domenica 23 luglio 2017

Il Libro delle Domande - S. Brigida


Questo libro delle domande rimase impresso nel suo cuore e nella sua memoria come se fosse stato scolpito nel marmo. Ella lo scrisse subito nella sua lin­gua volgare, che il suo confessore tradusse in seguito in latino, così come aveva tradotto gli altri libri...

Il Libro delle Domande contiene sedici interroga­zioni, ognuna delle quali è suddivisa in quattro, cin­que o sei domande, a ognuna delle quali Gesù ri­sponde dettagliatamente.
Per dare subito un'idea precisa della struttura e del contenuto del libro, riportiamo per intero la prima in­terrogazione che contiene cinque domande legate al­la nostra fisicità.


Prima interrogazione
1. O giudice, io ti interrogo. Tu mi hai donato la boc­ca: non debbo forse parlare di cose piacevoli?
2. Tu mi hai donato gli occhi: non devo vedere gli og­getti che mi dilettano?
3. Tu mi hai donato le orecchie: perché non dovrei ascoltare i suoni e le armonie che mi piacciono?
4. Tu mi hai donato le mani: perché non dovrei far­ne ciò che mi piace?
5. Tu mi hai donato i piedi: perché non dovrei anda­re dove mi conducono i miei desideri?



Risposte di Gesù Cristo
1. Il giudice, seduto su un trono sublime, con gesti molto dolci e molto onesti rispose: Amico mio, ti ho dato la bocca per parlare ragionevolmente del­le cose utili all'anima e al corpo, e delle cose che sono in mio onore.



2. Ti ho dato gli occhi affinché tu veda il male e lo eviti e affinché tu veda il bene e ad esso ti ispiri.



3. Ti ho dato le orecchie per ascoltare la verità e per udire ciò che è onesto.



4. Ti ho dato le mani affinché con esse tu faccia ciò che è necessario al corpo e che non nuoce all'anima.



5. Ti ho dati i piedi perché tu ti allontani dall'amore del mondo e ti avvicini al riposo eterno, all'amore della tua anima e a me, tuo Creatore.



Ma il monaco va ancora più a fondo, insistendo su­gli stessi temi: O giudice, ti domando perché mi hai dato i sensi corporali se non dobbiamo vivere in base ad essi. Per­ché ci hai donato la carne e altri sostentamenti cor­porali se non vuoi che li utilizziamo vivendo secon­do gli appetiti disordinati del corpo? Perché ci hai da­to il libero arbitrio se non possiamo seguire la nostra volontà?



E la risposta è questa:
Amico mio, ho donato all'uomo i sensi e l'intelli­genza per seguire le vie della vita e per fuggire le vie della morte.
Ho donato le carni e gli alimenti necessari al so­stentamento corporale perché vengano usate con mo­derazione e l'anima acquisti maggiore virtù, senza es­sere indebolita e oppressa dalla quantità eccessiva. Ho donato all'uomo il libero arbitrio perché rinunci alla propria volontà per amor mio, che sono il suo Dio, accrescendo così i propri meriti. Sempre collocato a metà della scala, il monaco ri­volge al Signore altre domande che si riferiscono an­cora alla condizione umana:

O giudice, perché devo ricercare la sapienza divi­na visto che possiedo la sapienza del mondo? Perché devo piangere, avendo in me in abbondanza la gloria e la gioia del mondo? Dimmi perché e come devo rallegrarmi nelle afflizioni corporali. Perché devo aver paura, possedendo forze molto grandi? Perché do­vrei ubbidire agli altri se dispongo della mia volontà? Ed ecco le risposte: Amico mio, colui che è giudice agli occhi del mon­do è cieco e folle davanti a me. Pertanto, per acqui­sire la mia divina saggezza, è necessario ricercarla di­ligentemente e umilmente.



Chi possiede gli onori del mondo e la sua gioia è spesso agitato da cure diverse e immerso in amarez­ze che conducono all'inferno. Pertanto, per evitare che si allontani dalla vista del cielo e che venga fuor­viato, è necessario che preghi e che pianga.



