Caritas benigna est.
Chi ama Gesù Cristo ama la dolcezza.
1. Lo spirito di dolcezza è proprio di Dio: Spiritus enim
meus super mel dulcis (Eccli. XXIV, 27). Quindi l'anima amante di Dio ama
tutti coloro che sono amati da Dio, quali sono i nostri prossimi; onde
volentieri va sempre cercando di soccorrer tutti, consolar tutti, e tutti
contentar, per quanto l'è permesso. Dice S. Francesco di Sales che fu il maestro
e l'esempio della santa dolcezza: «L'umile dolcezza è la virtù delle virtù che
Dio tanto ci ha raccomandata; perciò bisogna praticarla sempre e da per tutto».
Onde il santo ci dà poi questa regola: «Ciò che vedrete potersi far con amore,
fatelo; e ciò che non può farsi senza contrasto, lasciatelo». S'intende sempre
che può lasciarsi senza offesa di Dio, perchè l'offesa di Dio dee impedirsi
sempre e subito che si può, da chi è tenuto ad impedirla.
2. Questa dolcezza dee specialmente praticarsi co' poveri, i
quali ordinariamente, perchè son poveri, son trattati aspramente dagli uomini.
Dee usarsi particolarmente ancora cogli infermi i quali si trovano afflitti
dall'infermità, e per lo più sono poco assistiti dagli altri. Più
particolarmente poi dee usarsi la dolcezza coi nemici. Vince in bono
malum (Rom. XII, 21). Bisogna vincer l'odio coll'amore, e la persecuzione
colla dolcezza; così han fatto i santi, e si han conciliato l'affetto de' loro
più ostinati nemici.
3. «Non vi è cosa, dice S. Francesco di Sales, che tanto
edifichi i prossimi, quanto la caritatevole benignità nel trattare». Il santo
perciò ordinariamente facea vedersi colla bocca a riso e colla faccia che
spirava benignità, accompagnata dalle parole e dai gesti. Onde dicea S. Vincenzo
de' Paoli non aver egli conosciuto uomo più benigno. Dicea di più sembrargli che
monsignor di Sales avesse l'immagine espressa della benignità di Gesù Cristo.
Egli anche nel negare quel che non potea concedere senza offesa della coscienza,
si dimostrava talmente benigno, che gli altri, benchè non avessero l'intento, ne
partivano affezionati e contenti. Era egli benigno con tutti, co' superiori, co'
suoi eguali e cogl'inferiori, in casa e fuor di casa. A differenza di coloro,
come lo stesso santo dicea, che sembrano angeli fuori di casa e demoni in
casa. Anche trattando co' servi, il santo non si lagnava mai de' loro
mancamenti; appena qualche volta gli avvertiva, ma sempre con parole benigne.
Cosa molto lodevole a tutti i superiori. Il superiore dee usare tutta la
benignità co' suoi sudditi. Nell'imponere ciò che quelli hanno da eseguire, dee
più presto pregare che comandare. Dicea S. Vincenzo de' Paoli: «Non v'è modo a'
superiori di esser meglio ubbiditi da' sudditi, che la dolcezza». E parimente S.
Giovanna di Chantal dicea: «Ho sperimentato più modi nel governo, ma non ho
trovato migliore che il dolce e sofferente».
4. Anche nel riprendere i difetti, il superiore dee essere
benigno. Altro è il riprendere con fortezza, altro il riprendere con asprezza;
bisogna talvolta riprendere con fortezza, quando il difetto è grave, e
specialmente quando è replicato, dopo che il suddito n'è stato già ammonito; ma
guardiamoci di riprender mai con asprezza ed ira; chi riprende con ira fa più
danno che profitto. Questo è quel zelo amaro riprovato da S. Giacomo. Taluni si
vantano di tener la famiglia a registro col modo aspro che usano, e dicono che
così bisogna governare; ma non dice così S. Giacomo: Quod si zelum amarum
habetis,... nolite gloriari (Iac. III, 14). Se mai in qualche caso raro
bisognasse dire qualche parola aspra per indurre il difettoso ad apprender la
gravezza del suo difetto, sempre non però all'ultimo bisogna lasciarlo colla
bocca dolce, con qualche parola benigna. Bisogna sanar le ferite, come fece il
Samaritano del Vangelo, col vino e coll'olio. «Ma siccome l'olio, dicea S.
