Caritas non cogitat malum,
non gaudet super iniquitatem, congaudet autem veritati.
Chi ama Gesù Cristo non vuol altro
se non quel che vuole Gesù Cristo.
1. La carità va sempre unita colla verità, onde la carità
conoscendo che Dio è l'unico e vero bene, perciò abborrisce l'iniquità che si
oppone alla divina volontà, e di altro non si compiace, se non di quello che
vuole Iddio. Quindi è che l'anima che ama Dio poco si cura di quel che gli altri
dicono di lei, e solo attende a fare quel che piace a Dio. Dicea il B. Errico
Susone: «Quegli veramente sta bene con Dio, il quale si studia di soddisfare
alla verità, e poi nulla stima in qualunque modo sia trattato o riputato dagli
uomini».
2. Già di sovra più volte abbiam detto che tutta la santità e
perfezione di un'anima consiste nel negare se stessa e nel seguire la volontà di
Dio; ma qui cade il parlarne più di proposito. Questo dunque dee esser tutto il
nostro studio, se vogliamo farci santi, il non seguir mai la propria volontà, ma
sempre quella di Dio; poichè la sostanza di tutti i precetti e consigli divini
si ristringe in fare e patire quel che vuole Dio e come lo vuole Dio. Preghiamo
pertanto il Signore che ci doni la santa libertà di spirito: la libertà di
spirito ci fa abbracciare ogni cosa che piace a Gesù Cristo, non ostante
qualunque ripugnanza dell'amor proprio o di rispetto umano. L'amore di Gesù
Cristo mette i suoi amanti in una totale indifferenza, per cui tutto loro è
uguale, il dolce e l'amaro: niente vogliono di quel che piace a se stessi, e
tutto vogliono quel che piace a Dio; colla stessa pace s'impiegano nelle cose
grandi che nelle picciole, nelle cose piacevoli che nelle dispiacevoli: basta
loro di piacere a Dio.
3. Dice S. Agostino: Ama et fac quod vis, ama Dio, e fa
quel che vuoi. Chi ama veramente Iddio non va cercando altro che il gusto di
Dio, ed in ciò solo trova il suo contento, in dar gusto a Dio. Scrive S. Teresa:
«Chi non cerca se non la contentezza del suo diletto è contento di tutto ciò che
il diletto appaga. Questa forza ha l'amore quando è perfetto, fa egli dimenticar
la persona d'ogni proprio vantaggio e soddisfazione, e fa tutto rivolgere il di
lei pensiero in dar gusto al suo diletto e in cercare come possa per sè e per
altri onorarlo. Oh Signore, che tutto il danno ci viene dal non tenere gli occhi
fissi in voi! Se non mirassimo che a camminare, presto giungeressimo; ma cadiamo
ed inciampiamo mille volte ed anche erriamo la via per non mirare attentamente
il vero cammino». Ecco pertanto quale dee esser l'unico scopo di tutti i nostri
pensieri, delle azioni, de' desideri e delle nostre preghiere, il gusto di Dio;
e questo ha da essere il nostro cammino alla perfezione, l'andare appresso alla
volontà di Dio.
4. Iddio vuole che ognuno di noi l'ami con tutto il cuore:
Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo (Matth. XXII, 37).
Quell'anima ama Gesù Cristo con tutto il suo cuore, la quale gli dice di vero
cuore quel che gli disse l'Apostolo: Domine, quid me vis facere? (Act.
IX, 6): Signore, fatemi sapere quel che volete da me, ch'io tutto voglio farlo.
Ed intendiamo, che quando noi vogliamo ciò che vuole Dio allora vogliamo il
nostro maggior bene; perchè certamente Iddio non vuole che il meglio per noi.
Dicea S. Vincenzo de' Paoli: «La conformità al divino volere è il tesoro del
cristiano ed il rimedio per tutti i mali; poichè ella contiene l'annegazione di
sè e l'unione con Dio e tutte le virtù». Ecco in somma ove sta tutta la
perfezione: Domine, quid me vis facere? Ci promette Gesù Cristo: Et
capillus de capite vestro non peribit (Luc. XXI, 18). Viene a dire che il
Signore ci paga ogni buon pensiero che abbiamo di dargli gusto ed ogni
tribolazione che abbracceremo con pace uniformandoci alla sua santa volontà.
