giovedì 29 marzo 2012

L'INFERNO E' ETERNO.



Prove sull'esistenza e sull'eternità dell'inferno dedotte dai fatti.

Questa prova è tratta dalla vita di San Brunone, fondatore dei Certosini.

Assistendo nella Chiesa di Nôtre-Dame ad un funerale di un celebre professore della Sorbona Raimondo Diocrès, morto nell’anno 1082, tra il compianto universale, era d’uso collocare la salma in mezzo alla navata principale, coperta da un solo velo.
Cominciati gli uffizi divini, giunti al versetto di Giobbe 13, 22: “responde mihi, quantas habeo iniquitates et peccata” (Rispondimi, fammi capire, quante iniquità e peccati io ho), si udì una voce sepolcrale uscire dal di sotto del funebre velo che diceva:
'per giusto giudizio di Dio sono stato accusato'.

Lo spavento fu generale, alcuni medici presenti avvicinatosi al defunto costatarono che era tale. Non si ebbe il coraggio per quel giorno di continuare le esequie e si rimandarono al giorno dopo.
Intanto le autorità ecclesiastiche non sapevano che decidere, alcuni dicevano che sicuramente il defunto era dannato pertanto non era degno delle preghiere della Chiesa, altri facevano osservare che quello che era accaduto era molto spaventoso, ma facevano osservare che tutti sono prima accusati e poi giudicati per giusto giudizio di Dio.

Decisero di riprendere le funzioni funebre il giorno seguente, ma durante la funzione, quando il celebrante pronunciò le stesse frasi di Giobbe 13, 22: “Responde mihi,…”, ecco che di nuovo il cadavere del dottore Raimondo Diocrés si alza dalla bara gridando:

'per giusto castigo di Dio sono stato condannato per sempre all’inferno'.

Tutti i presenti rimasero esterrefatti e con una parola tangibile si convinsero che l’inferno esiste davvero.

*

Un’altra prova si trova tra gli scritti dell’arcivescovo di Firenze Sant'Antonino Pierozzi (1389 - 1459). 

Un giovane di buona famiglia che all’età di sedici anni tenne nascosto un peccato al confessore, in seguito si confessò da diversi sacerdoti, ma non confessava mai quel peccato perché si vergognava.

Continuava a ricevere l’Eucaristia, tenendo volutamente nascosto quel peccato (che da uno divenne molteplice,  perché teneva sempre nascosto quel peccato). Si riprometteva di confessarlo il giorno seguente, ma il giorno seguente continuava a persistere nel suo peccato. Era tormentato da questa condizione miserevole e per trovar pace con se stesso faceva grandi penitenze, ma inutilmente, perché era sempre assorbito dal rimorso di quel peccato.

Decise anche di entrare in convento e questa volta diceva tra sé:

sicuramente riuscirò così a fare una buona confessione.
Venne accolto in convento come un giovane di buona famiglia, ma anche in convento non riuscì a liberarsi di quel peccato continuando a soffocare la voce della sua coscienza per vergogna. Dopo qualche anno si ammalò e allora disse fra sé:
questa  è l’occasione per confessare tutto, ma, di fronte al confessore, decise di rinviare al giorno seguente la confessione di quel peccato. Purtroppo si aggravò ed infine morì senza mai confessare quel peccato.

Per essersi comportato in modo esemplare durante la sua vita in convento, i suoi confratelli decisero di portare il feretro in pompa magna nella cattedrale e di lasciarlo esposto per tutta la notte; il giorno dopo avrebbero fatto la funzione funebre.

Il mattino seguente, prima della funzione funebre, il frate andò a suonare le campane e vide comparire dinanzi il morto cinto di catene roventi, con un’incandescenza che traspariva per tutto il corpo; spaventato il frate cadde in ginocchio con gli occhi fissi per la terribile apparizione e il reprobo gli disse:

'Non pregate per me, perché io sono all’inferno per tutta l’eternità'.
Gli narrò la sua storia e la maledetta vergogna dei suoi sacrilegi. Dopo di che scomparì lasciando per tutta la Chiesa e per tutto il monastero un nauseante fetore per attestare la verità di ciò che quel frate aveva veduto e sentito.



LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

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