È assai utile rallegrarsi nell'afflizione e nell'infer­mità della carne, poiché la mia divina misericordia è vicina a chi patisce le sofferenze che rendono più bre­ve la via che conduce alla vita eterna.
Tutti coloro che sono forti, lo sono grazie alla mia forza, poiché io sono più forte di loro. Devono quin­di temere sempre che le loro forze siano loro sottratte.



Chi dispone del libero arbitrio deve temere e com­prendere che non vi è nulla che conduca più facilmente alla dannazione eterna che la propria volontà priva di una guida. Chi rinuncia alla propria volontà e la pone nelle mani mie, che sono il suo Dio, avrà il cielo senza pena alcuna.

E poi questa umanissima domanda: Perché permetti che il corpo soffra? La risposta è questa:
L'infermità affligge il corpo affinché l'uomo stia be­ne attento a conservare dentro di sé, attraverso la sof­ferenza e il controllo della carne, la moderazione spi­rituale e la pazienza, che è sovente messa in pericolo a causa del vizio dell'incontinenza e l'attaccamento al­le cose superflue. Il male, la sofferenza, la morte sono temi che ri­corrono ampiamente nelle domande del monaco, e del resto si tratta dei misteri più grandi e sentiti del­l'esistenza umana. 

All'interrogazione successiva tro­viamo infatti queste precise domande:
Perché la peste, la carestia e altri affanni affliggo­no il corpo? Perché la morte arriva quando meno ci si pensa, così che raramente la si può prevedere? E la risposta, paziente e condiscendente, del giudi­ce non tarda ad arrivare: È scritto nella legge che chi ruberà dovrà restitui­re più di quanto abbia rubato.



Fintanto che gli uomini ingrati ricevono i miei doni e ne abusano, non mi ren­dono affatto l'onore che mi è dovuto. E per questo che io permetto le pene del corpo, affinché l'anima sia salva nell'altro mondo. Talora io punisco l'uomo nelle cose che più ama, affinché colui che non mi ha voluto riconoscere nella gioia mi riconosca nella tri­stezza.



Mi chiedi anche perché la morte è improvvisa. Se l'uomo conoscesse il giorno della sua morte, mi ser­virebbe per paura e cadrebbe nella disperazione. Che l'uomo dunque mi serva per spirito d'amore, abbia sempre cura di sé e sia sicuro di me; è per questo che l'ora della morte è incerta, e ciò è giusto in quanto avendo l'uomo abbandonato il vero e il certo, era ne­cessario e giusto che fosse afflitto da ciò che era in­certo.



Il monaco ha ancora molte cose da chiedere al Si­gnore, per esempio queste: Perché non mostri la tua gloria agli uomini in que­sto mondo, affinché mentre vivono ti desiderino con maggior fervore? Perché gli angeli e i santi, che sono più nobili e più sublimi delle creature mortali, non so­no visti dagli uomini in questa vita? Essendo le pene dell'inferno orribili e incomparabili, perché non le mostri agli uomini in questa vita, così che possano evi­tarle?



Ed ecco la risposta:
La mia gloria è ineffabile e incomparabile in soa­vità e bontà. Se dunque la mia gloria fosse vista così com'è, i corpi dell'uomo corruttibile si disintegre­rebbero, così come lo furono i sensi di coloro che videro la mia gloria sulla montagna. Il loro corpo si di­struggerebbe anche a causa della troppo grande gioia dell'anima e non potrebbe più fare gli esercizi cor­porali. Quindi, poiché l'ingresso del cielo non è aper­to senza le opere dell'amore, la mia gloria è loro na­scosta per qualche tempo affinché, per il desiderio e la fede, possano in seguito vederla più abbondante­mente e più felicemente che mai. 
Perché non si vedono i santi nel luogo dove si tro­vano? Se i miei santi fossero visti e parlassero chia­ramente, riceverebbero l'onore dovuto; ma la fede perderebbe il suo merito e la debolezza della carne non potrebbe sopportare il loro splendore. Del resto la mia giustizia non vuole che una sì gran luce sia vi­sta da una così grande fragilità.