Dicea S. Teresa: «Il Signore non manda mai un travaglio senza pagarlo con
qualche favore, sempre che noi l'accettiamo con rassegnazione».
5. Ma la nostra uniformità al divino volere ha da essere
intiera senza riserba, e costante senza rivocazione. Qui consiste il sommo della
perfezione, ed a ciò, replico, debbono tendere tutte le nostre operazioni, tutti
i desideri e tutte le nostre orazioni. — Alcune anime di orazione leggendo le
estasi e i ratti di S. Teresa, di S. Filippo Neri e di altri santi, s'invogliano
di giungere ad avere queste unioni soprannaturali. Tali desideri debbono
discacciarsi, perchè son contrari all'umiltà; se vogliamo farci santi dobbiamo
desiderare la vera unione con Dio ch'è l'unire totalmente la nostra volontà con
quella di Dio. Scrive S. Teresa: «S'ingannano quei che credono che l'unione con
Dio consiste in estasi, ratti e godimenti di lui. Ella non consiste in altro che
nel soggettare la nostra volontà alla volontà di Dio; ed allora questa
soggezione è perfetta, quando la volontà nostra si trova staccata da tutto, ed
unicamente unita a quella di Dio, sì che ogni suo movimento sia il solo volere
di Dio. Questa è la vera ed essenziale unione che sempre ho desiderata e
continuamente chiedo al Signore». E poi soggiunge: «Oh quanti siamo che diciamo
questo e parci di non volere altro che questo; ma, miseri noi, quanto pochi ci
arriviamo!» E questa è la verità: molti diciamo: Signore, vi dono tutta la mia
volontà, non voglio altro se non quel che volete voi; ma quando poi ci avvengono
le cose contrarie, non sappiamo quietarci colla divina volontà. E qui ne nasce
quel lamentarci di aver mala fortuna in questo mondo, e 'l dire che tutte le
disgrazie son le nostre, e di fare una vita infelice.
6. Se noi stessimo uniti colla divina volontà in tutte le
avversità, ci faressimo certamente santi, e saressimo i più felici del mondo.
Questa dunque dee essere tutta la nostra attenzione, di tenere unita la nostra
volontà a quella di Dio in tutte le cose che ci succedono, o piacevoli o
dispiacevoli. — Ci avverte lo Spirito Santo: Non ventiles te in omnem
ventum (Eccli. V, 11). Taluni fanno come le banderuole che si voltano
secondo tira il vento; se il vento è prospero, com'essi desiderano, si vedono
tutti allegri e mansueti; ma se il vento è contrario, che le cose non avvengono
come vorrebbero, si vedono tutti mesti ed impazienti; e perciò non si fanno
santi, e fanno una vita infelice, perchè in questa vita assai più sono le cose
avverse che le prospere ad accaderci. Dicea S. Doroteo che il ricevere dalle
mani di Dio tutte le cose, comunque vengano, è un gran mezzo per conservarsi in
una continua pace e tranquillità di cuore. E perciò narra il santo che gli
antichi padri dell'eremo non erano mai veduti adirati e malinconici, perchè
quanto loro accadeva tutto lo prendeano allegramente dalle mani di Dio.
Oh beato chi vive tutto unito ed abbandonato nel divino volere!
Egli non si gonfia per gli successi felici nè si abbatte per gli avversi,
sapendo che tutti vengono dalla stessa mano di Dio; la sola volontà di Dio è la
regola del suo volere; e perciò non fa altro se non quello che vuole Dio, e non
vuole altro se non quello che fa Iddio. Non s'impegna a far molte cose, ma solo
a far perfettamente ciò che intende esser gusto di Dio. Quindi antepone le più
picciole obbligazioni del suo stato alle azioni più grandi e gloriose, vedendo
che in queste vi può aver parte l'amor proprio, ma in quelle vi è certamente la
volontà di Dio.
