venerdì 22 dicembre 2017

In verità: OGNI GIORNO E' NATALE: giorno della letizia, tempo dell’esultanza!

22 dicembre A.D. 2017 - Terzo Millennio dopo C.
Capitolo 14 
LA REGOLA BOLLATA DEL 1223 
E IL NATALE A GRECCIO 

-- Il 15 agosto 1222 nella piazza maggiore di Bologna si trovava Tommaso, arcidiacono di Spalato in Dalmazia, e poi vescovo della stessa città, che in quel tempo era studente a Bologna. Egli scrive una sua testimonianza importante nella Historia Pontificum Salonitanorum et Spalatensium (1266), in cui descrive una predica che Francesco avrebbe tenuto in quel giorno: 

Mi trovavo, in quell’anno (1222) allo Studio di Bologna ed ho potuto ascoltare, nella festa dell’Assunzione della beata Madre di Dio, il sermone che san Francesco tenne sulla piazza antistante il palazzo comunale, ove era confluita, si può dire, quasi tutta la città. 

Questo era il tema prescelto: “Gli angeli, gli uomini, i demoni”. Parlò con tanta chiarezza e proprietà di queste tre specie di creature razionali, che molte persone dotte, che l’ascoltavano, furono piene di ammirazione per quel discorso di un uomo illetterato. E tuttavia, non aveva stile di uno che predicasse ma di conversazione. In realtà, tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace. Portava un abito dimesso: la persona era spregevole, la faccia senza bellezza. 
Eppure, Dio conferì alle sue parole tale efficacia, che molte famiglie signorili, tra le quali il furore irriducibile di inveterate inimicizie era divampato fino allo spargimento di tanto sangue, erano piegate a consigli di pace. Grandissime poi erano la riverenza e la devozione della folla, al punto che uomini e donne si gettavano alla rinfusa su di lui con bramosia di toccare almeno le frange del suo vestito o di impadronirsi di un brandello dei suoi panni (FF 2252). --

Bologna era una dei grandi centri universitari dell’Europa medievale, insieme a Parigi, Oxford, Cambridge, Salamanca, Padova, Napoli, Colonia. Era il centro dello studio del diritto civile ed ecclesiastico. Sappiamo che i frati avevano una casa a Bologna, e che frate Bonizo, che aiutò Francesco nella stesura della Regola Bollata, aveva studiato diritto a Bologna. In questo periodo frate Antonio era diventato il primo lettore di teologia ai frati nello studium di Bologna. 
In questo centro di cultura Francesco annunziò la Parola di Dio con franchezza e semplicità, e ottenne grandi frutti. 

Entriamo nel periodo della sua vita in cui, dopo aver rinunziato al governo dell’Ordine, era più libero per dedicarsi alla predicazione e a momenti lunghi di preghiera solitaria negli eremi dell’Appennino italiano. Fu questo il periodo della maturazione della sua scelta di vita, in cui capiva che l’Ordine aveva bisogno di un forte sostegno con l’aiuto dei frati dotti e anche con una legislazione che poteva rispondere ai bisogni di un Ordine ormai diffuso un po’ dappertutto. 

L’anno 1223 è importante nella storia dell’Ordine, perché segna una tappa decisiva nella legislazione dei Frati Minori con l’approvazione della Regola Bollata da parte di Papa Onorio III il 29 novembre 1223. 

Cerchiamo di dare un quadro sintetico delle vicende che accompagnarono la stesura e la conferma della Regola, che doveva rimanere come il progetto definitivo di vita evangelica di Francesco e dei suoi frati. La stesura della Regola Bollata viene fatta all’eremo di Fonte Colombo nella prima metà del 1223. Francesco vi ritirò con frate Leone e frate Bonizo da Bologna, esperto nel diritto civile e canonico. 

Secondo San Bonaventura, che cerchiamo di seguire qui per la sua descrizione abbastanza equilibrata dei fatti, Francesco, volle, prima di farla approvare, ridurre a forma più compendiosa la Regola, che aveva steso con lunghe e abbondanti citazioni del Vangelo (LM IV,11). 

Bonaventura si riferisce alla Regola non bollata, che abbiamo già visto, presentata ai frati nel 1221, dopo che Cesario da Speyer l’aveva arricchita di numerose citazioni bibliche. Questa Regola, forse perché aveva più l’apparenza di uno scritto spirituale che di un testo legislativo, non fu mai approvata dal Papa. 

Ecco perché Francesco ne prepara una più breve, nella solitudine dell’eremo di Fonte Colombo. Perciò, guidato dallo Spirito Santo, salì su un monte con due compagni e là, digiunando a pane ed acqua, dettò la Regola, secondo quanto gli suggeriva lo Spirito divino durante la preghiera. Disceso dal monte, la affidò da custodire al suo vicario. Ma siccome questi, pochi giorni dopo gli disse che l’aveva perduta per trascuratezza, il Santo tornò di nuovo nella solitudine e subito la rifece in tutto uguale alla precedente, come se ricevesse le parole dalla bocca di Dio. Ottenne, poi, che venisse confermata, come aveva desiderato, dal sopraddetto papa Onorio, nell’ottavo anno del suo pontificato (LM IV,11). 