Tu chiedi ancora perché le pene dell'inferno non sono viste. Se le pene dell'inferno fossero viste così come sono, l'uomo si spaventerebbe e cercherebbe il cielo, non per spirito d'amore ma per timore. E poi­ché nessuno deve desiderare le gioie celesti per pau­ra delle pene, ma per la divina carità, io nascondo le pene dei dannati. Come i buoni e i santi non posso­no gustare questa gioia ineffabile prima della separa­zione dell'anima dal corpo, così i malvagi non pos­sono gustare le pene terribili prima della morte; ma essendo la loro anima separata dal corpo, essi speri­mentano le sofferenze attraverso i sentimenti che non hanno voluto capire nel loro spirito quando avreb­bero potuto farlo per mia grazia.



II monaco, sempre stando sulla sua scala, affronta poi questioni squisitamente spirituali relative alla Ver­gine e agli angeli, ponendosi il doloroso interrogati­vo suscitato dal raffronto tra la condizione angelica e quella umana:

O giudice, perché sei così ineguale nei tuoi doni e nelle tue grazie e hai prediletto e preferito la santa Vergine Maria su tutte le creature e l'hai esaltata al di sopra degli angeli? Perché hai donato agli angeli lo spirito senza la carne e li hai destinati alle gioie cele­sti? E perché hai donato all'uomo un vaso di terra e uno spirito e l'hai obbligato a vivere con fatica e pe­na e a morire con dolore?



La risposta del Signore è di grande solennità: Amico mio, io nella mia divinità conosco fin da tut­ta l'eternità tutte le cose future; quelle avvenute co­me quelle che devono avvenire, perché come la ca­duta dell'uomo è stata da me prevista, così la mia giu­stizia l'ha permessa; essa però non è stata predispo­sta da Dio, e neppure la divina prescienza poteva im­pedirla; allo stesso modo la mia misericordia ha pre­visto da tutta l'eternità la necessità della liberazione dell'uomo.



Tu domandi perché ho privilegiato al di sopra di tutte le altre la Madre di Dio e perché l'ho amata al di sopra e al di là di tutte le creature; ciò è avvenuto perché in lei è stato trovato un segno vero di virtù; infatti come il fuoco si accende rapidamente quando il legno è ben disposto, allo stesso modo il fuoco del mio amore si accese più ardentemente in mia Madre, essendo ella meglio disposta; perché quando l'amore divino, che è di per sé immutabile ed eterno, comin­ciò ad apparire e a bruciare allorché la mia divinità si incarnò, così non esisteva creatura più adatta e più capace di ricevere le fiamme del mio amore della San­ta Vergine, poiché nessuna aveva tanta carità quanta ne aveva lei; e sebbene il suo amore si fosse manife­stato alla fine dei tempi, non di meno ella era stata conosciuta da tutta l'eternità prima dell'inizio dei tempi, e di conseguenza predefinita da tutta l'eterni­tà nella divinità; infatti come nessuno le è stato uguale nell'amore, così ella non ha avuto eguali in grazia e benedizione.



Poi un'altra domanda rivolta direttamente a Gesù: Essendo stato concepito ed essendo nato senza pec­cato, perché hai voluto essere battezzato?



Risponde il Signore:
È necessario che colui che vuole aprire una nuova strada la inizi personalmente. In altri tempi era stata donata al popolo una via carnale, la circoncisione, in segno di obbedienza e purificazione, che sortiva l'ef­fetto di grazia futura e di promessa ai fedeli che ri­spettavano la legge, prima che venisse la verità pro­messa, cioè Gesù Cristo. Ma essendo arrivata la veri­tà e non essendo la legge che un'ombra, era stato sta­bilito da tutta l'eternità che la via antica si sarebbe ri­tirata, perché priva di effetto. Affinché dunque la ve­rità apparisse, l'ombra si ritirasse e si manifestasse la via più facile per arrivare al cielo, io che sono Dio e uomo per umiltà ho voluto essere battezzato per da­re l'esempio a molti e per aprire il cielo ai credenti e ai fedeli; e per dimostrarlo, dopo che fui battezzato, il cielo si aprì, fu udita la voce del Padre, lo Spirito Santo apparve in forma di colomba. Io, figlio di Dio, ho dimostrato di essere vero Dio e uomo, affinché si sappia e si creda che il Padre eterno apre i cieli ai bat­tezzati e ai fedeli. Lo Spirito Santo è con colui che bat­tezza...