7. Sicchè allora noi sarem beati, se riceveremo da Dio tutte le
cose ch'egli dispone, con perfetta uniformità al suo divino volere, senza badare
se sono uniformi o contrarie al nostro genio. Dicea la santa madre di Chantal:
«Quando sarà che noi gusteremo la dolcezza della divina volontà in tutto ciò che
ci avviene, non considerando altro che il divino beneplacito dal quale è certo
che, con eguale amore e per lo nostro meglio, ci vengono compartite così le
avversità che le prosperità? Quando sarà che ci abbandoneremo affatto nelle
braccia del nostro amorisissimo Padre celeste lasciando a lui la cura delle
nostre persone e de' nostri affari, non riserbando per noi che il solo desiderio
di piacere a Dio?» — Diceano gli amici del P. S. Vincenzo de' Paoli allorchè
viveva: «Il signor Vincenzo è sempre Vincenzo». E voleano dire che il santo in
ogni evento, prospero o avverso, si vedea sempre colla faccia serena, sempre
eguale a se stesso: poichè, vivendo tutto abbandonato in Dio, di niente temeva e
nulla altro volea, se non quello che piaceva a Dio. Scrive S. Teresa: «In questo
santo abbandonamento si genera quella bella libertà di spirito che hanno i
perfetti, in cui trovasi tutta la felicità che in questa vita si può desiderare:
poichè di nulla temendo e nulla volendo o bramando delle cose del mondo, tutto
possedono».
8. Molti all'incontro si formano la santità secondo la loro
inclinazione: chi è malinconico, nel viver solitario: altri ch'è faccendiere, in
predicare e trattar paci: altri che ha genio aspro, in far penitenze e
macerazioni: altri ch'è di genio liberale, in far limosine: altri in far molte
orazioni vocali: altri in visitar santuari; e qui fan consistere tutta la loro
santità. Le opere esterne son frutti dell'amore a Gesù Cristo, ma il vero amore
consiste nell'uniformarci in tutto alla volontà di Dio, ed in conseguenza in
negare noi stessi ed eleggere quello che più piace a Dio, e solo perchè se lo
merita.
9. Altri vogliono servire a Dio, ma in quello impiego, in quel
luogo, con quei compagni o altre circostanze, altrimenti o lasciano l'opera o la
fanno di mala voglia. Costoro non sono liberi di spirito, ma schiavi dell'amor
proprio, e perciò poco meritano anche in ciò che fanno; ed all'incontro vivono
sempre inquieti, perchè stando attaccati alla propria volontà, riesce poi loro
grave il giogo di Gesù Cristo. I veri amanti di Gesù Cristo amano solo quel che
piace a Gesù Cristo, e solo perchè piace a Gesù Cristo; e quando lo vuole e dove
lo vuole e nel modo che lo vuole Gesù Cristo: o che voglia esso impiegarli in
affari onorevoli o in faccende umili e vili, o in una vita di comparsa nel mondo
o nascosta e negletta. Ciò importa il puro amore di Gesù Cristo; ed in ciò
dobbiamo affaticarci combattendo contra gli appetiti dell'amor proprio che
vorrebbe vederci occupati in quelle opere solamente che son gloriose o di nostra
inclinazione. Ed a che serve l'esser in questo mondo il più onorato, il più
ricco, il più grande senza la volontà di Dio? Diceva il B. Errico Susone: «Io
vorrei più presto essere una vile bestiuola della terra colla volontà di Dio,
che un serafino del cielo colla volontà mia».
10. Dice Gesù Cristo: Molti mi diranno: Signore, in nome tuo
abbiamo discacciati i demoni e fatte gran cose: Domine, nonne in nomine tuo
prophetavimus, et in nomine tuo daemonia eiecimus, et in nomine tuo virtutes
multas fecimus? (Matth. VII, 22). Ma il Signore lor risponderà: Numquam
novi vos; discedite a me qui operamini iniquitatem (Ibid. 23): Andate via,
io non vi ho conosciuti mai per miei discepoli, mentre voi avete voluto più
presto seguire il vostro genio che il mio volere. E ciò va detto specialmente
per quei sacerdoti operari che si affaticano per la salute e perfezione degli
altri, ed essi intanto se ne vivono sempre nel pantano delle loro
imperfezioni.
