Mira la vita mia tutta piena di pene. Credi, figlia, che chi è più amato da mio Padre maggiori travagli da lui riceve, ed a ciò corrisponde l'amore. Mira queste piaghe, chè non giungeranno mai a tanto i tuoi dolori. Il pensare che mio Padre ammette alla sua amicizia gente senza travaglio, è sproposito». Ed aggiunge S. Teresa per nostra consolazione: «Iddio non manda mai un travaglio che non lo paghi subito con qualche favore».
Apparve un giorno Gesù Cristo alla B. Battista Varani, e le disse che tre sono i maggiori benefici ch'egli fa all'anime sue dilette: il primo, di non peccare: il secondo, ch'è maggiore, di far opere buone: il terzo, ch'è il massimo, di patire per suo amore. Onde dicea S. Teresa che quando alcuno fa per Dio qualche bene, il Signore ce lo rende con qualche travaglio. E perciò i santi nel ricevere i travagli ne rendeano le grazie a Dio. S. Luigi re di Francia, parlando della schiavitù da lui sofferta in Turchia, disse: «Io godo, e ringrazio Dio più della pazienza che mi concesse nel tempo della mia prigionia, che se avessi acquistata tutta la terra». E S. Lisabetta principessa di Turingia, quando, morto il marito, fu discacciata dallo stato insieme col figlio, e si vide raminga e abbandonata da tutti, andò ad un convento di Francescani, ed ivi fe' cantare il Te Deum in ringraziamento a Dio, perchè così la favoriva con farla patire per di lui amore.
7. Diceva S. Giuseppe Calasanzio: «Per guadagnare il paradiso ogni fatica è poca». E prima lo disse l'Apostolo: Non sunt condignae passiones huius temporis ad futuram gloriam quae revelabitur in nobis (Rom. VIII, 18). Sarebbe un gran guadagno il patire tutte le pene che han patite i santi martiri, in tutta la nostra vita, per godere un sol momento di paradiso; or quanto più noi dobbiamo abbracciar le nostre croci, sapendo che 'l patire della nostra breve vita ci farà acquistare una beatitudine eterna? Momentaneum et leve tribulationis nostrae... aeternum gloriae pondus operatur in nobis (II Cor. IV, 17). — S. Agapito, giovinetto di pochi anni, quando fu minacciato dal tiranno di fargli bruciar la testa con un elmo infocato, rispose: «E che maggior fortuna posso aver io, che perder la mia testa per vederla poi coronata in paradiso?» Ciò facea dire a S. Francesco: «Tanto è grande il ben che aspetto, che ogni pena mi è diletto». Ma chi vuol la corona del paradiso bisogna che combatta e soffra: Si sustinebimus, et conregnabimus (II Tim. II, 12). Non si può aver premio senza merito, nè merito senza pazienza. Non coronatur, nisi qui legitime certaverit (Ibid. 5). E chi combatte con maggior pazienza, avrà maggior corona — Gran cosa! quando si tratta de' beni temporali di questa terra, i mondani procurano di acquistarne quanto più si può; quando si tratta poi de' beni eterni, dicono: «Basta che abbiamo un cantone in paradiso!» Non dicono così i santi. Essi in questa vita si contentano di ogni cosa, anzi si spoglian di questi beni terreni; ma parlando de' beni eterni procurano guadagnarne quanto più possono. Dimando: Chi di costoro opera più da savio e da prudente?
8. Ma parlando anche di questa vita, è certo che chi patisce con più pazienza gode più pace. Dicea S. Filippo Neri che in questo mondo non vi è purgatorio: o vi è paradiso o inferno: chi sopporta le tribolazioni con pazienza gode il paradiso: chi no, patisce l'inferno. Si, perchè, come scrive S. Teresa, chi abbraccia le croci che Dio gli manda non le sente. — S. Francesco di Sales, ritrovandosi in un certo tempo cinto da molte tribulazioni, disse: «Da qualche tempo in qua le tante opposizioni e segrete contraddizioni che mi sono avvenute mi recano una pace sì dolce che non ha pari: e mi presagiscono il prossimo stabilimento dell'anima mia nel suo Dio, che con tutta verità è l'unica ambizione e l'unico desiderio del mio cuore». — Eh che la pace non può trovarsi da chi fa una vita sconcertata, ma solo da chi vive unito con Dio e colla sua santa volontà. Un certo religioso missionario, ritrovandosi nell'Indie a vedere un condannato che stava già sul palco per essere giustiziato, fu chiamato da quell'uomo che gli disse: «Sappiate, Padre, ch'io sono stato nella vostra religione; quando io osservai le regole, vissi una vita sempre contenta; ma quando poi cominciai a rilasciarmi, subito cominciai a sentir pena in ogni cosa; tanto che lasciai la religione, e mi abbandonai a' vizi, i quali finalmente mi han ridotto a questo termine infelice in cui mi vedete». E finì dicendo: «Vi ho detto questo, affinchè il mio esempio possa giovare ad altri». Dicea il Ven. P. Luigi da Ponte: «Piglia le cose dolci di questa vita per amare e le amare per dolci, e così goderai sempre pace». Sì, perchè le dolci, benchè piacciono al senso, lasciano nonperò sempre l'amaro del rimorso di coscienza per la compiacenza difettosa che per lo più in quelle abbiamo; ma le amare, prese con pazienza dalla mano di Dio, diventano dolci e care alle anime che l'amano.
