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Predicatore cappuccino, amico e consigliere dell’imperatore Leopoldo I, partecipò alla crociata antiturca come legato pontificio. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 aprile 2003.
(foto MARCATO)
Padre Marco, al secolo Carlo Domenico Cristofori, nacque ad Aviano (Pn) il 17 novembre 1631, in una stimata e facoltosa famiglia friulana. Dopo aver frequentato la scuola del luogo, proseguì gli studi nel collegio dei Gesuiti a Gorizia, dove ricevette un'ottima formazione spirituale e culturale. A diciassette anni Carlo fuggì per recarsi in Turchia, con l'intento di convertire i musulmani e morire martire, ma il suo viaggio si arrestò a Capodistria dove, senza soldi, stanco e affamato, bussò alla porta del convento dei Cappuccini, che lo accolsero e lo ricondussero in famiglia.
Ritratto dal vero di Marco d'Aviano.
In alto: la beatificazione del cappuccino è avvenuta lo stesso giorno
del beato don Giacomo Alberione
(foto BEVILACQUA).
Fatti prodigiosi e guarigioni
Maturata la sua vocazione, nel 1648 entrò nell'ordine dei frati minori cappuccini, prendendo in religione il nome di Marco. Il 18 settembre 1655 fu ordinato sacerdote e dal 1665, per ordine dei superiori, si dedicò alla predicazione. Di intelligenza vivace e di grande fervore religioso, quando predicava – come scrisse un suo ammiratore di Thiene – «pareva che dalla sua bocca vibrassero raggi divini».
A quarantacinque anni la sua vita cambiò radicalmente: l'8 settembre 1676, a Padova, tenne un discorso nella chiesa di San Prosdocimo, annessa al Monastero delle nobili dimesse; in quell'occasione fu pregato di benedire la giovane suor Vincenza Francesconi, paralizzata da tredici anni. Dopo la benedizione la giovane guarì immediatamente, suscitando clamore in tutta la città. Da quel giorno, ogni volta che padre Marco impartiva la benedizione, accadevano cose umanamente inspiegabili: gli storpi gettavano le stampelle, i ciechi aprivano gli occhi, i paralitici si alzavano dai letti.
La fama dei suoi prodigi si sparse velocemente e molti vescovi iniziarono a richiedere la sua presenza, per ravvivare lo spirito religioso nelle popolazioni. Iniziarono così i suoi faticosi viaggi, per ordine dei superiori o del Papa, che lo dispensò perfino dal precetto francescano di non cavalcare; Innocenzo XI, che lo aveva definito «il taumaturgo del secolo», gli concesse il privilegio, unico per un religioso, di poter impartire la benedizione papale, con annessa indulgenza plenaria in suffragio dei defunti. In pochi anni padre Marco fu in Italia del Nord, Francia, Belgio, Olanda, Svizzera, Austria e Germania. Numerosissime guarigioni e fatti prodigiosi furono documentati dai notai nelle cronache cittadine e riconosciuti dalle curie vescovili.
A Lione assistettero alla sua predica ben centomila persone. A Monaco di Baviera il superiore dei Cappuccini raccolse centosessanta stampelle, lasciate da storpi guariti nelle chiese; a Neuburg più di trenta, tra ciechi, sordomuti ed epilettici furono guariti; a Roermond (oggi in Olanda), durante l'ultima predica con benedizione, si contarono ben 40.000 persone! Alle sue prediche accorrevano anche i protestanti, che venivano invitati da padre Marco alla preghiera comune, ancor prima che al ritorno nella Chiesa cattolica. Scrisse l'Atto di dolore perfetto, che ebbe una diffusione immediata e fu stampato in latino, francese, tedesco, italiano, fiammingo e spagnolo.
Ma Dio aveva ancora altri piani per lui. Nel 1682 si recò a Vienna, dove incontrò la famiglia imperiale e celebrò la solenne funzione di ringraziamento a Dio per la cessazione della peste. Come ispirato da Dio, chiamò i viennesi alla conversione, pena un castigo ben peggiore della peste. Fu profeta.
Infatti, l'anno seguente, il sultano ottomano Maometto IV inviò da Costantinopoli una missiva all'imperatore Leopoldo I d'Austria e al re di Polonia Giovanni Sobieski, manifestando i suoi propositi: «Io ho in animo di invadere la vostra regione. Condurrò con me tredici re con soldati, cavalleria e fanteria per schiacciare il vostro insignificante Paese. Lo distruggerò con il ferro e con il fuoco. Soprattutto ti comando [o imperatore] di attendermi nella tua residenza, perché possa tagliarti la testa».
L'invasione ottomana in Europa
Nel gennaio 1683 da Istanbul l'esercito ottomano, composto da non meno di 150-200.000 soldati ben armati, con a capo il gran visir Kara (il Nero) Mustafa, si mosse verso l'Ungheria. Ad Adrianopoli Kara Mustafa aveva ricevuto il vessillo verde del Profeta, considerato sacro dai popoli della Mezzaluna. L'Europa cristiana è prostrata, dilaniata da fazioni religiose e lotte dinastiche, in preda a una grave crisi economica e a un conseguente calo demografico: è diventata la preda più appetibile per la potenza ottomana.