La perfezione consiste: 1º in un vero disprezzo di se stesso;
2º in una total mortificazione de' propri appetiti; 3º in una conformità
perfetta alla volontà di Dio; chi manca in una di queste virtù è fuori della via
della perfezione. Perciò diceva un gran servo di Dio esser meglio nelle nostre
azioni proporci il solo fine di fare la volontà di Dio che la gloria di Dio;
perchè facendo la volontà di Dio, noi anche procuriamo la sua gloria; ma
proponendoci la gloria di Dio, spesso c'inganniamo, facendo la volontà propria
sotto il pretesto della gloria di Dio. Scrive S. Francesco di Sales: «Son molti
quei che dicono al Signore: Io mi do tutto a voi senza riserva; ma pochi
sono quei che abbracciano la pratica di questo abbandonamento. Questo consiste
in una certa indifferenza a ricevere ogni sorta di accidenti, siccome arrivano,
secondo l'ordine della divina provvidenza, tanto l'afflizioni quanto le
consolazioni, così i dispregi e gli obbrobri come l'onore e la gloria».
11. Nel patire adunque, e nell'abbracciare con allegrezza le
cose dispiacenti e contrarie al nostro amor proprio, si conosce chi veramente
ama Gesù Cristo. Dice Tommaso da Kempis che non può chiamarsi degno amante chi
non è apparecchiato a patire ogni cosa per l'amato ed a seguire in tutto la
volontà dell'amato: Qui non est paratus omnia pati et ad voluntatem stare
dilecti non est dignus amator appellari. All'incontro, diceva il P.
Baldassarre Alvarez che chi si rassegna con pace ne' travagli al divino volere,
«corre a Dio per le poste». E la santa madre Teresa scrisse: «E qual maggiore
acquisto può esservi, che aver qualche testimonianza che diamo gusto a Dio?» Ed
io soggiungo che noi non possiamo avere testimonianza più certa di dar gusto a
Dio, che abbracciando con pace le croci che Dio ci manda. Gradisce il Signore
che noi lo ringraziamo de' benefici che ci fa in questa terra, ma dice il P.
Giovanni d'Avila, che «vale più un Benedetto sia Dio nelle cose avverse
che seimila ringraziamenti nelle cose prospere».
12. E bisogna qui avvertire che non solo dobbiamo ricevere con
rassegnazione le cose avverse che ci vengono direttamente da Dio, come sono le
infermità, il poco talento, le perdite accidentali delle robe; ma anche quelle
che ci vengono indirettamente da Dio, ma direttamente dagli uomini, come sono le
persecuzioni, i furti, le ingiurie; perchè in verità tutte ci vengono da Dio. Un
giorno Davide fu vilipeso da un suo vassallo chiamato Semei che lo maltrattò non
solo colle ingiurie, ma anche colle pietre. Uno volea tagliar la testa a quel
temerario, ma Davide rispose: Dimitte eum ut maledicat; Dominus enim
praecepit ei ut malediceret David (II Reg. XVI, 10). Disse: Lasciatelo dire,
perchè il Signore gli ha imposto che così mi maledica: cioè, s'intende, Iddio si
avvale di costui per castigare i miei peccati, e perciò permette ch'egli così
m'ingiurii.
13. Dicea per tanto S. Maria Maddalena de' Pazzi che tutte le
nostre orazioni non debbono indirizzarsi ad altro fine che ad ottenere da Dio la
grazia di seguire in tutto la sua santa volontà. Certe anime golose di gusti
spirituali nell'orazione non van cercando altro che di aver sentimenti piacevoli
e teneri per deliziarsi; ma l'anime forti e che han vero desiderio di esser
tutte di Dio non cercano a Dio altro che luce per intendere la sua volontà e
forza per adempirla perfettamente. — Per giungere alla purità dell'amore è
necessario sottomettere in tutto la nostra volontà a quella di Dio. «Non
crediate mai, dicea S. Francesco di Sales, di essere arrivati alla purità che
dovete avere, finchè la vostra volontà non sia del tutto, anche nelle cose più
ripugnanti, allegramente sottomessa a quella di Dio». Poichè, come dice S.
