mercoledì 24 novembre 2021

Il più duro digiuno è acqua e pane >>



 Sesta virtù

Sobrietà e castità angelica

Digiuno prudente

69. I. Paolo in mezzo a tanta povertà visse necessariamente sobrio. Così

vediamo campare sobriamente gli operai, che vivono col lavoro delle loro

mani, e devono procurare gli alimenti per sé e per la loro famiglia.

Sapientemente san Girolamo (119) prescrive ad Eustochio questa dieta di

sobrietà: «Prendi moderato cibo, e non riempir mai lo stomaco. Vi sono

parecchie che pur essendo sobrie nel bere vino, hanno l’ubbriachezza del

troppo mangiare. Digiuna quotidianamente, e rifuggi dal mangiare a

sazietà. Non giova a nulla portare lo stomaco vuoto per due, tre o più

giorni, se poi si rimpinza, e si ripaga il digiuno con la sazietà. La mente

sazia si intorpidisce subito, e la terra irrigata germina le spine della

libidine». Il medesimo Santo, scrivendo a Paolino (120), dice: «Cibati con

cose vili, e verso sera tuo cibo siano verdure e legumi; talvolta aggiungi

qualche pesciolino, per somma delizia. Chi desidera Cristo e si ciba di quel

pane, non cerca con tanta accuratezza la preziosità dei cibi. Qualunque

cosa che dopo mangiata più non si sente, sia tuo cibo, come il pane ed i

legumi».

Gli Apostoli si astenevano comunemente dalla carne e dal vino


70. II. Paolo digiunava di frequente, come egli stesso asserisce (2 Corinti

11, 27). Si asteneva dalle delizie del vino e della carne. Difatti, come

scrive san Girolamo a Nepoziano (121): «Il più duro digiuno è acqua e

pane; ma perché non ha gloria alcuna, dato che tutti viviamo di pane e di

acqua, diventa una cosa pubblica e comune, e non è creduta un digiuno».

Lo stesso, ad Eliodoro (122): «Nepoziano, dice, temperava secondo la

stanchezza e le forze i digiuni, come fa l’auriga». E, a Rustico (123): «I

digiuni siano moderati, dice, onde non abbiano ad indebolire troppo lo

stomaco, e le esigenze poi di maggior cibo non portino ad indigestioni, che

sono parenti della libidine. Poco e temperato cibo è utile al corpo ed

all’anima».

Lo stesso facevano gli altri Apostoli, se non dovevano partecipare a

qualche banchetto, per invito di altri. In tal caso, per lo stesso comando di

Cristo, mangiavano tutto quello che veniva loro offerto: ciò facevano per

urbanità, per evitare le singolarità, e per non essere molesti a chi li

ospitava.

E’ chiaro l’esempio di Timoteo, al quale Paolo scrisse: «Non continuare a

bere soltanto acqua, ma fa uso d’un po’di vino, a causa del tuo stomaco e

delle tue frequenti malattie» (l Timoteo 5, 23). Altro esempio ci viene dal

voto del nazareato, fatto da Paolo (Cfr.: Atti 21, 26), e soddisfatto subito il

giorno dopo. I Nazarei si astenevano dal vino, dalla sicera e da altre

golosità. «Se dunque, scrive, un cibo serve di scandalo al mio fratello, non

mangerò carne in eterno» (l Corinti 8, 13). E: «Bene è non mangiar carne e

non bere vino» (Romani 14, 21). Quello che Paolo consigliava agli altri,

praticava lui stesso.

Anche san Pietro, secondo la testimonianza di san Gregorio Nazianzeno

(De cura pauperum) campicchiava di lupini. Così san Giacomo, cugino del

Signore, si astenne dalla carne, dal vino e dalla sicera, e visse di pane ed

acqua. Così scrive il Baronio nei suoi Annali (all’anno 36 dopo Cristo),

seguendo Eusebio (124), Niceforo (125) ed altri. Così anche scrivono altri

nella Vita dello stesso san Giacomo. Clemente Alessandrino (126)

asserisce che san Matteo si astenne dalle carni. Il motivo è che gli Apostoli

dovevano dare esempio di sobrietà e di ogni virtù a tutta la Chiesa, ad ogni

stato di persone, e per tutti i secoli; essi erano dati al mondo come

esemplari di santità, di perfezione e di vita celeste, alla quale dovevano

incitare tutti con la parola ma assai più con l’esempio. Sarebbe cosa

veramente grottesca che un rimpinzato esortasse gli altri al digiuno, uno

soddisfatto all’astinenza, un incestuoso alla castità, uno pieno di vino a

bere acqua.