9. Persuadiamoci che in questa valle di lagrime non può aversi vera pace di cuore, se non da chi tollera ed abbraccia con amore i patimenti per dar gusto a Dio: così porta lo stato di corruzione, dalla quale siamo rimasti tutti infettati per lo peccato. Lo stato dei santi in terra è di patire amando: lo stato de' santi in cielo è di godere amando. Scrisse una volta il P. Paolo Segneri juniore ad una sua penitente, per animarla a patire, che tenesse scritte a' piedi del Crocifisso queste parole: Così si ama. Non il patire, ma il voler patire per amor di Gesù Cristo è il segno più certo per vedere se un'anima l'ama. «E qual maggior acquisto, dicea S. Teresa, può aversi, che in aver qualche testimonianza che diamo gusto a Dio?» Oimè che la maggior parte degli uomini si sgomentano al solo nome di croce, di umiliazione e di pena! Ma non mancano tante anime amanti che trovano tutto il lor contento nel patire, e sarebbero quasi inconsolabili se vivessero quaggiù senza patire. «Il mirar Gesù crocifisso, dicea una persona santa, mi rende così amabile la croce, che parmi non potere essere felice senza patire; l'amore di Gesù Cristo mi basta per tutto». Ecco quello che Gesù consiglia a chi vuole seguitarlo, il prendere e portar la sua croce: Tollat crucem suam... et sequatur me (Luc. IX, 23). Ma bisogna prenderla e portarla non a forza e con ripugnanza, ma con umiltà, pazienza ed amore.
10. O che gusto dà a Dio chi con umiltà e pazienza abbraccia le croci che Dio gli manda! Dicea S. Ignazio di Loyola: «Non vi è legno più atto a produrre e conservare l'amore verso Dio, che il legno della santa croce», cioè l'amarlo in mezzo a' patimenti. Un giorno S. Gertrude dimandò al Signore che cosa potea ella offerirgli di suo maggior gusto; ed egli le rispose: «Figlia, tu non puoi farmi cosa più grata che soffrir con pazienza tutte le tribulazioni che ti si presentano». Quindi diceva la gran serva di Dio Suor Vittoria Angelini, che vale più una giornata crocifissa che cento anni di tutti gli altri esercizi spirituali. E 'l Venerabile P. Giovanni d'Avila dicea: «Vale più un Benedetto sia Dio nelle cose contrarie, che mille ringraziamenti nelle cose prospere». Oimè che non è conosciuto dagli uomini il valore de' patimenti sofferti per Dio! Dicea la B. Angela da Foligno che il patire per Dio, se noi lo conoscessimo, «sarebbe oggetto di rapina»: viene a dire che ognuno anderebbe in cerca di rapire agli altri le occasioni di patire. Perciò S. Maria Maddalena de' Pazzi, conoscendo la preziosità del patire, desiderava che si prolungasse la sua vita più tosto che morire e andare in cielo; perchè, diceva, «in cielo non si può patire».
11. L'intento di un'anima che ama Dio non è che di unirsi tutta con Dio; ma per giungere a questa perfetta unione, udiamo quel che dicea S. Caterina da Genova: «Per arrivare all'unione di Dio son necessarie le avversità; perchè Dio attende per mezzo di quelle a consumar tutt'i nostri pravi movimenti di dentro e di fuori. E però tutte le ingiurie, disprezzi, infermità, abbandonamenti de' parenti e d'amici, confusioni, tentazioni ed altre cose contrarie, tutte ci sono sommamente di bisogno, affinchè combattiamo, finchè per via di vittorie vengano ad estinguersi in noi tutt'i malvagi movimenti, sicchè più non li sentiamo; e finchè più non ci paiano amare, ma soavi per Dio tutte le avversità, non giungeremo mai alla divina unione».
