Caritas non irritatur.
Chi ama Gesù Cristo
non mai si adira col prossimo.
1. La virtù di non adirarsi nelle cose contrarie che avvengono
è figlia della mansuetudine. Degli atti appartenenti alla mansuetudine già ne
abbiam dette più cose ne' capi antecedenti; ma perchè questa è una virtù che
continuamente dee esercitarsi da chi vive in mezzo agli uomini, ne diremo qui
alcune altre cose più particolari e più utili alla pratica.
2. L'umiltà e la mansuetudine furono le virtù care a Gesù
Cristo, onde disse a' suoi discepoli che ciò avessero appreso da lui, l'essere
umili e mansueti: Hoc discite a me, quia mitis sum et humilis corde
(Matth. XI, 29). Il nostro Redentore fu chiamato agnello, Ecce Agnus Dei
(Io. I, 29), sì per ragion del sagrificio che di lui avea da farsi sulla croce
per soddisfare i nostri peccati, sì per ragion della mansuetudine ch'egli
dimostrò in tutta la sua vita e specialmente in tempo della sua Passione. Quando
in casa di Caifas ricevè lo schiaffo da quel ministro che nello stesso tempo lo
trattò da temerario dicendogli: Sic respondes pontifici? (Io. XVIII, 22),
Gesù altro non rispose che queste parole: Si male locutus sum, testimonium
perhibe de malo, si autem bene, quid me caedis? (Io. XVIII, 23). Questa
mansuetudine poi seguì ad esercitarla sino alla morte: stando in croce, mentre
tutti lo schernivano e bestemmiavano, egli altro non faceva che pregare l'Eterno
Padre a perdonarli: Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid faciunt
(Luc. XXIII, 34).
3. Oh come son cari a Gesù Cristo i cuori mansueti che nel
ricevere gli affronti, le derisioni, le calunnie, le persecuzioni, ed anche le
battiture e le ferite, non si adirano con chi l'ingiuria o percuote!
Mansuetorum semper tibi placuit deprecatio (Iudith. IX, 16). Le preghiere
de' mansueti son sempre gradite a Dio, viene a dire che sono sempre esaudite. A'
mansueti sta con modo speciale promesso il paradiso: Beati mites, quoniam
ipsi possidebunt terram (Matth. V, 4). Diceva il P. Alvarez che il paradiso
è la patria dei disprezzati, perseguitati e calpestati; sì, perchè a costoro,
non già a' superbi che sono onorati e stimati dal mondo, sta riserbato il
possesso di quel regno eterno. Scrisse Davide che i mansueti non solo otterranno
l'eterna beatitudine, ma anche in questa vita godranno una gran pace:
Mansueti... haereditabunt terram, et delectabuntur in multitudine pacis
(Ps. XXXVI, 11). Sì, perchè i santi non conservano rancore con chi gli
maltratta, ma l'amano più di prima; ed il Signore, in premio della loro
pazienza, accresce loro la pace interna. Dicea S. Teresa: «Colle persone che
diceano male di me parmi ch'io ponessi in loro un nuovo amore». Onde poi la
sagra Ruota scrisse della santa: Offensiones ipsi amoris escam
ministrabant: le offese le porgevano materia di più amare chi più
l'offendeva. Una tal mansuetudine però non può aversi se non da chi è dotato
d'una grande umiltà e basso concetto di sè, per cui crede di meritare ogni
disprezzo; e perciò all'incontro i superbi son sempre iracondi e vendicativi,
perchè han concetto di se stessi e stimansi degni di ogni onore.
4. Beati mortui qui in Domino moriuntur (Apoc. XIV, 13).
Bisogna dunque morir nel Signore per esser beato e per cominciare a godere la
beatitudine sin da questa vita: s'intende quella beatitudine che può aversi
prima di andare in cielo, quale certamente è molto minore di quella del cielo,
ma è tale che supera tutti i piaceri sensibili di questa vita: Et pax Dei
quae exsuperat omnem sensum custodiat corda vestra, così scrisse l'Apostolo
a' suoi discepoli (Philip. IV, 7). Ma per giungere ad ottener questa pace, anche
in mezzo agli affronti ed alle calunnie, bisogna esser morto al Signore.
Il morto, per quanto è maltrattato e calpestato dagli altri,
niente si risente; e così il mansueto, come morto che più non vede nè sente, dee
soffrire tutti i disprezzi che gli son fatti. Chi ama di cuore Gesù Cristo a ciò
ben arriva, poichè, tutto uniformato alla di lui volontà, riceve con quella
stessa pace ed animo eguale così le cose prospere come le avverse, così le
consolazioni come le afflizioni, così le ingiurie come le cortesie. Così facea
l'Apostolo, onde poi dicea: Superabundo gaudio in omni tribulatione
nostra (II Cor. VII, 4). — Oh felice chi giunge a questo grado di virtù!
Egli gode una continua pace, la quale è un bene che avanza tutti gli altri beni
di questo mondo. Dicea S. Francesco di Sales: «Che vale tutto il mondo in
paragone della pace del cuore?» Ed in verità, a che servono tutte le ricchezze,
tutti gli onori del mondo a chi vive inquieto e non ha il cuore in pace?
