mercoledì 28 gennaio 2015

Siesta

Un re corrotto domandò a un uomo pio: «Tra gli atti di culto che compio, qual è il più gradito a Dio?». L'uomo pio rispose: «La siesta che fai nel pomeriggio, perché è l'unico tempo in cui non tormenti nessuno!». 

«Questo libro resterà per lunghi anni, dopo che ogni granello della mia polvere sarà disperso, perché so quanto veloce fugge la vita!». Così scriveva del suo Golestân («Il roseto») Sa'dî, un sapiente mistico persiano vissuto per più di cent'anni tra il XII e il XIII secolo. I fiori che sbocciano in questo giardino poetico sono lezioni di vita, talora punteggiate da una stilla di ironia amabile. 

È il caso di questo apologo sul potere oppressivo. Non di rado dei dittatori si dice che vegliano sempre sulla loro nazione, mentre sarebbe meglio che dormissero di più… 

Al riguardo, scriveva ancora Sa'dî: «Un re vide un asceta e gli chiese: Non ti ricordi di me? Sì, rispose l'asceta, quando dimentico Dio!». 

Vorrei, però, porre l'accento nella parabola sopra citata sul tema del riposo che, tra l'altro, scandisce l'odierna giornata domenicale. Ovviamente la siesta è necessaria al corpo ed è tutto quello che nel giorno di festa sa offrire la società contemporanea, classificandolo sotto il vocabolo inglese relax. Un termine significativo che rimanda al «rilassamento» e spesso questo atteggiamento non è solo la distensione fisica, ma anche l'allentamento morale. 

Noi, invece, pensiamo a un altro riposo che si trasfigura proprio in una sorta di "roseto" simbolico. È la variante spirituale di quello che descriveva Machiavelli in una sua lettera del 1513: «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; mi spoglio della veste cotidiana piena di fango e loto, e mi metto panni reali e curiali…» per dialogare coi grandi del passato e «pascersi di quel cibo che solum è mio». Incontrare sé stessi e le cose alte nella quiete della propria camera. 

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