Caritas non aemulatur.
L'anima che ama Gesù Cristo
non invidia i grandi del mondo, ma solamente coloro che più amano Gesù Cristo.
1. Spiega S. Gregorio quest'altro contrassegno della carità, e
dice che la carità non invidia, poichè non sa invidiare a' mondani quelle
terrene grandezze ch'ella non desidera, ma disprezza: Non aemulatur, quia per
hoc quod in praesenti mundo nihil appetit, invidere terrenis successibus
nescit (Mor. l. 10. c. 8). Quindi bisogna distinguere due sorta di
emulazioni, una malvagia e l'altra santa. La malvagia è quella che invidia e si
rattrista per li beni mondani che gli altri possedono in questa terra.
L'emulazione poi santa è quella che non già invidia, ma più tosto compatisce i
grandi di questo mondo che vivono tra gli onori e piaceri terreni. Ella non
cerca nè desidera altro che Dio, ed altro non pretende in questa vita che di
amarlo quanto può; e perciò santamente invidia chi l'ama più di lei, mentr'ella
nell'amarlo vorrebbe superare anche i serafini.
2. Questo è quell'unico fine che hanno in terra le anime sante,
fine che innamora e ferisce di amore talmente il cuore di Dio che gli fa dire:
Vulnerasti cor meum, soror mea sponsa, vulnerasti cor meum in uno oculorum
tuorum (Cant. IV, 9). Quell'uno degli occhi significa l'unico fine che ha
l'anima sposa in tutti i suoi esercizi e pensieri, di piacere a Dio. Gli uomini
del mondo nelle loro azioni guardano le cose con più occhi, cioè con diversi
fini disordinati, di piacere agli uomini, di farsi onore, di acquistar ricchezze
e, se non di altro, di contentare se stessi; ma i santi non hanno che un occhio,
per guardare in tutto ciò che fanno il solo gusto di Dio; e dicono con Davide:
Quid... mihi est in caelo? et a te quid volui super terram?... Deus cordis
mei, et pars mea Deus in aeternum (Ps. LXXII, 25 et 26): che altro io
voglio, mio Dio, in questo e nell'altro mondo, se non voi solo? Voi solo siete
la mia ricchezza, voi l'unico signore del mio cuore. Si godano pure, dicea san
Paolino, i ricchi i loro tesori di terra, si godano i re i loro regni, voi, Gesù
mio, siete il mio tesoro e 'l regno mio: Habeant sibi divitias suas divites,
regna sua reges, Christus mihi gloria et regnum est.
3. Quindi avvertiamo che non basta fare opere buone, ma bisogna
farle bene. Acciocchè le opere nostre sian buone e perfette è necessario farle
col puro fine di piacere a Dio. Questa fu la degna lode che fu data a Gesù
Cristo: Bene omnia fecit (Marc. VII, 37). Molte azioni saranno in sè
lodevoli, ma perchè saran fatte per altro fine che della divina gloria, poco o
niente varranno appresso Dio. Dicea S. Maria Maddalena de' Pazzi: «Iddio
rimunera le nostre opere a peso di purità». Viene a dire che secondo è pura la
nostra intenzione, così il Signore gradisce e premia le nostre azioni. Ma oh
Dio, e quanto è difficile a trovare un'azione fatta solo per Dio! Io mi ricordo
d'un santo religioso vecchio che molto avea faticato per Dio e morì in concetto
di santità; ora costui un giorno, dando un'occhiata alla sua vita, tutto mesto
ed atterrito mi disse: «Oimè, che guardando tutte le opere di mia vita, non ne
trovo una fatta solo per Dio». Maledetto amor proprio che ci fa perdere o tutto
o la maggior parte del frutto delle nostre buone azioni. Quanti nei loro
impieghi più santi di predicatori, confessori, missionari, faticano, stentano, e
poco o niente guadagnano, perchè non guardano Dio solo, ma la gloria mondana o
l'interesse o la vanità di comparire o almeno la propria inclinazione!
