martedì 6 novembre 2012

Benedetto XVI ai vescovi italiani riuniti in assemblea generale

La verità non invecchia mai.

L'appello accorato del Papa: nella liturgia ispiratevi a San Francesco!


Davvero è un appello accorato quello del Papa ai vescovi riuniti ad Assisi per esaminare (anche) la nuova traduzione del Messale Romano (secondo la III edizione tipica), esame che si concluderà nel maggio del 2011. Vi riporto, in fondo al post, la parte principale del messaggio papale, la sezione che si riferisce alla riforma della liturgia.

Il comunicato finale dell'assemblea dei vescovi recita con sussiego: "Proprio l’ambito liturgico, posto al centro dei lavori, ha visto l’esame e l’approvazione della prima parte dei testi della terza edizione italiana del Messale Romano. La liturgia è stata anche il filo conduttore del messaggio del Santo Padre che, nell’esprimere ai Vescovi affettuosa vicinanza e fraterno incoraggiamento, ha sottolineato come ogni celebrazione abbia il suo fulcro nella presenza, nel primato e nell’opera di Dio"
Che il Santo Padre debba ricordare ai vescovi che al centro della celebrazione liturgica c'è la presenza, il primato e l'opera di Dio, non mi sembra un segnale rassicurante. Capirei che lo ricordi ai giovani della GMG, ma si presume che i vescovi lo sappiano e non abbiano bisogno dei fondamentali del catechismo.

Aggiunge il comunicato: "Al cuore dei loro lavori, i Vescovi, dopo aver affrontato alcune questioni puntuali, hanno approvato la prima parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano. Nella prossima Assemblea Generale (maggio 2011) saranno analizzati i restanti testi, prima dell’approvazione generale e della loro trasmissione alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, a cui spetterà autorizzare la pubblicazione della nuova versione italiana del Messale Romano".


Andiamo al dunque: vedremo mai, come è successo per la traduzione inglese, almeno qualche saggio dei testi ora approvati, prima che siano mandati a Roma e pubblicati a stampa in modo definitivo? Io ne dubito, perchè la segretezza con cui la commissione per la liturgia lavora (e la CEI approva) è indice che non si vuole esser troppo disturbati, si ha un certo sacro orrore dell'aperto dibattito teologico, che potrebbe portare a correzioni non volute dai pochi che hanno "le mani in pasta". Basterebbe che gli italiani imparassero ad usare internet come lo ha utilizzato la commissione per la traduzione in inglese (ICEL), non si chiede niente di più. Ma in nostri esperti - forse - preferiscono che i "sacri misteri" rimangano celati al volgo? Il Papa lo sa, eppure mette le mani avanti, come vediamo chiaramente nel testo del suo appello cristallino.
Papa Benedetto, ben consapevole delle resistenze di vescovi e sacerdoti italici al suo magistero liturgico e al suo esempio personale, rompe gli indugi e mostra la via da percorrere per rinnovare la liturgia italiana, che non è - in realtà - tanto piena d'abusi come in certe parti d'Europa, ma è stantia, si è fermata ai primi anni '70, come mostra il tenore delle traduzioni-invenzioni che affliggono in gran misura i testi del proprio del tempo e dei santi dell'attuale Messale in italiano.

Ma Bendetto XVI ha fatto molto di più che inviare una semplice esortazione, come si può leggere nelle righe del suo intervento. Ha indicato espressamente la via francescana al culto divino

"Ma come?" - si chiederà l'ingenuo conoscitore del santo patrono d'Italia - "Il Poverello non è forse quel fantasioso fraticello che seguiva le sue ispirazioni, e come giullare di Dio adorava l'eterno saltellando tra i campi in fiore e gli uccellini? Cosa c'entra con la liturgia?".

Chi conosce la Regola dei Frati minori, gli altri scritti di san Francesco e la storia dei primi secoli dell'Ordine, non ha invece dubbi: il Papa ha centrato il bersaglio e ha proposto il modello giusto.

 San Francesco, proprio perchè non sacerdote, ha sempre avuto stima altissima del culto pubblico della Chiesa e ha preteso assoluta fedeltà dei suoi frati sacerdoti alla liturgia della Chiesa Romana e non ad altra.

