S. LORENZO GIUSTINIANI vescovo
(si celebra il 5 settembre)
Venezia, luglio 1381 - 8 gennaio 1456
Etimologia: Lorenzo = nativo di Laurento, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Portamonete
S.Lorenzo ed altri Santi, Giovanni Antonio de Sacchis detto "il Pordenone", 1532 Galleria dell'Accademia Venenzia
Lorenzo nacque a Venezia nel 1381 dalla nobile famiglia Giustiniani di Venezia. Dopo aver avuto una visione della Sapienza Eterna si diede alla vita ascetica.
Deludendo le attese della madre, rimasta vedova con cinque bambini in una grande casa nobiliare, gremita di servitù in livrea, abbandonò la famiglia e andò a chiudersi tra i monaci dell'isola di S. Giorgio.
Un amico che si era recato nel convento per persuaderlo a far ritorno in famiglia, decise invece di seguirne immediatamente l'esempio, facendosi frate. Lorenzo, vestito dell'umile saio del frate mendicante, andava di porta in porta a fare la questua.
Un figlio accattone non è un bel vedere per la nobile famiglia Zustinian o Giustiniani, ornamento della Serenissima.
Lui, Lorenzo, arriva a mendicare fin sotto casa, la madre, una piissima- donna, soffriva al pensiero che la gente potesse riconoscere suo figlio sotto quelle vesti, e per affrettarne il ritorno in convento mandava i domestici a riempire di pani la sua bisaccia, purché si tolga di lì. Lui accetta soltanto due pani, ringrazia e continua. Il confratello che lo accompagnava avrebbe voluto evitare le porte dalle quali provenivano solo insulti, ma Lorenzo era categorico: « Non abbiamo rinunciato al mondo soltanto a parole. Andiamo a riceverci anche il disprezzo! ».
Il suo scopo non è l’“opera buona” in sé. E’, addirittura, la rigenerazione della Chiesa attraverso la riforma personale di chierici e laici. L’umiliazione del mendicare ha valore di "vittoria sopra sé stessi", di avversione alle pompe prelatizie, di primo passo verso il rinnovamento attraverso la meditazione, la preghiera, lo studio, l’austerità. L’intraprendente e battagliera Venezia del Quattrocento è anche un fervido laboratorio di riforma cattolica, destinato a portare frutti preziosi.
Lorenzo Giustiniani è diacono nel 1404, quando si unisce ad altri sacerdoti, accolti nel monastero di San Giorgio in Alga, per vivere in comune tra loro, riconosciuti poi come “Compagnia di canonici secolari”: sono i pionieri dello sforzo riformatore. Sacerdote nel 1407, due anni dopo è già priore della comunità di San Giorgio in Alga.
Lorenzo ha scarse doti di oratore, ma “predica” con molta efficacia, da un lato, continuando a girare con saio e bisaccia; e, dall’altro, scrivendo instancabilmente.
Scrive per i dotti e per gli ignoranti, trattati teologici e opuscoletti popolari, offrendo a tutti una guida alla riforma personale nel credere e nel praticare. Spinge i fedeli a recuperare il senso di comunione con tutta la Chiesa, anima la fiducia nella misericordia di Dio piuttosto che il timore per la sua giustizia.
Non aveva il dono dell'oratoria, ma di ciò non si dava pena, potendo supplire con la parola scritta, di cui fece largo uso per la direzione del clero e dei laici, con lettere pastorali e opuscoli, in cui condensava in brevi e concettosi aforismi il succo di tante meditazioni: « Chi non utilizza il Signore quanto più gli è possibile, mostra di non apprezzarlo »; « Un servo del Signore evita anche le piccole mancanze, perché la sua carità non si raffreddi»; «Dobbiamo evitare gli affari troppo complicati; nelle complicazioni c'è sempre lo zampino del diavolo ».
Nei suoi scritti, opere varie e sermoni c'è l'idea madre dell'Eterna Sapienza, elemento dominante della sua mistica. Essa, negli scritti del periodo monacale, guida l'uomo al vertice della perfezione interiore e, degli scritti successivi, al vertice della vita episcopale.