5. In somma per istarcene sempre uniti con Gesù Cristo, bisogna
che facciamo tutto con tranquillità, senza inquietarci di alcuna avversità che
incontriamo. Non in commotione Dominus (III Reg. XIX, 11): il Signore non
abita ne' cuori turbati.
Udiamo i belli documenti che su questa materia ci dà il maestro
della mansuetudine, S. Francesco di Sales: «Non vi mettete mai in collera nè le
aprite mai la porta per qualunque pretesto, perchè entrata ch'è una volta in
noi, non è più in nostra mano, quando vogliamo, il discacciarla nè il moderarla.
I rimedi perciò sono: 1º Rigettarla subito con divertire altrove la mente, e
senza dir parola. 2º Ad imitazione degli apostoli allorchè videro il mare in
tempesta, ricorrere a Dio a cui s'appartiene di mettere il cuore in pace. 3º Se
vedrete che la collera per vostra debolezza ha posto già il piede nel vostro
spirito, in tal caso fatevi forza per rimettervi in calma, e poi procurate di
praticare atti di umiltà e di dolcezza verso la persona contra cui vi sentite
adirato; ma tutto ciò bisogna farlo con soavità e senza violenza, poichè molto
importa il non inasprir le piaghe». Ed a tal proposito diceva il santo ch'egli
ebbe da faticare in sua vita a superare due passioni che più lo predominavano,
cioè la collera e l'amore: per superar la passione della collera confessava
d'aver dovuto faticare per 22 anni affin di soggiogarla; in quanto poi alla
passione dell'amore, avea procurato di mutare oggetto lasciando le creature e
rivolgendo tutti gli affetti suoi a Dio. E così il santo si acquistò una pace
interna sì grande che la dimostrava anche da fuori, facendosi vedere quasi
sempre con volto sereno e colla bocca a riso.
6. Unde bella, nisi ex concupiscentiis vestris?
(Iac. IV, 1). Quando alcuno per qualche incontro si sente agitato dalla collera,
allora gli sembra di trovar sollievo e pace se dà sfogo all'ira cogli atti o
almen colle parole; ma no, s'inganna, perchè dopo aver fatto quello sfogo si
troverà molto più turbato di prima. Chi vuol conservarsi in una continua pace si
guardi dallo star mai di mal umore. E quando si accorge di esser preso da mal
umore, procuri di scacciarlo subito e non farlo dormire la notte seco,
disviandosi con leggere qualche libro, col cantare qualche canzoncina divota o
col discorrere di fatti ameni con alcuno amico.
Dice lo Spirito Santo: Ira in sinu stulti requiescit
(Eccl. VII, 10). La collera nel cuore degli stolti che poco amano Gesù Cristo vi
trova alloggio per lungo tempo; ma nel cuore degli amanti di Gesù Cristo, se mai
vi entra di soppiatto, presto ne vien discacciata, e non vi dimora. — Un'anima
che ama di cuore il Redentore non si trova mai di malo umore, perchè non volendo
ella altro che quel che vuole Iddio, ha sempre tutto quel che vuole, e perciò si
ritrova sempre tranquilla e sempre eguale a se stessa. Il divino volere la
rasserena in tutte le avversità che le accadono: e quindi è ch'ella esercita una
mansuetudine universale con tutti. Ma questa mansuetudine non si può ottenere
senza un amor grande a Gesù Cristo. Si vede infatti che noi non mai siamo più
mansueti e dolci cogli altri, se non quando proviamo maggior tenerezza verso
Gesù Cristo.
7. Ma perchè questa tenerezza non sempre la proviamo, bisogna
che nell'orazione mentale ci apparecchiamo a soffrire gl'incontri che mai ci
possono avvenire. Così han fatto i santi, e si son trovati poi pronti a ricevere
con pazienza e mansuetudine le ingiurie, gli schiaffi e le ferite. In quel tempo
che ci troviamo insultati dal prossimo, se non ci troviamo preparati più volte
da prima, difficilmente saremo atti a discernere quel che dobbiamo fare per non
farci vincere dall'ira. Allora la passione ci farà vedere esser ragionevole che
rintuzziamo con audacia l'audacia di chi ci maltratta a torto: ma scrive S. Gio.
Grisostomo che non è mezzo giusto di spegnere il fuoco acceso nell'animo del
prossimo col fuoco d'una risposta risentita, ma è causa di più accenderlo:
Igne non potest ignis exstingui (Chrysost. Hom. 98 in Gen.). — Dirà
taluno: Ma non è ragione di usar cortesia e dolcezza con un temerario che
senza ragione ti offende. Ma risponde S. Francesco di Sales: «Bisogna usar
mansuetudine non solo colla ragione, ma contra la ragione».
