Caritas non inflatur.
Chi ama Gesù Cristo
non s'invanisce de' propri pregi, ma si umilia e gode di vedersi umiliato anche dagli altri.
1. Il superbo è come un pallone di vento che comparisce grande
a se stesso, ma in sostanza tutta la sua grandezza si riduce ad un poco di vento
che, aprendosi il pallone, tutto in un subito svanisce. Chi ama Dio è vero umile
nè si gonfia per vedere in sè qualche pregio; perchè vede che quanto ha, tutto è
dono di Dio, e del suo non ha altro che il niente ed il peccato; onde nel
conoscere i favori fattigli da Dio più si umilia, vedendosi così indegno e così
da Dio favorito.
2. Dice S. Teresa, parlando delle grazie speciali che Dio le
facea: «Iddio fa con me come si fa con una casa che, stando per cadere, si aiuta
con puntelli». Quando un'anima riceve qualche amorosa visita di Dio, provando in
sè un ardore straordinario di amor divino accompagnato da lagrime o da una gran
tenerezza di cuore, si guardi dal pensare che il Signore la favorisca allora per
qualche sua buona opera; ma allora dee più umiliarsi, pensando che Dio
l'accarezza acciocchè ella non l'abbandoni; altrimenti se per tali doni ne
concepisce qualche vanità, stimandosi più favorita perchè si porta con Dio più
bene degli altri, un tal difetto farà che Dio la privi de' suoi favori. Per
conservar la casa due sono le cose più necessarie, il fondamento ed il tetto: il
fondamento in noi ha da essere l'umiltà, nel riconoscere che a niente vagliamo e
niente possiamo: il tetto poi è la divina protezione in cui solamente dobbiam
confidare.
3. Allorchè ci vediamo più favoriti da Dio bisogna che più ci
umiliamo. S. Teresa quando riceveva qualche grazia speciale, allora procurava di
mettersi avanti gli occhi tutte le sue colpe commesse, e così il Signore più a
sè l'univa. Quanto più l'anima si confessa indegna di grazie, tanto più Iddio di
grazie l'arricchisce. Taide, prima peccatrice e poi santa, si umiliava tanto con
Dio che stimavasi indegna anche di nominarlo; onde non ardiva di dire, «Dio
mio», ma diceva, «Creatore mio, abbi pietà di me: Plasmator meus, miserere
mei». E scrive S. Girolamo che per tale umiltà vide apparecchiarsele un gran
trono in cielo. Si legge similmente di S. Margherita da Cortona, nella sua vita,
che visitandola un giorno il Signore con maggior tenerezza d'amore, ella
esclamando gli disse: «Ma come, Signore, vi siete scordato di quella ch'io sono
stata? come con tante finezze mi pagate le tante ingiurie che vi ho fatte?» E
Dio le rispose che quando un'anima l'ama e si pente di cuore d'averlo offeso,
egli si scorda di tutte le offese ricevute; come già lo disse per Ezechiele:
Si autem impius egerit poenitentiam... omnium iniquitatum eius quas operatus
est, non recordabor (Ezech. XVIII, 21 et 22). Ed in pruova di ciò le fe'
vedere che le aveva apparecchiato in cielo un gran soglio in mezzo a' serafini.
— Oh se giungessimo ad intendere il valore dell'umiltà! Vale più un atto
d'umiltà che non è l'acquistare tutte le ricchezze del mondo.
4. Dicea S. Teresa: «Non credere di aver fatto profitto nella
perfezione se non ti tieni per lo peggiore di tutti, e se non desideri di esser
posposto a tutti». E così facea la santa, e così han fatto tutti i santi. S.
Francesco d'Assisi, S. Maria Maddalena de' Pazzi e gli altri, si riputavano i
maggiori peccatori del mondo, e si ammiravano come la terra gli sostenesse e non
si aprisse loro sotto i piedi; e ciò lo diceano con vero sentimento. Trovandosi
vicino alla morte il V. Giovanni d'Avila che fin da giovine fece una vita santa,
venne un sacerdote ad assisterlo, e gli dicea cose molto sublimi, trattandolo da
quel gran servo di Dio e gran dotto ch'egli era: ma il P. Avila gli fe' sentire:
«Padre, vi prego a raccomandarmi l'anima, come si raccomanda l'anima ad un
malfattore condannato a morte, perchè tale son io». Tale è il sentimento che
hanno i santi di se stessi in vita ed in morte.