Teresa, «il dono della nostra volontà a Dio lo tira ad unirsi colla nostra
bassezza». Ma ciò non potrà mai ottenersi, se non per mezzo dell'orazione
mentale e di continue preghiere fatte alla sua divina maestà, e senza un vero
desiderio di esser tutti di Gesù Cristo senza riserba.
14. O Cuore amabilissimo del mio divin Salvatore, Cuore
innamorato degli uomini, mentre ci amate con tanta tenerezza; Cuore in somma
degno di regnare e possedere tutti i nostri cuori, oh potessi io fare intendere
a tutti l'amore che voi loro portate e le finezze che usate con quelle anime che
vi amano senza riserba! Deh gradite, Gesù amor mio, l'offerta e 'l sagrificio
che vi fo oggi di tutta la mia volontà! Fatemi intendere quel che volete da me,
ch'io tutto voglio farlo colla grazia vostra.
Dell'ubbidienza.
15. Ma per sapere poi ed accertare nelle nostre azioni che cosa
voglia Dio da noi, quale è il mezzo più sicuro? Non vi è mezzo più sicuro e più
certo che attender l'ubbidienza de' nostri superiori o direttori. Dicea S.
Vincenzo de' Paoli: «La volontà di Dio non si eseguisce mai meglio che facendo
l'ubbidienza de' superiori». Dice lo Spirito Santo: Melior est obedientia
quam victimae (Eccl. IV, 17). Piace più a Dio il sagrificio che gli facciamo
della propria volontà soggettandola all'ubbidienza, che tutti gli altri
sagrifici che possiamo offerirgli; poichè nelle altre cose, come nelle limosine,
astinenze, macerazioni e simili, noi diamo a Dio le cose nostre, ma nel donargli
la volontà gli doniamo noi stessi: nel donargli i nostri beni, le nostre
mortificazioni, gli diamo parte, ma nel donargli la nostra volontà gli diamo
tutto. Onde quando diciamo a Dio: «Signore, fatemi intendere per mezzo
dell'ubbidienza ciò che volete da me, ch'io tutto voglio farlo», non abbiamo più
che offerirgli.
16. Chi dunque si è dedicato all'ubbidienza bisogna che si
distacchi in tutto dalla propria opinione. «Ognuno per altro, dice S. Francesco
di Sales, ha delle opinioni proprie, ma ciò non si oppone alla virtù; quello che
si oppone alla virtù è l'attaccamento che noi abbiamo alle nostre opinioni». Ma
oimè che questo attaccamento è la cosa più dura a lasciare; e perciò vi sono
tanto poche anime che si danno tutte a Dio, perchè poche si sottomettono in
tutto all'ubbidienza. Vi sono taluni che talmente stanno attaccati alla propria
volontà, che quando vien loro imposta qualche ubbidienza, ancorchè quella cosa
sia di loro genio, nondimeno, perchè l'han da fare per ubbidienza, vi perdono
l'affetto e la voglia di farla, mentre non trovano gusto in altro che in fare
quel che loro detta la propria volontà. Ma non fanno così i santi; essi non
trovano pace se non in quelle operazioni che loro impone l'ubbidienza. La santa
madre Giovanna di Chantal un giorno di ricreazione disse alle sue figlie che
avessero impiegata quella giornata in ciò che loro piaceva. Venuta la sera
andarono esse a pregarla istantemente che non avesse più data loro quella
licenza, perchè non aveano provato giorno di maggior fastidio che quello in cui
si erano vedute sciolte dall'ubbidienza.