8. Allora bisogna procurar di rispondere con qualche parola
benigna, e questa è la via di spegnere il fuoco: Responsio mollis frangit
iram (Prov. XV, 1). Ma quando l'animo sta disturbato, il miglior espediente
sarà allora il tacere. Scrive S. Bernardo: Turbatus prae ira oculus rectum
non videt (Lib. 2. De cons. cap. 11). L'occhio quando è offuscato dallo
sdegno non vede più quel ch'è giusto e quel ch'è ingiusto; la passione è come un
velo che ci si pone davanti gli occhi e non ci fa più discernere il dritto dal
torto, onde bisogna fare il patto che S. Francesco di Sales avea fatto colla sua
lingua: «Io ho fatto il patto, egli scrisse, colla mia lingua, di non parlare
quando è turbato il cuore».
9. Ma certe volte par che sia necessario il reprimere con
parole aspre alcuno insolente. Disse Davide: Irascimini et nolite peccare
(Ps. IV, 5). Dunque talvolta è lecito l'adirarsi, purchè si faccia senza colpa.
Ma qui sta il punto. Speculativamente parlando alle volte sembra spediente il
parlare o rispondere con asprezza ad alcuni per farli ravvedere; ma in pratica è
molto difficile che ciò riesca senza nostra colpa; onde la via sicura è quella
di ammonire o di rispondere sempre con dolcezza e stare attento a non mai
risentirsi. Dicea S. Francesco di Sales: «Io non mi son mai risentito che
appresso non me ne sia pentito». E quando in quell'incontro ci sentiamo ancor
noi riscaldati, come ho detto di sovra, la via più sicura è di tacere,
riserbando l'ammonizione o la risposta a tempo più opportuno, quando il cuore
più non fuma.
10. Questa mansuetudine dobbiamo specialmente esercitarla poi
quando siamo corretti da' nostri superiori o dagli amici. Scrive S. Francesco di
Sales: «Il gradir le riprensioni fa vedere che uno ama le virtù contrarie a quei
difetti de' quali vien ripreso, e perciò questo è un gran segno che profitta
nella perfezione». Inoltre bisogna che usiamo la mansuetudine ancora con noi
stessi. Il demonio ci fa vedere che sia cosa lodevole l'adirarci con noi quando
commettiamo qualche difetto; ma no, ella è opera del nemico che cerca di tenerci
inquieti, acciocchè non siamo atti a far niente di bene. Dicea S. Francesco di
Sales: «Tenete per certo che tutti quei pensieri che ci danno inquietudine non
sono da Dio ch'è principe di pace, ma provengono o dal demonio o dall'amor
proprio, o dalla stima che facciamo di noi stessi. Questi sono i tre fonti da
cui nascono tutti i nostri disturbi. E perciò quando ci vengono pensieri che
c'inquietano, bisogna subito rigettarli e disprezzarli».
11. Inoltre ci è sommamente necessaria la mansuetudine quando
dobbiamo far qualche riprensione agli altri. Le correzioni fatte con zelo amaro
fanno spesso più danno che utile, specialmente quando colui che dee esser
corretto sta turbato; allora bisogna trattenersi a correggerlo, ed aspettar il
tempo che in esso siasi sedato il bollore dell'ira. E così anche bisogna che noi
ci asteniamo di correggere altri quando stiamo di mal umore, perchè allora
l'ammonizione riuscirà sempre fatta con asprezza, e 'l reo, vedendosi ripreso in
tal modo, farà poco conto dell'ammonizione come fatta per passione. Ciò corre
per quel che spetta al bene del prossimo, ma per quel che si appartiene al
nostro profitto, facciamo vedere che amiamo Gesù Cristo sopportando con pace ed
allegrezza i maltrattamenti, le ingiurie e i disprezzi.
Affetti e preghiere.
Gesù mio disprezzato, o amore, o gioia dell'anima mia, voi col
vostro esempio avete renduti troppo amabili i disprezzi a' vostri amanti. Io vi
prometto da ogg'innanzi di soffrire ogni affronto per amor di voi che siete
stato in questa terra così vilipeso dagli uomini per amor mio. Datemi voi la
forza di eseguirlo. Fatemi conoscere e fatemi operar tutto ciò che volete da
me.
Mio Dio e mio tutto, io non voglio cercare altro bene fuori di
voi che siete un bene infinito. Voi che avete tanta cura del mio profitto fate
ch'io non abbia altra cura che di darvi gusto. Fate che tutti i miei pensieri
s'impieghino sempre a fuggire ogni vostra offesa ed a trovar modo di piacervi in
ogni cosa. Allontanate da me ogni occasione che mi diverte dal vostro amore. Io
mi spoglio della mia libertà e la consagro tutta al vostro divino
beneplacito.
V'amo, bontà infinita, v'amo, diletto mio, o Verbo Incarnato,
io v'amo più di me stesso. Abbiate pietà di me e guaritemi da tutte le piaghe
che patisce l'anima mia per l'offese che vi ha fatte. Io tutto mi abbandono
nelle vostre braccia, o Gesù mio: io voglio esser tutto vostro, voglio soffrire
ogni cosa per vostro amore, e da voi non voglio altro che voi.
Vergine santa e madre mia Maria, io v'amo, ed in voi confido,
soccorretemi colla vostra potente
intercessione.
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"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
mercoledì 1 agosto 2012
CAPITOLO XII Caritas non irritatur. Chi ama Gesù Cristo non mai si adira col prossimo.
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