Io, che sono la verità, ho dissipato le ombre. La scorza della legge fu spezzata, apparve il noccio­lo, la circoncisione fu sospesa e il battesimo fu con­fermato in me, affinché il cielo fosse aperto ai gran­di e ai piccoli e i figli dell'ira divenissero figli della grazia e della vita eterna. 
Il monaco insiste e pone la domanda che da due­mila anni l'uomo si pone: O giudice, te lo domando, poiché tu sei Dio ed uo­mo, perché non hai manifestato la tua divinità così co­me hai manifestato la tua umanità, affinché tutti cre­dessero in te?



E il giudice risponde: O amico mio, ti rispondo affinché la malizia del tuo pensiero sia conosciuta ad altri... Poiché Dio non per­mette niente senza un motivo, ti rispondo non alla maniera umana, dato che noi trattiamo di cose spiri­tuali; ma con similitudini, affinché la mia risposta sia compresa.



Tu domandi dunque perché non ho mostrato la mia divinità allo stesso modo in cui ho manifestato la mia umanità. lo rispondo: la mia divinità è spirituale e la mia umanità è corporale. Tuttavia la divinità e l'u­manità sono inseparabili, la mia divinità è increata e tutto ciò che è in essa è bontà e perfezione. Se dun­que una bontà e una perfezione tanto grandi si fos­sero manifestate all'occhio imperfetto dell'uomo, chi avrebbe potuto sostenerle, dato che l'occhio umano non riesce a sopportare neppure la vista del sole ma­teriale?...



È per due ragioni che la mia divinità non si è manifestata più chiaramente:

1° per l'imperfe­zione umana, che non era in grado di sopportarla, poiché gli occhi umani sono di sostanza terrena: se l'occhio corporale vedesse la divinità, si sciogliereb­be come cera davanti al fuoco; se l'anima avesse in sorte di vedere la divinità, il corpo si fonderebbe e si annienterebbe come cenere.

2° non si è manifestata inoltre a ragione della mia divina bontà e della sua co­stante stabilità; infatti se io mostrassi agli occhi mor­tali la mia divinità, che è incomparabilmente più risplendente del sole e del fuoco, io andrei contro quan­to io stesso dissi: L'uomo non mi vedrà affatto e vi­vrà. Nemmeno i profeti mi videro, loro che videro la montagna fumante e dissero: Che Mosè ci parli, e noi l'ascolteremo. Per questo io, che sono misericordia, affinché l'uomo mi capisse meglio e non si spaven­tasse, mi sono mostrato a lui in una forma che potesse essere vista e udita, ovvero nella mia umanità, che contiene - come velata - la mia divinità.



Io, che so­no Dio e non sono corporale, ho voluto poter essere udito e visto dagli uomini nella mia umanità. 

Non ancora stanco, il monaco chiede ancora: Perché hai preferito nascere da una Vergine piut­tosto che da un'altra donna che non lo era?



Ed ecco la risposta:
Poiché a me, Dio purissimo, meglio si convengo­no le cose pure... La verginità è una via molto bella che conduce al cielo e il matrimonio è soltanto una via; di conseguenza era ragionevole che io, Dio pu­rissimo, riposassi nel seno di una Vergine purissima, così come il primo uomo era stato tratto dalla terra, che in qualche maniera era vergine, non essendo sta­ta ancora inquinata dal sangue ... 

Infine una domanda dolorosamente umana: Perché molto spesso i malvagi prosperano più dei buoni?



