venerdì 7 luglio 2017

VERITATIS SPLENDOR - DOMINUS JESUS - et SUMMORUM PONTIFICUM

È nostro comune dovere, e prima ancora nostra comune grazia, insegnare ai fedeli come Pastori e Vescovi della Chiesa, ciò che li conduce sulla via di Dio, così come fece un giorno il Signore Gesù con il giovane del Vangelo. Rispondendo alla sua domanda: «Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?», Gesù ha rimandato a Dio, Signore della creazione e dell'Alleanza; ha ricordato i comandamenti morali, già rivelati nell'Antico Testamento; ne ha indicato lo spirito e la radicalità invitando alla sua sequela nella povertà, nell'umiltà e nell'amore: «Vieni e seguimi!». La verità di questa dottrina ha avuto il suo sigillo sulla Croce nel sangue di Cristo: essa è divenuta, nello Spirito Santo, la legge nuova della Chiesa e di ogni cristiano.

Papa Benedetto XVI
e il "Summorum Pontificum"

La battaglia per la Tradizione liturgica. Un divino grazie a don Giuseppe Laterza per questo articolo nel X Anniversario del Summorum Pontificum

di... Don Giuliano della Rovere

Per ricordare il decimo anniversario del Motu Proprio Summorum Pontificum pubblichiamo qui di seguito le riflessioni di don Giuseppe Laterza che hanno il merito di individuare, con immediatezza di giudizio, i buoni frutti di un buon albero radicato nella Tradizione della Chiesa e nell’opera della Redenzione, e di indicare ciò che alla sua crescita oggi si oppone. Ben si comprendono le parole del Sacerdote pugliese, se si tiene costantemente presente che il  Summorum Pontificum deve essere contemplato non tanto come un’autorizzazione a celebrare a determinate condizioni un Rito “straordinario” (tutto ciò, se negli articoli del documento è rinvenibile, appartiene più al compromesso con Conferenze episcopali e altri potentati ecclesiastici che alla sostanza del pronunciamento), ma come il riconoscimento da parte di un Pontefice, che così si pronunciò autorevolmente sulla Liturgia della Chiesa, della non abrogabilità della “forma antica” della Messa.

07/07/07 - 07/07/17 
    Sono passati 10 anni dal Summorum Pontificum, legge di Benedetto XVI che - istituita non per riavvicinare i preti della Fraternità San Pio X -prevede la ripresa della celebrazione della Messa di San Pio V. 

Istituita per riprendere l’uso di un messale mai abolito e che ha nutrito per secoli la cattolicità; sdoganare i preti che volessero usare questo messale dalle richieste a vescovi e superiori, che spesso hanno negato nei tempi questi uso. Sono sorte molte messe in Europa e nel Mondo, molti giovani frequentano il rito di San Pio V, pochi anziani... molte vocazioni al sacerdozio. Ringraziamo Dio per quanto opera nella sua Chiesa. 

Al contempo vogliamo anche notare gli aspetti negativi di quanto succede: tanti sacerdoti sono perseguitati e messi al margine delle loro realtà perché hanno scelto di usare questo messale e celebrano. Privati di incarichi parrocchiali e della possibilità di sostentarsi sono messi alle strette, obbligati a non seguire il motu proprio che è una legge della Chiesa. 
Vescovi che parlano di “pastorale” non si curano delle esigenze di una piccola porzione del loro gregge, ma fanno di tutto per estinguere con la forza il nascere e il conoscere questo rito, quasi come Erode si prodigò nel cercare il Fanciullo divino per farlo morire e come il Sinedrio si adoperò per evitare la predicazione Apostolica. Oh! Che temi Erode? Colui che viene non toglie regni umani! Che temete, Eccellenze Serenissime? Forse una Messa non santifica quanto l’altra? Forse una Messa vale più dell’altra? Forse temete venga meno qualcosa?


Ciò che Cristo ha unito nessuno divida: il popolo è di Dio e al sacerdozio ne spetta la guida e l’istruzione con ogni mezzo possibile. Non vorremmo combattere contro Dio nel far guerra alla Messa che per secoli è stata celebrata nelle chiese del mondo! 
Non vogliamo trovarci ad affrontare Dio e San Michele Arcangelo negando alla gente di nutrirsi intorno all’altare... e ai preti di celebrare! Se si danno le chiese ai musulmani per pregare, se si tollerano spettacolini durante le messe, messe aperitivo, balletti e coreografie varie, perché non permettere anche la Messa in Latino? Perché su questo tasto ci si divide in casa? Non si dialoga e non ci si ama? Non ha forse detto Gesù che l’amore è il principio vitale del Cristianesimo? Forse il Concilio Vaticano II non ha spinto il sacerdozio a guardare le nuove sfide pastorali?