Francesco di Sales, va sempre di sopra tutti i liquori, così bisogna che in
tutte le nostre azioni vada sopra la benignità». E quando avviene che la persona
la quale dee esser corretta sta disturbata, bisogna allora trattener la
riprensione ed aspettare che cessi la sua collera, altrimenti più la
provocheremo a sdegnarsi. Dicea S. Giovanni canonico regolare: «Quando la casa
arde non bisogna aggiunger legna al fuoco».
5. Nescitis cuius spiritus estis (Luc. IX, 55). Così
disse Gesù Cristo a' suoi discepoli Giacomo e Giovanni, allorchè essi voleano
che fossero corretti con castighi i Samaritani, i quali gli aveano discacciati
dal lor paese. Ah, disse loro il Signore, e quale spirito è questo? Questo non è
lo spirito mio, il quale è tutto dolce e benigno; giacchè io non son venuto a
perdere, ma a salvare le anime: Filius hominis non venit animas perdere sed
salvare (Ibid. 56). E voi volete indurmi a perderle? Tacete, e non mi fate
più simili domande, perchè non è questo lo spirito mio. — Ed in fatti con quanta
dolcezza Gesù Cristo trattò l'adultera! Mulier, le disse, nemo te
condemnavit? nec ego te condemnabo: Vade, et iam amplius noli peccare (Io.
VIII, 10 et 11). Si contentò di solo ammonirla a non più peccare, e la mandò in
pace. Con quanta benignità parimente cercò di convertire la Samaritana, e così
già la convertì. Prima le domandò da bere; dipoi le disse: Oh sapessi tu chi
è colui che ti cerca da bere! Indi le rivelò ch'egli era il Messia
aspettato. In oltre con quanta dolcezza procurò di convertire l'empio Giuda,
ammettendolo a mangiare nello stesso suo piatto, lavandogli i piedi, ed
avvertendolo nell'atto stesso del suo tradimento: Giuda, così con un bacio mi
tradisci? Iuda, osculo Filium hominis tradis? (Luc. XXII, 48). Come poi
convertì Pietro, dopo che Pietro l'avea rinnegato? Eccolo: Conversus Dominus
respexit Petrum (Ibid. 61). In uscir dalla casa del pontefice, senza
rimproverargli il suo peccato, lo mirò con un tenero sguardo, e così lo
convertì; e lo convertì in modo, che Pietro finchè visse non lasciò mai di
piangere l'ingiuria fatta al suo maestro.
6. Oh quanto si guadagna più colla dolcezza che coll'amarezza!
Dicea S. Francesco di Sales che non v'è cosa più amara della noce; ma se quella
si confetta, diventa dolce ed amabile: così le correzioni, benchè sono in sè
dispiacenti, nondimeno quando si fanno con amore e dolcezza, diventano
gradevoli, e così riescono di maggior profitto. Narrava di sè S. Vincenzo de'
Paoli che nel governo tenuto nella sua congregazione non aveva mai corretto
alcuno con asprezza, se non tre volte credendo aver avuto ragione di farlo, ma
che poi sempre se n'era pentito, perchè sempre gli era riuscito male; dove il
correggere con dolcezza sempre gli era riuscito bene.
7. S. Francesco di Sales colla sua benignità ottenea dagli
altri quanto voleva; e così gli riusciva di tirar a Dio anche i peccatori più
ostinati. Lo stesso praticava S. Vincenzo de' Paoli, il quale insegnava a' suoi
questa massima: «L'affabilità, dicea, l'amore e l'umiltà mirabilmente si
guadagnano i cuori degli uomini, e gl'inducono ad abbracciare le cose più
ripugnanti alla natura». Una volta egli consegnò ad un padre de' suoi un gran
peccatore, affinchè l'avesse ridotto a penitenza; ma quel padre, per quanto
avesse faticato, niente profittò; onde pregò il santo a dirgli esso qualche
cosa. Allora gli parlò il santo e lo convertì. Quel peccatore disse poi che la
singolar dolcezza e carità del P. Vincenzo gli aveano guadagnato il cuore.
Quindi il santo non potea soffrire che i suoi missionari trattassero i penitenti
con asprezza, e dicea loro che lo spirito infernale si serve del rigore di
alcuni per maggiormente rovinare le anime.
8. Bisogna praticar la benignità con tutti, ed in ogni
occasione, ed in ogni tempo. Avverte S. Bernardo che taluni sono mansueti finchè
le cose avvengono a loro genio, ma appena poi che son toccati con qualche
avversità o contraddizione, subito si accendono, e cominciano a fumare come il
monte Vesuvio. Costoro posson dirsi carboni ardenti, ma nascosti sotto la
cenere. Chi vuol farsi santo bisogna che in questa vita sia come un giglio tra
le spine, che per quanto venga da quelle punto non lascia di esser giglio, cioè
sempre egualmente soave e benigno. L'anima amante di Dio conserva sempre la pace
nel cuore, e la dimostra anche nel volto, comparendo sempre eguale a se stessa
negli eventi, così prosperi come avversi, siccome cantò il cardinal
Petrucci:
Mira cangiarsi in variate forme
Fuori di sè le creature, e dentro
Il suo più cupo centro
Sempre unita al suo Dio vive uniforme.