La descrizione che dà Bonaventura è piena di simbolismo. Francesco sale su di un “monte”, ma di fatto, Fonte Colombo si trova in zona collinare. Scrive la Regola due volte. Francesco appare evidentemente come un nuovo Mosè, che promulga una nuova legge dalla montagna, ma che deve ritornare perché la prima stesura viene “persa” dal vicario (frate Elia), come le prime tavole di pietra del decalogo furono spezzate ai piedi del Sinai e dovevano essere rifatte dal dito di Dio. 

La Regola fu scritta come veniva dettata dalla bocca di Dio, nello stesso modo in cui Mosè ricevette i dieci comandamenti dalla bocca di Dio sul Sinai. Che c’è di vero in questa descrizione? Anche se Bonaventura è ben documentato, è assai evidente il suo intento di presentare Francesco come nuovo Mosè. 
Tuttavia qualche cosa sarebbe successo lì a Fonte Colombo, nel senso che la Regola non fu accolta con entusiasmo da una certa sezione di frati. Le Fonti che provengono dall’ala “spirituale” dell’Ordine, parlano addirittura di una forte tensione che si sviluppò tra Francesco da una parte e i ministri, capeggiati da fra Elia, dall’altra. Addirittura non fu vero che la prima stesura fu perduta, ma fu fatta sparire da Elia, con la speranza che Francesco non l’avrebbe più riscritta. 

Ma Francesco ritorna a Fonte Colombo e la riscrive esattamente come la prima, con le medesime parole che Cristo gli detta. Le Fonti che parlano di questo fatto sono la Compilatio Assisiensis 17, che corrisponde a quello che dicono i Verba Sancti Francisci di frate Leone, e lo Speculum Perfectionis 1. Riportiamo il testo di SP 1: 

Il beato Francesco compose tre Regole: quella confermata, senza però la Bolla pontificia, da papa Innocenzo III; un’altra più breve, che andò smarrita; quella infine che papa Onorio III approvò con la Bolla, e dalla quale molte cose furono soppresse a iniziativa dei ministri, contro il volere di Francesco. Dopo che la seconda Regola composta dal beato Francesco andò perduta, egli con frate Leone d’Assisi e frate Bonizo da Bologna salì sopra un monte, per comporre un’altra Regola che egli dettò ispirato da Cristo. 

Molti ministri si raccolsero allora intorno a frate Elia, vicario di Francesco e gli dissero: “Siamo venuti a sapere che questo fratello Francesco fa una nuova Regola, e abbiamo paura che la faccia troppo rigorosa, così che non possiamo osservarla. Vogliamo quindi che tu vada su da lui e gli dica che non intendiamo essere obbligati a quella Regola; se proprio vuole, la componga per sé, non per noi”. 

Rispose Elia che non voleva recarvisi, temendo la riprensione del beato Francesco. Insistendo quelli perché ci andasse, rispose che non voleva andarci senza di loro. 

Ci andarono pertanto tutti insieme. Quando furono nei pressi del luogo ove Francesco dimorava, frate Elia lo chiamò. Rispondendogli e vedendo il gruppo dei ministri, Francesco domandò: “Cosa desiderano questi frati?” E frate Elia: “Questi sono i ministri, che avendo saputo che stai facendo una nuova Regola e temendo che sia troppo severa, dicono e protestano che non vogliono sentirsi obbligati ad essa, e perciò tu la faccia per te, non per loro”. Francesco rivolse la faccia al cielo, e parlò a Cristo così: “Signore, non ti dicevo giustamente che non mi avrebbero creduto?” Allora tutti udirono nell’aria la voce di Cristo che rispondeva: “Francesco, nulla vi è di tuo nella Regola, poiché tutto quello che vi sta è mio. E voglio che sia osservata alla lettera, alla lettera, alla lettera, senza commenti, senza commenti, senza commenti!” E soggiunse: “So bene quanto può la fragilità umana e so in quale misura intendo aiutarli. Quelli dunque che non vogliono osservarla, escano dall’Ordine”. Allora il beato Francesco si volse a quei frati e disse: “Avete udito? Avete udito? Volete che ve lo faccia ripetere?” I ministri, riconoscendo la propria colpa, si allontanarono spaventati e confusi. (SP 1; CA 17). 

Anche in questo testo abbiamo grosse difficoltà. Lo SP parla di tre Regole; la prima è la protoregola del 1209/10, l’ultima è la Regola Bollata, che era la causa di questo malinteso tra Francesco e i ministri. La seconda Regola viene chiamata “più breve” e si dice che “andò smarrita”. Da quello che risulta la seconda Regola è quella del 1221, che di fatto è la più lunga e che non andò smarrita. Semmai era la protoregola del 1209/10 che andò smarrita. 