Forse ci preoccupiamo troppo di cose umane, di mantenere un potere inutile e di evitare problemi... ma la vera via per il Regno passa solo attraverso un indicare la croce, un amore per l’altro che, discendendo dal nostro amore per Dio, può aprirsi al fratello. Ed il fratello non è il lontano, ma l’uomo che è affidato alle cure pastorali del sacerdozio. 
Quando qualcosa viene da Dio, più la si opprime è più cresce, perché lo Spirito che è nel cuore dell’uomo riconosce nella oppressione l’intervento diabolico che vuole ostacolare la Verità, che non vuole anime vicine a Dio. Fu così ai tempi degli Apostoli, più li opprimevano e più erano felici e più crescevano di numero! Sara così anche ai giorni nostri, perché più si vuol eliminare qualcosa e, se viene da Cristo, più si fortifica, perché lui è il vero Sacerdote, noi siamo solo partecipazione al suo Sacerdozio. Lui è lo Sposo, noi gli amici dello Sposo. Nell’oppressione la forza, perché in noi agisca la morte ed in voi la vita!


Riflettiamo, Chiesa e anime sono di Dio e non nostre, la Messa è opera di Dio che rinnova in modo incruento il sacrificio di Cristo e non un palcoscenico per soubrette mal riuscite, non un palco dove una comunità viene privata della trascendenza e del sacro. Dio ce ne chiederà conto... e sarà molto severo perché con Lui non si scherza...
   

Beato Giovanni Paolo II

La nostra confessione di Cristo come unico Figlio, mediante il quale noi stessi vediamo il volto del Padre (cfr Gv 14,8), non è arroganza che disprezza le altre religioni, ma gioiosa riconoscenza perché Cristo si è mostrato a noi senza alcun merito da parte nostra. Ed Egli, nello stesso tempo, ci ha impegnati a continuare a donare ciò che abbiamo ricevuto e anche a comunicare agli altri ciò che ci è stato donato, perché la Verità donata e l'Amore che è Dio appartengono a tutti gli uomini.

Uscì  nel 2014 un libro con uno scritto inedito di Benedetto XVI. E non si tratta di un testo qualsiasi. Ma di un giudizio che  pronuncia sul suo predecessore Giovanni Paolo II. Un vero e proprio giudizio pubblico non solo sulla persona, ma sulle linee portanti di quel memorabile pontificato.

Con sottolineature che non possono non essere messe a confronto con la situazione attuale della Chiesa.

Alcuni media, nel dar notizia di questo scritto del "papa emerito", hanno messo in evidenza il passaggio nel quale egli racconta come nella prima fase del pontificato di Karol Wojtyla si affrontò la questione della teologia della liberazione.

Ma di passaggi significativi ve ne sono anche altri. In particolare due.

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Il primo è là dove Benedetto XVI dice quali sono state a suo giudizio le encicliche più importanti di Giovanni Paolo II.

Su quattordici encicliche, egli indica le seguenti:

- la "Redemptor hominis" del 1979, in cui papa Wojtyla "offre la sua personale sintesi della fede cristiana", che oggi "può essere di grande aiuto a tutti quelli che sono in ricerca";

- la "Redemptoris missio" del 1987, che "mette in risalto l'importanza permanente del compito missionario della Chiesa";

- la "Evangelium vitae" del 1995, che "sviluppa uno dei temi fondamentali dell'intero pontificato di Giovanni Paolo II: la dignità intangibile della vita umana, sia dal primo istante del concepimento";

- la "Fides et ratio" del 1998, che "offre una nuova visione del rapporto tra fede cristiana e ragione filosofica".

Ma a queste quattro encicliche, richiamate in poche righe ciascuna, Benedetto XVI ne aggiunge a sorpresa un'altra, alla quale dedica una pagina intera, riprodotta più sotto.

È la "Veritatis splendor" del 1993, sui fondamenti della morale. L'enciclica forse più trascurata e inapplicata tra tutte quelle di Giovanni Paolo II, ma che Ratzinger dice doveroso studiare e assimilare oggi.

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Un secondo passaggio significativo è quello in cui Benedetto XVI parla della dichiarazione "Dominus Iesus" del 2000.

La "Dominus Iesus" – scrive Ratzinger – "riassume gli elementi irrinunciabili della fede cattolica". Eppure è stato il documento più contestato di quel pontificato, dentro e fuori la Chiesa cattolica.