E il Signore risponde:
Ciò è indizio della mia grande pazienza e del mio amore, perché se io donassi i beni temporali soltan­to ai miei amici, i malvagi si dispererebbero e i buo­ni si inorgoglirebbero. Io invece dono ad ognuno i be­ni temporali affinché io, il loro Dio, autore e creato­re di ogni cosa, sia da tutti amato e affinché quando i buoni diventano superbi siano indotti dai malvagi ad essere giusti. Tutti sanno anche che le cose corporali non devono essere preferite a me, ma devono soltanto essere usate affinché l'uomo capisca che meno stabi­lità trova nelle cose temporali più deve essere saldo nel servirmi.



Brigida fa parte di quel novero di sante medievali che furono assai attive nella Chiesa, pur operando in un tempo poco propizio al sesso femminile. 
È esem­plare in questo senso quanto scrisse al riguardo san Tommaso, che tanto influsso ebbe sulla concezione dei rapporti tra i sessi e il ruolo della donna. Egli ritene­va che la donna fosse «ausiliaria all'opera dell'uomo nella procreazione», e che «in ogni altra opera» egli trovasse «un migliore aiuto in un altro uomo che nel­la donna»[!].



Tra queste donne coraggiose che seppero farsi va­lere in un mondo di uomini sono da ricordare, oltre a Brigida di Svezia, Ildegarda di Bingen (1098-1179), Caterina da Siena (1347-1380), Giovanna d'Arco (1412-1431) e la beata Coletta di Corbie (1381­1447), che fu riformatrice di conventi maschili e fem­minili. 
Per capire santa Brigida, la sua vita e la sua opera è necessario far riferimento all'atmosfera sociale, re­ligiosa e culturale del XIV secolo. Per diritti di nasci­ta e in seguito anche per la sua fama di santità, Brigi­da frequentò sempre le più alte sfere del mondo po­litico ed ecclesiastico del tempo. Inoltre i suoi grandi pellegrinaggi la portarono a percorrere gran parte del­l'Europa e a prendere atto con chiarezza delle ostili­tà e delle discordie che dividevano i popoli. Soprat­tutto avvertiva la crisi del papato che si era allonta­nato da Roma.



Dinamica, portata all'azione, tesa a fare del bene a tutti, Brigida aveva un forte istinto sociale. Quando fu libera da impegni familiari, decise di prendere di­mora a Roma, per operare a favore del ritorno del pa­pa e del rinnovamento della Chiesa. Questa donna del Nord, della più lontana periferia del mondo cristia­no di allora, seppe farsi carico della responsabilità del­la Chiesa di Roma, centro della cristianità, che era ri­masta priva del suo pastore. Al ritorno del pontefice a Roma e al rinnovamen­to della Chiesa Brigida legava in maniera indissolubi­le il grande discorso della pace di tutta la cristianità, e per questa operò incessantemente finché ebbe vita. In questo senso la sua missione è di portata veramente europea. La Chiesa che deve essere rinnovata ha il suo simbolo proprio in lei, chiamata alla santità di vita. La stessa fondazione di un ordine formato da uomi­ni e donne simboleggia una nuova vigna che deve es­sere piantata in un momento in cui la vita religiosa è assai decaduta anche fra i religiosi.



Ma Brigida non si limita a sollecitare il rinnova­mento della vita sacerdotale e monastica: tutti devo­no cooperare a questo compito, tutti i cristiani devo­no essere «amici di Dio» e disposti a lavorare per il rinnovamento della Chiesa: oggi parleremmo di apo­stolato dei laici. 
Per loro questa esortazione: Voi amici miei, che siete nel mondo, andate sicuri a proclamate la mia volontà e gridate affinché tutti aderiscano. Io sarò nel vostro cuore e sulla vostra boc­ca. Non vi abbandonerò, andate con coraggio perché con la fatica si accresce la gloria. Potrei fare infatti tut­to d'un tratto e con una sola parola, ma voglio che dalla lotta cresca la vostra ricompensa, e per il vostro coraggio la gloria mia.

Nessun commento:

Posta un commento