4. Dice il Signore: Attendete a non fare il bene per essere
veduti dagli uomini, altrimenti non avrete alcun premio dal Padre celeste:
Attendite ne iustitiam vestram faciatis coram hominibus, ut videamini ab eis:
alioquin mercedem non habebitis apud Patrem vestrum, qui in caelis est
(Matth. VI, 1). Chi fatica per contentare il suo genio, già riceve il suo
premio: Amen dico vobis, receperunt mercedem suam (Ibid. 5). Mercede però
che si riduce ad un poco di fumo o ad una effimera soddisfazione che presto
passa, e niente profitto ne resta all'anima. Dice il profeta Aggeo che chi
fatica per altro che per piacere a Dio, ripone le sue mercedi in un sacco rotto
che quando va ad aprirlo niente più vi ritrova: Et qui mercedes congregavit
misit eas in sacculum pertusum (Agg. I, 6). E da ciò poi nasce che costoro,
se dopo le loro fatiche non ottengono l'intento di qualche cosa che imprendono,
molto s'inquietano. Questo è il segno che non hanno avuto per fine la sola
gloria di Dio: chi fa un'opera per la sola gloria di Dio, ancorchè poi quella
non riesca, niente si turba: mentre egli già ha ottenuto il suo fine di dar
gusto a Dio, avendo operato con retta intenzione.
5. Ecco i segni per vedere se uno che s'impiega in qualche
affare spirituale opera solo per Dio. 1º Se non si disturba allorchè non ottiene
l'intento, perchè non volendolo Dio neppur egli lo vuole. 2º Se gode egualmente
del bene che han fatto gli altri, come se esso l'avesse fatto. 3º Se non
desidera più un impiego che un altro, ma gradisce quello che vuole l'ubbidienza
de' superiori. 4º Se dopo le sue operazioni non cerca dagli altri nè
ringraziamenti nè approvazioni: e perciò se mai dagli altri ne vien mormorato o
disapprovato, non si affligge, contentandosi solamente di aver contentato Dio. E
se mai ne riceve qualche lode dal mondo, non se ne invanisce, ma risponde alla
vanagloria che gli si presenta innanzi per esser accettata, ciò che le rispondea
il Ven. Giovanni d'Avila: «Va via, sei arrivata tardi, perchè l'opera già me la
trovo data tutta a Dio».
6. Questo è l'entrare nel gaudio del Signore, cioè godere del
godimento di Dio, come sta promesso ai servi fedeli: Euge, serve bone et
fidelis quia super pauca fuisti fidelis... intra in gaudium domini tui
(Matth. XXV, 23). Ma se noi arriviamo ad aver la sorte di fare qualche cosa che
piace a Dio, dice il Grisostomo, che altro andiamo cercando? Si dignus fueris
agere aliquid quod Deo placet, aliam praeter id mercedem requiris? (Chrys.
L. 2. de Compunct. cord.). Questa è la maggior mercede, la maggior fortuna a cui
può giungere una creatura, il dar gusto al suo Creatore.
7. E ciò è quello che pretende Gesù Cristo da un'anima che
l'ama: Pone me, le dice, ut signaculum super cor tuum, ut signaculum
super brachium tuum (Cant. VIII, 6). Vuole che lo metta come segno sopra il
suo cuore e sopra il suo braccio: sopra il suo cuore, acciocchè quanto ella
medita di fare, intenda di farlo sol per amore di Dio; sopra il suo braccio,
acciocchè quanto opera, tutto lo faccia per dar gusto a Dio; sicchè Dio sia
sempre l'unico scopo di tutti i suoi pensieri e di tutte le sue azioni. Dicea S.
Teresa che chi vuol farsi santo bisogna che viva senza altro desiderio che di
dar gusto a Dio. E la sua prima figlia, la Ven. Beatrice dell'Incarnazione,
dicea: «Non v'è prezzo con cui possa pagarsi qualunque cosa, benchè minima,
fatta per Dio». E con ragione, perchè tutte le cose fatte per piacere a Dio sono
atti di carità che ci uniscono a Dio e ci acquistano beni eterni.
8. Dicesi che la purità d'intenzione è l'alchimia celeste per
la quale il ferro diventa oro, cioè le azioni più triviali, come il lavorare, il
cibarsi, il ricrearsi, il riposare, fatte per Dio, diventano oro di santo amore.
Quindi credea per certo S. Maria Maddalena de' Pazzi che quei che fanno con pura
intenzione tutto quel che fanno, vadano diritto in paradiso senza entrar nel
purgatorio. Si narra nell'Erario Spirit. (to. 4. cap. 4) che un santo solitario
prima di fare qualunque azione solea fermarsi per un poco ed alzare gli occhi al
cielo. Richiesto perchè ciò facesse, rispose: «Procuro di accertare il colpo». E
volea dire che siccome il sagittario prima di scoccar la saetta prende la mira
per indovinare il tiro, così egli prima di metter mano a qualunque azione
prendea di mira Iddio, acciocchè quell'opera riuscisse di suo piacere. Così
dobbiamo fare ancor noi; anzi nel proseguire l'opera incominciata è bene che
rinnoviamo da quando in quando l'intenzione di dar gusto a Dio.