9. Nelle cose avverse si conosce lo spirito di una persona. S.
Francesco di Sales amava con tenerezza l'ordine della Visitazione che gli
costava tante fatiche. Più volte egli lo vide in pericolo di perdersi per le
persecuzioni che pativa, ma il santo non perdè mai la sua pace, sempre contento
di vederlo anche distrutto, se così piaceva a Dio; ed allora fu che disse: «Da
qualche tempo in qua le tante opposizioni e contraddizioni che mi sono venute mi
recano una pace sì dolce che non ha pari, e mi presagiscono il prossimo
stabilimento dell'anima mia in Dio ch'è l'unico mio desiderio».
10. Quando ci occorre di dover risponder a chi ci maltratta,
stiamo attenti a rispondere sempre con dolcezza: Responsio mollis frangit
iram (Prov. XV, 1): una risposta dolce basta a spegnere ogni fuoco di
collera. E quando ci sentiamo sturbati, allora meglio è tacere, perchè allora ci
sembra giusto di dir quel che ci viene in bocca; ma sedata poi la passione,
vedremo che tutte le parole da noi proferite sono state difetti.
11. E quando accade che noi stessi commettiamo qualche difetto,
bisogna che ancora con noi medesimi usiamo la dolcezza: l'adirarci con noi dopo
il difetto commesso non è umiltà, ma è fina superbia, come se noi non fossimo
quei deboli e miserabili che siamo. Dicea S. Teresa: «Umiltà che inquieta non
viene mai da Dio, ma dal demonio». L'adirarci con noi stessi dopo il difetto è
un difetto più grande del difetto fatto, il quale porterà seco la conseguenza di
molti altri difetti: ci farà lasciare le nostre divozioni, l'orazione, la
comunione; e se le faremo riusciranno poco ben fatte. Dicea S. Luigi Gonzaga che
nell'acqua torbida più non si vede, ed ivi pesca il demonio. Quando l'anima sta
disturbata poco conosce Dio e quel che dee fare. Bisogna dunque, allorchè
cadiamo in qualche difetto, voltarsi a Dio con umiltà e confidenza, e,
cercandogli perdono, dirgli come dicea S. Caterina di Genova: «Signore, queste
sono l'erbe dell'orto mio». V'amo, con tutto il cuore, e mi pento di avervi dato
questo disgusto. Non voglio farlo più, datemi il vostro aiuto.
Affetti e preghiere.
O beate catene che legate le anime con Dio, deh stringete me
ancora, e stringetemi tanto che io non possa più sciogliermi dall'amore del mio
Dio!Gesù mio, io vi amo; v'amo, o tesoro, o vita dell'anima mia; a voi mi
stringo e vi dono tutto me stesso. No, che non voglio, amato mio Signore,
lasciarvi più d'amare. Voi che per pagare i miei peccati avete sofferto d'esser
legato qual reo, e così legato essere condotto per le vie di Gerusalemme alla
morte, voi che voleste essere inchiodato alla croce, e non la lasciaste se non
dopo avervi lasciata la vita, deh, per lo merito di tante pene, non permettete
ch'io mai abbia a separarmi da voi!
Mi pento più d'ogni male di avervi un tempo voltate le spalle,
e propongo colla grazia vostra di prima morire che darvi più disgusto nè grave
nè leggiero.
O Gesù mio, in voi mi abbandono. Io v'amo con tutto il cuore,
v'amo più di me stesso. Vi ho offeso per lo passato, ma ora me ne pento, e
vorrei morirne di dolore. Deh tiratemi tutto a voi. Io rinunzio a tutte le
consolazioni sensibili, voi solo voglio e niente più. Fate ch'io v'ami e poi
fate di me quel che vi piace.
O Maria, speranza mia, ligatemi a Gesù; e fate ch'io sempre
viva a lui ligato, e ligato muoia per venire un giorno al beato regno, dove non
avrò più timore di vedermi sciolto del suo santo
amore.
|
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
mercoledì 1 agosto 2012
CAPITOLO VI Caritas benigna est. Chi ama Gesù Cristo ama la dolcezza.
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