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L’attesa
“Tu se’ Colei che l’umana natura Nobilitasti sì, che il suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua’fattura!”
Dante, Par. 33, 4
La vita e il lavoro della
nuova famiglia di Nazareth avevano un ritmo, un profumo, una luce diversa; il loro cuore veniva da un cielo in
tempesta. Ora però ogni loro naturale ansia s’era trasformata in arcobaleno.
Sentivano di amarsi,
lontani da ogni illusione e delusione. Con ogni aiuto e delicatezza vicendevole si industriavano tutti i giorni per
salire più in alto verso Dio . . .
Giuseppe assolveva
ogni giorno al suo mestiere
di falegname — carpentiere
— legnaiolo. Secondo un’antica
tradizione la sua bottega si trovava ad un tiro d’arco
dalla casetta dov’era avvenuta l’annunciazione. Ivi “il giusto”, sudando da mane a sera, guadagnava il suo pane.
Maria invece curava tutti i
lavori femminili comuni ad ogni donna palestinese, e soprattutto preparava quanto era necessario per la nascita che
era imminente e per accogliere degnamente
il Re dei re.
La vita della santa Famiglia
e della stessa città di Nazareth scorreva
serena.
La Vergine contava i
giorni per il Natale del suo Bimbo. Colma
dei più eccelsi carismi, non ultimo
quello della piena conoscenza
delle sacre Scritture, la sua mente riandava alla profezia del
grande Michea, contemporaneo di Isaia, in
cui si dice: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola fra i capoluoghi di Giuda, date mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele: le sue origini
sono dal1’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li
metterà in potere altrui sino a quando Colei che deve partorire partorirà; e il
resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele” (Mic 5, 1-2).
Si tratta del chiaro annunzio di Gesiì, il Messia, che sarebbe nato non in Galilea, non a Gerusalemme la grande, già
città di David, ma nella piccola Betlem
di Efrata, anch’essa città di David, là in Giudea a 200 Km circa da Nazareth.
La Vergine si sarà naturalmente chiesto: come? quando? dove esattamente?
Ma ecco un’occasione di più
perché la sua fede giganteggi ed Ella esprima
tutto il suo eroico abbandono
alla Volontà di Dio. D’altro non si
occupa né si preoccupa: cerca solo di far bene la sua parte.
Non anticipa i tempi. Non fa previsioni. Non si angustia.
Non discute le Scritture. Solo custodisce la parola di
Dio e crede fermamente che a Dio nulla
è impossibile.
Ormai a Nazareth tutto è
pronto per accogliere Gesù; la gioia
cresce ogni momento
nei cuori di Maria e Giuseppe, perché
finalmente la terra sta per avere il Salvatore.
La Palestina già da circa
settant’anni era effettivamente una provincia romana pur avendo giuridicamente un proprio re. Godeva di quella pace
comune a tutto 1’impero romano che
allora — nell’anno 746 dalla fondazione di Roma
—(Cesare Augusto figlio adottivo di Giulio Cesare , fu
imperatore dal 30 a.C. al 14 d.C) era guidato da un solo
uomo: Cesare Ottaviano Augusto.
Egli, grazie alla sua
autorità politica e morale e alla venerazione religiosa di cui era oggetto, era
riuscito a subordinare a sé tutte le magistrature e gli organi
dello stato: era
la famosa pax romana, che se da una parte permise di ridurre il numero delle legioni, dall’altra non
impedì di procedere a una serie di campagne militari per consolidare i confini dell’impero.
In San Luca leggiamo: “In
quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si
facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria,
Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare,
ciascuno nella sua città” (Lc 2, 1-3).
Il censimento fu chiamato
universale per rendere l’idea della grandezza e vastità dell’impero romano. E
serviva a contare la popolazione soggetta all’Imperatore, nonché a stabilire le condizioni
economiche dei singoli per l’attribuzione delle imposte.
In Palestina si compì secondo l’uso ebraico e
fu misura molto abile e politicamente assai opportuna. Le persone
interessate si recavano alla città d’origine
della propria stirpe per espletare le formalità richieste: dichiarare la propria identità, il domicilio e i propri
beni.
E questo valeva anche per
le donne sposate, le quali dovevano presentarsi all’ufficiale del censimento insieme
con i loro sposi o mariti.
Quale fu l’eccitazione che
dovette produrre in Palestina l’editto imperiale non è
difficile immaginare. Roschini osserva che quell’intrusione dell’Imperatore pagano nel vòler contare, come pecore, i
figli del popolo eletto, dovette sembrare cosa
intollerabile agli Ebrei, famosi per 1’insofferenza di qualsiasi dominio straniero.
Però Maria e Giuseppe, sempre docili alle
disposizioni della Provvidenza divina
che si manifesta nelle circostanze e negli eventi storici, non ebbero una sola parola critica per l’editto romano.
Pur avendo in casa l’Imperatore degli imperatori, essi obbedirono ciecamente a Cesare.
Si prepararono a compiere il viaggio di
quattro-cinque giorni di cammino, sino
a Betlemme (200 km circa), non spinti da avvertimento o messaggio angelico, né dalla preoccupazione di attuare la profezia
di Michea, bensì per assolvere il loro
impegno civile di cittadini, in ossequio al decreto emanato dall’autorità romana.
E così “...anche Giuseppe,
che era della casa e della famiglia di David, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea
alla città di David, chiamata Betlemme,
per farsi registrare insieme con Maria, sua sposa, che era incinta” (Lc 2, 4-5).
Essi con umile confidenza nel Signore e grande
eroismo affrontano gli inevitabili disagi
del viaggio, con in più tutti i rischi di un tale spostamento per Maria che era in stato di avanzata maternità.
Appena i santi Sposi
giunsero a Betlemme, con ogni diligenza e attenzione ottemperarono alle pratiche del
censimento che era stato lo scopo del loro viaggio; e poi si diedero a cercare
un rifugio per la notte.
Bussa e ribussa, batti e ribatti, tra antiche
conoscenze e possibili amicizie molte porte riuscirono ad aprirsi
appena, ma nessuna si spalancò
per Giuseppe e la Sposa incinta!
I due Sposi, forse, mai
avrebbero immaginato la situazione che li attendeva: in realtà non trovarono alloggio alcuno, né
presso privati, né nella pubblica locanda.
Per il Figlio di Dio neppure un buco tra le case degli uomini o nel locale caravanserraglio (consistente,
generalmente, in un recinto murato, con portici aperti e con delle piccole stanze in cui erano sistemati dei
giacigli a uso dei carovanieri più
quotati e dove erano depositate le merci trasportate, mentre nel vano del cortile
si lasciavano riposare
liberi gli animali da tiro o da soma).
La gente che non poteva permettersi di pagare
piccole camere, si affollava promiscuamente
nello stanzone centrale della locanda, dove non mancavano i parti né le agonie.
E quando vi giunsero i nostri Sposi, Giuseppe,
per la grande affluenza di quei giorni, non trovò neanche un posticino per la
Sposa che già sentiva imminente la nascita di Gesù.
Il Cielo, che ama i poveri,
non li abbandona. Gli uomini osano invece rifiutare al Re dei re quell’ospitalità che è sempre sacra. Eppure
“...il mondo fu fatto per mezzo di
Lui, ma il mondo non Lo riconobbe. Venne tra la sua gente, ma i suoi non L’hanno
accolto” (Gv 1, 10-11).
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