9. Quei che ne' loro affari non guardano altro che il volere
divino godono quella santa libertà di spirito che hanno i figli di Dio, la quale
fa che abbraccino ogni cosa che piace a Gesù Cristo, non ostante qualunque
ripugnanza dell'amor proprio o del rispetto umano. L'amore a Gesù Cristo mette i
suoi amanti in una totale indifferenza, per cui tutto ad essi è eguale, il dolce
e l'amaro: niente vogliono di quel che piace a se stessi, e tutto vogliono di
quel che piace a Dio. Colla stessa pace s'impiegano nelle cose grandi e nelle
picciole, nelle cose grate e nelle dispiacevoli: basta loro che piacciano a
Dio.
10. Molti all'incontro voglion servire a Dio, ma in
quell'impiego, in quel luogo, con quei compagni, con quelle circostanze,
altrimenti o lasciano l'opera o la fanno di mala voglia. Questi non hanno la
libertà di spirito, ma sono schiavi dell'amor proprio, e perciò poco meritano
anche in ciò che fanno; e vivono inquieti, mentre riesce loro grave il giogo di
Gesù Cristo. I veri amanti di Gesù Cristo amano di fare solo quel che piace a
Gesù Cristo, e perchè piace a Gesù Cristo; quando vuole, dove vuole e nel modo
che vuole Gesù Cristo; ed o che voglia Gesù Cristo impiegarli in una vita
onorata dal mondo, o in una vita oscura e negletta. Ciò importa l'amar Gesù
Cristo con puro amore; ed in ciò noi dobbiamo affaticarci, combattendo contra
gli appetiti dell'amor proprio che vorrebbe vederci occupati in opere grandi di
onore e di nostra inclinazione.
11. E bisogna che siamo distaccati da tutti gli esercizi anche
spirituali, quando il Signore ci vuole impiegati in altre opere di suo gusto. Un
giorno il P. Alvarez, trovandosi molto occupato, desiderava sbrigarsene per
andare a fare orazione, poichè gli parea che in quel tempo egli non era con Dio;
ma il Signore allora gli disse: «Quantunque io non ti tenga meco, ti basti che
io mi serva di te». Ciò vale per quelle persone che talvolta s'inquietano per
vedersi obbligate dall'ubbidienza o dalla carità a lasciare le loro solite
divozioni: sappiano che tal inquietudine allora certamente non viene da Dio, ma
viene o dal demonio o dal loro amor proprio. Diasi gusto a Dio, e si muoia.
Questa è la prima massima de' santi.
Affetti e preghiere.
Eterno mio Dio, io vi offerisco tutto il mio cuore; ma oh Dio,
e qual cuore vi offerisco? Cuore bensì creato per amarvi, ma che, in vece
d'amarvi, tante volte si è ribellato da voi. Ma guardate, Gesù mio, che se un
tempo questo mio cuore vi è stato ribelle, ora sta tutto addolorato e pentito
de' disgusti che vi ha dati. Sì, mio caro Redentore, mi pento di avervi
disprezzato, e sto risoluto di volervi ubbidire ed amare ad ogni costo. Deh
tiratemi tutto al vostro amore; fatelo per quell'amore che mi portaste morendo
in croce per me.
V'amo, Gesù mio, v'amo con tutta l'anima, v'amo più di me
stesso, o vero, o unico amante dell'anima mia, mentre non trovo altri che voi
che per amor mio avete sacrificata la vita.
Mi fa piangere il vedere l'ingratitudine che vi ho usata.
Povero me, io già mi era perduto, ma spero che voi colla grazia vostra mi
abbiate restituita la vita. Questa sarà la mia vita, l'amarvi sempre, sommo mio
bene.
Fate ch'io v'ami, o amore infinito, e niente più vi
dimando.
O Maria, madre mia, accettatemi per vostro servo, e fatemi
accettare da Gesù vostro figlio.
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"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
mercoledì 1 agosto 2012
CAPITOLO VII Caritas non aemulatur. L'anima che ama Gesù Cristo non invidia i grandi del mondo, ma solamente coloro che più amano Gesù Cristo.
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