San Francesco Saverio, l’apostolo dell’India, si asteneva dal vino e dalla

carne; eccetto quando era ospite di qualcheduno, si cibava una volta sola al

giorno, e con cibi volgari e scarsi, e neanche satollava la fame col pane,

scrive Tursilio nella di lui Vita (Lib. 6, c. 7). Possidio (127) scrive che

sant’Agostino, Vescovo di Ippona, «usava una mensa frugale e parca;

qualche volta univa alla verdura ad ai legumi, anche della carne, per

riguardo ad ospiti, o ad infermi».



71. III. Paolo era parco nel dormire, e passava gran parte della notte

vegliando, sia pregando, sia lavorando, sia curando con sollecitudine la

salute di tutte le Chiese. Egli stesso confessò di aver vissuto in molte

vigilie (Cfr. 2 Corinti 11, 27).

La vigilanza è una virtù propria del pastore che deve vigilare il suo gregge.

Pertanto sembra poco conforme a verità quella distribuzione di tempo e di

ore che alcuni assegnano a san Paolo come fa la Glossa (ML 114, 462)

sugli Atti (19, 9), citando, Beda (ma ciò non si trova in Beda): «Alcuni

dicono, scrive, che Paolo protraesse le dispute dall’ora quinta fino all’ora

nona e decima; così che impiegava cinque ore nel fabbricare i tappeti,

altre cinque nell’insegnamento, due nel prender cibo e nel fare orazione».

Aggiunge però: «Nessuna autorità conferma ciò», e giustamente, dicono

Ugo e Lorino, nel medesimo luogo. Che cosa faceva Paolo nelle altre

rimanenti dodici ore del giorno? Certamente non le passava nel letto, ma

dopo un breve riposo attendeva alla preghiera ed al lavoro. Difatti a

mezzanotte fu trovato nel carcere pregante (Cfr. Atti 16, 25). Con verità

scrive san Girolamo (128) ad Eustochio: «Il sonno stesso è preghiera per i

santi. Sii una cicala notturna: salmeggia in ispirito, salmeggia anche con la

mente; lava durante la notte il tuo letto, bagna il tuo giaciglio con le tue

lacrime».

Paolo vittima di castità

72. IV. Paolo fu di castità angelica. Visse celibe, anzi vergine, per tutta la

vita. E proponendo ai fedeli il consiglio della verginità e della castità

evangelica, diceva: «Voglio, (vorrei, bramerei) che voi foste qual son io»

(l Corinti 7, 7). Così dice sant’Ambrogio (129) commentando questo

passo, san Girolamo (130) ed altri qua e là.

Paolo fece mirabili progressi nella castità, mediante una continua lotta

contro lo stimolo della carne, comprimendolo e soggiogandolo (131) senza

interruzione (Cfr. 2 Corinti 12, 7).

Conversava con le giovanette e le matrone come un angelo, e le conduceva

non solo alla fede, ma anche alla castità. Strappò le drude da Nerone,

inducendole alla castità; per questo venne ucciso da Nerone, e divenne

vittima di castità, come insegna san G. Crisostomo (132).

Fuggiva le donne

73. V.   Paolo, sebbene avesse il dono della castità, e giustamente fosse da

Dio confermato in essa e nella grazia, tuttavia, non solo si studiava di

evitare le tentazioni ed i pericoli, ma anche macerava severamente la sua

carne e la castigava austeramente (133). Senza di che è difficile, e quasi

impossibile conservare la castità, come asseriva san Carlo Borromeo. Non

volle per questo essere accompagnato da pie donne che lo sostentassero:

«Non abbiamo diritto di portare con noi una donna sorella, dice, come

fanno gli altri Apostoli?»; «io però non ho mai fatto uso di uno di questi

diritti» (1 Corinti 9, 5. 15).

A santa Tecla, che pendeva dal suo labbro e lo voleva seguire, Paolo lo

proibì, e la rimandò a casa sua; così è scritto nella Vita di santa Tecla.

Ugualmente fece con altre; appena le aveva convertite, andava altrove, e le

lasciava dietro.

