venerdì 4 ottobre 2013

Francesco d'Assisi, servo e amico dell'Altissimo, fondatore e guida dell'Ordine dei frati minori, campione della povertà, forma della penitenza, araldo della verità, specchio di santità e modello di tutta la perfezione evangelica, prevenuto dalla grazia celeste, con ordinata progressione, partendo da umili inizi raggiunse le vette più sublimi.


CANONIZZAZIONE E TRASLAZIONE


1. Francesco, servo e amico dell'Altissimo, fondatore e guida dell'Ordine dei frati minori, campione della povertà, forma della penitenza, araldo della verità, specchio di santità e modello di tutta la perfezione evangelica, prevenuto dalla grazia celeste, con ordinata progressione, partendo da umili inizi raggiunse le vette più sublimi.

Dio che aveva reso mirabilmente risplendente, in vita, quest'uomo ammirabile, ricchissimo per la povertà, sublime per l'umiltà, vigoroso per la mortificazione, prudente per la semplicità e cospicuo per l'onestà d'ogni suo comportamento, lo rese incomparabilmente più risplendente dopo la morte.

L'uomo beato era migrato dal mondo; ma quella sua anima santa, entrando nella casa dell'eternità e nella gloria del cielo, per bere in pienezza alla fonte della vita, aveva lasciato ben chiari nel corpo alcuni segni della gloria futura: quella carne santissima che, crocifissa insieme con i suoi vizi, già si era trasformata in nuova creatura, mostrava agli occhi di tutti, per un privilegio singolare, l'effigie della Passione di Cristo e, mediante un miracolo mai visto, anticipava l'immagine della resurrezione.


2. Si scorgevano, in quelle membra fortunate, i chiodi, che l'Onnipotente aveva meravigliosamente fabbricati con la sua carne: erano così connaturati con la carne stessa che, da qualunque parte si premessero, subito si sollevavano, come dei nervi tutti uniti e duri, dalla parte opposta.

Si poté anche osservare in forma più palese la piaga del costato, non impressa nel suo corpo né provocata da mano d'uomo, e simile alla ferita del costato del Salvatore: quella che nella persona stessa del Redentore rivelò il sacramento della redenzione e della rigenerazione.
I chiodi apparivano neri, come di ferro, mentre la ferita del fianco era rossa e, ridotta quasi a forma di cerchietto per il contrarsi della carne, aveva l'aspetto di una rosa bellissima.
Le altre parti della sua carne, che prima per le malattie e per natura tendevano al nero, splendevano bianchissime, anticipando la bellezza del corpo spiritualizzato.


3. Le sue membra, a chi le toccava, risultavano così molli e flessibili, come se avessero riacquistato la tenerezza dell'età infantile, adorne di chiari segni d'innocenza.
In mezzo alla carne, candidissima, spiccava, dunque il nero dei chiodi; la piaga del costato rosseggiava come il fior della rosa: non è da stupire, perciò, se una così bella e miracolosa varietà suscitava negli osservatori gioia ed ammirazione.

Piangevano i figli, che perdevano un padre così amabile; eppure si sentivano invadere da grande letizia, allorché baciavano in lui i segni del sommo Re.
Quel miracolo così nuovo trasformava il pianto in giubilo e trascinava l'intelletto dall'indagine allo stupore.
Per chi guardava, lo spettacolo così insolito e così insigne era consolidamento della fede, incitamento all'amore; per chi ne sentiva parlare, motivo d'ammirazione e stimolo al desiderio di vedere.


4. Difatti, appena si diffuse la notizia del transito del beato padre e la fama del miracolo, una marea di popolo accorse sul luogo: volevano vedere con i propri occhi il prodigio, per scacciare ogni dubbio della ragione e accrescere l'emozione con la gioia.
I cittadini assisani, nel più gran numero possibile, furono ammessi a contemplare e a baciare quelle stimmate sacre.
Uno di loro, un cavaliere dotto e prudente, di nome Gerolamo, molto noto fra il popolo, siccome aveva dubitato di questi sacri segni ed era incredulo come Tommaso, con maggior impegno e audacia muoveva i chiodi e le mani del Santo, alla presenza dei frati e degli altri cittadini, tastava con le proprie mani i piedi e il fianco, per recidere dal proprio cuore e dal cuore di tutti la piaga del dubbio, palpando e toccando quei segni veraci delle piaghe di Cristo.
Perciò anche costui, come altri, divenne in seguito fedele testimone di questa verità, che aveva riconosciuto con tanta certezza e la confermò giurando sul santo Vangelo.