17. È un inganno il pensare che qualunque altra opera possa
essere migliore di quella che c'impone l'ubbidienza. Dice S. Francesco di Sales:
«Il lasciare l'impiego dove ci mette l'ubbidienza per unirsi con Dio
coll'orazione, colla lettura o col raccoglimento, sarebbe un ritirarsi da Dio
per unirsi al suo amor proprio». Aggiunge S. Teresa che chi fa qualche opera,
benchè spirituale, ma contra l'ubbidienza, opera certamente per istigazione del
demonio, non già per ispirazione divina, come forse si lusinga; perchè, dice la
santa, «Le ispirazioni di Dio tutte vanno unite coll'ubbidienza». Quindi ella
scrive in altro luogo: «Iddio da un'anima che sta risoluta di amarlo non vuol
altro che ubbidisca». «Vale più un'opera fatta per ubbidienza, scrive il P.
Rodriguez, che ogni altra che noi possiam pensare. Vale più l'alzar da terra una
paglia per ubbidienza, che una lunga orazione ed una disciplina a sangue fatta
di proprio arbitrio». Perciò diceva S. Maria Maddalena de' Pazzi ch'ella
desiderava più di stare in qualche esercizio di ubbidienza che in orazione,
poichè «nell'ubbidienza, diceva, io sto sicura della volontà di Dio, ma non sono
così sicura stando in ogni altro esercizio». E secondo tutt'i maestri di spirito
è meglio lasciare qualche esercizio divoto per ubbidienza, che adempirlo senza
l'ubbidienza. Rivelò Maria SS. a S. Brigida che chi lascia per ubbidienza una
mortificazione fa doppio guadagno, mentre già ottiene il merito della
mortificazione, volendola fare, ed ottiene di più il merito dell'ubbidienza per
cui la lascia. Un giorno il celebre P. Francesco Arias andò a vedere il Ven. P.
Giovanni d'Avila suo caro amico, e lo trovò cogitabondo e mesto; l'interrogò
della causa, e 'l P. Giovanni rispose così: «O beati voi, che vivete sotto
l'ubbidienza e state certi di fare quel che vuole Dio. Parlando di me, chi mi
assicura che sia più grato a Dio l'andare per li villaggi istruendo i poveri
contadini o pure star fisso in un confessionario a sentir le confessioni di
ognuno che viene? Ma chi vive sotto l'ubbidienza sta sicuro che quanto fa per
ubbidire tutto è secondo la volontà di Dio, anzi è la cosa che più gradisce a
Dio». Serva ciò per consolazione di tutti coloro che vivono sotto
l'ubbidienza.
18. Per esser poi perfetta l'ubbidienza, bisogna ubbidire colla
volontà e col giudizio. Ubbidir colla volontà viene a dire ubbidir di
buona voglia e non a forza, come fanno i schiavi. L'ubbidir poi col
giudizio, importa l'uniformare il nostro giudizio a quello del superiore,
senza mettere ad esame quel che ci viene imposto e come ci viene imposto. Onde
diceva S. Maria Maddalena de' Pazzi: «La perfetta ubbidienza richiede un'anima
senza giudizio». Dicea parimente S. Filippo Neri che per bene ubbidire non basta
fare quello che l'ubbidienza comanda, ma bisogna farlo senza discorso, tenendo
per certo che quel che ci viene comandato è per noi la cosa più perfetta che
possiamo fare, ancorchè il contrario fosse migliore avanti a Dio.
19. E ciò corre non solo per li religiosi, ma anche per gli
secolari che vivono sotto l'ubbidienza de' loro padri spirituali. Essi fansi
loro assegnar dal direttore tutte le regole con cui debbono portarsi negli
esercizi così spirituali come temporali, e così vanno sempre sicuri di fare il
meglio. Dicea S. Filippo Neri: «Quei che desiderano far profitto nella via di
Dio si sottomettano ad un confessore dotto, al quale ubbidiscano in luogo di
Dio. Chi fa così si assicura di non render conto a Dio delle azioni che fa».
Dicea di più: «Che al confessore si avesse fede, perchè il Signore non lo
lascerebbe errare: che non vi è cosa più sicura che tagli i lacci del demonio
che fare la volontà altrui nel bene: e che non v'è cosa più pericolosa che
volersi reggere di proprio parere» (Vita, lib. I. cap. 20). Parimente S.