5. Così bisogna che facciamo ancor noi se vogliamo salvarci e
conservarci in grazia di Dio sino alla morte, mettendo tutta la nostra
confidenza solamente in Dio. Il superbo confida nelle sue forze e perciò cade;
ma l'umile, perchè solo confida in Dio, benchè sia assalito da tutte le
tentazioni le più veementi, sta forte e non cade, dicendo sempre: Omnia
possum in eo qui me confortat (Phil. IV, 13). Il demonio ora ci tenta di
presunzione, ora di sconfidenza: quando egli ci dice che per noi non v'è timor
di cadere, allora più tremiamo, perchè se per un momento Iddio non ci assiste
colla sua grazia, siamo perduti. Quando poi ci tenta a sconfidare, allora
voltiamoci a Dio e diciamogli con gran confidenza: In te Domine speravi, non
confundar in aeternum (Ps. XXX, 2): Dio mio, in voi ho poste le mie
speranze, spero di non avermi a veder mai confuso e privo della vostra grazia.
Questi atti di sconfidare di noi e confidare in Dio dobbiamo esercitarli sino
all'ultimo punto della nostra vita, pregando sempre il Signore che ci dia la
santa umiltà.
6. Ma non basta, ad esser umili, l'aver basso concetto di noi
ed il tenerci per quei miserabili che siamo; il vero umile, dice Tommaso da
Kempis, disprezza sè e desidera essere disprezzato ancora dagli altri. Questo è
quel tanto che ci raccomandò Gesù Cristo a praticare secondo il suo esempio:
Discite a me, quia mitis sum et humilis corde (Matth. XI, 29). Chi dice
di essere il maggior peccatore del mondo e poi si sdegna cogli altri che lo
disprezzano, dà segno ch'è umile di bocca, ma non di cuore. Scrive S. Tommaso
d'Aquino che quando alcuno, vedendosi disprezzato, si risente, ancorchè facesse
miracoli, si tenga per certo ch'egli è molto lontano dalla perfezione. La divina
Madre mandò S. Ignazio di Loyola ad istruire nell'umiltà S. Maria Maddalena de'
Pazzi, ed ecco l'insegnamento che il santo le diede: «L'umiltà è un godimento di
tutto ciò che c'induce a disprezzare noi stessi». Si noti, un godimento:
se il senso si risente ne' disprezzi che riceviamo, almeno collo spirito
dobbiamo goderne.
7. E come mai un'anima che ama Gesù Cristo, vedendo il suo Dio
sopportare schiaffi e sputi in faccia, come soffrì nella sua Passione, — tunc
exspuerunt in faciem eius et colaphis eum ceciderunt, alii autem palmas in
faciem eius dederunt (Matth. XXVI, 67) — potrà non amare i disprezzi? A
questo fine il Redentore ha voluto che sugli altari si esponesse la sua
immagine, non già in forma di glorioso, ma di crocifisso, affinchè avessimo
sempre avanti gli occhi i suoi disprezzi, a vista de' quali i santi godono in
vedersi vilipesi in questa terra. E questa fu la domanda che S. Giovanni della
Croce fe' a Gesù Cristo, allorchè gli apparve colla croce sulla spalla:
Domine, pati et contemni pro te: Signore, in vederti così disprezzato per
amor mio, non altro ti cerco, che il farmi patire ed esser disprezzato per amor
tuo.
8. Dice S. Francesco di Sales: «Il sopportare gli obbrobri è la
pietra di paragone dell'umiltà e della vera virtù». Se una persona che fa la
spirituale, fa orazione, si comunica spesso, digiuna, si mortifica, ma poi non
può sopportare un affronto, una parola pungente, che segno è? È segno ch'è canna
vacante, senza umiltà e senza virtù. E che sa fare un'anima che ama Gesù Cristo,
se non sa soffrire un disprezzo per amor di Gesù Cristo che ne ha sofferti tanti
per lei? Scrive il da Kempis nel suo libretto d'oro dell'Imitazione di Gesù
Cristo: «Giacchè tanto abborrisci di esser umiliato, è segno che non sei
morto al mondo, non hai umiltà e non hai Dio avanti gli occhi. Chi non ha Dio
avanti gli occhi si conturba per ogni parola di biasimo che sente». Tu non puoi
sopportare schiaffi e ferite per Dio: sopporta almeno qualche parola.
9. Oh che ammirazione e scandalo dà una persona che si comunica
spesso, e poi si risente ad ogni parola di suo disprezzo! All'incontro, che
bella edificazione dà un'anima che, ricevendo disprezzi, risponde con qualche
parola dolce per placare chi l'ha offesa; o pure non risponde nè se ne lamenta
cogli altri, ma se ne resta con volto sereno senza dimostrarne amarezza! Dice S.
Giovanni Grisostomo che il mansueto è utile non solo a se stesso, ma anche agli
altri col buon esempio che loro dà di dolcezza nell'esser disprezzato:
Mansuetus utilis sibi et aliis.