Per diminuirne l'autorità, gli oppositori usavano attribuire la paternità della "Dominus Jesus" al solo prefetto della congregazione per la dottrina della fede, senza una reale approvazione da parte del papa.

Ebbene, è proprio la piena concordia tra lui e Giovanni Paolo II nel pubblicare la "Dominus Iesus" che il "papa emerito" oggi rivendica. Rivelando l'inedito retroscena che si può leggere più sotto.

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Di papa Wojtyla, Benedetto XVI ammira "il coraggio con il quale assolse il suo compito in un tempo veramente difficile".

E aggiunge:

"Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di prim'ordine della santità".

Un giudizio, questo, molto simile a quello espresso già su Paolo VI dallo stesso Ratzinger, nell'omelia funebre da lui pronunciata il 10 agosto 1978 come arcivescovo di Monaco:

"Un papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede. È per questo che in molte occasioni ha cercato il compromesso: la fede lascia molto di aperto, offre un ampio spettro di decisioni, impone come parametro l’amore, che si sente in obbligo verso il tutto e quindi impone molto rispetto. È per questo che ha potuto essere inflessibile e deciso quando la posta in gioco era la tradizione essenziale della Chiesa. In lui questa durezza non derivava dall’insensibilità di colui il cui cammino viene dettato dal piacere del potere e dal disprezzo delle persone, ma dalla profondità della fede, che lo ha reso capace di sopportare le opposizioni".

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Ecco dunque qui di seguito i due passaggi del testo di Benedetto XVI sopra menzionati:

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SULLA "VERITATIS SPLENDOR"


L'enciclica sui problemi morali "Veritatis splendor" ha avuto bisogno di lunghi anni di maturazione e rimane di immutata attualità.

La costituzione del Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, di contro all'orientamento all'epoca prevalentemente giusnaturalistico della teologia morale, voleva che la dottrina morale cattolica sulla figura di Gesù e il suo messaggio avesse un fondamento biblico.

Questo fu tentato attraverso degli accenni solo per un breve periodo. Poi andò affermandosi l'opinione che la Bibbia non avesse alcuna morale propria da annunciare, ma che rimandasse ai modelli morali di volta in volta validi. La morale è questione di ragione, si diceva, non di fede.

Scomparve così, da una parte, la morale intesa in senso giusnaturalistico, ma al suo posto non venne affermata alcuna concezione cristiana. E siccome non si poteva riconoscere né un fondamento metafisico né uno cristologico della morale, si ricorse a soluzioni pragmatiche: a una morale fondata sul principio del bilanciamento di beni, nella quale non esiste più quel che è veramente male e quel che è veramente bene, ma solo quello che, dal punto di vista dell'efficacia, è meglio o peggio.

Il grande compito che Giovanni Paolo II si diede in quell'enciclica fu di rintracciare nuovamente un fondamento metafisico nell'antropologia, come anche una concretizzazione cristiana nella nuova immagine di uomo della Sacra Scrittura.

Studiare e assimilare questa enciclica rimane un grande e importante dovere.

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SULLA "DOMINUS JESUS"


Tra i documenti su vari aspetti dell'ecumenismo, quello che suscitò le maggiori reazioni fu la dichiarazione "Dominus Iesus" del 2000, che riassume gli elementi irrinunciabili della fede cattolica. […]

A fronte del turbine che si era sviluppato intorno alla "Dominus Iesus", Giovanni Paolo II mi disse che all'Angelus intendeva difendere inequivocabilmente il documento.

Mi invitò a scrivere un testo per l'Angelus che fosse, per così dire, a tenuta stagna e non consentisse alcuna interpretazione diversa. Doveva emergere in modo del tutto inequivocabile che egli approvava il documento incondizionatamente.

Preparai dunque un breve discorso; non intendevo, però, essere troppo brusco e così cercai di esprimermi con chiarezza ma senza durezza. Dopo averlo letto, il papa mi chiese ancora una volta: "È veramente chiaro a sufficienza?". Io risposi di sì.

Chi conosce i teologi non si stupirà del fatto che, ciononostante, in seguito ci fu chi sostenne che il papa aveva prudentemente preso le distanze da quel testo. [cfr: http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/angelus/2000/documents/hf_jp-ii_ang_20001001.html!!!]

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Il libro:

"Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano", con un contributo esclusivo del papa emerito Benedetto XVI, a cura di Wlodzimierz Redzioch, Edizioni Ares, Milano, 2014, pp. 236, euro 15,90.

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I due documenti commentati da Benedetto XVI:

> Veritatis splendor

> Dominus Iesus


> Summorum Pontificum

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