Dalla frequente conversazione con donne, anche pie e devote, sorge un

grave pericolo per la castità e per la buona fama. Leggasi quanto scrive san

Cipriano (134).

San Francesco Saverio, ancorché fosse un uomo celeste, «non mai parlò

con una donna, se non al chiaro ed in presenza di testimoni, anche se si

trattava di cose necessarie; persuaso che le visite a donne sono più di

pericolo che di utilità»; così scrive Turselio, nella di lui Vita (Lib, 6, c. 6).

San Girolamo (135) prescrive al chierico Nepoziano le seguenti cautele:

«Mai, o ben di rado, i piedi di una donna calpestino il pavimento della tua

cameretta; o ignora nello stesso modo tutte le fanciulle e le vergini di

Cristo, o amale tutte egualmente. Non fare frequenti soggiorni sotto lo

stesso tetto; non fare affidamento sulla castità della vita passata. Non puoi

essere né più santo di Davide, né più forte di Sansone, né più sapiente di

Salomone. Ricordati sempre che la donna [non la madre di Abele] cacciò il colono del paradiso dai suoi possedimenti».

Lo stesso Santo scrive a Rustico (136): «Quando vai a trovare la madre, fa

in modo di non essere costretto a vedere altre donne, perché la loro

fisionomia non aderisca al tuo cuore, e una occulta ferita resti viva nel tuo

petto. Sappi che le serve che sono ad essa di ossequio sono per te di

insidia; poiché quanto più è vile la loro condizione, altrettanto è più facile

la rovina. Giovanni Battista ebbe una santa madre, ed un pontefice per

padre, tuttavia né l’affetto della madre, né l’opulenza del padre lo

persuasero a vivere nella casa paterna, con pericolo per la castità. Viveva

nell’eremo, e quegli occhi che anelavano a Cristo non si degnavano di

guardare altra cosa. Le rudi vesti, la cintura di pelle, le locuste ed il miele

selvatico come cibo, tutto contribuiva a fomentare la virtù e la castità. Per

tutto il tempo che rimani a casa, ritieni la tua cella come un paradiso;

raccogli i vari frutti della Scrittura; usa di tali delizie. Se l’occhio, il piede,

la mano ti sono di scandalo, tagliali via. Non risparmiare nessuno, onde

solamente risparmiare l’anima», ecc. «Il vaso di elezione, nella cui bocca

risuonava Cristo, macera il suo corpo, e lo riduce in servitù; e tuttavia vede

che il naturale ardore della carne ripugna alla sua mente; ed è sforzato a

fare ciò che non vuole, e come un violentato grida e dice: Oh, infelice

uomo ch’io sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? E tu crederai

di potertela svignare senza cadute né ferite, anche senza custodire bene il

tuo cuore, e ripetere col Salvatore: Quelli che fanno la volontà del Padre

mio sono mia madre e miei fratelli? Questa crudeltà (verso i parenti) è vera

pietà», ecc. «La città è per me una prigione, la solitudine è per me un

paradiso». E più sotto: «Voglio che tu non dimori con la madre, per non

avvicinare l’olio al fuoco, e per non vedere nel giorno, nel via vai delle

fanciulle, ciò cui penserai poi la notte».


Possidio (137) scrive di sant’Agostino: «Nessuna donna abitò mai nella

sua casa, nessuna vi rimase, neppure sua sorella germana; la quale, rimasta

vedova, servì a Dio per molto tempo e visse, fino al giorno della sua

morte, in qualità di superiora delle serve di Dio; né le figlie dello zio, né le

figlie del fratello, che servivano pure a Dio». E ne dà subito la

spiegazione: «Non devono mai le donne rimanere in una medesima casa

coi servi di Dio, anche castissimi, per non dare scandalo o motivo di male,

con tale esempio, ai più deboli. Se per caso veniva chiamato da qualche

donna per una visita o per saluto, non entrava mai da esse senza avere con

sé dei chierici come testimoni. Non si fermò mai a parlare da solo con

donne sole, eccetto si fosse trattato di qualche cosa segreta».

((( Alla chiusura di questi tempi malvagi la Parola creatrice di Dio opererà l'inimmaginabile per il riscatto e il rinnovamento  della vita su questa Terra)))


AMDG et DVM


AVE MARIA PURISSIMA!

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