In un tempo in cui pullulavano le interpretazioni personali della fede, della presenza di Cristo nell'Eucaristia, ed erano molteplici le forme liturgiche, Francesco scelse per i suoi frati la forma della Chiesa Romana e l'obbedienza in tutto al romano Pontefice. 

Per questo è triste vedere come invece tanti francescani, delle varie obbedienze, diano più retta allo spirito dei tempi e alle loro idee personali, che non all'insegnamento e del Papa e a mettere in pratica i libri liturgici , così come sono scritti, sine glossa (direbbe san Francesco).

Ecco le parole di Sua Santità, che mi permetto di commentare in rosso:
Dal messaggio di Benedetto XVI ai vescovi italiani riuniti in assemblea generale

[...] 1. In questi giorni siete riuniti ad Assisi, la città nella quale “nacque al mondo un sole” (Dante, Paradiso, Canto XI), proclamato dal venerabile Pio XII patrono d’Italia: san Francesco, che conserva intatte la sua freschezza e la sua attualità – i santi non tramontano mai! – dovute al suo essersi conformato totalmente a Cristo, di cui fu icona viva.

Come il nostro, anche il tempo in cui visse san Francesco era segnato da profonde trasformazioni culturali, favorite dalla nascita delle università, dallo sviluppo dei comuni e dal diffondersi di nuove esperienze religiose. [l'eresia abbondava ai tempi di Francesco, il Papa lo sa bene, e per questo avvicina certe "esperienze religiose" di secoli così distanti...]

Proprio in quella stagione, grazie all’opera di papa Innocenzo III – lo stesso dal quale il Poverello di Assisi ottenne il primo riconoscimento canonico – la Chiesa avviò una profonda riforma liturgica. [Leggi: il concilio Lateranense IV è l'omologo medievale del Vaticano II, per quanto riguarda il rinnovamento - anche liturgico - della Chiesa]

Ne è espressione eminente il Concilio Lateranense IV (1215), che annovera tra i suoi frutti il “Breviario”. Questo libro di preghiera accoglieva in se la ricchezza della riflessione teologica e del vissuto orante del millennio precedente. Adottandolo, san Francesco e i suoi frati fecero propria la preghiera liturgica del sommo pontefice [implicito un riumbrotto papale, come se dicesse: Cari francescani, perchè oggi non fate altrettanto, secondo la volontà del vostro fondatore, e non solo per il breviario ma anche per il messale e lo stile celebrativo?]: in questo modo il santo ascoltava e meditava assiduamente la Parola di Dio, fino a farla sua e a trasporla poi nelle preghiere di cui è autore, come in generale in tutti i suoi scritti.

Lo stesso Concilio Lateranense IV, considerando con particolare attenzione il sacramento dell’altare, inserì nella professione di fede il termine “transustanziazione”, per affermare la presenza reale di Cristo nel sacrificio eucaristico: “Il suo corpo e il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto le specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo e il vino nel sangue per divino potere” (DS, 802).

Dall’assistere alla santa messa e dal ricevere con devozione la santa comunione sgorga la vita evangelica di san Francesco e la sua vocazione a ripercorrere il cammino di Cristo Crocifisso: “Il Signore – leggiamo nel Testamento del 1226 – mi dette tanta fede nelle chiese, che così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, poiché con la tua santa croce hai redento il mondo” (Fonti Francescane, n. 111). [E' triste constatare che sugli altari di molte chiese francescane delle varie obbedienze, anche in certe basiliche papali, la croce - tanto amata da Francesco - e tanto richiamata da papa Benedetto, non è ancora ricomparsa al centro degli altari. Speriamo che questo richiamo papale serva, finalmente, a smuovere le acque stantie, non solo nelle chiese serafiche, ma in quelle cattoliche italiane in genere]

In questa esperienza trova origine anche la grande deferenza che portava ai sacerdoti e la consegna ai frati di rispettarli sempre e comunque, “perché dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente in questo mondo, se non il Santissimo Corpo e il Sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri” (Fonti Francescane, n. 113).

Davanti a tale dono, cari fratelli, quale responsabilità di vita ne consegue per ognuno di noi! “Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti – raccomandava ancora Francesco – e siate santi perché egli è santo” (Lettera al Capitolo Generale e a tutti i frati, in Fonti Francescane, n. 220)! 