Nel 1433 arriva la nomina a vescovo, sebbene egli cerchi di evitarla, aiutato dai confratelli di San Giorgio in Alga: ma di lì viene anche papa Eugenio IV, Gabriele Condulmer, che conosce benissimo Lorenzo e non dà retta ai suoi pretesti: la stanchezza, il compito troppo difficile… Eccolo perciò vescovo “di Castello”, dal nome della sua residenza, che è un’isoletta lagunare fortificata, l’antica Olivolo, riformò con zelo apostolico la sua diocesi. Nel 1541, poi, Niccolò V sopprime quello che resta del patriarcato di Grado, e dà a Lorenzo Giustiniani il titolo di patriarca di Venezia: il primo. Grazie anche alla sua umiltà e santità, sanare la frattura tra la Chiesa e il potere civile.
Diceva di lui il doge di Venezia diceva che il solo uomo col quale avrebbe scambiato la sua anima era il vescovo Lorenzo Giustiniani. A sua volta il primo patriarca di Venezia, affermava che il mestiere di doge era un gioco in confronto a quello di vescovo, per gli òneri che la guida delle anime comportava.
Lorenzo Giustiniani, vescovo di Venezia, non mutò tenore di vita, nemmeno esteriormente. Visitava egli stesso i poveri della città, distribuendo non denaro, ma alimenti e vestiti, perché il frutto della carità non prendesse altre vie.
Vengono i tempi duri della lotta contro i Turchi. Nel 1453 cade in mano loro Costantinopoli, e "a Venezia è tutto un pianto, non si sa che fare", come scrive un testimone. Lorenzo Giustiniani va avanti con rigore nell’opera di riforma, inimicandosi qualche volta il Senato, altre volte i preti, e affascinando i veneziani che già lo tengono per santo.
Abituato alle dure penitenze, quando, ormai vecchio e malato, cercarono di sostituirgli il pagliericcio con un letto di piume, egli protestò: « Cristo morì sulla croce e io dovrei morire su un letto di piume? ».
Morì l'8 gennaio 1455 esprimendo il desiderio di essere sepolto nel piccolo cimitero del vecchio convento.
Ma i veneziani gli decretarono un vero trionfo.
Dopo la sua morte, essi ottengono che il suo corpo resti sepolto per sempre nella chiesa di San Pietro in Castello.
Lo canonizzerà, nel 1690, papa Alessandro VIII (il veneziano Piero Ottoboni), ma la pubblicazione ufficiale si avrà soltanto con papa Benedetto XIII nel 1727.
Deludendo le attese della madre, rimasta vedova con cinque bambini in una grande casa nobiliare, gremita di servitù in livrea, abbandonò la famiglia e andò a chiudersi tra i monaci dell'isola di S. Giorgio.
Un amico che si era recato nel convento per persuaderlo a far ritorno in famiglia, decise invece di seguirne immediatamente l'esempio, facendosi frate. Lorenzo, vestito dell'umile saio del frate mendicante, andava di porta in porta a fare la questua.
Un figlio accattone non è un bel vedere per la nobile famiglia Zustinian o Giustiniani, ornamento della Serenissima.
Lui, Lorenzo, arriva a mendicare fin sotto casa, la madre, una piissima- donna, soffriva al pensiero che la gente potesse riconoscere suo figlio sotto quelle vesti, e per affrettarne il ritorno in convento mandava i domestici a riempire di pani la sua bisaccia, purché si tolga di lì. Lui accetta soltanto due pani, ringrazia e continua. Il confratello che lo accompagnava avrebbe voluto evitare le porte dalle quali provenivano solo insulti, ma Lorenzo era categorico: « Non abbiamo rinunciato al mondo soltanto a parole. Andiamo a riceverci anche il disprezzo! ».
Il suo scopo non è l’“opera buona” in sé. E’, addirittura, la rigenerazione della Chiesa attraverso la riforma personale di chierici e laici. L’umiliazione del mendicare ha valore di "vittoria sopra sé stessi", di avversione alle pompe prelatizie, di primo passo verso il rinnovamento attraverso la meditazione, la preghiera, lo studio, l’austerità. L’intraprendente e battagliera Venezia del Quattrocento è anche un fervido laboratorio di riforma cattolica, destinato a portare frutti preziosi.
Lorenzo Giustiniani è diacono nel 1404, quando si unisce ad altri sacerdoti, accolti nel monastero di San Giorgio in Alga, per vivere in comune tra loro, riconosciuti poi come “Compagnia di canonici secolari”: sono i pionieri dello sforzo riformatore. Sacerdote nel 1407, due anni dopo è già priore della comunità di San Giorgio in Alga.