Francesco di Sales (Introd. cap. 4) parlando della direzione del padre
spirituale per camminar sicuro nella via di Dio, scrisse: «Questo è
l'avvertimento degli avvertimenti: per quanto voi cerchiate, dice il divoto
Avila, voi non troverete mai così sicuramente la volontà di Dio, quanto per lo
cammino di questa umile ubbidienza tanto raccomandata e praticata da tutti gli
antichi divoti». Lo stesso dicono S. Bernardo, S. Bernardino da Siena, S.
Antonino, S. Giovanni della Croce, S. Teresa, Giovan Gersone e tutti i teologi e
maestri di spirito; e 'l dubitar di tal verità, scrisse S. Giovanni della Croce,
è presso che dubitar della fede. «Il non appagarsi, sono parole del santo, di
ciò che dice il confessore è superbia e mancamento di fede» (Tratt. delle spine,
t. 3. coll. 4. § 2. n. 8). Onde fra le massime di S. Francesco di Sales vi sono
queste due che molto consolano l'anime scrupolose: 1º Non si è perduto mai un
vero ubbidiente; 2º Conviene contentarsi saper dal padre spirituale che
si cammina bene, senza cercarne la cognizione.
Insegnano molti dottori, il Gersone, S. Antonino, il Gaetano,
il Navarro, il Sanchez, il Bonacina, il Corduba, il Castropalao, ed i
Salmaticesi con altri (Tratt. 20. cap. 7, n. 10), che lo scrupoloso è tenuto
sotto obbligo grave ad operare contra gli scrupoli, quando si può temere che per
causa di tali scrupoli abbia a patirne un grave danno nell'anima o nel corpo con
perdere la sanità o la mente; e perciò gli scrupolosi debbono avere maggiore
scrupolo a non ubbidire al confessore che ad operare contra lo scrupolo.
Ecco dunque, per concludere tutte le cose dette in questo capo,
dove consiste tutta la somma della nostra salute e perfezione: 1º In negare noi
stessi; 2º In seguir la volontà di Dio; 3º In pregarlo sempre che ci dia la
forza di adempire l'uno e l'altro.
Affetti e preghiere.
Quid... mihi est in caelo? et a te quid volui super
terram?... Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum (Ps. LXXII, 25,
26). Amato mio Redentore, o amabile infinito, giacchè voi siete sceso dal cielo
per donarvi tutto a me, che altro vogl'io andar cercando nella terra e nel cielo
fuori di voi che siete il sommo bene, l'unico bene degno di essere amato? Voi
dunque siate l'unico signore del mio cuore, voi possedetelo tutto; e l'anima mia
solo voi ami, a voi solo ubbidisca e cerchi di piacere. Si godano pure gli altri
le ricchezze di questo mondo, io voi solo voglio: voi siete e sarete la mia
ricchezza in questa vita e nell'eternità. Vi dono dunque, Gesù mio, intieramente
il mio cuore e tutta la mia volontà. Ella vi è stata ribelle un tempo, ma ora
tutta ve la consagro. Domine, quid me vis facere? (Act. IX, 6). Ditemi
quel che volete da me e datemi l'aiuto, ch'io tutto voglio farlo. Disponete di
me e delle cose mie come vi piace; io tutto accetto ed in tutto mi rassegno.
O amore degno d'infinito amore, voi mi avete amato fino a
morire per me, io v'amo con tutto il cuore, v'amo più di me stesso, e nelle
vostre mani abbandono l'anima mia. Oggi rinunzio ad ogni affetto mondano, mi
licenzio da tutto il creato e mi do tutto a voi; voi accettatemi per li meriti
della vostra Passione, e rendetemi fedele sino alla morte.
Gesù mio, Gesù mio, da oggi avanti voglio vivere solo a voi,
non voglio altro amare che voi, non voglio altro cercare che di fare la vostra
volontà. Assistetemi colla vostra grazia.
Ed aiutatemi voi colla vostra protezione, o speranza mia,
Maria.
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"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
mercoledì 1 agosto 2012
CAPITOLO XIII Caritas non cogitat malum, non gaudet super iniquitatem, congaudet autem veritati. Chi ama Gesù Cristo non vuol altro se non quel che vuole Gesù Cristo.
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