Sì, la santità dell’eucaristia esige che si celebri e si adori questo mistero consapevoli della sua grandezza, importanza ed efficacia per la vita cristiana, ma esige anche purezza, coerenza e santità di vita da ciascuno di noi, per essere testimoni viventi dell’unico sacrificio di amore di Cristo. [Il punto che Benedetto XVI non smette di ricordare. I preti del tempo di Francesco non avevano il problema pedofilia, ma certo non erano affatto moralmente più in salute o considerati dal popolo dei preti dei nostri giorni, che anzi, nella maggioranza dei casi, sono molto più santi di quello che i giornali mostrano.]

Il santo di Assisi non smetteva di contemplare come “il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umìli da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane” (ibid., n. 221), e con veemenza chiedeva ai suoi frati: “Vi prego, più che se lo facessi per me stesso, che quando conviene e lo vedrete necessario, supplichiate umilmente i sacerdoti perchè venerino sopra ogni cosa il Santissimo Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo” (Lettera a tutti i custodi, in Fonti Francescane, n. 241). [San Francesco parla del Messale: le parole di Dio scritte che consacrano il corpo del Signore! Sono parole da venerare, non da cambiare a proprio gusto, parole da conservare intatte, anche in traduzione.]

2. L’autentico credente, in ogni tempo, sperimenta nella liturgia la presenza, il primato e l’opera di Dio. Essa è “veritatis splendor” (Sacramentum caritatis, 35), avvenimento nuziale, pregustazione della città nuova e definitiva e partecipazione ad essa; è legame di creazione e di redenzione, cielo aperto sulla terra degli uomini, passaggio dal mondo a Dio; è Pasqua, nella croce e nella risurrezione di Gesù Cristo; è l’anima della vita cristiana, chiamata alla sequela, riconciliazione che muove a carità fraterna.

Cari fratelli nell’episcopato, il vostro convenire pone al centro dei lavori assembleari l’esame della traduzione italiana della terza edizione tipica del Messale Romano [Dopo più di 10 anni era ora!]. La corrispondenza della preghiera della Chiesa (lex orandi) con la regola della fede (lex credendi) plasma il pensiero e i sentimenti della comunità cristiana, dando forma alla Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello Spirito [I liturgisti vorrebbero, a ragione, che la lex orandi stabilisca la lex credendi, il Papa si ostina da sempre a dire il contrario, come mai? Perchè se i testi liturgici sono un punto fisso di riferimento, non sottoposto a continue mutazioni, è certo normale, come dicevano i santi Padri, che ad essi ci si rivolga per conoscere ciò che si deve credere. Ma se, come nel secolo che è appena trascorso e all'inizio di questo, la liturgia diventa quanto di più (teologicamente) instabile ci sia, vero campo di battaglia ideologico, è necessario che la legge del credere intervenga per ripristinare la corretta legge del pregare]. Ogni parola umana non può prescindere dal tempo, anche quando, come nel caso della liturgia, costituisce una finestra che si apre oltre il tempo. Dare voce a una realtà perennemente valida esige pertanto il sapiente equilibrio di continuità e novità, di tradizione e attualizzazione. [la crescita e il progresso organico della liturgia non è affatto escluso, ma che sia organico e dove necessario per il bene dei fedeli, non per seguire le idee degli "esperti"].

Il Messale stesso si pone all’interno di questo processo. Ogni vero riformatore [ci possono dunque essere "falsi riformatori"], infatti, è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato. La Chiesa intera è presente in ogni liturgia: aderire alla sua forma è condizione di autenticità di ciò che si celebra. [più chiaro di così! No all'arbitrarietà, alla discrezionalità, al ritenersi "padroni del rito". Anche i vescovi sono solo custodi e amministratori del tesoro che appartiene alla Chiesa tutta, a cui va assicurata l'autenticità, la verità di ciò che si celebra]

Dal Vaticano, 4 novembre 2010
Benedetto XVI


Qui potete trovare il commento, molto duro, di Magister che sostiene il richiamo papale nei confronti dell'episcopato italiano: Il papa scuote i vescovi: "Imparate da san Francesco"

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