12. Da tutto ciò, un'anima che desidera di esser tutta di Dio dee risolversi, come scrive S. Giovanni della Croce, a cercare in questa vita non di godere, ma di patire in tutte le cose, abbracciando con avidità tutte le mortificazioni volontarie e con maggior avidità ed amore le involontarie, perchè queste sono più care a Dio. Disse Salomone: Melior est patiens viro forti (Prov. XVI, 32). Piace a Dio chi si mortifica con digiuni, cilizi e discipline, per la fortezza che vi esercita in mortificarsi; ma molto più gli piace chi è forte in soffrire con pazienza ed allegrezza le croci che Iddio gli manda. Dicea S. Francesco di Sales: «Le mortificazioni che ci vengono per parte di Dio o degli uomini per sua permissione, sono sempre più preziose di quelle che sono figlie della nostra volontà; essendo regola generale che dove meno vi è di nostra elezione, vi è di maggior gusto di Dio e maggior nostro profitto». Lo stesso avvertimento dava S. Teresa: «Si acquista più in un sol giorno co' travagli che ci vengon da Dio o dal prossimo, che in dieci anni co' patimenti pigliati da noi». Quindi dicea generosamente S. Maria Maddalena de' Pazzi non trovarsi al mondo pena così acerba che ella non avrebbe sofferta con allegrezza, pensando che veniva da Dio; ed in fatti in quei gran travagli che la santa patì nella prova di cinque anni, bastava ricordarle essere volontà di Dio che così patisse, per farla rimettere in pace. Ah che per acquistare un Dio, questo gran tesoro, ogni cosa è poca. Dicea il P. Ippolito Durazzo: «Costi Dio quanto vuol, non fu mai caro».
13. Deh preghiamo il Signore che ci faccia degni del suo santo amore; che se perfettamente l'ameremo, ci sembreranno fumo e loto tutti i beni di questa terra, e ci diverranno delizie le ignominie e i patimenti. Udiamo quel che dice il Grisostomo di un'anima che si è data tutta a Dio: «Giunto ch'è uno al perfetto amore di Dio, diventa come se fosse egli solo sovra la terra. Non cura più nè la gloria nè l'ignominia, disprezza le tentazioni e i patimenti, perde il gusto e l'appetito di tutte le cose. E non trovando appoggio nè riposo in cosa alcuna, va continuamente in cerca dell'amato senza mai stancarsi; in modo che quando lavora, quando mangia, quando veglia, quando dorme, in ogni sua operazione e discorso, tutto il suo pensiero e tutto il suo studio è di trovare l'amato, perchè ivi ha egli il suo cuore, ov'è il suo tesoro».
In questo capo abbiamo parlato della pazienza in generale; nel capo XV tratteremo di più cose particolari nelle quali dobbiamo specialmente esercitare la nostra pazienza.
Affetti e preghiere.
Caro ed amato Gesù mio e mio tesoro, io per le offese che vi ho fatte non meriterei più di potervi amare; ma per li meriti vostri, vi prego, fatemi degno del vostro puro amore. Io v'amo sopra ogni cosa, e mi pento con tutto il cuore di avervi disprezzato un tempo, e discacciato dall'anima mia; ma ora io v'amo più di me stesso, v'amo con tutto il cuore, o bene infinito, io v'amo, io v'amo, io v'amo, ed altro non desidero che di perfettamente amarvi; e d'altro non ho timore, che di vedermi privo del vostro santo amore.
Deh innamorato mio Redentore, fatemi conoscere il gran bene che siete, e l'amore che mi avete portato per obbligarmi ad amarvi.
Ah mio Dio, non permettete ch'io viva più ingrato a tanta vostra bontà. Basta quanto v'ho offeso, io non voglio lasciarvi più; gli anni che mi restano di vita voglio tutti impiegarli in amarvi e darvi gusto. Gesù mio, amor mio, soccorretemi; soccorrete un peccatore che vuole amarvi ed esser tutto vostro.
O Maria, speranza mia, il vostro figlio vi sente, pregatelo per me, ed ottenetemi la grazia di amarlo perfettamente.

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