Lorenzo ha scarse doti di oratore, ma “predica” con molta efficacia, da un lato, continuando a girare con saio e bisaccia; e, dall’altro, scrivendo instancabilmente.
Scrive per i dotti e per gli ignoranti, trattati teologici e opuscoletti popolari, offrendo a tutti una guida alla riforma personale nel credere e nel praticare. Spinge i fedeli a recuperare il senso di comunione con tutta la Chiesa, anima la fiducia nella misericordia di Dio piuttosto che il timore per la sua giustizia.
Non aveva il dono dell'oratoria, ma di ciò non si dava pena, potendo supplire con la parola scritta, di cui fece largo uso per la direzione del clero e dei laici, con lettere pastorali e opuscoli, in cui condensava in brevi e concettosi aforismi il succo di tante meditazioni: « Chi non utilizza il Signore quanto più gli è possibile, mostra di non apprezzarlo »; « Un servo del Signore evita anche le piccole mancanze, perché la sua carità non si raffreddi»; «Dobbiamo evitare gli affari troppo complicati; nelle complicazioni c'è sempre lo zampino del diavolo ».
Nei suoi scritti, opere varie e sermoni c'è l'idea madre dell'Eterna Sapienza, elemento dominante della sua mistica. Essa, negli scritti del periodo monacale, guida l'uomo al vertice della perfezione interiore e, degli scritti successivi, al vertice della vita episcopale.
Nel 1433 arriva la nomina a vescovo, sebbene egli cerchi di evitarla, aiutato dai confratelli di San Giorgio in Alga: ma di lì viene anche papa Eugenio IV, Gabriele Condulmer, che conosce benissimo Lorenzo e non dà retta ai suoi pretesti: la stanchezza, il compito troppo difficile… Eccolo perciò vescovo “di Castello”, dal nome della sua residenza, che è un’isoletta lagunare fortificata, l’antica Olivolo, riformò con zelo apostolico la sua diocesi. Nel 1541, poi, Niccolò V sopprime quello che resta del patriarcato di Grado, e dà a Lorenzo Giustiniani il titolo di patriarca di Venezia: il primo. Grazie anche alla sua umiltà e santità, sanare la frattura tra la Chiesa e il potere civile.
Diceva di lui il doge di Venezia diceva che il solo uomo col quale avrebbe scambiato la sua anima era il vescovo Lorenzo Giustiniani. A sua volta il primo patriarca di Venezia, affermava che il mestiere di doge era un gioco in confronto a quello di vescovo, per gli òneri che la guida delle anime comportava.
Lorenzo Giustiniani, vescovo di Venezia, non mutò tenore di vita, nemmeno esteriormente. Visitava egli stesso i poveri della città, distribuendo non denaro, ma alimenti e vestiti, perché il frutto della carità non prendesse altre vie.
Vengono i tempi duri della lotta contro i Turchi. Nel 1453 cade in mano loro Costantinopoli, e "a Venezia è tutto un pianto, non si sa che fare", come scrive un testimone. Lorenzo Giustiniani va avanti con rigore nell’opera di riforma, inimicandosi qualche volta il Senato, altre volte i preti, e affascinando i veneziani che già lo tengono per santo.
Abituato alle dure penitenze, quando, ormai vecchio e malato, cercarono di sostituirgli il pagliericcio con un letto di piume, egli protestò: « Cristo morì sulla croce e io dovrei morire su un letto di piume? ».
Morì l'8 gennaio 1455 esprimendo il desiderio di essere sepolto nel piccolo cimitero del vecchio convento.
Ma i veneziani gli decretarono un vero trionfo.
Dopo la sua morte, essi ottengono che il suo corpo resti sepolto per sempre nella chiesa di San Pietro in Castello.
Lo canonizzerà, nel 1690, papa Alessandro VIII (il veneziano Piero Ottoboni), ma la pubblicazione ufficiale si avrà soltanto con papa Benedetto XIII nel 1727.
S.Lorenzo benedicente, Giovanni Bellini, 1465 Galleria dell'Accademia Venenzia
La visione di S.Lorenzo, Antonio Pellegrini, Fondazione Cini, Venenzia
S.Lorenzo, facciata della Chiesa di San Giuseppe Mestre (Venezia)
A.M.D.G. et BVM
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