All'inizio di maggio del 1683, Kara Mustafa radunò il suo esercito a Belgrado e mosse verso Vienna, seguito da migliaia di persone di servizio, un harem personale di 1.500 concubine, tende per i generali, fontane con giochi d'acqua e migliaia di animali: una vista impressionante. L'imperatore Leopoldo fuggì precipitosamente a Linz, dopo aver affidato il comando militare al conte Ernst Rüdiger von Starhemberg, che organizzò la strenua difesa di Vienna. Il 12 luglio i turchi giunsero nei dintorni di Vienna, dando inizio a uno degli assedi più memorabili della storia, durato due mesi. Dalle mura di Vienna si potevano contemplare le venticinquemila tende dell'esercito ottomano che si stendevano a perdita d'occhio tra il Wienfluss e l'Alserbach, e alla sera udire il terribile grido di Allah.
Intanto l'imperatore Leopoldo chiamava a raccolta tutti i principi cattolici e protestanti, appellandosi al supremo interesse della salvezza della cristianità. Padre Marco, chiamato in soccorso dall'imperatore, fu nominato Legato pontificio da Innocenzo XI, preoccupatissimo per il destino dell'Europa. Lasciò così il suo convento di Padova e si recò presso l'esercito della coalizione: tutti i capi erano d'accordo sulla necessità d'attaccare i Turchi, ma ciascuno voleva assumere il comando supremo, così la situazione ristagnava.
Padre Marco, giunto al consiglio di guerra del 6 settembre a Tulln, riuscì a mettere d'accordo i principi sul comando delle truppe – appena settantamila soldati – e li convinse a partire immediatamente alla volta di Vienna, guidati dal re Giovanni Sobieski; su tutte le insegne imperiali fu riportata l'immagine della Madre di Dio. Da allora tutte le bandiere militari austriache continueranno a portare l'effigie della Madonna per i successivi due secoli e mezzo, fino all'avvento di Hitler.
Cominciata la marcia verso Vienna, tutto l'esercito si fermò l'8 settembre, festa della Natività di Maria, nella pianura di Tulln, per una giornata di preghiera, cosa mai accaduta prima nella storia; padre Marco passò per ogni schiera, facendo ripetere a tutti i soldati l'atto di dolore perfetto e dando loro l'assoluzione con la benedizione papale.
La vittoria dell'esercito cristiano
L'11 settembre conquistarono le alture del Kahlemberg, alla periferia della capitale, che il capo dei turchi per grande errore strategico non aveva occupato. All'alba del 12 settembre padre Marco celebrò la messa, che fu servita dal re Sobieski e da suo figlio Giacomo; i comandanti cattolici furono assolti e comunicati, quelli protestanti, benedetti. Benedisse l'esercito schierato, incitandolo a combattere per la difesa dei fratelli e della fede cristiana, dando loro l'assoluzione generale.
Durante la battaglia padre Marco rimase bene in vista sul colle e con il crocifisso in mano benediva il luogo dove la lotta era più tremenda. La battaglia durò tutto il giorno e terminò con una terribile carica all'arma bianca, guidata da Sobieski in persona, che provocò la rotta degli ottomani e la vittoria dell'esercito cristiano, che miracolosamente contò solo 2.000 morti, contro i 20.000 dell'avversario. L'esercito ottomano fuggì abbandonando il bottino, le armi e le sacre insegne della Mezzaluna, dopo aver massacrato centinaia di prigionieri e schiavi cristiani.
Il 13 settembre l'imperatore Leopoldo entrò a Vienna, festante e libera, alla testa dei principi e delle truppe confederate, e assistette al solenne Te Deum di ringraziamento. Il re di Polonia inviò al Papa le insegne del nemico, accompagnandole con la memorabile scritta: «Veni, vidi, Deus vicit»; le insegne rimasero esposte sulle porte di San Pietro per giorni. L'incredibile vittoria fu attribuita all'intercessione di Maria e il Papa stabilì che il 12 settembre fosse dedicato al Ss. Nome di Maria, in ricordo e ringraziamento perenne per la vittoria.
Dopo aver partecipato alla liberazione di Buda (1686) e di Belgrado (1688; in quell'occasione padre Marco salvò dalla morte ottocento soldati turchi, fatti prigionieri dalle truppe cristiane), nel luglio 1699 il Papa lo inviò a Vienna, per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Vi morì il 13 agosto, stringendo la croce tra le mani. Al suo capezzale si trovavano l'imperatore e la moglie Eleonora.
Per disposizione imperiale la salma rimase esposta fino al giorno 17, venerata da una folla immensa. I funerali furono un'apoteosi e la bara fu tumulata presso le tombe imperiali nella cripta dei Cappuccini. Lo stesso imperatore avviò subito le pratiche per il processo di beatificazione che, per complesse vicende storiche, si concluse solo nel 2003, quando fu elevato agli onori degli altari.
In occasione della beatificazione, la VII Commissione del parlamento europeo presentò una risoluzione per far diventare padre Marco d'Aviano, accanto a san Benedetto, patrono d'Europa. Sarebbe il miglior riconoscimento che l'Europa potrebbe offrire a questo umile frate cappuccino che, per un singolare progetto di Dio, fu predicatore, taumaturgo e diplomatico.
Giovanna Brizi
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