Il da Kempis intorno a questa materia avverte molte cose nelle
quali dobbiamo umiliarci. Dice così: «Si ascolterà quanto dicono gli altri, e
quanto dici tu sarà dispregiato. Dimanderanno gli altri e riceveranno:
dimanderai tu e ti sarà negato. Gli altri saran grandi nella bocca degli uomini,
e di te si tacerà. Agli altri sarà commessa questa o quella incombenza, ma tu a
nulla verrai giudicato buono. Con queste pruove il servo fedele suole
sperimentarsi dal Signore, come egli sappia reprimersi e quietarsi. Si
contristerà alcuna volta la natura, ma farai gran guadagno se tutto sopporterai
con silenzio».
10. Dicea S. Giovanna di Chantal: «Chi è vero umile, venendo
umiliato più s'umilia». Sì, perchè il vero umile non mai crede di esser umiliato
abbastanza quanto merita. Quelli che fanno così son chiamati beati da Gesù
Cristo: non son chiamati beati quei che dal mondo sono stimati, onorati e lodati
per nobili, per dotti, per potenti; ma quei che sono maledetti dal mondo,
perseguitati e mormorati: perchè a costoro sta preparata, se tutto soffrono con
pazienza, una gran mercede in paradiso: Beati estis cum maledixerint vobis,
et persecuti vos fuerint, et dixerint omne malum adversum vos mentientes,
propter me. Gaudete et exsultate, quoniam merces vestra copiosa est in
caelis (Matth. V, 11 et 12).
11. Principalmente poi dobbiamo praticar l'umiltà quando siamo
ripresi da' superiori o da altri di qualche difetto. Taluni fanno come i ricci
che quando non sono toccati paiono tutti placidi e mansueti; ma se poi li tocca
un superiore o un amico ammonendoli di una cosa mal fatta, subito diventano
tutti spine, e rispondono con risentimento che ciò non è vero o che hanno avuta
ragione di farlo, e che non ci capiva quell'ammonizione; in somma chi li
riprende loro diventa nemico, facendo come coloro che se la pigliano col
cerusico perchè gli fa sentire dolore con medicargli la piaga: Medicanti
irascitur, scrive S. Bernardo. L'uomo santo ed umile, dice S. Gio.
Grisostomo, quando è corretto geme per l'errore commesso; il superbo
all'incontro, quando è corretto anche geme, ma geme perchè vede scoverto il suo
difetto, e perciò si sturba, risponde, e si sdegna con chi l'avverte. Ecco la
bella regola che dava S. Filippo Neri, quando alcuno si vede incolpato: «Chi
vuol farsi veramente santo, dicea, non dee mai scusarsi, ancorchè sia falso
quello di che viene tacciato». In ciò dee eccettuarsene il solo caso in cui
sembrasse esser necessaria la difesa per togliere lo scandalo. Oh quanto merito
si fa appresso Dio chi è ripreso, benchè a torto, e tace e non si scusa! Dicea
S. Teresa: «Talvolta più si avanza e si perfeziona una anima con lasciar di
scusarsi, che con sentire dieci prediche; poichè col non iscusarsi comincia ad
acquistar la libertà di spirito ed a non curarsi più se si dice bene o male di
lei».
Affetti e preghiere.
O Verbo Incarnato, deh vi prego, per li meriti della vostra
santa umiltà che vi fe' abbracciare tante ignominie ed ingiurie per amor nostro,
liberatemi dalla superbia e datemi parte della vostra santa umiltà. E come mai
potrò dolermi io d'ogni obbrobrio che mi sia fatto, dopo specialmente d'essermi
fatto tante volte reo dell'inferno? Deh, Gesù mio, per lo merito di tanti
disprezzi che soffriste nella vostra Passione, datemi la grazia di vivere e
morire umiliato in questa terra, come voi viveste e moriste umiliato per me. Io
per amor vostro vorrei vedermi disprezzato e abbandonato da tutti, ma senza voi
non posso niente.
V'amo, mio sommo bene, v'amo, o diletto dell'anima mia: io
v'amo, e da voi spero, come propongo, di soffrir tutto per voi, affronti,
tradimenti, persecuzioni, dolori, aridità, abbandoni; basta che non mi
abbandoniate voi, unico amore dell'anima mia. Non permettete ch'io mi allontani
più da voi.
Datemi desiderio di darvi gusto. Datemi fervore nell'amarvi.
Datemi pace nel patire. Datemi rassegnazione in tutte le cose contrarie.
Abbiate pietà di me. Io non merito niente, ma tutto spero da
voi che mi avete comprato col vostro sangue.
E tutto spero da voi, regina e madre mia Maria, che siete il
rifugio dei peccatori.
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"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
mercoledì 1 agosto 2012
CAPITOLO IX Caritas non inflatur. Chi ama Gesù Cristo non s'invanisce de' propri pregi, ma si umilia e gode di vedersi umiliato anche dagli altri.
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