5. I frati e figli, che erano accorsi al transito del Padre, insieme con tutta la popolazione, dedicarono quella notte, in cui l'almo confessore di Cristo era morto, alle divine lodi: quelle non sembravano esequie di defunti, ma veglie d'angeli.
Venuto il mattino, le folle, con rami d'albero e gran numero di fiaccole, tra inni e cantici scortarono il sacro corpo nella città di Assisi. Passarono anche dalla chiesa di San Damiano, ove allora dimorava con le sue vergini quella nobile Chiara, che ora è gloriosa nei cieli.
Là sostarono un poco con il sacro corpo e lo porsero a quelle sacre vergini, perché lo potessero vedere insignito delle perle celesti e baciarlo.
Giunsero finalmente, con grande giubilo, nella città e seppellirono con ogni riverenza quel prezioso tesoro, nella chiesa di San Giorgio, perché là, da fanciullino, egli aveva appreso le lettere e là, in seguito, aveva predicato per la prima volta. Là, dunque, giustamente trovò, alla fine, il primo luogo del suo riposo.


6. Il venerabile padre passò dal naufragio di questo mondo nell'anno 1226 dell'incarnazione del Signore, il 4 ottobre, la sera di un sabato, e fu sepolto la domenica successiva.
L'uomo beato, appena fu assunto a godere la luce del volto di Dio, incominciò a risplendere per grandi e numerosi miracoli. Così quella santità eccelsa, che durante la sua vita si era manifestata al mondo con esempi di virtù perfetta a correzione dei peccatori, ora che egli regnava con Cristo, veniva confermata da Dio onnipotente per mezzo dei miracoli, a pieno consolidamento della fede.

I gloriosi miracoli, avvenuti in diverse parti del mondo, e i generosi benefici impetrati per la sua intercessione, infiammavano moltissimi fedeli all'amore di Cristo e alla venerazione per il Santo. Poiché la testimonianza delle parole e dei fatti proclamava ad alta voce le grandi opere che Dio operava per mezzo del suo servo Francesco, ne giunse la fama all'orecchio del sommo pontefice, papa Gregorio IX.


7. A buona ragione il pastore della Chiesa, riconoscendo con piena fede e certezza la santità di Francesco, non solo dai miracoli uditi dopo la sua morte, ma anche dalle prove viste con i suoi propri occhi e toccate con le sue proprie mani durante la sua vita, non ebbe il minimo dubbio che egli era stato glorificato nei cieli dal Signore. Quindi, per agire in conformità con Cristo, di cui era Vicario, con pio pensiero decise di proclamarlo, sulla terra, degno della gloria dei santi e di ogni venerazione.
Inoltre, perché il mondo cristiano fosse pienamente sicuro che quest'uomo santissimo godeva la gloria dei cieli, affidò il compito di esaminare i miracoli conosciuti e debitamente testimoniati a quelli tra i cardinali che sembravano meno favorevoli.
E solo quando i miracoli furono discussi accuratamente e approvati all'unanimità da tutti i suoi fratelli cardinali e da tutti i prelati allora presenti nella curia romana, decretò che si doveva procedere alla canonizzazione.

Andò, dunque, personalmente nella città di Assisi e il 16 luglio dell'anno 1228 dell'incarnazione del Signore, in giorno di domenica, con solennità grandissime, che sarebbe lungo narrare, iscrisse il beato padre nel catalogo dei Santi.


8. Successivamente, nell'anno del Signore 1230, anno in cui i frati celebrarono il Capitolo generale ad Assisi, quel corpo a Dio consacrato fu traslato nella basilica costruita in suo onore, il giorno 25 di maggio.

Mentre veniva trasportato quel sacro tesoro, sigillato dalla bolla del Re altissimo, Colui del quale esso portava l'effigie si degnò di operare moltissimi miracoli, per attirare il cuore dei fedeli col suo profumo salutare e indurli a correre dietro le orme di Cristo.
Era sommamente conveniente che le ossa beate di colui che Dio, facendolo oggetto della sua compiacenza e del suo amore, già durante la vita, aveva preso con sé in paradiso, come Enoch, mediante la grazia della contemplazione, e aveva rapito in cielo, come Elia, su un carro di fuoco, mediante l'ardore della carità, emanassero meravigliosi profumi e germogli, ora che egli soggiornava tra fiori celestiali nel giardino della eterna primavera.


9. Sì, come durante la sua vita quest'uomo beato rifulse per i segni ammirabili di virtù, così dal giorno del suo transito brillò e continua a brillare per i luminosissimi prodigi e miracoli, che avvengono nelle varie parti del mondo e con i quali la divina onnipotenza lo rende glorioso.
Infatti, per i suoi meriti, ciechi e sordi, muti e zoppi, idropici e paralitici, indemoniati e lebbrosi, naufraghi e prigionieri ricevono il rimedio ai loro mali; infermità, necessità, pericoli di ogni genere trovano soccorso.
Ma anche la resurrezione di molti morti, mirabilmente operata per sua intercessione, manifesta ai fedeli la magnifica potenza che, per glorificare il suo Santo, dispiega l'Altissimo.
E all'Altissimo sia onore e gloria per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.


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