Qui non entriamo nella questione intricata della formazione della Regola Francescana, e seguiamo i dati certi che abbiamo, cioè una protoregola nel 1209/10, la Regola non Bollata nel 1221 e la Regola Bollata 1223. Il testo dello SP e degli altri Fonti dall’ala “Zelante” dell’Ordine può essere pieno di elementi di natura leggendaria, ma nasconde un nocciolo di verità, e cioè che la Regola fu concepita con grande fatica da Francesco, e che non fu accolta sempre benevolmente dai frati dotti e ministri dell’Ordine. La storia Francescana lungo i secoli è la prova di questa verità di fondo che sta alla base di tutti i racconti che abbiamo visto, sia di quello più equilibrato di Bonaventura, come di quelli più arditi delle Fonti “spirituali”. 

La Regola Bollata fu discussa durante il capitolo generale dell’Ordine che si tenne alla Porziuncola l’11 giugno 1223 e fu poi presentata da Francesco al Papa Onorio III, il quale l’approvò con la Bolla Solet annuere del 29 novembre 1223. Il testo originale della Regola Bollata è conservato come reliquia nella basilica inferiore di San Francesco in Assisi, e questa è la Regola che tutti i frati Francescani del I Ordine osservano fino ad oggi. 
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L’anno 1223 si concluse con la celebrazione del Natale del Signore nell’eremo di Greccio, che non è molto lontano da Fonte Colombo, sempre sullo stesso versante della Valle Reatina. 

Il racconto è ben noto nelle Fonti, e riportiamo intero il racconto più antico, che è quello di Tommaso da Celano nella Vita Sancti Francisci, 84-87: 83 A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione, quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore nostro Gesù Cristo. 

C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobilità dello spirito che quella della carne. 

Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo. 

E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! 

Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. 
Arriva alla fine Francesco, vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. 

Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. 

Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali. La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assoporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voce e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. 

Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, pieno di sospiri, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. 
Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. 

Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava “il Bambino di Betlemme”, e quel nome “Betlemme” lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. 
E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù” passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole. 
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. 
Gli sembrava che un bambino giacesse privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicinasse e lo destasse da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, poiché il fanciullo Gesù, che era stato dimenticato nel cuore di molti, per grazia di lui, veniva risuscitato attraverso il servo suo, san Francesco, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. 
Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia. Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia giumenti e altri animali ... 

Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell’anima e santificazione del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. 

Il santuario francescano di Greccio è ancora oggi testimone di questo avvenimento così famoso nella vita di San Francesco, come pure il piccolo castello di Greccio, che sta a qualche distanza dall’eremo. 

L’anno 1223 finisce con questo episodio e dà inizio agli ultimi due anni di vita di San Francesco. Di fatto, anche Tommaso da Celano, scrivendo la sua biografia di Francesco, termina la prima parte con il Natale di Greccio, e dedica tutta la seconda parte agli avvenimenti successi nel 1224-1226, che sono caratterizzati dall’evento della stimmatizzazione sul monte della Verna, dalle malattie e sofferenze del santo, e dalla sua morte e glorificazione.  ///
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DICE Papa Benedetto XVI: ........Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. Quando, nel 1223, San Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale “la festa delle feste” – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con “ineffabile premura” (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. “Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini”: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.

Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. 

Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. 

Dio è diventato povero. 

Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. 

Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore. 

Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce.

Sulla mangiatoia, che stava tra il bue e l’asino, Francesco faceva celebrare la santissima Eucaristia (cfr 1 Celano, 85: Fonti, 469). Successivamente, sopra questa mangiatoia venne costruito un altare, affinché là dove un tempo gli animali avevano mangiato il fieno, ora gli uomini potessero ricevere, per la salvezza dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato Gesù Cristo, come racconta il Celano (cfr 1 Celano, 87: Fonti, 471). 
Nella Notte santa di Greccio, Francesco quale diacono aveva personalmente cantato con voce sonora il Vangelo del Natale. Grazie agli splendidi canti natalizi dei frati, la celebrazione sembrava tutta un sussulto di gioia (cfr 1 Celano, 85 e 86: Fonti, 469 e 470). Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa.

Chi oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse a cavallo nella casa di Dio. 

Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”. Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. 

Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. Celebriamo così la liturgia di questa Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile. Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice. E preghiamo in quest’ora anzitutto anche per tutti coloro che devono vivere il Natale in povertà, nel dolore, nella condizione di migranti, affinché appaia loro un raggio della bontà di Dio; affinché tocchi loro e noi quella bontà che Dio, con la nascita del suo Figlio nella stalla, ha voluto portare nel mondo. Amen.

(BENEDETTO XVI Basilica Vaticana Sabato, 24 dicembre 2011)



AMDG et BVM

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